Nelle valutazioni che sono state svolte in precedenza, si è fatto
sempre esclusivo riferimento all’arbitrato di natura rituale regolato
dagli articoli 806 e seguenti del Codice di Procedura Civile.
Una volta poste, però, le basi per un’ulteriore fase dell’analisi
sull’istituto della successione a titolo particolare in materia arbitrale, è
opportuno ampliare il campo di indagine ad una specifica modalità di
arbitrato che, pur presentando una disciplina ad hoc in merito alla
partecipazione dei terzi al procedimento, non contempla in maniera
espressa il trasferimento della res litigiosa in corso di giudizio.
Ci si riferisce all’arbitrato in materia societaria
86, disciplinato
dagli articoli 34 e seguenti del D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in virtù
della Legge-delega 3 ottobre 2001, n. 366, con cui si è inteso regolare
la risoluzione stragiudiziale delle liti derivanti dal rapporto sociale
87.
86 Riferendoci ad esso quale arbitrato societario o anche “commerciale”, dalla definizione di C. PUNZI, Disegno sistematico, op. cit., vol. II, p. 681ss, ossia il giudizio promosso in forza delle clausole compromissorie, dette statutarie, inserite negli atti costitutivi delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ovvero in atti diversi dallo statuto sociale (patti parasociali), o degli specifici compromessi per la risoluzione delle controversie insorte tra i soci, o tra questi e la compagine sociale, aventi ad oggetto diritti disponibili. A tal ultimo proposito, si ricorda che in vigenza del precedente articolo 808 c.p.c., per cui potevano essere devolute in arbitrato le sole controversie sorte sui rapporti che potessero formare oggetto di transazione, la giurisprudenza riteneva che le liti societarie da poter sottrarre alla cognizione del giudice statale fossero in numero esiguo.
87 Come nel caso della riforma del 2006, anche l’introduzione dell’arbitrato societario ha ricevuto accuse di eccesso di delega, laddove l’articolo 12 di questa prevedeva l’emanazione di norme «dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione di procedimenti» in materia di societaria, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali. Su tale aspetto, si rinvia a G. TARZIA, Interrogativi sul nuovo processo societario, in Riv.
dir. proc., 2003, p. 641ss; F. CORSINI, L’arbitrato nella riforma del diritto
societario, in Giur. it., 2003, p. 1294ss; G. RUFFINI, Il nuovo arbitrato per le
Anche in tal caso, è necessario, sia consentito, circoscrivere
l’approfondimento in questo particolare ambito ai due temi che
rilevano nel caso di alienazione della res litigiosa in pendenza di un
arbitrato societario: i limiti soggettivi della convenzione arbitrale e la
possibilità di intervento del terzo nella procedura.
Sul primo argomento, non si può prescindere dal dato normativo
secondo il quale «la clausola è vincolante per la società e per tutti i
soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia»
(così recita il terzo comma dell’articolo 34).
Il problema, come ovvio, sorge per quei soggetti subentrati nella
qualità di socio
88, sia che si tratti di una successione inter vivos che a
causa di morte
89: un simile evento deve essere ricondotto alla
Costituzione evidenziati dalla dottrina sono stati i più vari: da chi sosteneva che la riforma avrebbe dovuto limitarsi a prevedere il novero delle controversie arbitrabili, a chi ha intravisto un favor per le clausole compromissorie rispetto al compromesso, ed anche in merito all’impossibilità del legislatore delegato di prevedere un intero procedimento, dalla convenzione arbitrale all’emanazione del lodo e la sua impugnativa, così introducendo nell’ordinamento quello che è stato definito un «arbitrato da legge» da A. BRIGUGLIO, Gli arbitrati obbligatori e gli arbitrati «da
legge», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, p. 81ss.
