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R: VENEZIA, Biblioteca nazionale Marciana, ms Z 516 (=904)

X: Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat gr

1.3 LA TRADUZIONE LATINA DI JACOPO ANGEL

La traduzione latina fu un evento intellettuale di capitale importanza. Da essa dipese la fortuna del Tolomeo geografo in tutta Europa e la sua penetrazione in ambienti culturali estremamente diversificati. La vicenda tuttavia, nonostante il grande interesse suscitato, o forse proprio a causa di esso, è ancora lontana dall’essere messa a nudo completamente, e gli studi risentono, come spesso accade ai grandi temi, di una certa ripetitività cui si accompagna il perdurare di numerosi errori o lacune.

Da una parte, infatti, le introduzioni di corredo alle edizioni facsimilari di manoscritti preziosi presentano contenuti per lo più di seconda mano, privilegiandone l’aspetto descrittivo.114 Dall’altra, le monografie e i saggi dedicati, pur abbondanti, si configurano più come lavori di divulgazione, propugnatori della visione tradizionale, che come tangibili avanzamenti sullo stato dell’arte; tanto che studi d’insieme originali e documentati sono rari.115

In modo particolare sono mancate sinora edizioni critiche del testo latino, vale a dire il preliminare indispensabile per condurre un’analisi della traduzione che consenta di inquadrare in maniera corretta il problema della ricezione dell’opera.

Si sono prese dunque le mosse proprio da questo, procedendo a investigare non soltanto la genesi della traduzione, ma anche il rapporto tra il testo di partenza e il testo di arrivo, per documentare quanto il traduttore ha potuto o è riuscito

114 Cfr.: B

IBLIOTHÈQUE NATIONALE <PARIS>,Géographie de Ptolémée: reproduction reduite des cartes et plans du manuscrit latin 4802 de la Bibliothèque Nationale, traduction latine de Jacopo D'Angiolo de Florence, Paris, Catala, 19--; Claudii Ptolemaei Cosmographia: tavole della Geografia di Tolomeo, presentazione di Lelio Pagani, Torriana (FC), Stella polare, 1990 (Ripr. delle tavole del codice Lat. V F 32 della Biblioteca Nazionale di Napoli); L'atlante di Borso d'Este: la Cosmographia di Claudio Tolomeo della Biblioteca Estense universitaria di Modena: commentario all'edizione in facsimile del codice miniato [alfa] X.1.3=Lat. 463, testi di Laura Federzoni, Annalisa Battini, a cura di Mauro Bini, Modena, Il bulino, 2004; Ptolomei Cosmographia, Firenze, Vallecchi, 2004 (Ripr. facs. dal ms. conservato presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze).

115

NUMA BROC, La géographie de la Renaissance (1420-1620), Paris, CTHS, 1986, pp. 9-19; JÓZEF BABICZ, Résurgence de Ptolémée, in Gerard Mercator cosmographe: le temps et l'espace, sous la direction de Marcel Watelet, Anvers, Fonds Mercator Paribas, 1994, pp. 51-69; La Géographie de Ptolémée: tradition et novation, in BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE, La Géographie de Ptolémée, éd. par Germaine Aujac, Arcueil, Éd. Anthèse, 1998, pp. 16-18; La

redécouverte de Ptolémée et de la géographie grecque au XVe siècle, in Terres à découvrir, terres

à parcourir: exploration et connaissance du monde, XIIe-XIXe siècles, textes édites par Danielle Lecoq et Antoine Chambard, Paris, L'Harmattan, 1998, pp. 55-73.

effettivamente a capire e a comunicare nella nuova lingua e, di conseguenza, in che modo e con quali lacune o deviazioni il dettato tolemaico sia diventato effettivamente fruibile ai contemporanei.

