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2.8 Il processo normativo italiano

2.8.2 I portafogli di attività

Per poter utilizzare la metodologia avanzata è necessario dividere le attività in portafogli regolamentari diversi, ossia è necessario all’interno del sistema IRB individuare delle “classi di attività” all’interno delle quali imputare i vari assets al fine di determinare il requisito patrimoniale.

All’interno di ogni classe, ovviamente, vi saranno controparti omogenee per profilo di rischio o per dimensione o ancora per forma tecnica del credito e ad ogni classe corrisponderanno specifici fattori di ponderazione o specifiche regole per la stima del rischio.

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Banca d’Italia, Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare n. 263, 27 dicembre 2006, Titolo II, Capitolo I, p. 50.

71 La disciplina prevede un’apposita segmentazione degli attivi di bilancio per il metodo IRB, la quale è prevista solo a fini regolamentari ed è simile, ma non uguale a quella prevista per il metodo standardizzato.77

Le classi di attività previste dalla disciplina per il modello IRB sono le seguenti: - esposizioni creditizie verso amministrazioni centrali e banche centrali; - esposizioni creditizie verso intermediari vigilati;

- esposizioni creditizie al dettaglio, suddivise in: esposizioni garantite da immobili residenziali, esposizioni rotative qualificate, altre esposizioni;

- esposizioni creditizie verso imprese, tra le quali i finanziamenti specializzati (specialised lending);

- esposizioni in strumento di capitale; - posizioni verso cartolarizzazioni; - altre attività.

2.8.3 I parametri di rischio

Basilea 2 prevede quattro diversi parametri di rischio e stabilisce che gli operatori che applicano il metodo IRB di base debbano determinare solo la probabilità di default (PD), mentre quelli che applicano il metodo avanzato devono determinare anche gli altri parametri di rischio contemplati dalla normativa: la perdita in caso di default (Loss Given Default- LGD), l’esposizione al momento del default (Exposure At Default- EAD) e, dove previsto, la scadenza (Maturity- M).

Dopo aver visto quali siano le definizioni attribuite a livello internazionale per i quattro parametri di rischio, è opportuno definire cosa si intenda a livello nazionale.

La disciplina prevista da Banca d’Italia, infatti, da un’esplicita definizione relativa a tali fattori e definisce:

- la probabilità di default (PD) come la “probabilità che un debitore passi allo stato di default entro un orizzonte temporale di un anno ed esprime, quindi, il rischio di insolvenza della controparte”;

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La differenza nelle classificazioni usate per il metodo standardizzato e per quello avanzato deriva dalla maggiore complessità del metodo dei rating interni, ascrivibile all’operatività più complessa degli intermediari che presumibilmente adotteranno tale metodologia.

72 - la perdita in caso di insolvenza (LGD) come “il valore atteso del rapporto tra la

perdita causata del default e l’importo dell’esposizione al momento dell’insolvenza”, tale rapporto è espresso in termini percentuali;

- l’esposizione in caso di default (EAD) come “l’importo effettivo del prestito in caso di default”;

- la scadenza (M) come la “media, per una data esposizione, delle durate residue contrattuali dei pagamenti”.

Dopo questa piccolo excursus, ritengo opportuno soffermarmi su alcuni degli elementi ritenuti essenziali per la determinazione della perdita attesa.

- Probability of default

Per quanto riguarda la probability of default, essa viene stimata mediante una procedura che può essere divisa in due fasi, ossia l’assegnazione del rating e la quantificazione della Probabilità di Default.

La fase di assegnazione del rating consiste nell’attribuire un rating individuale rappresentativo del merito creditizio al singolo debitore. Ad ogni rating espresso corrisponde una specifica probabilità di insolvenza (PD).

Pertanto, in questa fase ciascuna controparte viene assegnata a una specifica classe di rating all’interno di una classificazione che esprime il rischio di insolvenza della controparte stessa.

Secondo le disposizioni di vigilanza tale classificazione deve comprendere almeno otto classi, le prime sette relative ai debitori in bonis e l’ultima relativa ai debitori in defaulted, la classificazione dovrà essere tale da evitare un’elevata concentrazione dei debitori presso un’unica classe. Ad ogni classe di merito creditizio viene, quindi, associata una PD che deve essere utilizzata per calcolare i requisiti patrimoniali.