88
La norma non fa espresso riferimento a coloro i quali acquistano la qualità di socio successivamente alla stipula della clausola compromissoria statutaria. Ciò può avvenire con la sottoscrizione di nuove quote sociali (società di capitali) o per modifica dell’atto costitutivo (società di persone), ma anche per una successione nello status di socio. Nel caso di nuovo socio, mentre non sembrano esservi dubbi sul fatto che questi possa avvalersi della clausola nei confronti dei soci originari, già vincolati alla convenzione arbitrale, vi sono stati maggiori riserve laddove la maggior parte della dottrina si è espressa nel senso dell’accettazione per relationem dello statuto e della clausola ivi prevista, per un principio di totalità delle clausole, mentre taluni riconoscerebbero una facoltà di recesso del socio che abbia conosciuto solo successivamente l’esistenza della clausola, senza però risolvere la questione della assoggettabilità ad essa (in senso critico appunto E.ZUCCONI GALLI FONSECA,
Articolo 35. Oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie, in CARPI F. (a cura di), Arbitrati speciali, II ed., Bologna, 2016, p. 69ss, e spec. p. 108.
89 Si deve però distinguere tra società di persone e quelle di capitali. Nelle prime, ai sensi dell’articolo 2284 c.c., gli eredi non subentrano nella qualità di socio, ma diventano titolari dei rapporti patrimoniali ad essa collegati. Nella successione a titolo particolare, questa potrebbe avvenire proprio ad arbitrato già pendente, in quanto non sarebbe possibile un legato di specie su un diritto non ancora esistente quale quello alla liquidazione della quota per la morte del socio, mentre nulla vieta la disposizione del medesimo credito in caso di recesso che sia oggetto di una controversia. Al contrario, quanto ritenuto da Cass. Civ., Sez. I, 17 settembre 1970,
fattispecie della cessione del contratto (di società), per cui valgono le
osservazioni già formulate in caso di trasferimento del diritto a titolo
particolare
90.
Anche in tal caso, però, v’è chi ritiene che vi siano circostanze
per cui lo stesso socio possa non ritenersi vincolato dalla convenzione
arbitrale, così riproponendosi le questioni relative alla successione nel
diritto in ipotesi di cessione del credito
91.
Maggiori problemi invece potrebbero riscontrarsi in relazione
agli organi sociali, laddove il quarto comma dell’articolo 34 consente
la previsione, nell’atto costitutivo, di clausole aventi ad oggetto le liti
promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro
n. 1525, in Rep. foro it., 1970, secondo cui la clausola si estenderebbe anche alla controversia avente ad oggetto la liquidazione della quota, benché il successore a titolo particolare non fosse divenuto socio, in virtù dell’intuitus personae. Nelle seconde, invece l’erede universale subentra sempre nella qualità di socio, e dunque nella clausola, senza necessità di adesione scritta o altra formalità, senza possibilità di sottrarsi al vincolo arbitrale: così E. DALMOTTO, L’arbitrato nelle società, Bologna, 2013, p. 106ss. Nel caso di acquisto tra vivi, invece, sembra sempre prevalere un’estensione applicativa della clausola a tutti i soggetti che acquistino la qualità di socio, prescindendo dal problema del consenso dell’articolo 2252 c.c. per le società di persone, per cui sarebbe auspicabile sempre una previsione espressa in senso di accettazione della clausola, laddove se l’arbitrato è già pendente la nomina degli arbitri è comunque garantita dal sistema di imparzialità del terzo.
90 Per meglio dire quanto osservato in tema di cessione del contratto, in quanto anche in tal caso vi è il subentro del socio nello specifico rapporto con comunione di scopo di tutte le parti dell’organismo societario e dunque si pone il problema della circolazione dell’autonoma convenzione arbitrale, prevalendo sul principio consensualistico della libertà del giudice naturale (si veda. D. NOVIELLO, I
limiti soggettivi di efficacia della clausola compromissoria inserita negli statuti societari, in Riv. arb., 2005, p. 45ss, e spec. p. 68). D’altra parte la giurisprudenza di
legittimità si è visto come abbia ricondotto la successione nel contratto alla comunione di scopo del negozio ceduto, innegabile in ambito societario: Cass. Civ., Sez. I, 21 giugno 1996, n. 5761, in Riv. arb., 1996, p. 699ss, con nota di F. CRISCUOLO, Cessione del contratto e autonomia della clausola compromissoria.