La traduzione latina della Geographia di Tolomeo fu iniziata, come è già stato accennato, da Emanuele Crisolora nel periodo in cui questi tenne a Firenze l’insegnamento di greco (1397-1402); una “docenza” che era stata fortemente voluta dall’allora cancelliere della Repubblica fiorentina, Coluccio Salutati, dal nobile Palla Strozzi e da Niccolò Niccoli:116 tutte personalità mosse da uno spiccato interesse per la geografia, oltre che attivi fautori dell’incontro programmatico con la cultura greca affrontato attraverso lo studio della lingua e la pubblica lettura delle opere. Tanto è vero che proprio da Firenze si dipanerà, negli anni successivi, la ricerca dei codici tolemaici greci che vedrà impegnati anche attori come Guarino, Ciriaco d’Ancona, Pier Paolo Vergerio.117 Visto l’interesse suscitato dalla materia è dunque plausibile che nell’ambito delle stesse lezioni ufficiali o forse dei corsi privati, com’era pure consuetudine, Crisolora abbia affrontato la lettura e la discussione dell’opera tolemaica.

Sebbene non se ne conservi testimonianza autografa e non se ne possa stabilire l’entità, l’esercitazione del dotto bizantino sul testo tolemaico è attestata da più fonti degne di nota. Lo sappiamo innanzitutto da Jacopo Angeli,118 suo affezionato allievo nonché responsabile ultimo della versione dell’opera, che vi allude nella lettera prefatoria ad Alessandro V in apertura della propria traduzione, ricordando come il Crisolora, attenendosi ad una traduzione ad verbum, volta a conservare il senso letterale del teso, non avesse mutato il titolo da Geographia in

Cosmographia, come invece egli scelse di fare:119

Quam appellationem [scil. Geographiam] vir saeculi nostri eruditissimus Manuel Costantinopolitanus, suavissimus litterarum Graecarum saeculi nostri apud nos

116

S.GENTILE, manuele Crisolora e la “ eografia” di Tolomeo, cit., pp. 305-307. 117

Un elenco sommario è stato prodotto da: ROBERT RALPH BOLGAR, The classical Heritage and its beneficiaries, Cambridge, Cambridge University Press, 1958.

118 Sulla biografia dell’Angeli cfr.: R.W

EISS, Jacopo Angeli da Scarperia, cit.; PAOLO FALZONE, Iacopo di Angelo da Scarperia (Iacopo Angeli), in Dizionario Biografico degli italiani, LXII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004, ad vocem.

119 Cito la prefazione dell’Angeli dall’editio princeps: C

LAUDIUS PTOLEMAEUS, Cosmographia, Vicenza, Hermann Liechtenstein, 1475, c.2a2v(BOLOGNA, Biblioteca Universitaria, A V B XI 25).

praeceptor, dum in Latinum eloquium id transferre ad verbum licet pariter incipit, non mutavit; sed nos in Cosmographiam id vertimus. Quod vocabulum, licet etiam Graecum sit, tamen apud Latinos ita usitatum est ut iam pro nostro habeatur, credamusque virum eum, si id quod transtulit emendasset, omnino illud in Cosmographiam mutaturum fuisse.

La notizia che il Crisolora avesse iniziato a volgere in latino il manuale del geografo alessandrino viene confermata anche da una lettera di Leonardo Bruni a Niccolò Niccoli del 12 ottobre 1405,120 in cui l’Aretino, intenzionato anch’egli a cimentarsi nella versione del testo greco, pregava che gli fosse mandata a Viterbo la Geographia121 insieme alla “particula” già tradotta dal maestro:

Mihi autem ut Geographiam Ptolemaei mittas velim: his enim vigiliis, ut spero, illa faciam Latinam. Cum ipsa tamen eam particulam mittas, quam ex eo libro Chrysoloras transtulit.

Una richiesta che dovette tuttavia rimanere inascoltata, visto che il Bruni fu costretto a reiterarla almeno in altre due occasioni, sempre attraverso epistole indirizzate al Niccoli.122 Ma l’importante testimonianza del Bruni cela anche un altro particolare degno di attenzione: l’insistenza nel volersi procurare il manoscritto greco da Firenze presuppone che a quell’altezza cronologica a Roma, dove appunto l’umanista ricopriva la carica di scriptor, non vi fossero ancora copie dell’opera o per lo meno fossero di difficile reperimento.123

120 Leonardo Bruni Aretino: humanistisch-philosophische Schriften mit einer Chronologie seiner Werke und Briefe, herausgegeben und erläutert von Hans Baron, Wiesbaden, Sandig, 1969, p. 105 (Ripr. dell'ed.: Leipzig-Berlin, 1928).

