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Il Rischio di Credito: evoluzione normativa e applicazione. Il Caso della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea specialistica in Banca, Finanza aziendale e

Mercati Finanziari

Tesi di laurea

Il Rischio di Credito: normativa e applicazione.

Il Caso della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.

Relatore

Prof.ssa Elena Bruno

Candidato

Gabriella Gambacorta

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(3)

Negli ultimi tempi la funzione svolta dalla banca è cambiata notevolmente, assumendo un ruolo cruciale all’interno dell’economia.

La banca è oggi vista come un’impresa di servizi all’interno dello scambio finanziario ed è proprio per questo che la dottrina economica le conferisce una funzione fondamentale nel momento in cui partecipa al funzionamento del sistema dei pagamenti.

Questo elaborato ha, pertanto, l’obiettivo di evidenziare i cambiamenti avvenuti a livello internazionale in ambito di gestione e controllo del rischio di credito, dedicando particolare attenzione alla disciplina di Basilea.

L’analisi condotta prende avvio dalla nozione di attività bancaria, per individuare le sue evoluzioni connesse con i cambiamenti del contesto in cui operano gli intermediari bancari.

Segue un’analisi della disciplina internazionale e nazionale sul rischio di credito e sulle relative metodologie di applicazione della disciplina.

La tesi si conclude con un caso reale. Infatti, il presente elaborato tratta della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A..

L’analisi parte dalla elaborazione dei Bilanci individuali relativi al quinquennio 2011/2015, pubblicati dalla stessa banca. Successivamente, è stata effettuata un’analisi sulle voci soggette al rischio di credito secondo la normativa di Basilea, ossia facendo particolare riferimento alle attività ponderate per il rischio di credito e al patrimonio di vigilanza.

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 Indice

 Introduzione I

 Capitolo 1 - L’evoluzione dell’attività bancaria e il rischio di credito 1

1.1 L’attività bancaria 1

1.2 Lo sviluppo dell’attività bancaria 5

1.2.1 Il processo di securitisation 6

1.2.2 Il credit derivatives 12

1.3 I rischi 14

1.3.1 Il rischio di credito 15

1.3.2 La misura della perdita attesa 17

1.3.3 Modelli quantitativi per la determinazione della probabilità di default 22

1.3.3.1 I modelli di credit scoring 22

1.3.3.2 I modelli di option pricing 24

1.3.4 Il recovery rate 27

1.3.5 La perdita inattesa 29

1.3.6 Metodologie alternative al VaR nella stima del rischio di credito 32

1.3.7 L’approccio di Merton  Capitolo 2 – Le fonti e la letteratura del rischio di credito 38

2.1 Premessa 38

2.2 L’accordo sul capitale del 1988, Basilea 1 48

2.3 Evoluzione normativa 52

2.4 Il Nuovo Accordo sul capitale, Basilea 2 55

2.5 Il metodo standardizzato 60

2.6 Il metodo dei rating interni, IRB 62

2.6.1 Caratteristiche del metodo sui rating interni 63

2.6.2 Definizione di default 67

2.7 Perdita attesa e inattesa 68

2.8 Il processo normativo italiano 68

2.8.1 Requisiti quantitativi e organizzativi sul metodo IRB 70

(5)

2.8.3 I parametri di rischio 71

2.8.4 I requisiti organizzativi 76

2.8.5 I rating nell’ordinaria gestione 78

2.8.6 Attività di controllo sui sistemi interni di rating 79

2.8.7 Le tecniche di Credit Risk Mitigation (CRM) 80

2.8.8 Perdite attese e requisito complessivo 83

2.9 La convalida di vigilanza su un sistema avanzato IRB:

visione di insieme 84

2.9.1 Aree oggetto di analisi per la convalida 86

2.10 Limiti della disciplina: prescrittività e prociclicità 89

2.11 Basilea 3 91

2.11.1 Nuova configurazione del patrimonio di vigilanza 93

2.11.2 I rating alla luce di Basilea 3 95

2.11.3 Modelli di rating e prociclicità 97

2.12 Il Risk Appetite Framework (RAF) 102

 Capitolo 3 – La Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. 108

3.1 Premessa 108

3.2 Il Gruppo: composizione 109

3.3 Sistema di Governo Societario 111

3.4 Attività del Gruppo 112

3.5 Progetto di Governo strategico 113

3.5.1 Assetto di governo societario e organi sociali 113

3.5.2 Sistema di controlli interni 116

3.5.3 Flussi informativi nel sistema dei controlli interni 118

 Capitolo 4 – Rischio di credito e stabilità patrimoniale 119

4.1 I dati di bilancio 119

4.2 Il patrimonio dell’impresa 125

4.3 Il patrimonio di vigilanza 129

4.4 La gestione del rischio di credito 137

4.4.1 Politiche di gestione del rischio di credito:

aspetti organizzativi 141

4.4.2 Sistema di gestione, misurazione e controllo 143

(6)

4.6 Crediti anomali e attività finanziarie deteriorate 149 4.7 Tabelle esplicative 152 4.8 Operazioni di cartolarizzazione 165  Conclusione 167  Bibliografia 169  Sitografia 171

(7)

I

Introduzione

Il sistema finanziario, negli ultimi anni, è stato interessato da un’imponente produzione normativa, a causa anche degli innumerevoli scandali finanziari e della conseguente necessità di fornire fiducia e stabilità al sistema di mercato.

I cambiamenti regolamentari hanno interessato sia il mercato domestico che quello internazionale, con provvedimenti che hanno prodotto conseguenze all’interno dell’intero sistema finanziario.1

La disciplina di mercato che ne deriva, definita come “una sapiente miscela di incentivi e deterrenti, di premi e sanzioni”,2

è stata prevista al fine di delimitare l’operato degli intermediari all’interno di una cornice normativa diretta a disciplinare il mercato, ma al contempo diretta a garantire la necessaria libertà operativa e gestionale delle imprese finanziarie.

L’evoluzione del mercato e del contesto economico non possono non causare delle ovvie ripercussioni sullo svolgimento delle attività da parte dei vari operatori che quotidianamente prendono le proprie decisioni di natura economica e finanziaria.

Pertanto, l’evoluzione dei mercati impone ai soggetti economici di porre in essere una gestione aziendale dinamica e razionale, sana e prudente, in modo da essere competitivi, ma al tempo stesso di poter operare con un grado apprezzabile di stabilità e sicurezza.

La presente tesi, dunque, è il frutto di un’analisi condotta sull’attività bancaria e sulla disciplina di vigilanza prudenziale applicata alle banche stesse.

Il Focus del presente elaborato è il rischio di credito.

Pertanto, ho cercato di cogliere tutte le possibili sfaccettature, da quelle prettamente tecniche, nate e sviluppate all’interno dell’operatività e della gestione bancaria, ossia all’interno delle prassi bancarie, a quelle previste all’interno della relativa disciplina, sottolineando in un momento gli aspetti che attribuivano maggiore discrezionalità agli

1

Ad esempio il nuovo impianto di Basilea che ha rivoluzionato il rapporto banca- impresa; o ancora la direttiva 2004/39/CE sui servizi d’investimento (MiFID), il cui obiettivo è quello di pervenire ad un mercato finanziario unico europeo.