Come viene associata la PD ad ogni singola classe?

La PD viene stabilita nella fase definita di quantificazione, durante la quale viene determinata la PD di una classe attraverso medie di lungo periodo dei tassi di default relativi a un orizzonte temporale annuale. La quantificazione può essere svolta ricorrendo a metodologie diverse, le quali possono essere anche combinate tra loro.

73 Tra le metodologie troviamo:

- il metodo dell’esperienza interna di default, il quale ricorre ai dati storici relativi alle frequenze d’inadempimento osservate tra i debitori di ciascuna classe di rating;

- il mapping, con il quale viene definita una correlazione tra il sistema di rating interno e la classificazione prevista da un’agenzia di rating e si assegna a ciascuna classe interna la PD calcolata dall’agenzia;

- il metodo dei “modelli statistici”, il quale individua la singola PD come la media semplice delle PD attribuite ai singoli debitori appartenenti a ogni classe tramite modelli statistici di previsione dei default.

Banca d’Italia, nelle Disposizioni di vigilanza, stabilisce che le banche nel momento in cui si accingono a stimare la PD devono porre adeguata attenzione a due elementi ritenuti significativi per la stima della stessa PD, ossia bisogna porre attenzione agli effetti derivanti dall’anzianità del credito (seasoning)78 e alle proprie dinamiche di rating, ossia all’evoluzione dei rating nel tempo al variare delle condizioni del ciclo economico. Nello specifico e in merito al seasoning, le banche devono apportare degli aggiustamenti alle stime in funzione degli effetti derivanti dall’anzianità, i quali servono per evitare forti oscillazioni del requisito patrimoniale derivanti dall’impiego di orizzonti temporali brevi per le stime di PD.

Con riferimento alle proprietà dinamiche dei rating e delle PD, le Disposizioni di vigilanza non prevedono indicazioni specifiche.

- Loss Given Default

La Loss Given Default (LGD) rappresenta la parte di esposizione che non potrà essere recuperata una volta avvenuta l’insolvenza, essa, quindi, non è nient’altro che il complemento del tasso di recupero (recovery rate - RR).

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La previsione esplicita effettuata da Banca d’Italia agli operatori di porre attenzione all’anzianità del credito deriva dal fatto che all’aumentare della durata dell’esposizione aumenta la probabilità di default. Infatti, alcune esposizioni al dettaglio a lungo termine sono caratterizzate nella prassi da un picco del numero di default vari anni dopo la concessione del prestito.

74 La LGD è uno dei fattori che riveste un ruolo cruciale all’interno del metodo IRB, poiché all’interno di questo metodo i requisiti patrimoniali hanno una relazione lineare con tale parametro e una sua sottostima, quindi, si riflette in modo diretto sul livello requisiti patrimoniali stesso.

La LGD viene determinata mediante un processo di stima nel quale l’obiettivo è quello di individuare i parametri che rilevano la rischiosità delle posizioni in bonis assegnando ad ognuna di esse una determinata percentuale di perdita.

La disciplina, in questo caso, prevede solo alcuni principi generali che devono essere applicati da ogni intermediario nella determinazione della LGD, ma non individua una metodologia specifica, pertanto, sarà il singolo intermediario, in base alla propria attività e al proprio portafoglio crediti, ad individuare quale sia il metodo più appropriato.

Tra le possibili metodologie di stima della LGD, vi sono quelle che fanno ricorso ad input numerici, che possono essere distinte in due categorie:

- metodologie esplicite, che si servono di una database che riporta i dati relativi a prestiti entrati in insolvenza;

- metodologie implicite, con le quali la LGD deriva da una misura delle perdite complessive, che riflettono sia la PD sia la LGD.

Le metodologie esplicite a loro volta possono fare riferimento a dati di mercato o a dati interni alle banche. Nel caso in cui si faccia riferimento ai dati di mercato si perviene alla cosiddetta LGD di mercato, con la quale la quota recuperabile è calcolato mediante dati derivanti direttamente dai prezzi di mercato dei titoli obbligazionari emessi da imprese insolventi. Questi prezzi, qualora si abbia un mercato secondario liquido, sono espressione delle aspettative degli investitori relativamente all’importo che verrà recuperato e ai tempi di recupero.

