2.2. L’ermeneutica del valore nel giudizio arbitrale della successione a
2.2.1. La teoria dell’irrilevanza nel giudizio arbitrale
Da un punto di vista storico, la prima delle due teorie ad essere
stata formulata è la cd. Irrelevanztheorie
46, egida sotto la quale si è
soliti ricondurre ogni interpretazione dell’articolo 111 c.p.c., tale per
46 Per un approfondimento circa le teorie della “irrilevanza” e della “rilevanza”, si rinvia allo studio di P. WIDMANN, op. cit., p. 81ss, laddove si dà peraltro atto che la prima delle due ad essere cronologicamente formulata dalla dottrina tedesca è appunto la Irrelevanztheorie, il cui primo teorizzatore è storicamente individuato in Ludwig Gaupp. Quest’ultimo sosteneva che il fenomeno successorio fosse totalmente ininfluente sulla prosecuzione e sulle sorti del giudizio, sia dal punto di vista soggettivo (attesa la continuazione del processo tra le parti originarie, come espressamente disposto dal § 265 dello ZPO), sia dal punto di visto dell’efficacia della decisione (poiché il terzo acquirente avrebbe subito gli effetti della sentenza come qualunque avente causa). L’Autrice dà atto altresì delle diverse correnti interpretative che si sono formate per “giustificare” l’irrilevanza processuale dell’alienazione della res litigiosa: secondo un primo orientamento che favoriva una lettura sistematica, sarebbe stato sufficiente anticipare il riferimento temporale della decisione; altra dottrina propugnava invece un’interpretazione letterale della norma, tale per cui non ci si poteva semplicemente discostare dal dato normativo ai sensi del quale «l’alienazione o la cessione non produce alcune effetto sul processo». Sul primo orientamento, è opportuno evidenziare che la dottrina tedesca stesse così di fatto suggerendo una deroga al principio secondo il quale la pronuncia è assunta con riferimento alla situazione giuridica esistente al momento della decisione. Ebbene, a tali letture meramente processuali, si accostarono delle soluzioni più attente agli effetti del fenomeno successorio dal punto di vista sostanziale, sicché l’ininfluenza dell’alienazione della res litigiosa risiederebbe nella circostanza per cui la decisione avrebbe comunque efficacia riflessa nei confronti del terzo avente causa. Addirittura, l’ambito soggettivo della cosa giudicata in tal caso si estenderebbe sia nei confronti del dante causa, quale parte processuale del giudizio, sia al successore a titolo particolare nel diritto controverso, potendo il primo eccepire l’alienazione della res litigiosa nei confronti del creditore che agisse in via esecutiva. Proprio sulla questione delle eccezioni opponibili al creditore, a seconda dell’adesione all’una (processuale) ovvero all’altra (sostanziale) corrente interpretativa sorta sul presupposto dell’irrilevanza del fenomeno successorio nel giudizio, si è secondo l’Autrice principalmente interrogata la dottrina tedesca, senza però giungere ad un’univoca posizione all’interno della predetta teoria.
cui l’evento traslativo del diritto oggetto della controversia non incide
sul contenuto della decisione.
Secondo la “teoria dell’irrilevanza”, infatti, quand’anche in
pendenza della lite fosse sopraggiunto un fenomeno successorio della
res litigiosa, e questo fosse stato dedotto nel corso del giudizio,
l’organo giudicante ben potrebbe restarne indifferente, dovendo
decidere con esclusivo riferimento al rapporto originario
47.
Una simile visione consentirebbe di superare qualsiasi questione
relativa alla legittimazione ad agire del dante causa che trasferisce il
diritto controverso: se l’alienazione della res litigiosa è appunto
“irrilevante” con riferimento all’oggetto del giudizio, dedurre
l’eventuale fenomeno successorio
48nel corso dello stesso, non
potrebbe comportare in alcun modo il rigetto della domanda per
47
Il giudizio dovrebbe essere dunque condotto al fine di comporre la controversia sorta fra il dante causa e la controparte, i quali potrebbero eccepire all’avversario fatti impeditivi, estintivi o modificativi diversi da quelli legati al fenomeno successorio, salvo che il successore non abbia spiegato il proprio intervento nel procedimento. In altre parole, secondo tale teoria, il procedimento proseguirebbe avendo come fulcro esclusivo l’oggetto originario e gli effetti si rifletterebbero sull’avente causa rimasto estraneo al giudizio soltanto al passaggio in giudicato della decisione e, dunque, al venir meno della litispendenza. In tal senso, il principale sostenitore di tale teoria è stato A.ATTARDI,Diritto processuale civile,
Padova,1999, p. 328ss, e spec. p. 339, che ha correttamente individuato nell’istituto della sostituzione processuale il vulnus con cui la “teoria dell’irrilevanza” si scontra principalmente, laddove l’alienazione della res litigiosa non è sufficiente di per sé a legittimare la circostanza per cui il dante causa agirebbe nel giudizio in qualità di sostituto processuale, in quanto ciò non modifica la posizione dell’alienante.
