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KØBENHAVEN, Königliche Bibliothek, Fabr Hauniensis gr 23 (= Fragmentum Fabricianum)

U è il più celebre manoscritto della Geographia di Tolomeo. L’interesse eccezionale di questo esemplare di provenienza strozziana, oggetto di una imponente edizione facsimilare accompagnata dallo studio capillare del Fischer,96 consiste nel fatto che, con le sue 27 tavole (il mappamondo in proiezione conica e le 26 mappe regionali, in proiezione cilindrica), fu il primo illustrato a penetrare in Italia; funse pertanto da modello non solo per alcuni dei codici greci copiati nel nostro paese, ma anche, come si è detto, per la cartografia del più antico atlante97 tolemaico in traduzione, il Vaticano lat. 5698, l’unico tra i testimoni latini del quale sia accertata la discendenza diretta dall’Urbinate. Membranaceo, vergato in area greco-orientale, probabilmente a Costantinopoli, a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, U ha creato in passato incertezze di datazione, con oscillazioni dall’XI agli inizi del XIV secolo.98 La scrittura arcaizzante, infatti, imitazione della cosiddetta

94 A

UBREY DILLER, Lists of Provinces in Ptolem ’s eograph , «Classical philology», 34 (1939), pp. 228-238 (ripubblicato in: ID., Studies in Greek Manuscript Tradition, cit., pp. 87-97).

95 Ci si attiene qui e infra alle sigle scelte a suo tempo da Schnabel, accolte anche dalle edizioni critiche successive.

96 C.P

TOLEMAEI Geographiae codex Urbinas graecus 82, cit.

97 Utilizzo questo vocabolo in ragione del fatto che l’esemplare costa di sole mappe. 98

Talvolta addirittura uno stesso studioso ha proposto più datazioni. Si vedano in proposito: Stornajolo, 1895, p. 128 e MASSIMO CERESA, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca vaticana, 1981-1985, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1991, p. 78, che assegnano il manoscritto all’XI secolo; Fischer, 1932, pp 209-210 e Diller, 1937, p. 176 lo posticipano al sec. XII; Ronca, 1971, p. 7 a cavallo tra XII e XIII sec.; Schnabel, 1938, p. 27 alla prima metà del sec. XIII. Ancora Diller nel 1940, p. 66, lo riconduce al tardo sec. XIII e nel 1961, p. 316, genericamente al XIII secolo. Infine Gentile, 1992, pp. 78-79, data l’Urbinate all’ultimo quarto del sec. XIII, mentre l’edizione del 1966, p. VII ne fa slittare l’esecuzione agli inizi del XIV.

Perlschrift tipica dell’XI secolo, ne ha sviato i tentativi di attribuzione; a dispetto

invece di un fenomeno di mimesi grafica sul quale siamo oggi largamente documentati, apparso nella seconda metà del sec. XIII e protrattosi fino alla metà del secolo successivo, da ascrivere a quello straordinario periodo di fervore culturale passato alla storia come “Rinascenza Paleologa”.99

Si tratta di una fase in cui all’instabile situazione economica e politica dell’Impero corrispose un livello culturale mai raggiunto in passato, accompagnato da un intenso lavoro di ricerca dei manoscritti antichi che recuperò, per i nuovi studi, codici spesso deteriorati o dimenticati dalla tradizione precedente. Furono proprio la circolazione, il recupero e la copia dei testimoni dell’XI secolo a fare della

Perlschrift, dalle forme arrotondate, dal rifiuto di tratti appuntiti e spigolosi e

dall’esiguità di lettere maiuscole e abbreviazioni, il modello ideale di scrittura calligrafica cui cerchrà di uniformarsi la maggior parte dei copisti.100

Dell’Urbinate sopravvivono oggi due importanti apografi: il Laurenziano Conventi Soppressi 626 (d) appartenuto forse ad Antonio Corbinelli che, approfittando dei codici del suo compagno di studi Palla Strozzi, lo avrebbe fatto trascrivere a Firenze nella prima metà del XV secolo, lasciato poi per disposizioni

99 Sulla cultura e l’attività letteraria, scientifica e artistica durante l’epoca dei Paleologi cfr.: COSTAS N.CONSTANTINIDES, Higher education in Bizantium in the Thirteenth and erly Fourteenth

centuries, «Vichiana», n.s., 14 (1985), pp. 202 e sgg.; NIGEL G. WILSON, Filologi bizantini,

Napoli, Morano, 1990; SOPHIA MERGIALI, L’enseignement et les lettrés pendant l’époque des Paleologues (1261-1453), Athènes, [s.n.], 1996; Geschichte und Kultur der Palaiologenzeit. Referate des Internationalen Symposions zu Ehren von Herbert Hunger. Wien, 30. November bis 3. Dezember 1994, herausgegeben von Werner Seibt, Wien, Verlag der Osterreichischen Akademie der Wissenschaften, 1996.

100 Cfr.: H

ERBERT HUNGER, Archaisierende Minuskel und Gebrauchsschrift zur Blütezeit der Fettaugenmode, in La paléographie grecque et byzantine. Actes du Colloque international, Paris,

21-25 octobre 1974, Paris, CNRS, 1977, pp. 283-289; ID., Die byzantinische Minuskel des 14.