121

Prima della sua partenza per Roma, nel marzo del 1405, Leonardo Bruni depositò presso Niccolò Niccoli i propri manoscritti. La Geographia richiesta al Niccoli potrebbe essere dunque di proprietà del Bruni ma potrebbe anche trattarsi dell’esemplare che lui stesso aveva ricopiato per la raccolta libraria dell’amico, il Laurenziano 29.38. Cfr.: R.SABBADINI,Le scoperte dei codici latini

e greci, cit., p. 52; SEBASTIANO GENTILE, Marginalia umanistici e “tradizione platonica”, in

Talking to the text: marginalia from papyri to print. Proceedings of a conference held at Erice, 26 September-3 October 1998, as the 12. course of International school for the study of written records, edited by Vincenzo Fera, Giacomo Ferrau, Silvia Rizzo, I, Messina, Centro interdipartimentale di studi umanistici, 2002, pp. 407-432.

122 L

EONARDI BRUNI ARETINI Epistolarum libri VIII ad fidem codd. mss. suppleti, et castigati et plusquam 36 epistolis, quæ in editione quoque Fabriciana deerant, locupletati recensente Laurentio Mehus..., Florentiae, ex typographia Bernardi Paperinii, sumptibus Josephi Rigaccii, 1741, p. 190.

123 Alla Curia Romana i manoscritti greci arrivarono molto più tardi, lo dimostra il fatto che nell’inventario di Eugenio IV del 1443 sono enumerati 304 manoscritti di cui solo due sono in greco.

La traduzione fu invece compiuta dall’Angeli, ma sulla data e sul destinatario dell’opera definitiva si possiedono notizie contrastanti. Nella maggioranza dei codici il dedicatario è papa Alessandro V (1409-1410), a cui l’umanista fu strettamente legato fin dai tempi in cui questi era solo un cardinale. Uomo coltissimo, amico di Crisolora e protettore di Uberto Decembrio, Pietro Filargis raccoglieva intorno a sé gli intellettuali fautori della politica filo-ellenica. Non stupisce dunque che egli fosse individuato quale patrocinatore ideale della versione tolemaica.

A lui sono indirizzati i più antichi codici datati ad oggi conosciuti, il Vaticano lat. 2974 e il Vaticano Ottoboniano lat. 1771, rispettivamente datati 1409 e 1411. Due testimoni tuttavia, il Laurenziano Ashburnam 1021 e l’Ambrosiano F 148 sup., sono dedicati al predecessore e poi rivale di Alessandro, Gregorio XII (Angelo Correr), il cui pontificato durò dal 1406 al 1415.

Tale circostanza ha indotto il Fischer124 ad anticipare l’acquisizione del testo latino, in congiuntura con un’altra prova che, secondo lo studioso, ne fornirebbe il

terminus ad quem: la glossa cioè rinvenuta nel ms. H 31 dell’Archivio di San

Pietro, contenente l’Introductio del cardinale Guillaume Fillastre al De situ orbis di Pomponio Mela. Nel codice, a f. 1v, appunto si cita: «Ptolemeus in sua cosmographya traslata de Greco in Latinum Florentie anno domini MCCCCVI videtur dicere quod […]». Nota che è riportata senza varianti anche negli altri due testimoni più antichi del commentario, vale a dire all’interno del manoscritto miscellaneo della Bibliothèque municipale di Reims 1321, e nel fiorentino Laurenziano XCI inf. 7.125

Ciò non di meno il riscontro del Fischer non sarebbe da considerarsi del tutto probante, anche perché in contrasto con quanto si legge proprio nei due manoscritti della Cosmographia appartenuti al Fillastre: l’esemplare donato dallo stesso cardinale ai Canonici regolari di Reims, ora alla Bibliothèque municipale 1320, e quello della Bibliothèque municipale di Nancy 441, assemblato sotto la

124

J.FISCHER, De Cl. Ptolemaei, cit., pp. 185-186, n. 1.

