• Non ci sono risultati.

La questione dell’applicabilità totale o parziale dell’articolo 111 c.p.c

111 c.p.c. in materia arbitrale.

La disciplina generale della successione a titolo particolare nel

diritto controverso parrebbe dunque, a primo acchito, trovare piena

applicazione in materia arbitrale, alla luce del pedissequo rinvio

all’articolo 111 c.p.c. operato dall’articolo 816-quinquies c.p.c., come

introdotto dal D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.

In assenza di una specifica previsione normativa, la dottrina e la

giurisprudenza precedenti si trovavano divise sulla possibilità di

ammettere il ricorso al predetto istituto nell’ipotesi di composizione

arbitrale della controversia: le diverse posizioni registrate sul tema,

che ha ricevuto un interesse sempre crescente nel corso degli anni

33

,

sono mutate a seconda del contesto normativo vigente.

Prima della novella del 1994, infatti, la questione relativa al

trasferimento del diritto controverso in pendenza del giudizio arbitrale

assumeva un’importanza relativa, attese le difficoltà allora esistenti

33 Come osserva R.MURONI, La successione nella res litigiosa nell’arbitrato

rituale interno e con profili di internazionalità: analisi retrospettiva dell’ultimo comma del nuovo art. 816-quinquies c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p.

903ss, prima del 1994 erano pochi gli autori che si occuparono del tema della successione a titolo particolare nel diritto oggetto di controversia devoluta ad arbitri.

nella determinazione della litispendenza arbitrale

34

.

Non essendovi un orientamento univoco circa l’individuazione

del momento iniziale dell’arbitrato, la cui domanda era addirittura

considerata «fattispecie a formazione progressiva

35

», si tendeva a non

dare rilevanza al fenomeno successorio della res litigiosa e, quindi,

l’orientamento sul punto era propeso ad escludere un’estensione

analogica, di quanto previsto dall’articolo 111 c.p.c., anche in materia

arbitrale

36

.

34

Nel periodo antecedente, infatti, non vi erano espressi riferimenti normativi che individuassero il momento iniziale del procedimento arbitrale, benché - ad esempio - il secondo comma dell’articolo 816 c.p.c. disponesse che le norme del procedimento avrebbero dovuto essere fissate prima del suo inizio. Alla luce di ciò, l’individuazione di tale momento era demandata all’interpretazione sistematica della dottrina che appariva fortemente divisa sul punto.

Tralasciando in questa sede le discussioni relative alla coincidenza, o meno, tra inizio del giudizio arbitrale e momento della proposizione della domanda, si segnala che, secondo la posizione maggioritaria, l’avvio del procedimento era individuato nell’accettazione dell’incarico da parte dell’unico arbitro ovvero nella costituzione del collegio (cfr., a tal proposito, ex multis, L.MORTARA, Commentario

del codice e delle leggi di procedura civile, vol. III, Milano, 1905, p. 141; T.

CARNACINI, voce Arbitrato rituale, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1958, p. 881ss; E.FAZZALARI, voce Arbitrato (Teoria generale e diritto processuale civile), in Dig. disc. priv. - sez. civ., Torino, 1987, p. 398). Per completezza, si segnala che vi fossero anche diversi orientamenti che fissavano il momento iniziale del giudizio arbitrale nella prima riunione in presenza delle parti (v. nota seguente), ovvero nella formulazione dei quesiti (in tal senso, C.CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 1991, p. 142ss). Si comprende quindi l’oggettiva difficoltà di configurare, nel contesto normativo antecedente la riforma del 1994, le questioni relative alla successione a titolo particolare in pendenza del giudizio arbitrale, laddove questo si ritenesse avviato in una fase successiva alla nomina degli arbitri, così superando una serie di problemi che invece sorgono nel sistema attuale, come si vedrà nel prosieguo.

