• Non ci sono risultati.

L’informazione non di partito: pro e contro Galletto

Lo scontro apertosi in Parlamento sui concorsi, vestito da moralità, trovò amplificazione sulla stampa locale e nazionale, mobilitata perché la vicenda fosse resa nota al grande pubblico. Nelle cronache del concorso non mancavano i riferimenti al disegno di legge di Galletto in appoggio del quale si erano schierati apertamente «L’Osservatore Romano», «Il Quotidiano», «Il Popolo» e altri fogli diocesani e parrocchiali come «La palestra del clero». Anche «La Stampa» aveva aderito alla campagna abolizionista, forse perché l’antagonista «Gazzetta del Popolo» di Torino aveva patrocinato molte iniziative legate al Concorso di Miss Italia.

Scorrendo gli articoli relativi alla nota proposta di legge, il settimanale «Oggi», con una cronaca di Arturo Lusini del 24 giugno 1954 Sui concorsi di bellezza si è scatenato un temporale, anticipava la possibilità dell’interruzione della tradizionale manifestazione di Miss Italia519. Nell’area milanese

contro il concorso si schierarono «La Notte» con l’articolo Per favore non querelateci del 22-23 gennaio 1955 a cura di Decio Silla e il «Corriere d’Informazione», edizione pomeridiana del «Corriere della Sera», che il 18-19 gennaio 1955 si domandava Avremo un’Italia di nuovo senza

“Miss”? concludendo che Il famoso e tanto discusso concorso non avrà forse repliche. Più

possibilista era il «Corriere della Liguria» che il 27 gennaio del 1955 titolava Anche il 1955 avrà la

sua Miss Italia. Un concorso che si farà ed un senatore che non lo vuole a firma di Enrico Basile; e

ancora: Fallito l’attacco del senatore Galletto. Vedremo ancora le misses ma non in costume da

bagno. Luca Goldoni commentava su «Il Resto del Carlino» di Bologna la prosecuzione della gara

come un dato inevitabile:

Agosto declina e si apre la stagione delle Miss. Il concorso Miss Italia è arrivato sano e salvo anche al traguardo del 1955. L’anno scorso sembrava che tra interpellanze di senatori, misure di P.S. e proteste di benpensanti, la professione di bella ragazza fosse seriamente minacciata. Poi le Commissioni del Senato e della Camera, discutendo l’interpellanza del senatore Galletto, decisero che l’“istituto” delle Miss era ormai diffuso nel mondo come il cinemascope, le scarpe di corda e le pettinature corte. Era ormai entrato nella storia del costume e pertanto non era il caso di abolirlo in Italia520.

Rari gli articoli a favore della prosecuzione del concorso, ma tra i pochi quello comparso sul «Meridiano d’Italia» il 4 luglio 1954, a pochi giorni dalla presentazione del disegno alla Camera, dal titolo Difendo “Miss Italia” firmato da Adriano Bolzoni, è particolarmente significativo521. Il verbo stesso “difendere” è sintomatico del “processo” intentato alle miss e ai concorsi di bellezza, che sulla stampa trovava pieno compimento con un costante j’accuse da parte di giornalisti ed

519 A. Lusini, Sui concorsi di bellezza si è scatenato un temporale, «Oggi», 24 giugno 1954, p. 15. 520 Citato in M. Monza, T. Scaroni, Cinquant’anni di Miss Italia, cit., p. 36.

149

editorialisti. Bolzoni smantellava le accuse lanciate dal senatore Galletto e dal deputato Caroleo giudicandole esagerate e non corrispondenti alla realtà del concorso. Accompagnava poi la sua difesa con molteplici prove sostenendo che la competizione non aveva mai dato luogo ad atti riprovevoli tant’è che persino il Pontefice Pio XII aveva ricevuto la marchesa Isabella Valdettaro, Miss Italia 1952, senza mostrare pregiudizi anti-miss; neppure il Comandante dell’Arma e i generali convenuti nel mese di luglio del 1954 per la festa della Legione Allievi Carabinieri avevano trovato sgradevole l’offerta ai ragazzi in uniforme di fiori e auguri da parte di Miss Italia Marcella Mariani. Galletto aveva cercato il sostegno della senatrice Merlin per portare avanti la tesi che i concorsi fossero incentivi alla corruzione ed ai “delitti contro” la moralità pubblica, ma pure lei, «alfiere della redenzione delle giovani traviate, e più volte giudice di simili concorsi», gli aveva negato l’appoggio522.