2

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II operatori e nel momento successivo, invece, evidenziando gli aspetti maggiormente prescrittivi.

L’elaborato ha, quindi, l’obiettivo di evidenziare i cambiamenti avvenuti a livello internazionale in ambito di gestione e controllo del rischio di credito, con particolare attenzione rivolta alla disciplina delineata dal Comitato di Basilea.

L’analisi condotta, infatti, prende avvio dalla definizione della nozione di attività bancaria, per individuare le sue evoluzioni connesse con i cambiamenti del contesto economico in cui operano gli intermediari bancari.

Il primo capitolo, quindi, si concentra sull’evoluzione dell’attività bancaria, passando da quella più tradizionale a quella più avanzata che ha portato alla gestione del credito in modo dinamico e, spesso, speculativo.

Si è posta l’attenzione sull’attività di impiego di risorse in termini di erogazione del credito e del suo eventuale smobilizzo mediante le tecniche più moderne, ossia attraverso operazioni di securitisation e attraverso il ricorso ai credit derivatives.

Successivamente, è stato trattato il concetto generico di rischio per poi approfondire l’analisi sul solo rischio di credito, elemento intorno al quale ruoterà l’intero elaborato. Infine, il capitolo tratta i modelli utilizzati nella prassi per la misurazione e valutazione del rischio di credito, effettuando la distinzione tra metodologie standardizzate e metodologie avanzate, individuando le misure di sintesi maggiormente adottate per esprimere l’ammontare di rischio assunto, quali ad esempio il VaR.

Il secondo capitolo si concentra sulla disciplina di vigilanza prevista per la gestione, il controllo e contenimento del rischio di credito. In questo capitolo, ovviamente, ne fa da padrone la disciplina prevista dal Comitato di Basilea.

Di conseguenza, il capitolo riporta brevemente e in sintesi la prima disciplina di Basilea 1 del 1988, per poi approfondire la trattazione relativamente alla disciplina di vigilanza contenuta in Basilea 2 e 3. Ciò porta a trattare le metodologie applicate non solo dal punto di vista della prassi (cosa fatta nel primo capitolo), bensì da un punto di vista regolamentare trattando sia il metodo standardizzato sia il metodo IRB (metodologia del rating interno).

Infine, il secondo capitolo tratta i concetti di perdita attesa e perdita inattesa, la nozione di default e le tecniche di mitigazione del rischio di credito.

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III La tesi si conclude con un caso reale. Infatti, il terzo e il quarto capitolo trattano della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. .

Nel terzo capitolo lo studio condotto su tale realtà parte dall’analisi della mission della Banca, della composizione del Gruppo di cui Banca è la Capogruppo, del sistema di governo e degli organi che vi operano all’interno, con particolare cura, ovviamente, dei soggetti che sono preposti al controllo e alla gestione del rischio di credito.

Infine, il quarto e ultimo capitolo contiene l’elaborazione dei Bilanci individuali della Cassa di risparmio di San Miniato S.p.A. relativi al quinquennio che va dal 2011 al 2015, pubblicati dalla stessa banca. Successivamente, è stata effettuata un’analisi sulle voci di bilancio soggette al rischio di credito secondo la normativa di Basilea, ossia facendo particolare riferimento alle attività ponderate per il rischio di credito e al patrimonio di vigilanza, necessario per coprire il rischio di credito e le eventuali perdite che si sostengono nel caso in cui si manifesti il rischio.

Successivamente, quindi, è stata analizzata la gestione poste in essere dalla Cassa relativamente al rischio di credito e le tecniche di mitigazione del rischio stesso.

Il capitolo si conclude con una serie di tabelle esplicative e riassuntive in riferimento alle voci i natura quantitativa trattate.

(10)

1

Capitolo 1

L’EVOLUZIONE DELL’ATTIVITA’ BANCARIA E IL RISCHIO DI

CREDITO

1.1 L’attività bancaria

Negli ultimi tempi la funzione svolta dalla banca è cambiata notevolmente, assumendo un ruolo sempre più cruciale all’interno dell’economia mondiale.

La banca è oggi vista come un’impresa di servizi all’interno dello scambio finanziario ed è proprio per questo che la dottrina economica le conferisce una funzione fondamentale nel momento in cui, secondo la visione tradizionale della teoria dell’intermediazione finanziaria, partecipa al funzionamento del sistema dei pagamenti, opera all’interno del processo di allocazione delle risorse tra le diverse unità del sistema economico, realizza la trasformazione del risparmio liquido in forme durevoli di investimento.

Il ruolo cruciale della banca nell’economia è ormai consolidato, ma al tempo stesso le funzioni ad essa attribuite sono in continua evoluzione, soprattutto in virtù della crescente capacità di soddisfare il bisogno degli operatori economici di avere a disposizione servizi sempre più evoluti.

Diviene, dunque, di sostanziale importanza il riferimento all’impresa bancaria come a un’impresa di servizi, la quale deve essere in grado di erogare una sempre più articolata e completa gamma di prestazioni legate allo scambio finanziario, attraverso le quali massimizzare la soddisfazione della clientela per poterla fidelizzare e, al tempo stesso, massimizzare il proprio profilo di rischio-rendimento.

Di conseguenza, l’intermediario creditizio deve accuratamente individuare le diverse variabili che, a partire dallo svolgimento della propria attività, possono influenzare il risultato gestionale, non soltanto in termini di rischi che caratterizzano la gestione dell’attività di intermediazione, ma anche in termini di effetti che le diverse dinamiche esterne possono avere sulla propria reputazione e sulla fidelizzazione della propria clientela, la quale presenta sempre nuovi bisogni a causa di un sistema economico in continuo cambiamento e caratterizzato da alterni momenti di congiuntura, positivi e negativi.

(11)

2 In generale, possiamo affermare che la banca è nata con l’obiettivo di agevolare, se non addirittura di permettere, l’incontro delle esigenze di due tipologie differenti di soggetti, i soggetti in surplus e i soggetti in deficit.

I contenuti dell’attività bancaria, infatti, sono spiegati dalla necessità di far incontrare le richieste dei soggetti in surplus monetario, ossia i risparmiatori e gli investitori, con le richieste dei soggetto in deficit, ossia le imprese, le quali presentano necessità, più o meno temporanee, di finanziamento.

Uno scambio diretto tra prenditori di fondi e soggetti prestatori è assai complesso e spesso difficile da compiere, a causa delle diverse esigenze delle controparti in termini di ammontare del capitale, di scadenze e di prezzo, oltre all’elevato grado di rischio che è percepito dal soggetto investitore.

Infatti, il rapporto soggetti in surplus – soggetti in deficit è caratterizzato per l’elevata presenza di asimmetrie informative, le quali, quindi, assumono notevole importanza nelle relazioni tra le parti e nel contesto evolutivo dei sistemi finanziari.

Il soggetto in deficit, infatti, sia prima sia dopo l’erogazione del finanziamento, gode di informazioni più ampie e complete rispetto a quelle detenute dal soggetto in surplus. Derivano asimmetrie informative che evidenziano la posizione di vantaggio del soggetto in deficit rispetto al soggetto in surplus.