125 Per un esame dettagliato dei rapporti stemmatici tra i testimoni dell’Introductio del Fillastre si rimanda a: P. GAUTIER DALCHÉ, L’oeuvre géographique du cardinal Fillastre (+1428), cit., pp. 319-338.

sua diretta supervisione. Entrambi esibiscono la titolazione: «Cosmographia Tholomei Alexandrini summi astronomi ex Greco in Latinum versa per Iacobum Angelum Florentinum Latine et Grece peritissimum anno domini millesimo quadringentesimo IX tempore magni et incomparabilis scismatis».

A fronte di una tale testimonianza, in accordo sia con il periodo di pontificato di Alessandro V sia con la data indicata nel Vaticano lat. 2974, sembrerebbe vacillare la convinzione del Fischer – accolta ancora da Ullmann126 e, più recentemente, da Dilke127 e da Aujac –128 che il 1406 possa individuarsi quale anno del completamento della traduzione. Il fatto poi che il Bruni proprio negli anni 1405-1406 intendesse tradurre la Geographia, indurrebbe a credere che a quell’epoca l’Angeli non avesse ancora concluso la sua fatica.

Quanto invece alla dedica a Gregorio XII, che differisce da quella ad Alessandro V esclusivamente nel titolo, a prescindere dalla possibilità che il traduttore sia ricorso al patrocinio anche del pontefice veneziano,129 credo che essa non possa essere letta quale prova di una datazione necessariamente anteriore, dal momento che Gregorio XII non pronunciò l’abbandono del soglio pontificio fino al 1415, cioè alla risoluzione dello scisma d’Occidente.

Infine un ulteriore motivo di riflessione viene offerto, ancora una volta, dalle parole del Fillastre, che nell’inviare al Capitolo di Reims il ms. 1320 aggiunge di suo pugno (f. Iv):

hunc librum quem habere multis annis prosequtus sum et habitum de Florencia transcribi hic feci, dono bibliothece ecclesie Remensis quem bene custodiri precor; credo enim hunc esse primum in Gallias. Scriptum manu propria Constancie in concilio generali anno concilii quarto et domini Martini, pape V, anno primo, et Domini 1418, mense januario.

126 B

ERTHOLD LOUIS ULLMAN, Studies in Italian Renaissance, 2. ed. with additions and corrections, Roma, Edizioni di storia e letteratura,1973, pp. 23, 231.

127

OSWALD ASHTON WENTWORTH DILKE, Latin interpretation of Ptolem ’s Geographia, in Acta conventus neo-Latini Torontonensis: proceedings of the seventh International congress of neo- Latin studies, Toronto, 8 August to 13 August 1988, edited by Alexander Dalzell, Charles Fantazzi, Richard J. Schoeck, Binghamton, Center for medieval and early Renaissance studies, State university of New York, 1991, pp. 293-300, part. p. 294.

128

G.AUJAC, Continuità delle teorie tolemaiche, cit., p. 57.

129 Occorre sottolineare che il testo della dedica non fornisce alcuna prova utile all’identificazione del pontefice per il quale fu composta e ciò potrebbe suffragare l’ipotesi che la varinate nell’intitolazione sia autoriale.

Anche ammesso che il cardinale di S. Marco abbia agognato per molto tempo il Tolomeo è difficile credere che la circolazione della versione dell’Angeli possa essere stata così lenta che sia intercorso un lasso di dodici anni (1406-1418) prima che una copia della Cosmographia raggiungesse la Francia. Ma c’è di più. Se davvero essa fosse stata disponibile fin dal 1406 il Fillastre non avrebbe incontrato difficoltà a procurarsela nel 1409 quando fu in Italia per partecipare al concilio di Pisa.

Converrà dunque ritenere, come prudentemente suggeriva Weiss,130 che la traduzione latina abbia avuto una gestazione tra il 1406 e il 1409 – anni che corrispondono con la fase più intensa e meglio documentata dell'impegno culturale dell’Angeli –131 e che a quest’ultimo estremo cronologico si debba far risalire l’impulso alla sua diffusione.