L’articolo concludeva che una conoscenza più approfondita del regolamento avrebbe evitato ai politici di pronunciare sciocche illazioni su presunti locali equivoci in cui avevano luogo le selezioni e altro ancora; criticava inoltre le falsificazioni di certa stampa cattolica che, pur di creare allarmismo, screditava le miss additandole come in maggioranza divorziate mentre le statistiche dei matrimoni fortunati delle concorrenti più popolari smentivano i dati non registrando alcun caso di separazione. Tra l’altro si trattava di un inutile disfattismo se si considera che il divorzio nel 1954 non era ancora contemplato dalla legge italiana. Il giornalista non mancava di sottolineare come il sollevare una questione “morale” su Miss Italia fosse fuori luogo quando ben altre prove di immoralità e di scandali turbavano i tempi523, e invitava i colleghi “liberi” a usare toni non

eccessivi. La tesi che la polemica su Miss Italia fosse utilizzata per stornare l’attenzione da questioni più serie era sostenuta anche dal giornalista Mino Caudana il quale, di fronte alla mozione di Galletto, stemperava i toni notando come il Governo concentrasse le sue attenzioni su un argomento innocuo e banale anziché occuparsi dei problemi di gran lunga più urgenti del Paese. Seppur con ironia difendeva quindi il torneo di bellezza giudicandolo meritevole di rimpinguare il cinema italiano di grandi dive:

Il Governo sta dedicando ai famigerati concorsi di bellezza quella severa attenzione che, oberato dal lavoro com’è, non trova mai il tempo di dedicare ad altri problemucci: disoccupazione in aumento, repressione delle frodi fiscali, spionaggio comunista, eccetera. Non è pertanto improbabile che le nostre soavissime “miss”, esaltate fino a ieri come esempi di virtù non precisamente domestiche, debbano andarsi a nascondere prima ancora dell’onorevole Moranino. Sarebbe ingiusto, in questa fase preagonica, negare ai concorsi di bellezza il merito di avere abbondantemente rifornito di sensazionali “décolletés” il cinematografo italiano del dopoguerra. Senza i concorsi di bellezza ininterrottamente

522 Ibid. 523 Ibid.

150

succedutisi dalla trionfale conclusione della seconda guerra mondiale fino all’angosciosa vigilia della terza, il nostro artistico cinema non avrebbe meritato quella definizione di “mammellata di brune e di bionde” che gli si addice in pieno. Proviamoci a immaginare per un attimo, che il senatore Bortolo Galletto, oggi fieramente in lizza contro le “misses”, sia invece il glorioso veterano di una battaglia già combattuta e vinta da molti anni. Quale sarebbe il destino delle stipatissime camicette e dei traboccanti “pullovers” che invadono gli schermi? Che cosa farebbero, di bello, le titolari dei premiati “décolletés”? Senza i famigerati concorsi di bellezza Gina Lollobrigida, Lucia Bosè, Gianna Maria Canale, Fulvia Franco, Eleonora Rossi-Drago, Silvana Mangano e Silvana Pampanini non avrebbero mai potuto sfoggiare quelle doti interpretative a due o a tre dimensioni per le quali vanno giustamente famose. Privata del tiepido fregio in altorilievo, l’Italia risulterebbe un paese pressoché inimitabile. Non va infatti dimenticato che dall’era dei Padri della Patria noi siamo passati allegramente all’era delle Balie della Patria. Quando mi accade di pensare che, senza i concorsi di bellezza, Gina Lollobrigida potrebbe essere oggi una florida, ma oscura “casalinga”, mi si agghiaccia il sangue524.