91 Il rilievo è formulato, tra gli altri, da F. GENNARI, L’arbitrato societario, in F. GALGANO (a cura di), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell’economia, vol. LI, Padova, 2009, 92ss, per il quale vi sono delle situazioni nelle
quali l’applicazione e l’efficacia della clausola compromissoria statutaria non sono scontate, ossia quando un soggetto nega di aver mai ricoperto la qualità di socio ovvero le controversie fra soci, ma estranee al rapporto di società. Peraltro, una simile riserva soggettiva si dovrà, come osservato da M. BOVE, L’arbitrato nelle
controversie societarie, in Giust. civ., 2003, p. 483ss, applicare sia con riferimento
al soggetto che acquista la qualità di socio che nel caso di cessione della quota sociale e quindi di trasferimento di tale status.
confronti, le quali diventano per costoro vincolanti con l’accettazione
dell’incarico: in caso di trasferimento della res litigiosa a soggetto non
ricoprente tale carica, quest’ultimo non può dirsi di certo subentrato
automaticamente nella convenzione arbitrale
92.
La soggezione dell’acquirente della res litigiosa alla clausola
compromissoria statutaria assume rilievo nella misura in cui il D.lgs.
17 gennaio 2003, n. 5, come detto, prevede una specifica disciplina in
merito alla partecipazione dei terzi al procedimento arbitrale.
L’articolo 35, peraltro, si riferisce a quei soggetti estranei non
solo alla società, ma financo al rapporto dedotto in giudizio, o che non
abbiano sottoscritto la convenzione arbitrale, ponendosi quale lex
specialis rispetto alla disciplina dell’arbitrato comune
93.
92
Valutazioni peraltro simili possono farsi nel caso di cessione del credito che derivi dal rapporto sociale a soggetto che non acquista la qualità di socio, si pensi ad esempio al caso del legato, laddove è l’erede che acquista tale status. In tali casi, non si può ritenere sicuramente l’avente causa vincolato dalla convenzione arbitrale, ma l’operatività di questa si fonda non tanto sui limiti soggettivi della clausola, quanto piuttosto su quelli oggettivi di compromettibilità della lite, per cui si rinvia al concetto di interesse espresso da V. DONATIVI, L’arbitrato societario.
Presupposti di compromettibilità, in V. BUONOCORE (fondato da), Trattato di diritto
commerciale, sez. IV, vol. XV, Torino, 2015, p. 89ss. Anche nel caso dell’arbitrato
societario, dunque, prevale la visione di una posizione contrattuale complessa, tale per cui non risultano, ad esempio, regolate puntualmente alcune vicende successorie come quella appena descritta dell’erede che non subentra nella società di persone, ma vanta un diritto di credito per la liquidazione della quota, dando così luogo ad accesi dibattiti dottrinari sulla vincolatività del patto compromissorio: si veda a tal proposito, S. A. CERRATO, Il ruolo dell’autonomia privata nell’arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, p. 223ss, e spec. nota n. 15.
Un esempio diverso di soggetto che si ritiene vincolato alla clausola compromissoria statutaria, pur non assumendo la qualità di socio, è l’usufruttuario della quota sociale, laddove non si può però parlare di successione in senso tecnico, ma sicuramente di estraneità del terzo alla compagine sociale. Per questi ed altri profili, si rinvia a G. DE NOVA, Controversie societarie: arbitrato societario o
arbitrato di diritto comune, in Contratti, 2004, p. 846ss; A. F. FERRI, Limiti
oggettivi della cognizione arbitrale e questioni pregiudiziali di merito non compromettibili, in Riv. arb., 2004, p. 786.