Circondata da grande aspettativa, la traduzione di per sé si rivelò una parziale delusione e fu tempestivamente criticata fin dal suo primo apparire. Innanzitutto per la non perfetta padronanza da parte del traduttore della lingua greca; in secondo luogo per la sua inadeguatezza a trattare un testo difficile come la

Geographike Hyphegesis, sia dal punto di vista della terminologia tecnica, sia dal

punto di vista delle nozioni matematiche necessarie alla comprensione dei capitoli strettamente teorici. Infine per la scarsa attenzione prestata dall’Angeli alla qualità del testo offerto dall’esemplare greco adottato come testo fonte. Una costatazione quest’ultima che sarà rimarcata senza indulgenza anche dal Regiomontano nei suoi Fragmenta quaedam annotationum in errores quos Iacobus Angelus in

traslatione Ptolemaei commisit,132 dove, nell’ipotizzare una lacuna della

preposizione davanti a a possibile causa della cattiva

130

R.WEISS, Iacopo Angeli da Scarperia, cit., p. 274.

131 Tra 1405 e 1409 si colloca la genesi delle traduzioni dei due opuscoli plutarchei, il De

Alexandri fortuna e il De fortuna Romanorum (OXFORD, Bodleian Library, Canon. class. lat. 294,

cc. 253v-270v e LONDON, British Library, Harl. 5411, ff. 105r-140r). Al primo anno di pontificato di Alessandro V va invece riferita la traduzione della Vita Marii, dedicata a Giobbe Resta, segretario del pontefice (OXFORD, Bodleian Library, Canon. class. lat. 294, f. 199r). Cfr.: P. FALZONE, Iacopo di Angelo da Scarperia (Iacopo Angeli), cit.

132 L’opera fu pubblicata postuma all’interno dell’edizione: C

LAUDIUS PTOLEMAEUS, Geographicae enarrationis libri octo Bilibaldo Pirckeymhero interprete, annotationes Ioannis de Regio Monte in errores commissos a Iacobo Angelo in translatione sua, Argentoragi, Iohannes Grieningerus, communibus Iohannis Koberger impensis excudebat, 1525, cc. P1r-Q8v. (FIRENZE, Biblioteca Nazionale centrale, Magl.1._.65).

traduzione di (I 1,2) – scissiones per il più esatto diversiones – avrà modo di sottolineare (c. P1r):

vitio exemplaris graeci partim imputari potest. Quamquam illud in primis perspicere debet interpres idoneus, ut exemplar habeat quam emendatissimum. Senza voler entrare nel merito di una valutazione della prassi versoria dell’umanista fiorentino, analizzare in concreto alcuni aspetti del suo rapporto con il testo tolemaico consentirà di intendere meglio i rimproveri o le condanne che verranno mosse alla traduzione latina da coloro che, dopo la metà del secolo, si faranno portavoci delle istanze di revisione, e, di conseguenza, l’entità degli interventi correttorii che tanto un Calderini quanto un Regiomontano sentiranno l’esigenza di apportare quale contributo alla comprensione e alla correttezza dell’opera.

Si è condotto il confronto completo della versione latina133 con le due edizioni critiche del testo greco a cura di Stückelberg-Grasshoff e di Müller. La necessità di integrare tra loro le due edizioni critiche nasce dal bisogno di riscontrare la traduzione latina con i manoscritti SPB che, come si è visto, presentano il testo più prossimo a quello della fonte utilizzata da Angeli, senza peraltro perdere di vista l’intero quadro della tradizione manoscritta greca: mentre l’edizione di Müller (1883-1901) si arresta al libro V e non include nella recensio due dei codici poziori (l’Urbinate gr. 82, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana e il Seragliensis GI 57, della Biblioteca del Topkapî Serayi di Istanbul), quella più recente di Stückelberg e Grasshoff (2006) colma le lacune lasciate dalla precedente, ma riduce l’apparato alle sole varianti portate dai codices primarii, tralasciando dunque proprio i codici che costituiscono il nucleo principale della verifica.134

133

Ho costruito il testo della versione dell’Angeli sulla base dei seguenti testimoni: L1 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2974; Ot = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Ott. lat. 1771; H = CAMBRIDGE (Mass.),Harvard University, Houghton Library, ms. Typ. 5; V = VICENZA, Hermann Liechtenstein, 1475 (BOLOGNA, Biblioteca Universitaria, A V B XI 25). Si intenda che salvo esplicita annotazione in contrario, il testo citato è tramandato concordemente nei testimoni considerati. Si è trascurato di registrare le differenze grafiche e i più evidenti lapsus calami.