Nel febbraio del 1956 nella prima pagina del giornale «Terme e Riviere» usciva un articolo dal titolo Miss in Parlamento a favore della prosecuzione del concorso: vi si sosteneva che la presunta immoralità non si combatte eliminando le gare di bellezza e che tale proibizione rischierebbe di produrre l’effetto opposto ovvero quello di far nascere «moralissime ma intime sedute private che porteranno sui nostri schermi il frutto di un esibizionismo che non si è voluto tollerare, innocente, alla luce del sole»525. L’articolo riproponeva quindi le stesse tesi avanzate dalla Commissione di maggioranza in Senato e sottolineava il danno irreparabile che il divieto avrebbe comportato alle spiagge e ai luoghi di soggiorno, che traevano da quel tipo di manifestazioni una grande risorsa per mantenersi in vita.

Non tutti erano però così pragmatici e non è casuale che la stampa appoggiasse per lo più l’iniziativa del senatore Galletto.

6. “Processo alle miss”

Era la stampa moderata a confrontarsi maggiormente col concorso senza tuttavia mai prenderlo sul serio, parlandone piuttosto con aria di sufficienza, talora con imbarazzo526. Ma la scelta di occuparsi

di Miss Italia era quasi obbligata in un format, quello dei rotocalchi, che registrava nel dopoguerra una grande popolarità. Tra il 1947 e il 1952, infatti, i settimanali avevano raddoppiato la loro tiratura tanto che la vendita era passata nel giro di dieci anni dai 12,6 milioni del 1952 ai 15,75

524 M. Caudana, Furono inventate in Texas le perfide gare, «Tutti», 4 luglio 1954, p. 7. 525 Miss in Parlamento, «Terme e Riviere», 2 febbraio 1956, p. 1.

526 Includo in questa sezione anche gli articoli recuperati dall’archivio Villani, tratti da diversi quotidiani: «Il Giorno»,

«La Notte», «Il Corriere Lombardo», «La posta illustrata», «Illustrazione del Popolo», «Settimo giorno», «Milano- Sera», «La Domenica del Corriere», «Il Corriere della Sicilia», «Cine Illustrato», «Il Popolo», «Tutti».

151

milioni nel 1962527. Poche le differenze a livello di registro stilistico e di contenuto tra le varie

testate, tutte si inserivano nella cornice definita dalla Dc, dalla Chiesa e dagli Stati Uniti quali garanti dell’ordine internazionale e modello di progresso528. Al tempo stesso «Epoca», lanciato da

Arnoldo Mondadori nel 1950 e creato dal figlio Alberto sulla falsariga dell’americano Life, la «Settimana Incom» diretta da Luigi Barzini jr. che sfruttava il successo di un cinegiornale dallo stesso titolo, «Settimo giorno», dell’editore Mazzocchi, che voleva affiancare all’«Europeo» un periodico meno costoso529, per citarne solo alcuni, dovevano necessariamente vendere per garantire la propria uscita e rendersi appetibili perciò seguivano i gusti del lettore e, per tanti versi, preannunciavano «una società disimpegnata e consumistica»530. «Tempo» e «Oggi» rappresentavano in particolare le grandi concentrazioni editoriali che condizionavano e orientavano il mercato531. La diffusione settimanale dei rotocalchi era straordinaria: considerando tre date 1950, 1955 e 1957, le tirature di «Oggi» furono rispettivamente 500.000, 760.000 e 650.000; per «Epoca» 200.000, 500.000 e 430.000, «Tempo»: 150.000, 420.000 e 430.000532. Molti giornali, in accordo ai gusti e agli indirizzi seguiti dal pubblico, abbracciavano lo stile del pettegolezzo e della cronaca rosa per diventare promotori dei nuovi consumi, e tenuto conto che il Paese ancora alla metà degli anni Cinquanta “faticava a leggere”, costruivano articoli e illustrazioni a misura di un lettore debole e abituato a consumare con lo sguardo le immagini piuttosto che il testo scritto533. Così «l’Italia