Le diversità informative, dunque, creano problemi circa l’iniziale scelta delle imprese e il successivo controllo sul comportamento da esse posto in essere nell’utilizzo delle risorse monetarie ottenute.

Pertanto, il soggetto in surplus non può distinguere le imprese con alti rendimenti attesi e basso rischio da quelle con bassi rendimenti attesi e alto rischio, mentre il soggetto in deficit conosce perfettamente il proprio profilo di rischio- rendimento.1

Di conseguenza, dalle carenze del circuito finanziario diretto trova giustificazione economica la presenza della banca sul mercato.

La capacità di creare un circuito finanziario tra unità in surplus e unità in deficit individua e sottolinea l’importanza della funzione di intermediazione creditizia svolta dalle banche, in virtù della quale esse effettuano la trasformazione temporale e

1

Fabiano Colombini, Andrea Calabrò , Crisi finanziarie. Banche e stati. L’insostenibilità del rischio di

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3 qualitativa dei fondi raccolti, modificando le scadenze degli investimenti e il prezzo al quale vengono negoziate le risorse.

Momenti essenziali e necessari affinché un’attività possa definirsi attività bancaria sono la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito. Inoltre, lo svolgimento congiunto di queste due attività deve avere carattere d’impresa.2

Infatti, nel nostro ordinamento giuridico non può aversi attività bancaria se non quando siano presenti congiuntamente, in capo ad un medesimo soggetto, le attività di raccolta e di impiego nelle loro molteplici forme correnti. Per di più, la normativa stabilisce che l’attività bancaria debba essere riservata alle sole banche.

La nozione di raccolta del risparmio tra il pubblico e quella di esercizio del credito sono contenute nel Decreto legislativo dell’1 settembre 1993, n. 385, ossia nel Testo Unico Bancario (TUB).

Ai sensi dell’art. 11 TUB, per raccolta del risparmio si intende “l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma” e per aversi raccolta presso il pubblico è necessario che tale raccolta sia rivolta ad una massa indiscriminata di risparmiatori.

Inoltre, lo stesso articolo, sempre per rimarcare il ruolo fondamentale e unico svolto nell’economia dalle banche, afferma che “la raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche”.

Per “esercizio del credito”, invece, si intende l’erogazione, da parte della banca, di disponibilità monetarie nei confronti dei propri clienti, portando la banca stessa in una posizione creditoria nei confronti del prenditore di fondi. L’erogazione del credito può essere esercitata dalle banche in varie forme: apertura di credito bancario, anticipazione bancaria su pegno di titoli o merci, sconto bancario, etc. Ricordiamo, inoltre, che le due attività sono funzionalmente e inscindibilmente connesse in quanto, tramite l’operazione di provvista, la banca finanziatrice si procura i mezzi finanziari per l’esercizio dell’attività creditizia.

2

Art. 10 del Decreto legislativo dell’1 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario – TUB)

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4 L’attività svolta dalle banche, tuttavia, non si esaurisce al solo esercizio del credito e alla raccolta del risparmio, poiché “le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali”.3

Dunque, il sistema bancario pone in essere, accanto alle specifiche attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, un’ampia varietà di altre operazioni, di crescente importanza dal punto di vista economico, definite come attività connesse o strumentali, genericamente individuate come servizi bancari oppure operazioni accessorie, come ad esempio i pagamenti per conto della clientela, la consulenza finanziaria, i servizi di tesoreria, l’offerta di leasing, factoring, etc.

Lo svolgimento di attività connesse rappresenta lo sviluppo coordinato di atti ed operazioni che presentano un legame significativo con la tipica operatività bancaria o finanziaria di volta in volta interessata. Le attività strumentali si connotano per il loro carattere ausiliario.

L’art.10 TUB, quindi, sancisce nel nostro ordinamento il modello di banca universale, in contrapposizione al modello di banca specializzata. Tale assetto normativo apre, quindi, ampi spazi di diversificazione operativa per le banche.

Rispetto al passato, dunque, gli assetti del sistema finanziario sono più articolati e le gestioni bancarie si sono arricchite di nuove funzioni, tant’è che il modus operandi è il risultato di una molteplicità di interventi che permettono l’inserimento in segmenti di mercato differenti.

Le banche, oggi, nella loro attività realizzano prodotti dell'attivo, del passivo e fuori bilancio che vengono ad essere collocati e venduti sul mercato originando un sistema di prezzi e stringendo relazioni con una clientela diversa ed eterogenea.

La banca universale ha trovato ampio spazio di diffusione nel contesto europeo, dove la disciplina permette l’uso di una più ampia gamma di prodotti all’interno della stessa banca.

3

Art. 10 del D. Lgs. 385/1993 (TUB)

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5 Questa tipologia di modello, inoltre, riconosce alle banche la possibilità di detenere partecipazioni di altre banche o assicurazioni o intermediari finanziari, alimentano il “rischio di contagio”.

Al tempo stesso, però, la varietà degli strumenti e dei finanziamenti accrescono e favoriscono la raccolta di informazioni utili nella valutazione dei crediti e delle conseguenti scelte, elemento fondamentale per diminuire le asimmetrie informative tra soggetti prenditori e prestatori di fonti.

Con il nuovo modello di banca universale si riconosce all’intermediario finanziario, quale soggetto economico, maggiori gradi di libertà e una più estesa discrezionalità nella scelta del modello organizzativo con cui operare. Questo ha portato la banca a cambiare il proprio focus, dando maggiore importanza alla funzione monetaria, ossia alla possibilità di adattare il credito alle esigenze di natura monetaria.

La funzione monetaria svolta dalla banca riguarda la specifica facoltà della banca stessa di surrogare, nel regolamento degli scambi, la moneta legale con propri segni di debito.

1.2 Lo sviluppo dell’attività bancaria

Il riconoscimento di modelli bancari diversi, quali il modello di banca universale e il conglomerato finanziario, il riconoscimento dell’opportunità attribuita alle banche di poter svolgere, oltre all’attività creditizia, tutta una serie di attività strumentali e ausiliari, ha permesso agli operatori bancari, nello svolgimento della propria attività, di poter sperimentare creando nella prassi strumenti sempre nuovi e innovativi, sempre più lontani dall’attività creditizia in senso stretto e sempre più orientati verso finalità di tipo speculativo.

Da ciò consegue la realizzazione di attività nuove e la creazione di strumenti innovativi, tra i quali si citano la securitisation e i credit derivatives, che hanno permesso alle banche di divenire sempre più competitive e dinamiche nei mercati.

Se da un lato questi strumenti possono essere visti come fisiologici, ossia come frutto di un’evoluzione bancaria in relazione alle esigenze gestionali e in relazione allo sviluppo dell’economia, del mercato e della globalizzazione, dall’altro lato il loro uso sempre più spinto e fuori controllo ha trasformato il riscorso a tali strumenti in qualcosa di patologico, oltre il loro normale e sano utilizzo.

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6

1.2.1 Il processo di securitisation

La securitisation (cartolarizzazione) degli attivi presso gli intermediari finanziari è un processo che si è manifestato e sviluppato negli Stati Uniti e, successivamente, ha avuto diffusione anche in Europa.

