Quanto sin qui detto, sia consentito, ha presupposto il fenomeno
della successione nel diritto controverso, in pendenza del giudizio, in
maniera “accidentale”: l’alienazione della res litigiosa, con riguardo
alla domanda arbitrale, è stata affrontata quale evento meramente
successivo in ordine temporale alla proposizione della stessa.
In altri termini, considerando la notificazione della domanda
arbitrale quale presupposto necessario perché il trasferimento della res
in iudicium deducta abbia “rilevanza” nel giudizio arbitrale
45, la prima
è stata considerata quale antecedente logico-giuridico, come tale non
inficiato in alcun modo dalla possibile alienazione del diritto oggetto
della controversia.
D’altra parte, nella sequenza di atti, negoziali e processuali, che
si concludono con l’emanazione del lodo, la fonte da cui origina il
giudizio arbitrale ed il fulcro da cui si evince la disciplina positiva
dello stesso
46è, senza timore di poter essere smentiti, la convenzione
45 In quanto dalla notificazione della domanda arbitrale il relativo giudizio può dirsi pendente e dunque l’oggetto dello stesso costituisce il diritto controverso che, in caso di alienazione, comporta l’applicazione della disciplina di cui all’ultimo comma dell’articolo 816-quinquies c.p.c. D’altra parte, non v’è motivo per ritenere che la proposizione della domanda possa essere inficiata dall’alienazione del diritto dedotto in giudizio, poiché affinché tale evento abbia rilevanza processuale dovrà necessariamente essere successiva all’instaurazione del procedimento arbitrale, in quanto laddove precedente la questione sarebbe meramente di carattere sostanziale, in relazione alla legittimazione ad agire.
46
Così efficacemente G. RUFFINI, in Patto compromissorio, in E. FAZZALARI
(a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, op. cit., p. 52ss, che sottolinea come il patto compromissorio costituisca l’espressione dell’autonomia negoziale delle parti che liberamente devolvono la composizione di una o più controversie alla decisione di un terzo, così sottraendo all’autorità giudiziaria statale il potere di decidere nel merito sulle stesse. Infatti, nonostante la soluzione arbitrale delle liti abbia efficacia sostitutiva della giurisdizione statale, e non sia una mera alternativa, la deroga a quest’ultima si ritiene valida fintanto che la convenzione arbitrale mantenga efficacia, comunque nei confronti delle parti, altrimenti violando l’articolo 24 della Costituzione. Per tale motivo è fondamentale scindere tra successione nel diritto controverso e nella convenzione arbitrale, come si vedrà infra.
arbitrale, nella definizione onnicomprensiva introdotta dal legislatore
con la riforma del 2006
47.
Il ruolo dell’accordo compromissorio, sia esso compromesso o
clausola compromissoria, con il quale le parti dello stesso devolvono
la controversia insorta o insorgenda dinanzi agli arbitri, in relazione
alla successiva alienazione dell’oggetto della lite, e le conseguenti
problematiche, si colgono alla luce della considerazione per la quale
l’efficacia del lodo si giustifica in ragione del potere concesso agli
arbitri di decidere la controversia, in virtù della stipulazione della
convenzione arbitrale
48.
47
Come è noto, fino alla riforma introdotta ad opera del D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, vi era una netta distinzione tra la clausola compromissoria di cui all’articolo 808 c.p.c., vigente ratione temporis, e il patto compromissorio, a cui si era soliti ricondurre altresì la definizione di “convenzione arbitrale”. Il legislatore ha diversamente inteso ricondurre ad unitatem le modalità di devoluzione in arbitri di una o più controversie, rubricando il Capo I del Titolo VIII del Quarto Libro del Codice di Procedura Civile “della convenzione arbitrale”, laddove prima recitava “del compromesso e della clausola compromissoria”.
Ad ogni modo, si ritiene che permanga l’interpretazione restrittiva in merito all’ambito soggettivo della convenzione arbitrale, ritenendo parti di questa solo coloro i quali «hanno partecipato alla manifestazione della volontà negoziale» (in tal senso D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, p. 7ss, considerazione estesa, seppur ante riforma, dal compromesso alla clausola compromissoria, da E.ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rituale
rispetto ai terzi, op. cit., p. 143ss). Ciò nonostante la dottrina si è sempre interrogata
sul fatto che, pur considerando l’arbitrato alla stregua di un accordo avente efficacia esclusivamente tra le parti ai sensi dell’articolo 1372 c.c., non può negarsi che anche in materia contrattuale vi siano contratti che incidano sulla sfera soggettiva dei terzi, da intendersi sempre in senso relativo come non dimentica di evidenziare E. BETTI,
Teoria generale del negozio giuridico, III ed., Torino, 1960, p. 257ss. Un simile
presupposto, dal punto di vista processualistico, ha più facile accoglimento alla luce della condivisa separazione tra la parte in senso sostanziale e quella partecipe del giudizio, nonché di estensione dell’efficacia di giudicato, per cui si rinvia a quanto illustrato da E.GARBAGNATI, La sostituzione processuale, op. cit., p. 243ss.