In Italia, però questa metodologia è pressoché inutilizzata e, pertanto, gli intermediari nazionali tendono ad utilizzare i dati interni derivanti da proprie esperienze di default, facendo, quindi, ricorso ai dati relativi ai recuperi effettivamente incassati successivamente al default, in questo caso la stime è definita come workout LGD.

La disciplina, ovviamente, ammette che l’analista possa apportare un certo grado di soggettività alla stima, ma al tempo stesso specifica che non sono “ammesse stime basate esclusivamente su valutazioni di carattere soggettivo” realizzate dagli analisti e non basate su elementi di natura oggettiva.

75 Data la rilevanza attribuita alla LGD nella determinazione della perdita inattesa e, quindi, del relativo requisito patrimoniale, ritengono opportuno approfondire la trattazione relativamente alla metodologia più utilizzata dalle banche italiane, ossia alla workout LGD, la cui determinazione avviene in due fasi:

- la prima fase riguarda la creazione di un database contenente dati relativi ai prestiti defaulted della banca. Il database raccoglie, per ciascuna esposizioni, i cash flow sia positivi, come le somme recuperate, sia negativi, come i costi diretti e indiretti connessi al recupero. I flussi di cassa vengono, quindi, attualizzati per pervenire ad una LGD ex post;79

- l’altra fase è costituita dall’attribuzione di una LGD stimata ex ante alle esposizioni in bonis tramite un modello che collega la LGD a delle variabili in grado di spiegarne l’entità (risk drivers).80

Le Disposizioni di vigilanza prevedono che i dati da inserire all’interno del database siano relativi alle sole esposizioni per le quali il processo di recupero è stato concluso. Inoltre, le informazioni archiviate devono essere tali da permettere una stima

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La scelta del tasso di attualizzazione dipende da: - le modalità di attualizzazione dei flussi;

- l’individuazione delle tipologie di tasso da utilizzare.

L’attualizzazione dei flussi di cassa avviene solitamente attraverso lo sconto dei singoli flussi passati. Il flusso totale recuperato, quindi, è dato dalla sommatoria dei flussi attualizzati:

Dove:

- RA è il recupero attualizzato;

- r sono i singoli recuperi ottenuti nei diversi periodi; - i è il tasso di attualizzazione;

- T la durata totale del periodo.

Per quanto riguarda tasso, possiamo avere diverse tipologie di tassi in base al momento temporale al quale si riferiscono (storici, correnti o prospettici) e tassi che contengono o meno un premio per il rischio (spread). La scelta del tasso dovrebbe dipendere dalla fonte del recupero.

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I risk drivers più rilevanti per la determinazione della LGD sono: 1. la forma tecnica dell’esposizione;

2. il grado di subordinazione rispetto ad altri creditori;

3. la presenza di attività retail o finanziarie a garanzia del creditore; 4. il livello di liquidità e di efficacia delle garanzie.

76 basata sul concetto di perdita economica la quale include, oltre ai flussi di recupero in senso stretto, anche gli interessi di mora incassati, i costi, diretti e indiretti, legati al processo e l’effetto dell’attualizzazione.

- Exposure at Default

La Exposure at Default (EAD) è l’esposizione effettiva al rischio, ossia rappresenta il valore delle attività di rischio, per cassa e fuori bilancio, al momento in cui si verifica il default.

- Serie storiche

Un altro requisito quantitativo relativo a tutti i parametri di rischio riguarda la disponibilità dei dati, o meglio la profondità delle serie storiche che le banche possono utilizzare per la stima delle singole componenti.

La Banca d’Italia, confermando quanto previsto nella direttiva, prevede nelle Disposizioni di vigilanza che le banche debbano utilizzare serie storiche sufficientemente profonde per assicurare l’affidabilità della stima. È espressamente previsto che la lunghezza della serie storica per la stima della PD debba essere almeno di due anni per i crediti Corporate, qualora si applichi il metodo IRB di base e per i crediti Retail, che aumenta poi di un anno ogni anno (periodo transitorio), fino a quando la serie storica non sia di almeno cinque anni; per il metodo IRB avanzato, invece, la lunghezza della serie deve essere almeno di cinque anni. Inoltre, in tutti e 3 i casi, qualora il periodo effettivo di osservazione sia più lungo, le banche devono utilizzare dati relativi a tutto il periodo di osservazione.