semianalfabeta e contadina apre gli occhi sul sogno: la fiaba di un sorriso principesco, i modelli fotoriproducibili del consumo vistoso. […] I servizi fotografici mettono in scena prima l’aristocrazia nobiliare poi l’universo cinematografico, infine le vincitrici dei concorsi»534. Le

copertine si popolavano di personaggi inquadrati in primo piano o a mezzo busto, protagonisti del «mondo patinato della cronaca rosa nel quale cortocircuitano spettacolarmente seduzione femminile, concorsi di bellezza, cinema, moda e pubblicità»535. Le riviste avevano l’ambizioso progetto di raggiungere il pubblico di massa con ingredienti nuovi che, oltre a raccontare le affascinanti storie delle famiglie reali, proponevano reportage sui divi hollywoodiani. L’America

527 G. Fiorentino, Il mosaico delle immagini. Gli anni cinquanta ai bordi del consumo, in F. Anania (a cura di), Consumi e mass media, cit., p. 19.

528 P. Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra 1943-1972, Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 192. 529 Ivi, p. 205.

530 Ivi, p. 208. 531 Ibid.

532 N. Ajello, Il settimanale di attualità, in «Nord e Sud», nn. 27, 28, 29 del 1957, in P. Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, cit., p. 206.

533 S. Piccone Stella, A. Rossi, La fatica di leggere, Roma, Editori Riuniti, 1964, p. 11. Si veda anche D. Forgacs, S.

Gundle, Cultura di massa e società italiana 1936-1954, cit., p. 67.

534 F. Anania (a cura di), Consumi e mass media, cit., p. 26. 535 Ibid.

152

faceva capolino senza troppe maschere in ogni pagina, dalle star immortalate in copertina alle pubblicità di dentifrici e ciprie.

Questa apertura alla modernità, che veicolava un ideale di consumi e svaghi tipico di una borghesia urbana e di un capitalismo avanzato, foriero di nuovi bisogni e aspirazioni individuali, si traduceva in rubriche dedicate alla ginnastica, alla cura del corpo con consigli per diete, portamento, chirurgia estetica, moda. Essa conviveva con l’intento dei settimanali di creare una rete culturale che unificasse il frammentario tessuto subnazionale dell’Italia popolare e trasmettesse un insieme di valori sociali e orientamenti ideologici più conservatori. Ne derivava un miscuglio tra modernità e tradizione, spesso ambiguo e contraddittorio nei termini e nei contenuti.

Non c’era rivista negli anni Cinquanta, ad esempio, che non si occupasse di bellezza, argomento divenuto sempre più allettante per un pubblico femminile bombardato continuamente da immagini di dive affascinanti che suscitavano ammirazione e spirito di emulazione. Non esistono donne

brutte, così il giornalista Antonio Miotto titolava un suo articolo pubblicato su «Oggi» nell’aprile

del 1951536. Il problema si riproponeva negli anni a venire anche nelle rubriche di corrispondenza del direttore della rivista Edilio Rusconi che sentenziava «non esistono donne brutte ma solo donne che si ritengono tali» e «tutte le donne hanno il dovere di essere belle»537. Sembra di intravedere in queste parole i primi spiragli di quel percorso di sdoganamento della bellezza intesa come valore fine a se stesso, salvo poi trovare nelle pagine dello stesso giornale l’invito a curare l’aspetto non per se stesse ma per compiacere il consorte: «il patrimonio più prezioso di una moglie è il marito e rendersi belle per il marito è come rendergli onore, collocarlo su un cuscino di velluto, ammaliarlo ogni ora, ogni giorno e ogni anno»538.