48 Come afferma C. PUNZI, Relazioni fra l’arbitrato e le altre forme non
giurisdizionali di soluzione delle liti, in Riv. arb., 2003, p. 385ss, e spec. p. 398, sia
la devoluzione, sia il conferimento hanno origine dalla volontà delle parti con la stipulazione della convenzione arbitrale, laddove in vincolo delle compromittenti rispetto al dictum arbitrale deriva appunto non solo dall’equiparazione del lodo agli effetti della sentenza, ex articolo 824-bis c.p.c., ma anche dalla natura negoziale dello stesso. Diversa questione si pone sulla possibile efficacia riflessa del giudicato nei confronti di soggetti diversi dalle parti, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge quale l’articolo 1595 c.c., per l’estraneità dei terzi rispetto alla convenzione arbitrale.
Più semplicemente, secondo la predetta impostazione, il lodo
avrebbe efficacia diretta soltanto nei confronti di coloro i quali sono
parti dell’accordo compromissorio, perché da questo deriva la facoltà
di devolvere al collegio arbitrale il potere di decidere la controversia.
Una simile questione di limiti soggettivi può ricondursi, allora, o
alla convenzione arbitrale, ovvero alla decisione del collegio, ma ad
ogni modo ciò inciderebbe sulla disciplina della successione a titolo
particolare nel diritto controverso.
Se il tema, infatti, si affrontasse dal punto di vista del lodo, esso
si risolverebbe nel discutere sull’efficacia ultra partes dello stesso
49,
mentre riconducendo l’argomento alla posizione delle parti e del patto
compromissorio, delle due l’una: in caso di alienazione della res
litigiosa, o si dovrebbe presupporre una partecipazione dell’avente
causa alla convenzione arbitrale, ovvero si dovrebbe ritenere che la
stessa possa essere vincolante anche verso terzi ad essa estranei.
49 A tal proposito, prima della riforma, ad esempio, C. CONSOLO, Sul campo
«dissodato» della compromettibilità in arbitri, in Riv. arb., 2003, p. 241ss,
osservava che un’efficacia vincolante ultra partes del lodo «non potrà mai ammettersi» per la matrice privata della decisione arbitrale. In realtà, a prescindere dall’intervenuta previsione normativa di cui all’ultimo comma dell’articolo
816-quinquies c.p.c., non è nella natura negoziale del lodo il limite all’efficacia
soggettiva verso i terzi, ma il rapporto tra effetti diretti e riflessi dello stesso. Lo stesso Autore (ID., I terzi e il procedimento arbitrale, op. cit., p. 847) si è detto contrario all’equiparazione tra gli effetti verso terzi del lodo e della sentenza anche dopo la riforma, ritenendo che tale “equivoco” nasca da «una inesatta applicazione di quella teorica dell’efficacia naturale della sentenza (E.T. Liebman) che, anche ove ammessa riguardo ai provvedimenti dell’a.g.o., non troverebbe invece idonee basi per essere esportata anche ai lodi pronunciati da organi arbitrali, organi sì ma di indole privata (per mancanza qui di quella “presunzione” di correttezza che assiste, secondo tale impostazione, le sentenze dei giudici togati, quale manifestazione di un pubblico potere – secondo la ultrasecolare idea costituzionalistica austro-tedesca – e che non può certamente postularsi in relazione ai lodi arbitrali, stante il loro promanare da organi privati e l’assoluta libertà delle parti nella scelta dei componenti del collegio, funzione che non richiede il possesso di particolari requisiti culturali, alfabetizzazione a parte)». D’altra parte, il predetto articolo 816-quinquies c.p.c. non opera alcuna distinzione a seconda della partecipazione o meno del terzo alla convenzione arbitrale, rispetto alla successione negli effetti della convenzione arbitrale ed è in ciò che si trova la principale equiparazione del lodo all’efficacia della sentenza, più di quanto disponga l’articolo 824-bis c.p.c., come evidenzia E. D’ALESSANDRO, Riflessioni sull’efficacia del lodo, op. cit., p. 546.