Dal confronto si è confermata la tendenza dell’Angeli a quella traduzione “largamente letterale” già dimostrata nei lavori sulle Vite parallele o sui Moralia di Plutarco; quella cioè che a suo tempo era già stata segnalata dal Sabbadini, nel distinguere i quattro metodi versori adottati dagli umanisti, come «traduzione oratoria fedele».135

Nel trasferire l’originale greco l’umanista cercherà infatti – forse per attenersi alle raccomandazioni del maestro Crisolora – di appagare più il bisogno di conoscenza dei contenuti del testo che una qualche ambizione letteraria.136 Rendere accessibile l’insieme delle istruzioni atte a procurare una immagine dell’ecumene esatta e completa era del resto la motivazione fornita dallo stesso Angeli nella lettera di dedica a Alessandro V.

Mi soffermerò sul solo primo libro della Cosmographia,137 interamente a carattere discorsivo e pertanto più adatto ad uno scandaglio di natura versoria rispetto ai commentaria, la parte cioè di opera compresa tra i libri II e VII 4, contenente gli elenchi dei toponimi accompagnati dalle rispettive coordinate geografiche. Come approccio è sufficiente leggere in parallelo col testo greco l’avvio (I 1):

Cosmographia designatrix imitatio est totius cogniti orbis cum his quae fere universaliter sibi iunguntur.

135 Cfr.: R

EMIGIO SABBADINI, Del tradurre i classici antichi in Italia, «Atene e Roma», 19-20 (1990), pp. 201-217, part. p. 209. Un accenno alla tipologia della traduzione plutarchea dell’Angeli anche in: FABIO STOK, Le traduzioni latine dei Moralia di Plutarco, «Fontes», 1 (1998), pp. 117- 136, part. p. 121.

136 Secondo Berti va corretta l’opinione che indica nell’allestimento delle traduzioni letterarie l’obiettivo primario dell’insegnamento del Crisolora. Anzi, che egli fosse ben consapevole dei pericoli insiti nella ripresa delle concezioni classiche della traduzione, che enfatizzavano il testo di arrivo e il ruolo attivo del traduttore, lo prova la famosa testimonianza di Cencio de’ Rustici nel proemio alla versione dell’Encomio di Bacco: Emanuele condannava le versioni letterali come cose assurde che potevano arrivare persino a tradire completamente il pensiero dell’originale greco, «sed ad sententiam transferre opus esse aiebat hoc pacto, ut ii qui huiusmodi rebus operam darent, legem sibi ipsis indicerent, ut nullo modo proprietas greca immutaretur; nam si quispiam, quo luculentius apertiusque suis hominibus loquatur, aliquid graece proprietatis immutarit, eum non interpretis sed exponentis officio uti». Cfr: ERNESTO BERTI,Manuele Crisolora, Plutarco e

l’avviamento delle raduzioni umanistiche,«Fontes», 1 (1998), pp. 85-99, part. pp. 92-93.

137 Desidero rivolgere il mio più sincero riconoscimento di gratitudine al professor Roberto Chittolina che ha riservato il suo tempo e la sua esperienza per vedere insieme questi testi, offrendomi momenti di conforto scientifico.

Si tratta evidentemente di una versione sostanzialmente letterale, in generale fedele al modello greco, del quale tenta di ripetere le strutture e la posizione dei lemmi; non scevra, tuttavia, da improprietà lessicali e durezze sintattiche che si fanno via via più marcate con il procedere del testo, dando la misura del fatto che l’esplorazione della letteratura greca fosse ancora in una fase poco più che iniziale. Se non i particolari, è infatti soprattutto l’ordinata successione degli elementi del periodo greco, pur nella complessità della sua costruzione, che il traduttore tenta di trasportare in una forma latina dietro cui traspare pur sempre la struttura logica e sintattica del greco: con un’ottica cioè tutta incentrata