93
La disciplina dell’arbitrato societario, benché precedente, si pone infatti come legge speciale rispetto alla riforma organica dell’arbitrato di diritto comune del 2006, poiché pur essendo particolarmente ampia e innovatrice, non regola ogni aspetto del procedimento arbitrale, per cui vi sono vari settori (capacità e obblighi degli arbitri, la cui nomina è rimessa al terzo, termini e modalità di emissione del lodo, impugnazione ed esecutività) che sono disciplinati esclusivamente dal Codice
Infatti, se al momento dell’introduzione nell’ordinamento della
predetta disposizione, questa costituiva una novità nel panorama
normativo e nella stessa concezione dell’arbitrato come procedimento
“chiuso”, la riforma del 2006, e l’articolo 816-quinquies c.p.c., in
particolare, hanno regolato puntualmente la partecipazione dei terzi al
giudizio, per cui la disciplina dell’arbitrato societario deroga a quella
generale, ma è da essa integrata nel silenzio della legge
94.
Ne consegue, che in caso di successione a titolo particolare nel
diritto controverso in materia societaria dovrà applicarsi l’articolo 111
c.p.c., ma per la partecipazione dell’avente causa si terrà altresì conto
della disciplina ad hoc prevista per l’arbitrato societario, nella quale
non è richiesto alcun tipo di consenso.
In questo procedimento, infatti, sia per l’intervento volontario
del socio o del terzo estraneo alla clausola compromissoria
statutaria
95, sia per la chiamata in giudizio di coloro i quali sono
di Procedura Civile, mentre altri, come appunto l’intervento e la partecipazione dei terzi, in cui si deve parlare di disciplina concorrente (si veda a proposito del rapporto
species ad genum L. BOGGIO, Le clausole compromissorie statutarie, alla luce
dell’art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003, in Riv. arb., 2005, p. 202ss.
94 In tal senso, M. BOVE, L’arbitrato societario tra disciplina speciale e
(nuova) disciplina di diritto comune, in Riv. dir. proc., 2008, p. 931ss, e spec. p.
945, che correttamente riconosce che «ove nulla di speciale sia esplicitamente previsto, all’arbitrato societario si applica la disciplina di diritto comune. Questo vale in parte in riferimento alla disciplina del litisconsorzio necessario e certamente in riferimento all’applicazione dell’art. 111 c.p.c.». Con riferimento al litisconsorzio necessario, l’Autore osserva che rispetto alla disciplina ordinaria, la differenza risiede nella formazione del collegio, che essendo demandata ad un terzo consente di assicurare il simultaneus processus, laddove tutti i litisconsorti sono partecipi anche del patto compromissorio. Nell’arbitrato comune, invece, l’inosservanza dei precetti di cui all’articolo 816-quater c.p.c. rende l’arbitrato improcedibile.
95 Ai sensi del secondo comma dell’articolo 35 del D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, «nel procedimento arbitrale promosso a seguito della clausola compromissoria di cui all’articolo 34, l’intervento di terzi a norma dell’articolo 105 del codice di procedura civile nonché l’intervento di altri soci a norma degli articoli 106 e 107 dello stesso codice è ammesso fino alla prima udienza di trattazione». La genericità di tale formulazione ha indotto la dottrina a dividersi sull’ammissibilità di un tale intervento da parte dei soli soci, dei soggetti vincolati alla clausola statutaria ovvero di qualunque terzo.
Se non vi sono ovviamente difficoltà ad ammettere l’ingresso del soggetto socio originariamente estraneo alla controversia (cfr. F. AULETTA, Dell’arbitrato, in
soggetti alla convenzione arbitrale societaria
96, anche su ordine degli
arbitri
97, non è necessario l’accordo delle parti o del collegio.