35 Tale la definizione offerta da V. ANDRIOLI, Commento al Codice di

Procedura Civile, III ed., vol. IV, Napoli, 1964, p. 848, secondo il quale dalla

notificazione della nomina degli arbitri si instaurava la fase introduttiva del giudizio che si poteva ritenere conclusa, e dunque l’arbitrato pendente, solo al momento in cui le parti comparivano dinanzi al collegio arbitrale.

36 Le ragioni poste a sostegno di tale divieto di estensione analogica risiedevano principalmente in due aspetti tra loro interconnesso, secondo E. REDENTI, voce Compromesso, in Noviss. Dig. it, op. cit., p. 896. L’Autore tendeva ad escludere l’applicabilità dell’istituto di cui all’articolo 111 c.p.c. in materia arbitrale, alla luce del fatto che le parti originarie, quand’anche si ammettesse la rilevanza del fenomeno successorio, avrebbero agito in qualità di sostituti processuali, ma l’erede ed il dante causa non sarebbero stati comunque legittimati ad agire perché non considerabili parti dell’accordo compromissorio nel quale è appunto succeduto l’avente causa. Da premesse diverse, ma alla medesima conclusione di escludere l’applicabilità dell’articolo 111 c.p.c. in materia arbitrale,

La sopraggiunta possibilità di trascrivere la domanda ovvero

l’atto di nomina degli arbitri, ai sensi degli articoli 2652 e 2653 del

Codice Civile, facoltà riconosciuta in virtù dell’equiparazione con la

domanda giudiziale

37

, nonché il riferimento alle norme sulla

trascrizione, presente nell’ultimo comma dell’articolo 111 c.p.c.,

hanno condotto buona parte della dottrina

38

, e financo la magistratura

togata

39

, a ritenere la successione a titolo particolare nel diritto

erano anche coloro i quali sostenevano che, in virtù della natura negoziale della composizione stragiudiziale della lite, la successione nella res litigiosa dovesse ricondursi meramente al tema della successione nel patto compromissorio. Di tal ché, pur ritenendo l’arbitrato ben potesse proseguire tra le parti originarie, l’estraneità del successore nel diritto controverso rispetto all’accordo arbitrale ne avrebbe precluso la mancata estensione di quanto previsto per il giudizio ordinario dall’articolo 111 c.p.c. A tal proposito, cfr. T. CARNACINI, op. cit., p. 896; G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, Milano, 1988, p. 437ss; C.PUNZI, voce Arbitrato

(Rituale e irrituale), in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1988, p. 17ss.

37

L’articolo 26 della Legge 5 gennaio 1994, n. 5, ha infatti modificato gli indicati articoli nella parte in cui ha previsto che «alla domanda giudiziale è equiparato l’atto notificato con il quale la parte, in presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all'altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri». Sulla rilevanza dell’ultimo comma degli articoli 2652 e 2653 del Codice Civile, si veda amplius al Paragrafo 3.1.

38 Numerosi sono stati gli interpreti che, in considerazione del riconoscimento della possibilità di trascrizione della domanda arbitrale, hanno condiviso la tesi dell’opponibilità del lodo emesso inter partes anche nei confronti del soggetto terzo, rispetto al giudizio arbitrale, che avesse acquistato la res litigiosa. Tra questi si segnala L. SALVANESCHI, La domanda di arbitrato, in Riv. dir. proc., 1995, p. 662ss, la quale dà altresì atto di un’unica pronuncia antecedente la riforma con cui il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere «ha ritenuto infondato il rifiuto opposto dal conservatore dei registri immobiliari a trascrivere l’atto con cui si domandava agli arbitri l’esecuzione specifica di obbligo derivante da contratto preliminare». La sopravvenuta considerazione circa l’applicabilità in materia arbitrale della disciplina di cui all’articolo 111 c.p.c. non era comunque esente da problematiche, come quelle rilevate da B.SASSANI, L’opposizione del terzo al lodo arbitrale, in Riv. arb., 1995, p. 199ss, spec. p. 211. L’Autore, ritenendo il successore a titolo particolare un terzo

sui generis, riconosce che la trascrivibilità della domanda arbitrale consente la

produzione degli effetti del lodo in capo all’avente causa, alla stregua di una sentenza giudiziale e, su tali basi, riteneva correttamente (ante litteram) la possibilità del successore di intervenire nel giudizio: facoltà all’epoca non univocamente riconosciuta, come si dirà infra.