48 Secondo G. VERDE, Profili del processo civile, IV ed., Napoli, 2008, p. 206ss, in realtà, è assolutamente indifferente che la vicenda successoria sia dedotta o meno nel corso del giudizio, laddove vi sarebbe, contestualmente all’alienazione della res litigiosa, un’automatica estensione della domanda nei confronti dell’avente causa, il quale potrebbe dunque valutare l’opportunità di intervenire nel procedimento a prescindere dal fatto che nello stesso sia data notizia del trasferimento del diritto controverso. Di diverso avviso risulta A. LORENZETTO
PESERICO, op. cit., p. 262ss, secondo la quale la deduzione in giudizio del fenomeno successorio è necessaria per l’alienante al fine della propria permanenza processuale, risultando altrimenti privo della necessaria legittimazione ad agire: tale visione è condivisibile nella misura in cui, diversamente da quanto ritenuto dalla maggior parte dei sostenitori della “teoria dell’irrilevanza”, per cui in tali casi si verserebbe in un’ipotesi particolare di sostituzione processuale (vedi infra).
difetto di titolarità dell’attore
49.
Il procedimento che prosegue tra le parti originarie e, dunque,
nei confronti del dante causa, sia che il fenomeno successorio si
realizzi dal lato attivo o passivo
50, che senza pregiudizio del soggetto
non interessato dal trasferimento
51, costituirebbe al più, secondo la
49 Ciò deriverebbe dal fatto che l’alienante prosegue l’originario giudizio in qualità di sostituto processuale dell’acquirente, tesi accolta dalla più risalente dottrina sul punto. A tal proposito, osserva ad esempio V. ANDRIOLI, Diritto
processuale civile, vol. I, Napoli, 1979, p. 582ss, che la successione a titolo
particolare nel diritto controverso non fa venire meno la qualità di parte del dante causa, al quale non può essere opposto un difetto di legitimatio ad causam. L’Autore, peraltro, pur sostenendo la teoria della sostituzione processuale, dà atto delle diverse posizioni dottrinarie che, in virtù della “irrilevanza” rispetto al giudizio dell’avvenuta alienazione della res litigiosa, ritengono che il dante causa mantenga in ogni caso la propria qualità di parte processuale: un primo orientamento, che trovava il principale esponente in F.CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale
civile, Padova, 1939, p. 451ss, riteneva che, attesa l’identità tra i diritti dell’alienante
e dell’avente causa teorizzata per primo da G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto
processuale civile, Napoli, 1936, p. 154ss, in caso di successione a titolo particolare
in pendenza del procedimento si versasse in un’ipotesi di perpetuatio legitimationis tale per cui sarebbe sufficiente non tenere conto del fenomeno successorio e ricondurre la questione ai principi degli effetti sostanziali della domanda; un secondo orientamento, invece, separava completamente il tema della qualità di parte processuale dal piano sostanziale, l’unico sul quale si dispiegavano gli effetti della successione, per cui era sufficiente ricollegare la questione ai limiti soggettivi dell’efficacia della decisione: a tal proposito, vedi S.SATTA, Commentario al codice
di procedura civile, Milano, 1971, p. 416ss.
50 In realtà, seppur a conclusioni simili, i casi di trasferimento dal lato attivo ovvero passivo del diritto controverso, come nel caso in cui ciò avvenga per atto tra vivi ovvero a causa di morte, andrebbero considerati separatamente. Di avviso diverso è stato uno dei principali sostenitori della “teoria dell’irrilevanza”, ossia A. ATTARDI, op. cit., p. 331, il quale osserva, con riferimento alla successione dal lato
attivo per atto tra vivi, che non basterebbe il trasferimento del diritto controverso a far ritenere l’attore privo della legitimatio ad causam perché non più titolare della
res litigiosa. E ciò escluderebbe dunque ogni possibile rischio di rigetto dell’attore
medesimo dal punto di vista processuale, dovendosi al contrario esaminare la pretesa nel merito, come se appunto il fenomeno successorio non fosse avvenuto. Parimenti, secondo l’Autore, in caso di successione a titolo particolare a causa di morte, non vi sarebbe alcuna incidenza sulla posizione processuale dell’avente causa, che agirebbe come sostituto processuale del de cuius. Su quest’ultimo passaggio interpretativo si è dimostrata scettica R. MURONI, La successione nella res litigiosa, op. cit., secondo la quale una volta interrotto il processo alla luce della morte del dante causa, non sarebbe possibile parlare di prosecuzione tra le parti originarie tout court. Piuttosto, all’esito della riassunzione, l’erede agisce in qualità di legittimato ordinario e, laddove vi fosse un legato di specie, l’avente causa potrebbe intervenire in sostituzione del primo e non del de cuius.
51
In realtà, sostiene E.ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1992, p. 167ss, che la “teoria dell’irrilevanza” troverebbe un favore maggiore con
“teoria dell’irrilevanza”, un’ipotesi particolare di sostituzione
processuale
52.
riferimento alla parte, tra le due, non interessata direttamente dal trasferimento della
res litigiosa, la quale potrebbe sempre valersi dell’alienazione, deducendola in
giudizio, e non solo nella fase esecutiva della decisione nei confronti del successore. A sostegno di tale visione, non del tutto condivisibile perché eccessivamente restrittiva, l’Autore riporta l’esempio pratico del debitore, laddove la successione però avvenga dal lato attivo del credito, il quale potrebbe dedurre il trasferimento del diritto controverso della controparte al fine di poter eccepire il proprio rapporto personale, e l’eventuale controcredito, con l’avente causa.
52 La necessità di specificare che la sostituzione sia di carattere meramente processuale pare doverosa se si considera che la gran parte della dottrina, per non escludere tout court l’istituto della sostituzione, ha ricondotto il fenomeno sul piano sostanziale, specialmente con riferimento alla successione a titolo particolare nel diritto controverso. In tal senso, negli anni, si sono espressi dapprima G. CHIOVENDA, Istituzioni, op. cit., p. 230, il quale considerava tale ipotesi di sostituzione il necessario artificio processuale per sostenere la coincidenza tra il diritto, e dunque la posizione processuale, dell’alienante e del successore a titolo particolare. Pur ravvisando in tale visione un’intrinseca contraddittorietà, si pose sullo stesso solco anche E.GARBAGNATI, La sostituzione processuale, Milano, 1942, p. 3ss. L’Autore ritiene che vi sia sul piano sostanziale una relazione tale per cui il sostituito è sì il titolare del diritto, ma il sostituto avendone avuto il potere di disporre, ben potrebbe spiegarne quello di azione. In realtà, la propensione sostanziale rende arduo comprendere la collocazione dell’istituto della sostituzione processuale nell’ambito della legitimatio ad causam, per cui risulta così incerta la qualificazione della natura giuridica dei poteri del sostituto.
Seppur non condividendo la “teoria dell’irrilevanza” nella sua interezza, al tema della sostituzione processuale, in senso prettamente sostanziale, si è più recentemente interessato anche F. P. LUISO, voce Successione nel processo, in
Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1988, il quale ha ricondotto la rilevanza
della questione esclusivamente agli effetti della decisione. In vero, secondo quest’ultimo, quand’anche si volesse ammettere la tesi della sostituzione processuale, poiché la stessa si spiegherebbe dal punto di vista sostanziale con l’estensione degli effetti al successore a titolo particolare, il quale sarebbe comunque soggetto all’efficacia riflessa della decisione, non vi sarebbe necessità di ricorrere alla fictio iuris, sostenuta da molti fautori della “teoria dell’irrilevanza”, della retrodatazione della situazione giuridica rilevante per la decisione ad una fase anteriore all’alienazione della res litgiosa, essendo sufficiente il richiamo ai principi generali del processo e prescindendo dalla questione dei poteri effettivamente riconosciuti all’alienante.
Sempre di sostituzione più sostanziale che processuale parla anche G.VERDE,
op. ult. cit., il quale però anziché concentrarsi sugli effetti della decisione, pone
l’accento sulla domanda che, estendendosi come si è detto automaticamente nei confronti del successore, escluderebbe quindi che la sostituzione possa avvenire dal lato passivo, per cui il convenuto non potrà mai essere considerato un sostituto processuale, salvo nei casi espressamente previsti dalla legge, quali l’estromissione del garantito ovvero del dante causa e nel caso di successione a causa di morte. Lo stesso Autore, poi, distingue dei casi diversi per la posizione del sostituto processuale, così riassumibili: i) se la successione non è stata dedotta, la parte originaria conserva tutti i poteri sostanziali e processuali (ivi compresi la
In altre parole, il dante causa parteciperebbe al giudizio in
qualità di legittimato straordinario dell’effettivo titolare del diritto
controverso, il quale potrebbe sempre intervenire nel giudizio in
corso
53, senza che ciò influisca sull’oggetto del procedimento, la cui
decisione spiegherà comunque i propri effetti nei confronti del
successore.
Così delineata la “teoria dell’irrilevanza”, la stessa deve essere
adattata al procedimento arbitrale.
Se da un lato, come visto, nel contesto normativo antecedente
l’introduzione dell’articolo 816-quinquies c.p.c., l’applicabilità della
disciplina prevista dall’articolo 111 c.p.c. in materia arbitrale era
questione già di per sé dibattuta
54, dall’altro lato, aderire all’una
ovvero all’altra teoria, sull’incidenza effettiva del fenomeno
successorio nel procedimento, costitutiva uno dei principali elementi
dedotti a favore dell’ammissione o meno della descritta estensione
55.
confessione e il giuramento); ii) se la successione è allegata, ma l’avente causa non è chiamato nel processo, il dante causa conserva i propri poteri con esclusione di quelli strettamente legati alla titolarità del diritto; iii) in caso di intervento senza estromissione, si verterebbe in un’ipotesi di litisconsorzio necessario; iv) soltanto laddove il dante causa fosse estromesso perderebbe la qualità di parte processuale.
53 Sulle modalità di intervento, si tratterà l’argomento amplius nel Capitolo III, Paragrafo 1.3., ma in questa sede è opportuno anticipare che, a prescindere dall’adesione alla “teoria dell’irrilevanza” ovvero di quella opposta, il successore interverrebbe nel procedimento quale parte principale, o meglio nella posizione del proprio dante causa, che diverrebbe così parte adesiva, potendo altresì chiedere la propria estromissione.
54
Si è già dato atto del fatto che prima dell’introduzione dell’articolo
816-quinquies c.p.c., non solo vi era una discussione sull’applicabilità del regime di cui
all’articolo 111 c.p.c. all’arbitrato, ma anche se tale norma potesse essere estesa nella sua interezza in un procedimento stragiudiziale, con riferimento principalmente agli ostacoli riscontrati dalla dottrina nella natura del giudizio (privatistico nel caso dell’arbitrato, per cui vincolato dalle regole sul contratto, anche con riguardo ai poteri degli arbitri), nella facoltà di intervento del successore (quale parte ovvero quale terzo) e nell’efficacia ultra partes del lodo. Parimenti, si è anticipato che l’evoluzione normativa dell’istituto arbitrale ha offerto progressivamente elementi utili a superare le riserve espresse dagli studiosi, prevedendo dapprima (1994) la trascrivibilità della domanda di arbitrato e poi (2006) una disciplina ad hoc per l’intervento dei terzi, oltre che della materia de qua.
55
Di tale condivisibile avviso è, ad esempio, in maniera espressa C. CAVALLINI, L’alienazione della res litigiosa nell’arbitrato, in Riv. dir. proc., 1997,
In vero, risulta financo intuitivo prevedere come coloro i quali
ritenessero “irrilevante” l’alienazione della res litigiosa su un piano
processuale, non avrebbero avuto difficoltà ad ammettere, seppur in
assenza di un precipuo dato normativo, che l’articolo 111 c.p.c.
trovasse applicazione anche nei procedimenti arbitrali. Per contro, chi
attribuiva “rilevanza” processuale, oltre che sostanziale, al fenomeno
successorio
56, era cauto nel sostenere l’estensione della disciplina
generale dell’alienazione della res litigiosa alla materia arbitrale.
La questione non può essere però ridotta e semplificata in tali
termini, poiché entrambe le teorie non risultano dirimenti
nell’escludere ovvero avvalorare l’applicazione tout court dell’articolo
111 c.p.c. nell’arbitrato.
In particolare, la “teoria dell’irrilevanza” non supera in modo
efficace e univoco le problematiche scaturenti dalla successione a
titolo particolare nel diritto controverso, ed in particolare le questioni
attinenti l’estensione soggettiva del patto compromissorio
57e
p. 160, e spec. nota 21, il quale riassume la “teoria della rilevanza” nell’importanza dell’atto disposizione nel processo e fuori di esso, e la “teoria dell’irrilevanza” nella negazione di qualsivoglia rilevanza nel processo della vicenda successoria fino al passaggio in giudicato della decisione. L’Autore osserva che «a rigore di metodo, l’indagine proposta [i.e. l’applicabilità dell’articolo 111 c.p.c. nell’arbitrato] non può e non deve muoversi dall’aprioristica applicazione di una delle due teorie succintamente riferite al processo arbitrale, qualsivoglia di esse si ritenga maggiormente plausibile nel processo ordinario».
56 Entrambe le teorie, è opportuno sottolinearlo, muovono dal medesimo assunto per cui l’alienazione della res litigiosa abbia anzitutto una dirompente importanza di carattere sostanziale, laddove vi è un mutamento della titolarità del diritto controverso. Anticipando quanto si dirà nel successivo Paragrafo, in merito alla cd. “teoria della rilevanza”, quest’ultima ritiene inscindibili il piano sostanziale e quello processuale e, pur ammettendo la continuazione del procedimento tra le parti originarie, si preoccupa di fornire gli opportuni correttivi processuali per giustificare la deroga ai limiti soggettivi della cosa giudicata.
57 La peculiare difficoltà in merito all’applicabilità di quanto previsto dall’articolo 111 c.p.c. in materia arbitrale risiede infatti nella circostanza, non riscontrabile come ovvio nel giudizio ordinario, per cui vi dovrebbe essere un’assoluta identità tra i soggetti sottoscrittori dell’accordo compromissorio, sia essa una clausola di tal guisa, ovvero una convenzione d’arbitrato, e coloro i quali subiranno la decisione degli arbitri, storicamente ricondotta al fenomeno della giustizia privata, rectius alla natura contrattuale del lodo. A tal proposito, osserva C.
l’efficacia ultra partes del lodo.
Rispetto al primo tema, la visione potrebbe così riassumersi:
pendente il giudizio arbitrale
58, il sopraggiunto fenomeno successorio
solleverebbe un problema di perpetuatio legitimationis dell’alienante
e di ampliamento soggettivo del compromesso all’avente causa, il
quale subirebbe comunque l’efficacia riflessa della decisione.
Accedendo alla “teoria dell’irrilevanza”, laddove secondo i suoi
sostenitori sarebbe esclusa ogni modifica dell’oggetto del giudizio,
propugnare un’estensione dell’ambito soggettivo del compromesso
non avrebbe comunque ragion d’essere, in quanto non sarebbero
ammissibili nuove ed ulteriori domande agli arbitri da parte del
successore.
Se quest’ultimo decidesse di intervenire, ciò avverrebbe come
detto in qualità di sostituito processuale
59, ma senza pregiudicare la
CECCHELLA, op. cit., p. 100ss, che l’alienazione inter vivos del rapporto controverso e dedotto dinanzi al collegio arbitrale, determinerebbe un’espansione dell’ambito soggettivo del patto compromissorio, in quanto risulterebbe ampliata la sfera di incidenza oltre coloro che hanno sottoscritto la clausola di devoluzione della lite in arbitri. Tale espansione sarebbe determinata appunto dall’ingresso del successore nel patto predetto, quale effetto riflesso del mutato rapporto sostanziale. Si precisa che l’espansione del patto compromissorio è stata una tesi sostenuta per far fronte alla posizione della giurisprudenza, la quale espressamente ha escluso la sottoscrizione di un nuovo patto compromissorio in pendenza del giudizio arbitrale: in tal senso, cfr. Cass. Civ., 21 luglio 1979, n. 4380, in Foro it., 1979, p. 888.
58 Si è già dato atto al superiore Paragrafo 2.1. delle difficoltà, specie nella disciplina antecedente alla riforma del 1994, di individuare con esattezza il momento in cui il procedimento arbitrale potessi ritenere pendente e, dunque, di come ciò non consentisse un’univoca trattazione del tema dell’alienazione del diritto controverso
pendente arbitratu. Ciò dimostra come la questione sull’applicabilità dell’articolo
111 c.p.c. all’arbitrato sia strettamente connessa alla possibilità di trascrivere la domanda arbitrale, ma come tale facoltà non abbia permesso di superare da sola le difficoltà ostative all’estensione della disciplina generale. Sul punto si è registrata anche l’ondivaga posizione della giurisprudenza: cfr. in tal senso Cass. Civ., Sez. I, 21 luglio 2004, n. 13516, con nota di R.MURONI, La litispendenza arbitrale prima e
dopo la novella del 1994: rapporto processuale e rapporto negoziale parti-arbitri,
in Corr. giur., 2005, p. 655ss.
59 In realtà, il principale sostenitore dell’applicabilità nel giudizio arbitrale della “teoria dell’irrilevanza”, escludeva con forza il ricorso all’istituto della sostituzione processuale in ambito stragiudiziale. Secondo, C. CAVALLINI, op. ult.
cit., p. 162ss, se da un lato ammettere la legittimazione del successore a proseguire il