Come si avrà modo di spiegare meglio nel successivo Capitolo,
l’intervento del successore a titolo particolare nel diritto controverso è
B. SASSANI (a cura di), La riforma delle società. Il processo, Torino, 2003, p. 336ss), l’orientamento maggioritario è certamente orientato a favore dell’intervento, senza alcun consenso preventivo, anche di tutti coloro i quali sono soggetti alla medesima convenzione arbitrale, quindi certamente della società, dei sindaci e degli amministratori, nonché di eventuali soggetti non soci (si veda F. P. LUISO, Appunti
sull’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, p. 706ss), e di qualunque soggetto,
anche estraneo alla clausola statutaria, titolare di una posizione soggettiva connessa o dipendente da quella dedotta in giudizio (in tal senso, F. CARPI, Profili
dell’arbitrato in materia societaria, in Riv. arb., 2003, p. 411ss; E. F. RICCI, Il
nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, p. 517ss; F.
SANTAGADA, Arbitrato e conciliazione, in E. D’ALESSANDRO -M. GIORGETTI -F. SANTAGADA - M. A. ZUMPANO, Il nuovo processo societario, Milano, 2006, p. 251ss, e spec. p. 283; M. GRADI, L’intervento volontario e la chiamata in causa dei
terzi nel processo arbitrale, op. cit., p. 300-301; P. BIAVATI, Articolo 35. Disciplina
inderogabile del procedimento arbitrale, op. cit., p. 154ss). La dottrina minoritaria,
invece, ritiene che nel caso di terzi estranei alla clausola vi sia comunque necessità di un consenso dei compromittenti in caso di intervento innovativo, altrimenti coloro i quali intendono partecipare al procedimento dovranno limitarsi ad intervenire ad
adiuvandum: così G. RUFFINI, La riforma dell’arbitrato societario, in Corr. giur., 2003, p. 1524ss; M. BOVE, La giustizia privata, op. cit., p. 343ss.
96 Salvo il caso del litisconsorte necessario pretermesso, l’intervento coatto dovrebbe intendersi limitato ai soli soggetti vincolati dalla convenzione arbitrale, benché anche in tal caso, la dottrina si è divisa tra colo i quali ritengono che la chiamata senza bisogno di alcun consenso delle parti o degli arbitri sia soltanto quella nei confronti dei soci (mentre il consenso sarebbe necessario per i soggetti estranei alla clausola, secondo P. BIAVATI, Il procedimento nell’arbitrato societario, in Riv. arb., 2003, p. 27ss; G. TARZIA, L’intervento dei terzi nell’arbitrato
societario, in Riv. dir. proc., 2003, p. 349ss, e spec. p. 355), e chi la ammetta anche
in riferimento alla società, agli organi sociali ed ai liquidatori. Appunto nel caso di necessaria integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’articolo 102 c.p.c., invece, dovrebbe essere disciplinata dal secondo comma dell’articolo 816-quinquies c.p.c., per cui tale intervento è sempre ammesso, senza bisogno di alcun consenso.
97 Per quanto riguarda l’intervento iussu arbitrorum è certamente consentito per espressa previsione normativa l’ordine di chiamata in giudizio degli altri soci, mentre si deve ritenere escluso tale potere nei confronti dei soggetti estranei alla clausola compromissoria. Il problema anche in tal caso sorge intorno alla necessità del consenso, laddove la disciplina di diritto comune lo prevede senza distinguere tra i terzi chiamati in causa, a maggior ragione se si tratta di eventuali soggetti terzi rispetto anche alla convenzione arbitrale, che si troverebbero dunque chiamati in un giudizio da loro non scelto. Altra questione, attesa la libertà delle forme della chiamata, attiene l’inottemperanza di tale ordine, per cui si rinvia alle riflessioni di da F. GENNARI, L’arbitrato societario, op. cit., p. 148ss, il quale propende per la possibilità di giungere comunque ad una pronuncia di merito vincolante per le parti e la società, ferma comunque la facoltà di rinunciare al mandato, piuttosto che ritenere necessaria una chiusura del giudizio in rito per improcedibilità.