39 Anche laddove era riconosciuta la possibilità che il giudizio arbitrale, dopo il verificarsi del fenomeno successorio, potesse proseguire tra le parti originarie e producesse effetti nei confronti dell’avente causa, residuavano settori di intervento che la giurisprudenza si trovava ad affrontare empiricamente. Un esempio è la questione relativa alla nomina degli arbitri, su cui si è espressa la Corte di Appello di

controverso applicabile, in astratto, anche nell’arbitrato.

A tale tesi, si contrapponevano le eccezioni di coloro i quali,

scindendo il fenomeno successorio tra trasferimento sostanziale del

diritto ed evento processualmente rilevante, escludevano l’ipotesi che

la disciplina dell’articolo 111 c.p.c. si estendesse al di fuori del

giudizio ordinario

40

.

Napoli, ritenendo inefficace la nomina effettuata dal successore a titolo particolare e il lodo emesso all’esito del procedimento pertanto annullabile. Cfr. App. Napoli, 9 settembre 1999, in Riv. arb., 2001, p. 227ss, con nota di R.NAZZINI, Domanda di

arbitrato, art. 111 c.p.c. e potere di nomina dell’arbitro rituale.

Sull’applicabilità della disciplina di cui all’articolo 111 c.p.c. in materia arbitrale si era, incidenter tantum, pronunciata anche la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza della Prima Sezione Civile del 25 luglio 2002, n. 10922, in

Foro it., 2002, parte I, colonna 2909. In tal caso, era stato osservato che «a seguito

della costituzione del rapporto processuale, determinata dalla notifica della domanda di accesso agli arbitri, il giudizio si radica fra i soggetti che avendo sottoscritto la clausola compromissoria sono i soggetti legittimati attivamente e passivamente ad agire e resistere in giudizio, fino alla sua definizione, con l’ulteriore conseguenza che l’eventuale subentro di altro soggetto nel rapporto controverso, dopo l’inizio del giudizio, non incide sulla legittimazione passiva del soggetto originariamente identificato, in base alla clausola compromissoria, ma dà luogo all’ipotesi prevista e regolata dall’art. 111 c.p.c., applicabile, analogicamente, anche al giudizio arbitrale». In effetti, la questione sottoposta in tal caso al vaglio di legittimità dei giudici era la, si è visto, vexata quaestio, del momento iniziale del giudizio arbitrale che in tal caso la Cassazione ha individuato nella notifica della domanda di arbitrato e non nell’accettazione degli arbitri (si veda nota n. 29). La Suprema Corte aveva così cassato la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 13 gennaio 1998 che aveva al contrario escluso l’applicabilità della disciplina della successione a titolo particolare nel diritto controverso in materia arbitrale. Tale decisione di merito aveva peraltro anticipato delle ulteriori pronunce della medesima curia che decisero in senso conforme all’esclusione dell’estensione del regime dell’articolo 111 c.p.c. all’arbitrato: cfr. App. Napoli 7 luglio 1998 e App. Napoli 19 ottobre 1998, in Riv.

arb., 1999, p. 279ss, con nota di F. P.LUISO, Intorno ad una peculiare ipotesi di

(asserita) disapplicazione dell’art. 111 c.p.c. In merito a tali decisioni, si veda anche

M.RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, op. cit., p. 406.