Il concetto di bel corpo equivaleva sostanzialmente ad essere in salute: «La bellezza nuova che la donna deve bramare e che l’uomo meglio ammira […] non si raggiunge con le creme per il viso ma si compie con uno sforzo di volontà, con una metodica severa disciplina di movimento. Bisogna che la donna miri a correggere le imperfezioni della sua linea rivolgendosi, finché è in tempo, a una adeguata forma razionale di cultura fisica»539.

La bellezza di per sé veniva presentata come fonte di guai. Nel giugno del 1959 «Oggi» iniziava un’inchiesta dal titolo programmatico Commedie e drammi della bellezza femminile che proseguiva per 17 numeri con interviste a donne dello spettacolo interrogate sui «pericoli che il culto della bellezza porta con sé» chiedendosi se alla fine «il buon senso della così attraente donna italiana

536 A. Miotto, Non esistono donne brutte, «Oggi», 5 aprile 1951, p. 25. 537 Lettere al Direttore, Belle e brutte, «Oggi», 4 febbraio 1954, p. 2.

538 Lettere al Direttore, Belle al mattino, «Oggi», 31 maggio 1956; si veda anche Lettere al Direttore, Belle e brutte,

«Oggi», 4 febbraio 1954, p. 2 in cui si afferma che la leggiadria della donna è diritto del marito.

153

finirà col prevalere»540. Le interviste erano chiaramente costruite ad hoc: ciascuna delle dive si

diceva convinta che la bellezza doveva necessariamente essere accompagnata da altre doti, pena la sua inutilità. Così Ilaria Occhini, «la maggiorata dello spirito»541, affermava che il bell’aspetto era utile per riuscire nella carriera ma il suo ornamento migliore era l’intelligenza, mentre per Claudia Cardinale la dote essenziale per aver successo nell’arte e nella vita era la simpatia542. Tutte si dilungavano sui pericoli insiti dietro le belle sembianze, come la gelosia di cui soffriva Emma Danieli543 o il rischio di risultare noiose lamentato da Anna Maria Ferrero544. La morale di fondo era mantenersi ‘acqua e sapone’ e «dormire molto e bene, mangiare di tutto e a tutte le ore; praticare moderatamente gli sport, evitare l’uso di creme e cosmetici» come raccomandava Rosanna Schiaffino545. In definitiva la bellezza vera ed esente da rischio era «tranquilla e non provocante» come quella di Edy Campagnoli presentata ai lettori come «la ragazza che piace alle mamme»546. Il messaggio era unanime: il successo andava conquistato grazie a fatica e intelligenza, le donne che potevano contare solo sulla bellezza si guadagnavano la poco onorevole etichetta di “belle e stupide”. Daniela Bianchi, seconda classificata al titolo di Miss Universo nel 1960, asseriva orgogliosa di voler dar prova delle sue capacità: «la prestanza fisica è un gran vantaggio per una donna ma non un merito. I 94 cm di fianchi e i 54 cm di vita me li ha dati Madre Natura ora bisogna vedere se posseggo anche una dose di cervello sufficiente per essere esclusa dalla categoria delle oche giulive»547. Neanche Arturo Tofanelli, direttore di «Tempo» dal 1946 al 1968, riservava

apprezzamenti ad una bellezza non supportata da altre qualità che lui definiva “bellezza dell’asino”: «La bellezza fresca e ovvia dell’età giovanile è comune a tutti, agli uomini e agli animali, è un dono di natura per cui occorre né merito né studio tanto è vero che la possiede anche l’asino che il popolo giudica rozzo e poco intelligente»548. Una simile beltà può valere solo all’interno dei concorsi, come lo stesso Direttore dice rispondendo ad una lettrice che gli manifestava velleità artistiche: «Se ha poca istruzione, se si veste e pettina male, se non sa truccarsi e ha solo la ovvia e florida bellezza dei 18 anni, o se ha poca cultura ma capelli tinti, sopracciglia depilate e sorriso vuoto, la lettrice ha buoni numeri per vincere un concorso di bellezza e imporsi all’attenzione di registi che non hanno trovato un sistema più intelligente per scegliere le donne e iniziarle all’arte del cinema»549.