2.8.4 I requisiti organizzativi

I presidi organizzativi e di controllo che devono essere presenti presso ogni intermediario rivestono un ruolo centrale nei sistema di rating interni.

La disciplina nazionale di vigilanza individua tre “tipologie” di requisiti:

1) la prima è relativa alle principali caratteristiche che un sistema di rating deve possedere (documentazione del sistema di rating, completezza delle informazioni, replicabilità, integrità del processo di attribuzione del rating, omogeneità, univocità);

77 2) la seconda riguarda il ruolo che i rating interni rivestono all’interno dei processi

gestionali dell’intermediario (experience requirement e use test);

3) la terza, infine, riguarda le attività di controllo da effettuare sui sistemi di rating.

Per quanto riguarda le caratteristiche dei sistemi di rating, la disciplina nazionale impone agli intermediari di riportare per iscritto le caratteristiche della struttura del sistema di rating, gli aspetti metodologici dei sistemi stessi e le modalità mediante le quali viene assegnato il rating (requisito della documentazione).

La disciplina, inoltre, prevede che le controparti con lo stesso profilo di rischio siano assegnate alla stessa classe di rating, a prescindere dalla strutta organizzativa o dall’ubicazione geografica di chi assegna il rating (requisito della omogeneità) e garantisce che ad ogni debitore, nei confronti del quale una o più componenti del gruppo bancario abbiano un’esposizione, sia assegnato un unico rating (requisito dell’unicità).

Le banche devono dotarsi di processi interni idonei a garantire sia che l’analisi venga effettuata su tutti i dati disponibili sia che le informazioni utilizzate siano complete, rilevanti e attinenti (requisito della completezza). Tali processi, inoltre, devono essere in grado di conservare la traccia di tutte le scelte prese nel sistema di rating in modo da consentire ai soggetti interessati di valutare la correttezza e di ripercorrere l’iter, qualora fosse ritenuto necessario (requisito della replicabilità).

Altro requisito fondamentale è quello dell’integrità, previsto per assicurare che i rating siano assegnati o approvati da soggetti che non ottengono diretti benefici dalla concessione del credito. Pertanto, se, ad esempio, il soggetto preposto all’assegnazione del rating è inserito nel processo di valutazione e delibera del credito, gli intermediari devono garantire, da un lato, che la responsabilità della determinazione del rating non sia assegnata a chi abbia poteri deliberativi in materia di erogazione del credito e, dall’altro lato, devono garantire che il soggetto che effettua le valutazioni per attribuire il rating sia dotato di autonomia, ossia devono garantire che l’autonomia del soggetto non sia indebolita dalla sua appartenenza a una struttura organizzativa titolare di poteri di delibera del fido.

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2.8.5 I rating nell’ordinaria gestione

I sistemi di rating interni per la stima del rischio a fini prudenziali rappresentano una grande innovazione introdotta da Basilea 2, ma per poter ottenere l’autorizzazione al loro utilizzo, la disciplina prevede che tali sistemi trovino applicazione all’interno delle banche anche per fini gestionali e, quindi, non solo a fini prudenziali, ossia che sia applicato il principio dello use test.

A tal fine si è espressa anche la nostra autorità di vigilanza, la quale prevede espressamente che “le banche possono essere autorizzate ad adottare il metodo basato sui rating interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali solo se il sistema dei rating riveste una funzione essenziale nella concessione dei crediti, nella gestione del rischio, nell’attribuzione interna del capitale e nelle funzioni di governo della banca”.81

Le disposizioni di vigilanza nazionale, in linea con la direttiva europea, prevedono che i sistemi di rating IRB siano estesi con gradualità in tutte le aree operative dell’intermediario. Affinché possa dirsi che un sistema IRB sia effettivamente utilizzato anche per fini gestionali, la disciplina fa riferimento a due diversi aspetti, ossia all’experience test e allo use test.82

L’experience test è il requisito mediante il quale si accerta l’“esperienza” passata della banca nell’utilizzo del sistema di rating all’interno del processo di gestione del rischio. Esso, infatti, è definito come il “requisito di durata” ed è necessario che la banca abbiano fatto uso del sistema di rating per un arco temporale minimo di tre anni all’interno dei propri processi gestionali al momento della richiesta di autorizzazione.