La diffusione dal punto di vista geografico conferma il perfezionamento e il progresso dei mercati finanziari, divenuti oramai un sistema unito e globale. Ricordiamo, anche, che il rapporto tra mercato e intermediari è di fondamentale importanza sia nella fase iniziale che in quella successiva di negoziazione e scambio degli strumenti in circolazione.4

La cartolarizzazione si basa sulla titolarizzazione di attività già presenti in bilancio, ossia sulla trasformazione di attività finanziarie non negoziabili in securities, nello specifico in asset-backed securities (ABS) .

Pertanto, la securitisation si sostanzia nella conversione di un pool di attività finanziarie difficilmente smobilizzabili, tipicamente prestiti, in titoli che vengono scambiati sul mercato dei capitali.

La definizione universalmente accettata di securitisation prevede che questo processo sia posto in essere dal soggetto intermediario (originator) il quale individua e raggruppa, all’interno del proprio portafoglio crediti, un pool di assets costituiti tipicamente da prestiti illiquidi con caratteristiche di scadenza, tipologia, piano di rimborso, rischio e struttura di tasso di interesse omogenee, per il loro successivo trasferimento-cessione ad un soggetto esterno, lo Special Purpose Vehicle (SPV), appositamente creato, il quale provvede all’emissione di securities, nello specifico provvede all’emissione di asset-backed securities (ABS).

I prestiti trasferiti alla società veicolo, solitamente mutui ipotecari, crediti al consumo, crediti derivati da operazioni di leasing e factoring e così via, vanno a costituire il suo attivo, mentre le asset-backed securities collocate sul mercato costituiscono il suo passivo di bilancio.

4

Fabiano Colombini, Andrea Calabrò , Crisi finanziarie. Banche e stati. L’insostenibilità del rischio di

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7 Il rischio assunto dall’investitore finale, dunque, dipende dalla capacità dei crediti ceduti di creare flussi in entrata nella misura e nei tempi necessari al rimborso del capitale e degli interessi.

Il flusso originato dal pagamento del capitale da parte del debitore iniziale (o meglio da parte dei debitori iniziali) è riservato al rimborso delle ABS.

La scelta sul tipo di ABS, per tipologia, scadenza, diffusione, negoziabilità, garanzia e rating influisce, ovviamente, sull’offerta dell’interesse passivo e, per conseguenza, sul rendimento atteso.

La securitisation di crediti illiquidi porta a smobilizzare e modificare la struttura dell’attivo delle banche commerciali, di intermediari specializzati, di imprese di assicurazione per soddisfare diverse esigenze, quali:

 la liquidità;

 la crescita degli strumenti di provvista;  la gestione del rischio di credito;

 la gestione del rischio di tasso di interesse;  la gestione dei coefficienti patrimoniali.

La conversione di finanziamenti non liquidi in strumenti negoziabili sul mercato permette, dunque, di soddisfare necessità diverse che non si limitano alla crescita di risorse liquide e di nuove modalità di provvista.

La securitisation, intesa come processo, prevede una serie di fasi abbastanza complesse che richiedono la partecipazione di soggetti diversi, quali:

la banca commerciale, ossia la banca cedente (originator), la quale è titolare degli attivi oggetto di cessione;

 la società fiduciaria, ossia la società veicolo (SPV) che emette le ABS, che è controllata o è collegata all’originator;

l’agenzia di rating, la quale esprime una valutazione sul rischio di credito delle ABS, che si basa sulla qualità degli attivi cartolarizzati e sulle garanzie accessorie;

l’investment bank, la quale sottoscrive direttamente i titoli o provvede al collocamento sul mercato;

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8  e gli investitori finali,5 che acquisiscono le securities.

Figura 1.1 - Schema del processo di cartolarizzazione

La cartolarizzazione, inoltre, può assumere forme diverse:  pass-through;

asset-backed bond structure; pay-through.

La struttura pass-through si ha quando il trasferimento dei crediti avviene mediante deposito in un fiduciario che provvede alla loro gestione. In questo caso, i compensi a favore degli investitori, che sono titolari del diritto di proprietà sui crediti, sono direttamente collegati ai flussi derivanti dai debitori originari.

Nell’asset-backed bond structure, invece, i crediti sono ceduti alle società veicolo e i rimborsi spettanti ai sottoscrittori sono sganciati dalle scadenze dei crediti ceduti.

5

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9 Infine, la forma del pay-through prevede la vendita dei crediti all’SPV e la connessione tra i flussi spettanti agli investitori finali e quelli dovuti dai debitori iniziali, pertanto, è una combinazione delle prime due strutture.

La securitisation di per sé, quindi, porta al trasferimento del rischio dall’intermediario finanziario originario agli investitori finali per mezzo dei nuovi strumenti finanziari (ABS) collocati sul mercato, pur rimanendo nell’ambito del sistema finanziario.

La struttura scelte per la specifica operazione di securitisation risente delle scelte e delle preferenze espresse dal mercato e, pertanto, spesso questo ha portato a rafforzare il credito originario mediante l’utilizzo di garanzie o attraverso la cessione di crediti per un valore notevolmente superiore rispetto a quello degli strumenti finanziari collocati dallo SPV, originando l’overcollateralisation.

Tale scelta serve per attrarre i soggetti investitori, in modo che essi orientino le loro scelte di investimento verso gli strumenti finanziari emessi dalla società fiduciaria (SPV).

Il rischio di inadempimento del debitore iniziale, il quale deve rimborsare la quota capitale e la quota interessi relative ai finanziamenti oggetto di smobilizzo, viene mitigato dall’esistenza delle connesse garanzie, pur non eliminando l’eventualità di ricaduta sugli acquirenti finali.

In generale, è necessario che la securitisation consideri i prestiti di migliore qualità per ovvie e oggettive ragioni connesse con il giudizio delle agenzie di rating, con la circolazione sul mercato degli strumenti finanziari e i bisogni di apprezzamento degli investitori.

Se così fosse, però, la cartolarizzazione porterebbe a diminuire la qualità del portafoglio crediti, aumentando i rischi che fanno capo al singolo intermediario e, dunque, legando la securitisation ai prestiti migliori.

La securitisation degli attivi è stata effettuata, soprattutto, per le seguenti classi di bilancio:

 prestiti ipotecari;  credito al consumo;

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10  carte di credito;

leasing.

L’individuazione dei crediti e il loro raggruppamento in pool dovrebbe riguardare quelli migliori sotto il profilo della combinazione rischio-rendimento, poiché, così facendo, vi sono perdite per insolvenza più contenute e maggiori possibilità di collocamento sul mercato degli strumenti finanziari. I titoli emessi, quindi, saranno ancora più appetibili per tipologie, caratteristiche, garanzie e rating portando al contenimento del tasso di remunerazione.

Pertanto, assai delicata è la stima del valore delle asset-backed securities, le quali devono essere apprezzate nella loro rischiosità, che deriva dal prestito originario che hanno come sottostante.