Jahrunderxts zwischen Tradition und Neuerung, in Paleografia e codicologia greca. Atti del 2. colloquio internazionale, Berlino-Wolfenbüttel, 17-21 ottobre 1983, a cura di Dieter Harlfinger e Giancarlo Prato, con la collaborazione di Marco D'Agostino e Alberto Doda, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1991, pp. 151-161. Fondamentali anche i contributi di: GIANCARLO PRATO, Scritture librarie arcaizzanti della prima età dei Paleologi e loro modelli, «Scrittura e civiltà», 3 (1979), pp. 151-193; GIUSEPPE DE GREGORIO –GIANCARLO PRATO, Scrittura arcaizzante in codici profani e sacri della prima età Paleologa, «Römische Historische Mitteilungen», 45 (2003), pp. 59-101. Per il dibattito sull’esatta definizione di queste scritture (“tradizionali” piuttosto che “arcaizzanti”) cfr.: JEAN IRIGOIN-GUICHANDUT, Les écritures d’imitation, in I manoscritti greci tra riflessione e dibattito. Atti del 5. Colloquio internazionale di paleografia greca, Cremona, 4-10 ottobre 1998, a cura di Giancarlo Prato, Firenze, Gonnelli, 2000, pp. 695-699.

testamentarie insieme ad altri alla Badia di S. Maria in Firenze –101 manoscritto che a sua volta divenne il modello del Vindobonensis Historicus gr. 1 (m), copiato da Giovanni Scutariota nel 1454 – e il codice miscellaneo Athous Vatopedi 655 (L), frammenti del quale sono oggi conservati a Parigi alla Bibliothèque Nationale, Suppl. gr. 443A, e alla British Library, ms. Add. 19391. Nel suo complesso, l’allestimento di un codice come L, ascrivibile al secolo XIV, è una spia importante di quanto fosse vivo nell’ambiente culturale del Monte Athos l’interesse per gli studi geografici. Chi lo confezionò volle probabilmente raccogliere in un unico corpus quanto ancora sopravviveva degli scritti greci relativi alla geografia: la Geographia di Tolomeo (ff. 1-54), una serie cospicua di trattati geografici minori (ff. 55-69),102 e infine l’intera opera di Strabone (ff. 70- 297), quest’ultima con caratteristiche grafiche autonome rispetto alle due parti che la precedono.103

In K, membranaceo della fine del XIII secolo, è stata invece riconosciuta una copia personale di Massimo Planude, avvalorando le rivendicazioni del monaco bizantino sul recupero delle parti illustrative dell’opera tolemaica.104 All’importanza cruciale del codice da un punto di vista filologico, come testimone primario per la costituzione del testo, si aggiunge l’interesse per un manoscritto che appare destinato all’uso privato di un filologo profondamente dedito allo studio di testi geografici, quale appunto fu il Planude. Pur esibendo molte analogie con U, il costantinopolitano rappresenta, dal punto di vista testuale, una ramificazione indipendente. Mentre l’Urbinate gr. 82 risente infatti di molteplici interpolazioni apportate da mani diverse, K serba invece la lezione più genuina

101 R

UDOLF BLUM, La Biblioteca della Badia Fiorentina e i codici di Antonio Corbinelli, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1951, pp. 75, 110, 118, 1.

102

Le parti concernenti la Geographia e i geografi greci minori sono mutile rispettivamente di 8 e di 22 fogli, gran parte dei quali sono stati rintracciati dallo studio diligente di AUBREY DILLER,The Vatopedi manuscript of Ptolemy and Strabo, «The American Journal of Philology», 58 (1937), n. 2, pp. 177-179: dei geografi greci 7 ff. si troverebbero alla Bibliothèque Nationale e 13 alla British Library, uniti ai ff. 14-21 provenienti da Tolomeo.

103 F

RANCESCO SBORDONE,La tradizione umanistica della «Geografia» di Strabone, «Bollettino del comitato per la preparazione della Edizione nazionale dei classici greci e latini», n.s., 9 (1961), pp. 11-32.

104

In merito al ruolo rivestito dal Planude nella “riscoperta” della Geographia, cfr.: AUBREY DILLER,The oldest manuscripts of Ptolemaic maps, «Transactions and proceeding of American Philological Association», 71 (1940), pp. 62-67; ALFRED STÜCKELBERGER, Planudes und die Geographia des Ptolemaios, «Museum Helveticum», 53 (1996), pp. 197-205.

della recensione sebbene estremamente deteriorato e pressoché illeggibile fino alla metà del libro III.

Le caratteristiche tecniche che accomunano l’esecuzione delle mappe di U e K, quali la cornice graduata, il sistema di colorazione delle differenti regioni, i simboli utilizzati per indicare gli insediamenti urbani e ancora le curvature delle linee costiere e dei sistemi fluviali, la resa orografica etc., sono condivise allo stesso modo da F, anch’esso membranaceo, della fine del Duecento, del quale si conserva il solo bifolio contenente le carte di Spagna, Illiria e Italia con le rispettive descrizioni del libro VIII. Ma c’è di più: tanto il Seragliense quanto il Fabriciano sembrano scritti dalla stessa mano; la medesima che ha vergato anche il codice dell’opera di Strabone Paris. gr. 1393, il più antico dei cosiddetti

decurtati, dal quale proprio il Planude attinse, come Diller ebbe modo di

dimostrare a suo tempo, i passi che incluse nei suoi Excerpta.105

Il raggruppamento è ugualmente coeso e rappresentato per lo più da codici in piccolo formato, generalmente più tardi, i cui numerosi apografi si devono ai greci rifugiati in Italia poco dopo la caduta di Costantinopoli. Il testo tràdito da essi è in linea di massima più impreciso, corrotto e lacunoso, sia per ciò che concerne la lista dei toponimi sia per le coordinate geografiche. Testimoni primari di questo gruppo sono: