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La disciplina prudenziale sul capitale delle banche è stata prevista nel 1988 dal comitato di Basilea. Per i paesi dell’Unione Europea, la disciplina è confluita nella direttiva comunitaria 89/299/Cee.50

Prima del 1988 le autorità di vigilanza delle economie più evolute avevano già iniziato a utilizzare sulle banche forme di controllo basate sulla relazione tra capitale e rischio e, quindi, non più basate sull’autorizzazione all’espletamento di singole attività, riconoscendo così agli intermediari spazi di discrezionalità decisionale nel rispetto di specifici requisiti patrimoniali prestabiliti.

In più, lo svilupparsi dei mercati e degli scambi internazionali ha reso sempre più forte la necessità di avere regole omogenee almeno per gli intermediari operanti sui mercati internazionali, per evitare di incorrere in situazioni di disparità concorrenziale. Questo ha portato molti paesi a ridurre progressivamente il grado di capitalizzazione dei sistemi bancari, in modo da poter essere più dinamici nel mercato.51

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La disciplina della direttiva comunitaria 89/299/Cee è stata poi incorporata dalla direttiva 2000/12/Ce.

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49 L’Accordo sul Capitale del 1988 (Basilea 1), quindi, è stato previsto con l’intento di prevedere delle linee-guida che assicurassero una sana e corretta gestione da parte delle banche, soprattutto relativamente ai requisiti patrimoniali minimi, con lo scopo di limitare la condotta molto “aggressiva” di alcuni istituti di credito, i quali fino ad allora erano stati lasciati liberi di agire a causa del contesto normativo poco regolamentato. Gli obiettivi principali di Basilea 1 erano:

- restituire al capitale il ruolo centrale che gli spetta all’interno della vigilanza bancaria, riconoscendogli, dunque, il ruolo di parametro-chiave intorno al quale costruire l’impianto di controllo sugli intermediari;

- inserire delle regole in grado di favorire la solvibilità delle istituzioni bancarie, attraverso il legame diretto tra rischi assunti e dotazione di capitale;

- rafforzare la vigilanza su base consolidata.52

La regolamentazione di Basilea 1 introduceva, quindi, una definizione comune di patrimonio valida ai fini regolamentare (patrimonio di vigilanza), il quale doveva essere detenuto dagli intermediari nella misura minima dell’8% delle attività ponderate per il rischio di credito (Risk Weighted Assets - RWA). Tale rapporto (patrimonio di vigilanza/attivo ponderato al rischio>= 8%) è il coefficiente di solvibilità, il quale è divenuto con il tempo uno dei principali indicatori tenuti sottocontrollo da banche, autorità di vigilanza e operatori vari del mercato grazie al valore predittivo che gli era stato attribuito.

Ma cosa si intende per Patrimonio di Vigilanza?

Il Patrimonio di Vigilanza è il capitale bancario previsto a fini prudenziali ed è ottenuto dalla somma algebrica di elementi positivi e negativi, suddiviso al suo interno in due categorie a seconda della capacità di queste di assorbire le perdite inattese. Queste due componenti erano il capitale di base, o Tier 1, e il capitale supplementare, Tier 2. Il Tier 2 era ammesso solo nella misura massima del 50% del capitale complessivo.

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F. Cannata, “Il metodo dei rating interni. Basilea 2 e il rischio di credito: le nuove regole e la loro

50 Nel capitale di base, Tier 1, era possibile imputare solo il capitale di prima qualità, ossia il capitale già versato, le riserve libere e alcuni strumenti ibridi di capitale.53

Nel capitale supplementare (Tier 2) era, invece, possibile imputare le riserve da rivalutazione, i fondi rischi, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione.

Dalla somma di queste due componenti dovevano però essere dedotte alcune voci dell’attivo, quali le partecipazioni.

Alle prime due tipologie di capitale, nel 1996 in occasione dell’introduzione della disciplina a fini prudenziali prevista per i rischi di mercato, venne introdotto il capitale di terzo livello, ossia il Tier 3, il quale era costituito fondamentalmente dai prestiti a breve termine ed era, appunto, una componente prevista a copertura del solo rischio di mercato.

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Gli strumenti ibridi erano fondamentalmente degli strumenti che avevano caratteristiche comuni sia alle azioni sia ai titoli di debito. Tali strumenti ibridi dovevano avere, almeno formalmente, dei requisiti esplicitamente richiesti dalla regolamentazione al fine di poter essere imputati al patrimonio di vigilanza. In ogni caso si prevedeva che essi potessero essere imputati all’interno del capitale di classe primaria solo nella misura massima del 15% dello stesso.

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Figura 2.1 - Il patrimonio di vigilanza in Basilea 1.

Schema preso da F. Cannata, “Il metodo dei rating interni. Basilea 2 e il rischio di credito: le nuove regole e la loro attuazione in Italia”, 2009, pag. 44.

Dopo aver individuato il patrimonio di vigilanza è doveroso, a parer mio, soffermare brevemente l’analisi anche sul denominatore del coefficiente di solvibilità (Risk Asset Ratio), ossia sulle attività bancarie ponderate per il rischio di credito.

La disciplina prevedeva, quindi, la suddivisione delle attività a rischio in diverse categorie, soprattutto in base alla natura della controparte e all’area geografica di appartenenza di quest’ultimo.

TIER 1

Upper Tier 1 Capitale versato/ azioni ordinarie Riserve palesi

TIER 2

Strumenti innovativi di capitale Riserve palesi

Lower Tier 1

Upper Tier 2 Riserve occulte;

Riserve di rivalutazione;

Accantonamento fondi generali per rischi su crediti;

Strumenti ibridi di patrimonializzazione.

Lower Tier 2 Prestiti subordinati ordinari

TIER 3 Prestiti subordinati a breve scadenza

DEDUZIONI Avviamento;

Investimento in banche e società finanziarie e non oggetto di conferimento;

Partecipazioni al capitale di banche e società finanziarie.

52 Le classi di ponderazione e, quindi, i rispettivi coefficienti, erano quattro:

- 0% per contante e valori assimilati, come crediti verso Banche Centrali e titoli di Stato emessi da governi dei paesi Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico);

- 20% crediti verso banche di paesi Ocse;

- 50% mutui integralmente assistiti da garanzia ipotecaria su immobili residenziali;

- 100% crediti verso imprese private; partecipazioni in imprese private, impianti e altri investimenti fissi.

Questi coefficienti servono per ponderare ciascun attivo bancario e determinare così il valore ponderato da imputare alla stima dell’indice di solvibilità.

Inoltre, ricordiamo che la disciplina riconosce la possibilità di ridurre l’assorbimento di capitale a copertura del rischio mediante il ricorso a garanzie reali o personali di qualità elevata.

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