Il processo di securitisation, quindi, può essere visto come un processo fisiologico all’interno della gestione bancaria, mediante il quale la singola banca smobilizza le attività illiquide per diminuire le immobilizzazioni e per aumentare il livello di liquidità, per essere più competitiva e dinamica, ma soprattutto per essere più flessibile e per non soffrire di eventuali tensioni finanziarie, dovute al normale mismatching tra le scadenze dell’attivo e del passivo.

Il problema, quindi, non è lo strumento securitisation, bensì il problema sta nel suo utilizzo irrazionale e fuori controllo, che segna il passaggio dal momento fisiologico al momento patologico.

La securitisation sperimentata dalle banche, soprattutto negli anni precedenti alla crisi, segue logiche irrazionali nel trasferimento e nello smobilizzo all’esterno degli attivi, che porta le stesse banche a selezionare gli assets con un livello maggiore di rischio e, quindi, con qualità peggiore.

Il processo così creatosi, di conseguenza, permette il miglioramento della qualità del bilancio bancario. Questo crea euforia all’interno degli intermediari finanziari, che sempre più attratti dal guadagno facile iniziano a sperimentare forme nuove e maggiormente speculative di securitisation.

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11 Tra le forme nuove, troviamo le collateralized debt obligations,6 ossia delle ABS inserite in altre obbligazioni.

Il maggiore rischio insito all’interno delle ABS ha causato l’aumento del tasso di interesse, il quale, a sua volta, ha portato ad avere, sulla posizione originaria, un valore del debito residuo maggiore rispetto al valore dell’immobile dato in garanzia e questo ha spinto il mercato ad aspettarsi un mancato rimborso da parte dei debitori iniziali provocando, come conseguenza, un raffreddamento del mercato immobiliare e il successivo default di alcuni mutuatari, tra questi, ovviamente, i primi ad essere colpiti sono stati quelli subprime.

A cascata il valore dei connessi strumenti di finanziamento è precipitato. Presto si sono sviluppate tensioni sul mercato interbancario e gli SPV non sono più riusciti a drenare liquidità per ripagare i soggetti che avevano investito nelle ABS emesse.

Le banche sponsors sono state costrette a intervenire in favore delle loro società veicolo, così, però, la crisi si è spostata dal fuori bilancio al bilancio e il trasferimento del rischio di credito è, infine, ricaduto sulle banche originators.

Il crollo del mercato delle asset-backed securities è stata la prima e immediata conseguenza del clima di incertezza che si è generato all’interno dei mercati immobiliari e poi nei mercati finanziari, poiché tramite la securitisation i crediti legati al mercato dei mutui si sono diffusi a livello globale e la componente subprime era inserita in numerosi titoli strutturati.

Gli investitori così iniziarono a cambiare i loro investimenti, iniziando a preferire i titoli del tesoro, causando la scomparsa della liquidità sul mercato dei titoli meno liquidi. La conseguenza istantanea è stata la penalizzazione anche delle operazioni di securitisation basate su logiche razionali attraverso lo smobilizzo di crediti di elevata qualità e, quindi, l’intero sistema bancario ha risentito della nuova situazione.

La diretta conseguenza è stata una situazione caratterizzata da frizioni sul mercato interbancario, da una crisi di liquidità diffusa sul mercato finanziario, la quale ha messo a dura prova la sopravvivenza di numerose banche.

6

Una Collateralized debt obligation (CDO) è un'obbligazione che ha come garanzia (collaterale) un debito. Una CDO è composta da decine o centinaia di ABS, obbligazioni a loro volta garantite da un altrettanto elevato numero di debiti individuali. È ritenuto una delle cause della crisi dei subprime.

(21)

12 È doveroso sottolineare, dunque, che la securitisation dovrebbe, e avrebbe dovuto, considerare i migliori crediti sia per la rapida possibilità di collocamento sul mercato, sia per la possibilità di più bassi tassi di remunerazione, sia per la circolazione di strumenti finanziari a più basso rischio e soprattutto per evitare quello che è stato il logico epilogo, ossia una crisi di liquidità.

1.2.2 I credit derivatives

I credit derivatives sono contratti con i quali si trasferisce o si assume solo il rischio di credito sottostante ad un prestito o ad un’obbligazione.

Questo strumento è negoziato nei mercati over the counter (OTC) e permette di individuare, isolare, prezzare e trasferire solo il rischio di credito implicito in qualsiasi esposizione creditizia.

Le parti che sottoscrivono il contratto sono le seguenti:

il risk seller, ossia il soggetto che cede il proprio rischio di credito;

il risk buyer, il quale si assume il rischio ceduto dal risk seller e tendenzialmente lo fa per diversificare il proprio portafoglio finanziario.

I credit derivatives, inoltre, sono caratterizzati dalla necessaria presenza di tre elementi:

1. Reference credit, è il credito sottostante dal quale ha origine il rischio di credito, è espresso in valuta e può riguardare un’obbligazione privata o pubblica, un’unica posizione o un pool di esse;

2. Credit event, è l’evento negativo relativo al reference entity al manifestarsi del quale sorge l’obbligo a carico del venditore della protezione al rischio. Esempi di credit event sono l’insolvenza o l’inadempimento del debitore, la riduzione del valore del reference credit, etc. Il credit event si definisce su criteri oggettivi e pubblicamente disponibili;

(22)

13 3. Recovery rate, è l’ammontare del pagamento dovuto dal protection seller al

manifestarsi del credit event ed è espresso in percentuale sul nominale del reference credit.7

Figura 1.2 - Schema di un credit default derivative

I credit derivatives, quindi, sono dei contratti bilaterali che derivano dall’incontro tra i contratti derivati, ossia di strumenti il cui valore è collegato a un’attività sottostante, finanziaria o reale, e il rischio di credito, che è oggetto del contratto.

Lo scopo è quello di permettere al soggetto che detiene il credito (protection buyer) di cedere il relativo rischio (rischio di credito) al protection seller corrispondendogli una commissione alla stipula dell’accordo per ottenere in cambio il risarcimento della perdita relativa al verificarsi di un dato evento (credit event) che diminuisce o annulla il valore dell’attività sottostante. Pertanto, lo scopo è appunto quello di cedere il rischio di una posizione detenuta senza però cedere il titolo rappresentativo del credito.

È facile capire, dunque, come i diversi utilizzi nel settore bancario, all’interno del quale la gestione del rischio è una delle maggiori preoccupazioni per il risk management, risultino essere elevati al punto da spingere il top management dei maggiori gruppi bancari a progettare metodologie e strumenti di credit derivatives per ridurre l’esposizione al rischio di credito degli attivi di bilancio.

Tra i vari credit derivatives, i più diffusi sono i credit default swap (CDS) o options (CDO).

7

Fabiano Colombini, Andrea Calabrò , Crisi finanziarie. Banche e stati. L’insostenibilità del rischio di

(23)

14 Si ha un credit default swap quando la commissione pagata dal protection buyer è corrisposta periodicamente, mentre si ha un credit default option quando essa viene pagata solo al momento della stipula del contratto (up front).

La commissione percepita dal protection seller dipende da elementi diversi, quali la scadenza della protezione, il rischio di default del soggetto debitore originario, etc.