40 Sulla impossibilità di estendere i precetti contenuti nell’articolo 111 c.p.c. alla materia arbitrale «in mancanza di qualsiasi riferimento normativo» si era espresso C.PUNZI, Disegno sistematico, op. cit., p. 131ss, il quale argomentava tale interpretazione restrittiva sulla base del fatto che lo stesso articolo 111 c.p.c. si riferisce in maniera esclusiva al procedimento ordinario e che comunque la stessa disposizione contiene un principio eccezionale e derogatorio non solo del sistema processualistico ma, come si è già detto, anche con riferimento al diritto sostanziale. Da quest’ultimo punto di vista, peraltro, l’Autore osserva che in virtù dei principi traslativi dell’acquisto a titolo derivativo, gli effetti degli atti compiuti dal dante causa si spiegano anche sull’avente causa, ma il primo pertanto avendo già disposto del diritto ceduto, non può più esercitarne le relative azioni. Come si può vedere, dunque, la questione principale prima della riforma si fondava sulla scissione tra

A sostegno di una simile visione restrittiva, si deduceva la

circostanza che l’alienazione della res litigiosa non producesse di per

sé una successione anche nel patto compromissorio, il quale quindi

non avrebbe avuto efficacia nei confronti dell’avente causa

41

, e che,

quand’anche fosse stata riconosciuta al successore la facoltà di

intervenire nel procedimento arbitrale

42

, non avrebbe potuto essere

impedita, alla parte non interessata dal fenomeno successorio, la

possibilità di «sottrarsi alla via arbitrale

43

».

L’introduzione dell’articolo 816-quinquies c.p.c. ha preteso di

regolare definitivamente la materia de qua, riconoscendo in maniera

espressa l’estensione della disciplina di cui all’articolo 111 c.p.c.

all’arbitrato, ma non è specificato se tale disciplina si applichi in sede

stragiudiziale nel suo complesso ovvero se - come auspicabile - si

debba verificare caso per caso la compatibilità di quanto previsto per

il giudizio ordinario nella specifica materia arbitrale.

rappresentanza e sostituzione processuale, con riguardo alla legittimazione delle parti ad agire dinanzi agli arbitri. Sul punto, si segnala che prima dell’introduzione dell’articolo 816-quinquies si era espressa financo la giurisprudenza di legittimità, affermando che non potesse esservi una scissione tra titolarità del rapporto processuale e del diritto sostanziale nel giudizio privato. Così, Cass. Civ., Sez. I, 8 aprile 2003, n. 5457, in Giur. it., 2004, p. 391ss, con nota di A.RONCO, Successione

nel diritto controverso e traslazione del potere di nomina degli arbitri (brevi rilievi sulla pendenza della lite e sull’applicazione dell’art. 111 al giudizio arbitrale).

41 La preclusione risiederebbe nella qualità di terzo, rispetto all’accordo di compromettere in arbitri la controversia, del successore a titolo particolare nel diritto controverso. Questa, quantomeno, era la posizione diffusa maggiormente prima dell’entrata in vigore della Legge 5 gennaio 1994, n. 25, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, come ne dà correttamente atto M.RUBINO SAMMARTANO, Il diritto

dell’arbitrato, op. cit., p. 387ss.

42

Senza anticipare in questa sede la questione relativa all’intervento nel giudizio arbitrale del successore a titolo particolare nel diritto controverso, ci si limita a dare atto della posizione dottrinale di coloro i quali escludevano tale intervento coerentemente con l’affermazione della natura privatistica del lodo e della successione nel patto compromissorio (v. nota 31). Di tal ché, si riteneva che essendo il terzo estraneo a quest’ultimo, non sarebbe stato ipotizzabile un intervento del successore a titolo particolare: in tal senso, cfr. G.SCHIZZEROTTO, op. cit., p. 483 e A. PIERGROSSI, Tutela del terzo nell’arbitrato, in AA. VV., Studi in onore di

Enrico Tullio Liebman, Milano, 1979, p. 2569ss.

43

Così esattamente si è espresso M.BOVE, Processo arbitrale e terzi, in Riv.