Ad esempio, v’è chi ritiene che «la successione nella qualità di
parte del procedimento arbitrale pendente può aver luogo solo se chi
succede nel diritto succede pure nella convenzione arbitrale»
50, per cui
in assenza dell’ingresso dell’avente causa nella seconda, parrebbe che
l’ultimo comma dell’articolo 816-quinquies c.p.c. non possa trovare
applicazione.
Siffatta interpretazione, se condivisa, introdurrebbe allora un
requisito sostanziale (la partecipazione all’accordo dell’acquirente del
diritto controverso) non previsto dal legislatore e neanche prevedibile,
perché incidente sulla libertà dell’avente causa di rimanere estraneo al
procedimento, possibilità riconosciuta nel giudizio statale
51, nonché
sul principio volontaristico della giustizia privata.
Laddove quindi non si può imporre all’avente causa l’ingresso
nella convenzione arbitrale, coloro i quali ritengono che sia necessaria
la successione anche in quest’ultima, hanno suggerito un’automatica
50 Così esattamente S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, op.
cit., p. 137, il quale postula una simile statuizione di principio, pur partendo dalla
corretta premessa per cui la successione nel diritto sostanziale controverso e quella nella convenzione, non soltanto a titolo particolare, ma anche universale, siano due fenomeni distinti. L’Autore ritiene che la successione avvenuta prima che il giudizio arbitrale possa dirsi pendente sia regolata esclusivamente dalle regole del diritto sostanziale, e che successivamente sia necessario rendere l’avente causa partecipe dell’accordo compromissorio, specie laddove al trasferimento del diritto controverso non consegue l’automatica successione nella convenzione arbitrale.
51 Diversamente ragionando, l’avente causa che entra a far parte dell’accordo compromissorio sarebbe sempre vincolato da quest’ultimo: ciò assume particolare rilievo in tema di chiamata in causa del successore a titolo particolare e del relativo consenso, come si vedrà meglio al Capitolo III, Paragrafo 1.4., ma non solo. Si specifica a tal proposito quanto comunemente ritenuto, con riferimento all’articolo 111 c.p.c., per il procedimento dinanzi al giudice ordinario: la disciplina di cui alla norma de qua consente da un lato all’avente causa di intervenire nel procedimento pendente ovvero di rimanervi estraneo, senza che ciò possa in alcun modo costituire un vulnus del principio contraddittorio, laddove è riconosciuta la facoltà per l’acquirente di intervenire o di impugnare la sentenza a cui è soggetto, quand’anche non fosse reso edotto della pendenza del giudizio, perché comunque la norma fa salvi gli acquisti in buona fede e le disposizioni in materia di trascrizione. Sul punto, ci si riserva come detto di tornare, ma in relazione al giudizio ordinario si rinvia a quanto osserva F. P. LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza
partecipazione dell’acquirente della res litigiosa nel compromesso
52.
Nonostante il trasferimento della convenzione arbitrale possa
talvolta avvenire contestualmente all’alienazione del diritto oggetto
della controversia, qualora ciò non accada
53, non si può accedere,
52 In tal caso deve essere operata una distinzione concettuale tra quella che è la partecipazione all’accordo compromissorio, intesa come estensione soggettiva dello stesso, e quella che è invece la mera opponibilità della convenzione arbitrale.
Nel primo senso, ossia che chi succede nel rapporto contrattuale o nella situazione giuridica cui si riferisce il patto compromissorio subentra nello stesso, si sono espressi T.CARNACINI, voce Arbitrato rituale, op. cit., p. 896, con riferimento proprio alla successione a titolo particolare nel diritto controverso, mentre riguardo alla successione tout court, F. CARNELUTTI, Efficacia degli accordi sulla
competenza di fronte al cessionario del credito, in Riv. dir. proc. civ., 1937, 168ss;
R. VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, p. 337ss; G.SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, op. cit., p. 188ss; C. CECCHELLA, L’arbitrato, in A. PROTO PISANI (diretta da), Giurisprudenza sistematica di diritto processuale
civile, Torino, 1991, p. 101ss. Tali autori fondavano la visione del subingresso
automatico sulla base del vecchio tenore del terzo comma dell’articolo 820 c.p.c., ai sensi del quale «nel caso di morte di una delle parti il termine è prorogato di 30 giorni», da cui desumevano la vincolatività del compromesso anche ai successori delle parti. Già prima dell’introduzione dell’articolo 816-quinquies c.p.c., le riserve su una simile impostazione sono state correttamente evidenziate da M. BOVE,
Processo arbitrale e terzi, op. cit., p. 785ss, e spec. p. 789, secondo cui non si può
sostenere che la successione nel diritto comporti di per sé anche la successione nell’azione, quale accessorio del primo.