1.3 I rischi

L’attività bancaria è sempre stata per sua natura un’attività connessa all’assunzione, all’intermediazione, alla gestione del rischio nelle sue molteplici forme.

Le stesse funzioni con le quali abitualmente l’attività bancaria è stata identificata (la funzione di raccolta del risparmio, la funzione di erogazione del credito, la funzione di intermediazione creditizia, la funzione monetaria) prevedono l’assunzione e la trasformazione del rischio di credito, del rischio di mercato, del rischio di liquidità e così via.

Tutto ciò ha imposto agli intermediari bancari di porre l’adeguata attenzione nella gestione dei rischi, gestione la cui importanza è aumentata notevolmente negli ultimi quindici anni, soprattutto a causa di tre motivi, quali l’elevato aumento della volatilità dei mercati finanziari, causato anche dalla crescente integrazione fra i sistemi finanziari nazionali; il mutato contesto competitivo e, infine, il mutamento registrato nell’atteggiamento assunto dalle autorità di vigilanza (quest’ultimo aspetto sarà trattato di seguito).

In questo contesto, non sorprende che vi sia stata una crescente attenzione verso le fasi di individuazione, valutazione, gestione, contenimento e monitoraggio del rischio, ossia verso il processo di mapping dei rischi.

Quello che gli intermediari volevano era, da un lato, di giungere ad un’unica misura che permettesse di esprimere in un solo giudizio il rischio complessivo della banca e, dall’altro lato, di individuare singole misure di rischio riferite alla specifica area di business o alla singola esposizione per poter valutare di volta in volta il rapporto rischio-rendimento al fine di garantire il soddisfacimento delle attese dei soggetti a vario modo interessati (azionisti, creditori e così via).

L’importanza attribuita ai problemi di misurazione del rischio ha indotto lo sviluppo degli studi e delle tecniche di risk management, ossia del complesso dei

(24)

15 processi e delle metodologie utilizzati per la misurazione e il controllo del rischio di una banca per un’efficiente allocazione delle risorse a disposizione.

Il problema maggiore presente all’interno di un sistema di risk management non è tanto la misurazione del rischio di portafoglio, nonostante sia complessa ed articolata, ma è quello di gestire in modo efficiente l’attività bancaria, da qui l’esigenza di definire in primis le varie tipologie di rischio e le modalità più adatte nella misurazione del valore del rischio e del connesso capitale a copertura (in questa sede tratteremo il solo rischio di credito).

1.3.1 Il rischio di credito

Con il termine rischio di credito si intende la possibilità di subire perdite all’interno di un’operazione creditizia a causa dell’insolvenza della clientela finanziata dalla banca, ossia il rischio di perdita parziale o totale dei relativi crediti, per capitali prestati e interessi maturati.8 Tale definizione, però, non basta se facciamo riferimento al rischio di credito relativo all’intero portafoglio, piuttosto che alla singola posizione.

Il rischio di credito, infatti, si rende noto attraverso il verificarsi di un certo numero di eventi di insolvenza all’interno del portafoglio crediti.

Pertanto, è necessario ampliare la definizione di rischio di credito rendendola più articolata e relativa ad un insieme di operazioni all’interno di uno stesso portafoglio, piuttosto che relativa ad una singola posizione.

Prima di tutto, bisogna osservare che il verificarsi di alcune insolvenze all’interno di un portafoglio, ampio e diversificato, è un avvenimento del tutto fisiologico ed ineliminabile, questo perché all’aumentare del numero di crediti ed esposizioni in portafoglio aumenta la probabilità che una delle controparti affidate possa risultare inadempiente.

Di conseguenza, se a livello di singola esposizione il rischio di credito può essere inteso come la probabilità di insolvenza del singolo creditore, a livello di portafoglio,

8

(25)

16 date le possibili insolvenze, il rischio di credito deve essere visto come il rischio che si manifestino perdite effettive in misura maggiore rispetto alle perdite attese.9

Altra considerazione da fare per ampliare la nozione iniziale di rischio di credito è che esso si può manifestare nei singoli esercizi a livello di singola controparte non mediante l’insolvenza del debitore, bensì attraverso un peggioramento del merito creditizio che provoca, di conseguenza, un incremento della probabilità di insolvenza futura della controparte affidata, pur senza manifestarsi nell’esercizio in cui si registra il deterioramento della posizione.

Il rischio di credito, quindi, non deve essere associato al solo fenomeno dell’insolvenza (default risk), ma anche alla possibilità di “migrazione” della controparte verso classi di merito creditizio con probabilità di insolvenza superiore (migration risk).

Di conseguenza, il rischio di credito può essere definito in maniera più puntuale come il rischio connesso alle variazioni impreviste del merito creditizio dei debitori nei confronti dei quali si ha un’esposizione, attuale oppure potenziale, e che si manifesta attraverso l’impatto che queste variazioni inattese possono avere sul valore della posizione creditoria detenuta dalla banca. Con il termine esposizione potenziale si fa riferimento al fatto che non è necessario che esista un’esposizione creditizia corrente, ma è sufficiente che vi siano le condizioni affinché essa possa crearsi.10

Gli elementi che caratterizzano questa definizione e che ci accompagnano nella definizione del rischio di credito sono:

l’attenzione rivolta sia al rischio di default che al rischio di deterioramento della qualità del credito;

 l’individuazione del rischio come la perdita inattesa rispetto alla perdita attesa;  l’importanza riconosciuta non solo all’esposizioni attuali, ma anche a quelle

potenziali;

9

Le perdite che si manifestano in misura superiore alle perdite attese sono le c.d. perdite inattese. 10

Un possibile esempio riguarda la conclusione di contratti derivati nei mercati over the counter (OTC) in cui all’aumentare del valore di mercato della posizione porta un credito di una parte nei confronti della controparte.

(26)

17  infine, l’individuazione di una nozione ampia di valore dell’esposizione.11

1.3.2 La misurazione della perdita attesa

La banca, nello svolgimento delle proprie attività, assume diverse tipologie di rischio, tra i quali tradizionalmente si annovera il rischio di credito, il cui valore dipende da diversi elementi.

Per determinare il peso del rischio di credito assunto è necessario stimare alcuni valori, i quali fanno riferimento alle “possibili perdite”, che si dividono in perdite attese e perdite inattese.

La perdita attesa risulta essere il prodotto di tre elementi:

 l’esposizione assunta nei confronti della controparte (esposizione attesa - EA);

la probabilità attesa di insolvenza della controparte (probability of default- PD); la percentuale di perdita in caso di default (loss given default- LGD%), che non è

nient’altro che il complemento a uno del tasso di recupero (recovery rate- RR) registrato sul credito nei confronti del creditore insolvente.

Ovviamente, tutti e tre gli elementi sono incerti.12

La perdita attesa in termini assoluti (PA) può essere espressa come: PA = EA *PD *E(LGD%) = EA* PD* [1-E(RR)]

Mentre la perdita attesa percentuale (pa) è pari a:

pa = PD* E(LGD%) = PD* [1-E(RR)]

Un’adeguata stima delle perdite attese è di fondamentale importanza in primis all’interno della politica di gestione del rischio e poi è di fondamentale importanza per un’adeguata politica degli accantonamenti e di pricing delle operazioni.

Infatti, proprio dalla determinazione delle perdite attese parte la stima degli accantonamenti da effettuare, necessari alla copertura dell’eventuale esito negativo frutto del verificarsi dell’evento rischioso.

11

F. Saita, Il risk management in banca. Performance corrette per il rischio e allocazione del capitale, 2000.

12

F. Saita, Il risk management in banca. Performance corrette per il rischio e allocazione del capitale, 2000.

(27)

18 Pertanto, determinata la perdita attesa si stabilisce la misura degli accantonamenti ai fondi rischi da effettuare, ciò, ovviamente, non rappresenta il rischio a livello di portafoglio in senso stretto, il quale, invece, è identificabile in termini di volatilità delle perdite effettive rispetto a quelle attese.

È evidente, però, che l’analisi del rischio di volatilità del valore effettivo del portafoglio crediti, legato al deterioramento del merito creditizio delle controparti, postula un’esatta quantificazione di quelle che sono le perdite attese.

Come si stima la perdita attesa?

La misurazione della perdita attesa può avvenire seguendo metodologie diverse le quali partono da due elementi di base differenti:

- una modalità prevede che venga realizzata una classifica soggettiva delle operazioni o delle controparti in classi di merito omogenee,13 per poi procedere alla quantificazione del rischio di perdita attesa riferito a ogni operazione o controparte;

- oppure si può assegnare una perdita attesa alla singola controparte, in base a un modello quantitativo basato su informazioni economico-finanziarie dell’impresa.

Con riferimento alla prima modalità o si identifica il livello di rischiosità legato alla singola operazione o alla singola controparte,14 tenendo conto anche di informazioni non strettamente quantificabili.

Pertanto, si parte dalla valutazione soggettiva dell’analista, il quale determina la perdita attesa.

L’analista sulla base di informazioni di tipo sia quantitativo che qualitativo attribuisce, quindi, un rating interno alla singola operazione e, una volta definita la classe di merito, i dati relativi al complesso di soggetti storicamente classificati nel medesimo gruppo vengono utilizzati per ottenere informazioni riguardanti la probabilità

13

La classifica viene definita soggettiva perché deriva dall’esperienze, dalle competenze e dal modus

operandi del singolo analista.

14

Solitamente il rating è riferito alla singola operazione e non alla controparte, proprio perché operazioni con lo stesso affidato possono caratterizzarsi per un diverso livello di rischio a seconda, ad esempio, delle garanzie accessorie fornite che comportano un diverso tasso di recupero. Talvolta, viene adottata una doppia scala di rating, una riferita al singolo affidato e l’altra alla specifica operazione.

(28)

19 di default dell’affidato. Mediante questa analisi soggettiva, l’analista riesce a determinare un livello di perdita attesa.

Il vantaggio di un’analisi di tipo soggettivo risiede nel fatto di considerare, nello svolgimento del processo di valutazione, anche informazioni che non sono quantificabili, (quali ad esempio la qualità del management), le quali non vengono incluse in modelli statistico-quantitativi.

Il giudizio finale espresso dall’analista non individua la giusta misura della possibile perdita attesa, ma porta a valutazioni finali di differente articolazione a seconda del caso in analisi.

Il giudizio più semplice e forse anche il più superficiale espresso dall’analista è rappresentato dal giudizio di accettazione o di rifiuto del prenditore di fondi.

Un giudizio più complesso e approfondito, invece, è rappresentato dall’assegnazione di un rating interno, mediante il quale distinguere le operazioni o i soggetti in relazione al rischio associato ad ognuno di essi. Questa è la metodologia più frequentemente usata dalle banche.

Il ricorso al rating interno, però, evidenzia profonde differenze tra una banca e l’altra, in riferimento:

al numero delle classi di rating all’interno delle quali l’analista può classificare le varie operazioni o i vari clienti non respinti;

all’oggetto del rating, che può essere la controparte o l’operazione soggetta a valutazione;

alla probabilità di insolvenza o alla perdita attesa, qualora il rating sia riferito alla singola operazione, data dalla probabilità di default moltiplicata per il tasso di recupero.

Le banche, con il tempo, hanno manifestato un orientamento volto all’aumento del numero delle classi di rating all’interno delle quali ripartire le operazioni o i clienti oggetto d’analisi, ovviamente, via via che le classi di rating aumentano, l’intervallo relativo ad ogni classe diventa sempre più ristretto, migliorando, da un lato, la suddivisone degli affidati o delle operazioni presso le varie classi, ma, dall’altro lato, peggiorando l’affidabilità e la certezza della stima, a causa della riduzione del numero di operazioni o soggetti relativi ad ogni singola classe.

(29)

20 Un altro elemento che si è evidenziato con il tempo è che le banche tendono ad esprimere il rating in riferimento alle singole operazioni piuttosto che in riferimento ai clienti, questo perché ci si basa sul presupposto che ad una medesima controparte possa essere attribuito un rating diverso in riferimento alla singola operazione, ossia operazioni con la stessa controparte, ma aventi garanzie accessorie diverse, tali da far individuare tassi di recupero diversi, possono essere riportate in classi di rischio differenti.

Infine, la soluzione più evoluta prevede l’utilizzo di una doppia classificazione di rating, una riferita alla singola controparte, ossia alla sua probabilità di default, e l’altra riferita alla specifica operazione, in relazione al tasso di perdita atteso.

Con la doppia classificazione abbiamo tendenzialmente un rating riferito alla singola operazione coincidente con quello della singola controparte, ma a volte questi due giudizi di rating posso essere differenti a causa di eventuali garanzie accessorie o delle caratteristiche dell’operazione oggetto d’analisi, portando ad individuare un tasso di recupero in caso di insolvenza, relativo alla specifica operazione, più alto o più basso di quello attribuito al cliente.

L’efficacia del sistema di rating interno è di fondamentale importanza non solo perché rappresenta la base per la determinazione delle perdite attese, ma anche perché è una delle più importanti operazioni di mapping delle esposizioni creditizie, che permette di dividere la clientela in base al rischio ad essa attribuito.

Individuata la classe di merito all’interno della quale collocare l’operazione o la controparte, bisogna stimare la perdita attesa.

La stima della perdita attesa può essere effettuata sulla base di dati diversi, a seconda delle scelte di volta in volta prese dall’analista o dalle informazioni di cui è in possesso. La stima, infatti, può essere una misurazione soggettiva basata sull’esperienza storica dell’analista o può essere una valutazione basata sull’esperienza storica di un pool di banche o, qualora fosse possibile, dell’intero sistema bancario, o ancora può essere una valutazione basata sull’esperienza storica della banca in base a un database interno di prestiti o, infine, può essere una valutazione basata sui tassi di default registrati nel tempo da titoli obbligazionari aventi uguale rischio. Ognuna di queste modalità di analisi può essere posta in essere.

(30)

21 L’analisi basata solo sull’esperienza storica dell’analista è la soluzione più rara da adottare nella realtà, mentre l’approccio che appare più conforme alla realtà è quello che si basa sull’esperienza storica di un pool di banche o dell’intero sistema bancario, opportunamente aggiustato al caso oggetto d’analisi. In questo modo è possibile trovare una maggiore corrispondenza tra crediti valutati e il campione utilizzato per estrapolare i tassi di perdita, garantendo un’elevata ampiezza del campione.