Lo use test, invece, è un “requisito puntuale”, che consiste nell’accertamento dell’utilizzo del sistema di rating all’interno dell’intermediario al momento della richiesta di autorizzazione.

Durante l’experience test, gli operatori devono comprovare l’utilizzo effettivo dei sistemi di rating all’interno della gestione del rischio, soprattutto per quel che riguarda la valutazione del merito creditizio e la stima del rischio di credito. È necessario che il rating sia l’elemento fondamentale nella valutazione della controparte e, quindi, nella

81

Banca d’Italia, Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare n. 263, 27 dicembre 2006, Titolo II, Capitolo I, p.71.

82

L’experience test è trattato all’art.84, commi 2 e 3, mentre lo use test all’art.84 comma 2, della direttiva.

79 conseguente scelta di affidamento. È necessario che il risk management svolga analisi e revisioni dei portafogli crediti in relazione alle classi di rating, è indispensabile, in definitiva, riconoscere il ruolo essenziale che il sistema di rating ricopre all’interno di tutto il processo di gestione del credito e, per tale ragione, è necessario che il sistema sia adeguatamente formalizzato all’interno dell’attività bancaria.

Per quanto riguarda la fase di convalida, ossia lo use test, è necessario che gli operatori al momento della richiesta di autorizzazione dimostrino di applicare il sistema IRB non solo nella valutazione e nella stima del credito, ma anche nella determinazione del capitale a copertura del rischio e in tutte le altre fasi di gestione previste dalla regolamentazione, rispettando, ovviamente, i criteri minimi richiesti.

2.8.6 Attività di controllo sui sistemi interni di rating

Arrivati a questo punto, è naturale chiedersi quali siano i controlli che devono essere effettuati sui sistemi di rating affinché possano ritenersi idonee in base alle previsioni della disciplina.

Banca d’Italia, in tal ambito, recepisce le linee-guida internazionali previste dal CEBS e prevede, all’interno delle Disposizioni di vigilanza tre diversi livelli di controllo.

La prima fase di verifica è inserita all’interno dell’unità addetta alla previsione e sviluppo dei modelli e dei processi, la quale deve verificare che le attività propedeutiche all’assegnazione del rating siano svolte in modo conforme alla disciplina, ad esempio verifica che sia previsto il giusto metodo per ogni cliente e deve verificare anche che le informazioni utilizzate per giungere alla determinazione del rating siano complete e non fuorvianti.

Il secondo livello di controllo si sostanzia nella convalida interna, ovvero in un processo da svolgere nel continuo, per il quale la disciplina stessa prevede che debba essere “costituito da un insieme formalizzato di attività, strumenti e procedure volte a valutare l’adeguatezza delle stime di tutte le componenti rilevanti di rischio e a esprimere un giudizio in merito al regolare funzionamento, alla capacità predittiva e alla performance complessiva del sistema IRB adottato”.

80 Durante questa fase è necessario, da un lato verificare i requisiti quantitativi, e per tal ragione avremo le analisi di performance dei sistemi di rating, di benchmarketing e backtesting,83 e dall’altro lato verificare la presenza dei requisiti organizzativi.

Caratteristica fondamentale di questo secondo livello di analisi riguarda il requisito di indipendenza, ossia l’attività di convalida interna deve essere effettuata da soggetti che siano indipendenti rispetto alle unità che assegnano i rating ed erogano il credito.

Infine, il terzo livello di verifica è costituito dalla revisione interna che consiste nel verificare che la convalida interna“si esplichi in modo indipendente e che consegua pienamente gli obiettivi cui è finalizzata”.84

Ovviamente, la funzione di revisione interna deve essere svolta da un soggetto indipendente rispetto a quello che svolge l’attività di convalida interna e la sua attività si sostanzia nella valutazione del rispetto della disciplina prevista per i sistemi di rating. Oltre a verificare l’indipendenza dell’unità che effettua la convalida, verifica che l’attività da essa svolta sia adeguata, ma

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