Nel secondo senso, invece, è esaustiva l’analisi offerta da C.PUNZI, Disegno
sistematico, op. cit., vol. II, p. 106ss, il quale si interroga sull’estensione degli
«effetti della convenzione di arbitrato agli aventi causa dei contraenti originari del patto compromissorio». Il fulcro di tale indagine, a cui si rinvia per i richiami dottrinari e l’evoluzione storica-normativa degli istituti rilevanti sul tema, è la formulazione del principio per cui in caso di alienazione delle posizioni processuali riferibili ai rapporti già oggetto di lite, l’accordo arbitrale vincola anche l’avente causa. Se tale assunto non ha difficoltà di accoglimento in caso di successione universale, diversa è l’ipotesi di quella a titolo particolare, laddove bisogna però distinguere tra alienazioni ante causam, per cui si pone la questione dell’opponibilità della convenzione arbitrale, e in corso del giudizio. L’Autore sostiene anche in tal caso la vincolatività della convenzione arbitrale per l’avente causa, seppur ritiene che la questione debba dirsi ormai superata alla luce dell’articolo 816-quinquies c.p.c., come peraltro precedentemente affermato anche da E. REDENTI, voce
Compromesso, op. cit., p. 807; V. ANDRIOLI, Commento al Codice di Procedura
Civile, op. cit., p. 786; E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale
rituale rispetto ai terzi, op. cit., p. 462.
53 Basti pensare, come ricordato da S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e
l’esperienza, op. ult. cit., che «non sempre e necessariamente la successione nel
diritto controverso implica una successione nella convenzione arbitrale». L’Autore indica quale esempio il caso di cessione di un contratto, con tanto di circolazione del documento che lo incorpora e della clausola compromissoria ivi contenuta, e la cessione del credito senza subentro nel contratto da cui è sorto, ipotesi prevista dalla surrogazione legale ex articolo 1203 c.c. In tali casi non v’è alcun automatismo di
come più volte sostenuto, ad una “versione limitata” dell’applicazione
dell’articolo 111 c.p.c. in materia arbitrale
54, per cui tale disciplina,
pur dovendo tenere necessariamente tener conto delle diverse ipotesi
in cui i due fenomeni successori non siano coevi, non può risolversi
con una “forzatura” sostanziale, quale appunto il subingresso
automatico dell’avente causa nella convenzione arbitrale.
Se è pur vero, dunque, che la successione nel diritto controverso
non comporta di per sé un’estensione, dal punto di vista soggettivo,
del patto compromissorio
55, la questione in merito alle parti dello
stesso, ed ai poteri da esse esercitabili, non può però sottacersi, o
tantomeno essere risolta nel senso di una semplicistica perpetuatio
legitimationis del dante causa
56.
subentro nella convenzione arbitrale, e dunque il primo comma dell’articolo
816-quinquies c.p.c. sarebbe un sostitutivo di tale mancata partecipazione all’accordo
compromissorio. Peraltro, pare evidente che se non si accede all’appena descritto automatismo, sicuramente non v’è mai successione nel compromesso della lite già insorta, perché per l’autonomia di tale negozio esso non dipende dalla res litigiosa sostanziale, mentre per la clausola compromissoria la questione è, come prevedibile, ben più articolata e si tornerà amplius nel Paragrafo 2.3.
54 Illuminante, a tal proposito, è la direttiva tracciata da L.SALVANESCHI,
Dell’arbitrato, in S. CHIARLONI (a cura di), Commentario del Codice di procedura
civile, Bologna, 2014, p. 527ss. L’Autrice sottolinea che l’applicazione dell’articolo
111 c.p.c. in materia arbitrale deve essere «integrale e scevra da distinzioni» e che sia preferibile una lettura dell’articolo 816-quinquies c.p.c. più piana possibile. Se è pur vero che il legislatore non ha voluto fare distinzioni a seconda che l’avente causa sia o meno subentrato nella convenzione arbitrale, d’altra parte non può negarsi che tale circostanza acquisti, come vedremo, rilevanza.