540 S. Bertoldi, Commedie e drammi della bellezza femminile, «Oggi», 11 giugno 1959, pp. 8-12. 541 S. Bertoldi, Ilaria Occhini, la maggiorata dello spirito, «Oggi», 9 luglio 1959, p. 16.

542 S. Bertoldi, Claudia Cardinale, l’africana elegante, «Oggi», 30 luglio 1959, p. 10. 543 S. Bertoldi, Emma Danieli, telesorriso della sera, «Oggi», 20 agosto 1959, p. 26. 544 S. Bertoldi, Annamaria Ferrero, la dolce mattatrice, «Oggi», 15 ottobre 1959, p. 40. 545 S. Bertoldi, Rosanna Schiaffino, il fascino senza trucco, «Oggi, p. 10.

546 S. Bertoldi, Edy Campagnoli, l’ex-sorriso del giovedì, «Oggi», 22 ottobre 1959, p. 10.

547 Daniela Bianchi, Per amore del turismo sono diventata miss, in «Oggi», 4 agosto 1960, pp. 22-23. 548 Lettere al Direttore, La bellezza dell’asino, «Tempo», 31 ottobre 1957, p. 3.

154

Anche dove la bellezza era oggetto di continua attenzione, offriva un’immagine artefatta, e un poco ipocrita, che attingeva all’identico milieu che aveva ispirato Galletto nelle sue mozioni. Il dito era puntato contro l'America dove le donne «combattono tutta la vita per la propria bellezza»550 e «l’idea dominante […] è che la bella presenza è sinonimo di successo»551. Cinema, stampa,

televisione e concorsi di bellezza contribuivano a diffondere questa concezione anche in Italia creando dei falsi miti: «L’ideale di ragazza acqua e sapone si va perdendo. La bellezza femminile si lascia suggestionare da quelle irresistibili sirene che sono il cinema, la televisione, le riviste femminili […] Le ragazze vogliono somigliare alle dive come la Loren»552.

Nel 1961 Oggi offriva un prontuario per difendere «le nostre ragazze dal mostruoso idolo del successo»553. Vi figurava un profluvio di suggerimenti per non smarrirsi nella giungla di celluloide e non restare deluse da facili trionfi che poi riservavano molte amarezze. I consigli provenivano anche da giovanissime attrici come la ventunenne Romana Garassini che aveva rinunciato ad una promettente carriera pur di non finire in un mondo per molti versi squallido: «L’ambiente cinematografico non è fatto per me […] attorno al cinema c’è tutto un brulichio di personaggi inutili, fasulli, grossolani, aridi, insopportabili […]. È questo sottobosco che non mi piace […] quel modo di trattare le donne come se fossero tutte…E forse non hanno nemmeno torto»554.

La lotta all’«esasperato divismo che aveva portato le ragazze ad adorare idoli di cartapesta»555,

dichiarata da Giorgio Bocca nel 1963, rivelava l’urgenza morale di ammonire la “donna nuova” esposta al pericolo della vita cittadina, vittima della propria fragilità interiore, facile preda delle immagini provenienti dall’America. La stampa cercava di rispondere a questa necessità attraverso articoli che sollecitavano le ragazze a piegare anche la propria bellezza a beni durevoli come il matrimonio e la famiglia. Lo confermava l’inchiesta sulla «sposa che gli italiani sognano» condotta da Ferdinanda Bianco per conto del settimanale «Tempo» nel 1955: la bellezza può contare agli occhi dei più giovani ma, superati i trent’anni, «i saggi ragionamenti prevalgono sui criteri edonistici e gli uomini vogliono avere la certezza che il bell’involucro contenga qualcosa. Aspirano a farsi una famiglia e vogliono una donna intelligente, buona, fedele»556.

Se la bellezza veniva stigmatizzata, i concorsi che la celebravano subivano una critica ancora più serrata perché ritenuti responsabili di alimentare la vanità femminile.

Documenti correlati