55 Particolarmente critico nei confronti di tale ipotesi è stato C. CAVALLINI,
L’alienazione della res litigiosa nell’arbitrato, op. cit., p. 156ss, secondo il quale se
si accettasse l’idea secondo la quale ad ogni alienazione della res litigiosa seguisse l’ingresso dell’acquirente nella convenzione arbitrale, quasi si trattasse di una correlazione necessaria causa-effetto, non «vi sarebbe alcuna ragione di verificare la possibilità di applicazione analogica dell’art. 111 c.p.c.». L’Autore correttamente evidenzia che il trasferimento del diritto oggetto del giudizio arbitrale non comporta un’estensione dei soggetti stipulanti il patto compromissorio, poiché ciò costituirebbe un’indebita modifica del quid disputandum, la quale si avrebbe solo in caso di proposizione di nuove domande ovvero di intervento nel giudizio.
56 Non è sufficiente, infatti, affermare che in sede arbitrale operi l’istituto della perpetuatio legitimationis, intesa come mera prosecuzione del procedimento tra le parti originarie, per “assorbire” la questione dell’estraneità dell’avente causa rispetto alla convenzione arbitrale. Al contrario, C. CAVALLINI, Profili dell’arbitrato
Infatti, premessa la “rilevanza” del fenomeno successorio nel
procedimento arbitrale
57, si dovrà comunque giungere alla conclusione
per cui il lodo può essere direttamente efficace nei confronti del
soggetto che non sia parte della convenzione arbitrale.
Tale soluzione si può sostenere solo con una visione sistematica
della materia arbitrale: se in quest’ultima trova applicazione l’articolo
111 c.p.c., il quale costituisce una deroga ai limiti soggettivi della cosa
ultra partes del lodo: l’accertamento sul diritto controverso non si manifesterebbe
mai in caso di alienazione di beni mobili se si applicasse l’articolo 1153 c.c. o di trascrizione anteriore dell’atto di acquisto rispetto alla domanda (proprio quanto previsto dall’ultimo comma dell’articolo 111 c.p.c.) se non vi fosse l’omologazione del lodo, tale per cui l’avente causa sarebbe da ritenersi soggetto al lodo come post
rem iudicatam. L’Autore, in vero, esclude che nell’arbitrato possa trovare luogo la
sostituzione processuale, per cui l’unico modo di rendere applicabile la disciplina processuale della successione a titolo particolare nel diritto controverso è impedire che quest’ultima, dal punto di vista sostanziale, comporti una mutazione oggettiva del quid disputandum, così sostenendo la “teoria dell’irrilevanza”, la quale però crea una serie di inconvenienti specie in caso di successione dal lato passivo e perché non tiene conto della possibilità che il dante causa deduca l’alienazione della res litigiosa nel giudizio, laddove vi sarebbe l’impossibilità per la controparte di formulare le eccezioni relative all’avente causa. Si ribadisce, è d’obbligo, la necessità di trovare soluzioni che tengano conto, da un lato, del dettato normativo, e dall’altro dei noti principi sia di carattere sostanziale, sia di carattere processuale dell’ordinamento, per cui non si può sostenere al contempo l’efficacia del lodo ultra partes e l’insensibilità rispetto ai limiti soggettivi della convenzione arbitrale.
57 Come già accennato al superiore Capitolo I, Paragrafo 2.2.2., la questione della rilevanza del fenomeno successorio si coglie principalmente nel caso in cui nel corso del procedimento tale evento sia dedotto, laddove diversamente opinando si avrebbe un lodo reso nei confronti delle parti originarie, e compromittenti, ma efficace rispetto all’avente causa, titolare della situazione giuridica sostanziale, non partecipe né della convenzione arbitrale, né del procedimento. Ebbene, la “teoria della rilevanza” non assume risvolti diretti in termini di efficacia della decisione arbitrale, in quanto a tal fine soccorre l’ultimo comma dell’articolo 111 c.p.c., come richiamato dall’articolo 816-quinquies c.p.c. La deduzione dell’avvenuta alienazione della res litigiosa, al contrario, si riflette esclusivamente sul procedimento, laddove devono essere contemperati gli interessi della controparte, che non ha preso parte al fenomeno successorio, e dell’avente causa, nell’effettività della tutela, specie per i poteri riconosciuti all’alienante che prosegue il giudizio. Non può negarsi, in vero, che la deduzione di tale evento non comporti appunto una modificazione dell’ambito oggettivo della domanda, in relazione anche alla potestas iudicandi degli arbitri, per cui la partecipazione del successore alla convenzione arbitrale è dirimente per la