Infatti, più è raro l’episodio di default più grande deve essere il campione usato per dare maggiore affidabilità alla stima elaborata sui dati storici.

Si viene così a creare un trade-off, infatti, da un lato, si vorrebbe scomporre il più possibile il portafoglio crediti in riferimento alle classi di merito creditizio, per paese e per settore di appartenenza in modo da rendere più evidenti le varie dinamiche e, quindi, migliorarne la comprensibilità e la chiarezza, ma, al tempo stesso, più si scompone il portafoglio più le stime diventano incerte a causa della conseguente riduzione del numero di soggetti appartenente a ogni singola classe di merito.

Le informazioni possono essere tratte da un database, il quale può essere creato all’interno della stessa banca o, ancor meglio, può essere costituito in comune all’interno di un pool di banche sulla base di un accordo di cooperazione.

Nel caso in cui si ricorra al database interno si può incorrere in due diverse problematiche inerenti i dati, uno relativo alle serie storiche, che spesso espongono dati riferiti ad archi temporali di breve durata, portando ad avere informazioni non sufficientemente rappresentative relativamente a un singolo evento.

L’altro problema si riferisce, invece, alla numerosità del campione, infatti, affinché il campione consenta una stima adeguata della perdita attesa, ma soprattutto di quella inattesa, è necessario che sia di ampie dimensioni e spesso la singola banca non è in grado di costruire campioni così numerosi.

Per risolvere questi problemi, si utilizzano spesso le serie storiche riferite ai bond soggetti a rating, cercando di convertire e rendere la scala di valutazione interna equivalente a quella usata dalle agenzie di rating. Questa soluzione permette di ampliare notevolmente il campione su cui effettuare le analisi, ma ha il difetto di fare riferimento a informazioni riguardanti soggetti molto diversi rispetto alle controparti oggetto di analisi da parte delle singole banche.

(31)

22

1.3.3 Modelli quantitativi per la determinazione della probabilità di

default

Come abbiamo già visto, per procedere con la stima della probabilità di default, è possibile utilizzare metodi alternativi. Si può procedere con la determinazione di un valore soggettivo riferito al singolo affidato ed elaborato dall’analista o si possono utilizzare le classi di rating esterne alla banca.

Qualora, però, non si vogliano usare queste metodologie, si possono utilizzare tecniche quantitative che consentono di stimare la probabilità di insolvenza, integrate dalla stima del tasso di recupero, per definire la perdita attesa; tra questi modelli i più utilizzati sono i modelli di credit scoring e i modelli di option pricing.

1.3.3.1 I modelli di credit scoring

I modelli di scoring sono dei modelli statistici ai quali si fa ricorso per determinare la probabilità di default mediante l’assegnazione di coefficienti di ponderazione ai principali indici economico-finanziari di un’impresa.

Il merito creditizio è determinato, quindi, attraverso tecniche statistiche ed è espresso da un unico valore numerico che rappresenta la probabilità di insolvenza.

All’interno di questa categoria rientrano metodologie differenti, tra cui:

- l’analisi discriminante lineare, la quale fa ricorso a informazioni estratte da un campione di imprese al fine di ripartire, sulla base di una funzione discriminante,15 le aziende oggetto di studio tra “sane” e “anomale” (queste

15

Il modello più noto, che è anche il capostipite, è lo Z-score proposto da Altman nel 1968, la cui formula è:

=1,2 ,1+ 1,4 ,2+ 3,3 ,3+ 0,6 ,4+ 1,0 ,5 dove:

X1 = capitale circolante/totale attivo; X2 = utili non distribuiti/totale attivo;

X3 = utile ante interessi e imposte/totale attivo;

X4 = valore di mercato del patrimonio/valore contabile dei debiti a lungo termine; X5 = fatturato/totale attivo.

Quanto maggiore è il valore di Z ottenuto dall’impresa, tanto minore è la sua probabilità di insolvenza. In questo modello il valore soglia è generalmente pari a 1,81 per cui le imprese con punteggio superiore sono considerate a basso rischio di insolvenza mentre quelle con punteggio inferiore sono considerate a elevato rischio di insolvenza.

(32)

23 ultime ulteriormente articolabili in imprese fallite, imprese in fase di ristrutturazione finanziaria e imprese il cui debito è stato classificato come sofferenza dal sistema bancario).

Ad ogni impresa, sulla base dei valori assunti dalle proprie variabili indipendenti, tipicamente indici economico-finanziari di natura contabile, viene assegnato un punteggio discriminante (output numerico) il quale viene messo a confronto con un valore soglia che separa le imprese a basso rischio di insolvenza da quelle ad alto rischio.

Spesso, però, invece, di identificare un unico valore soglia, si identifica un range di valori, in questo caso un’impresa con score discriminante minore al limite inferiore è considerata inaffidabile, mentre se presenta uno score maggiore al limite superiore è considerata a basso rischio. Per le aziende che, invece, presentano un punteggio discriminante compreso all’interno del range, non è possibile prevedere con precisione se appartengono al gruppo delle imprese sane o al gruppo di imprese potenzialmente insolventi;

- i modelli di regressione lineare, che determinano la probabilità di default di un’impresa attraverso delle variabili che vengono identificate in base ad una regressione lineare. È, pertanto, necessario individuare un campione di imprese e dividerle in due gruppi, uno formato da quelle imprese che sono entrate in fase di insolvenza (Zi = 1) e l’altro gruppo formato dalle imprese che, invece, hanno

puntualmente adempiuto alle loro obbligazioni contrattuali (Zi = 0). Per ognuna

delle impresa dei due gruppi si identificano opportuni indici economico-finanziari, i quali riflettono aspetti come la leva finanziaria, la redditività e la liquidità che divengo le variabili indipendenti della regressione lineare dove la variabile dipendente è Z, che può assumere valore unitario o nullo.

Si identificano così gli indici economico-finanziari da utilizzare nella determinazione dell’insolvenza. I risultati ottenuti possono, quindi, essere utilizzati per stimare la probabilità di defualt di nuove imprese, inserendo i dati economico-finanziari delle stesse nella funzione lineare che la banca ha costruito basandosi sui dati storici delle proprie imprese clienti;16

16

Un evidente limite di questo modello consiste nella possibilità che la probabilità di insolvenza, calcolata applicando la funzione lineare ad una nuova impresa, assuma valori inferiori a zero o superiori a

(33)

24 - i modelli di natura induttiva,17 come le reti neurali e gli algoritmi genetici,

entrambi ispirati al comportamento degli organismi biologici; tali metodi induttivi impongono la raccolta di numerosi dati basati sull’esperienza al fine di cercare di approssimare la funzione che lega le variabili ritenute esplicative di un certo fenomeno, in questo caso il fenomeno in esame è il default.

In sintesi, possiamo affermare che tutti i modelli di credit scoring sono tra loro accumunati dall’intento di distinguere le aziende sottoposte ad esame in aziende “sane” e aziende “anomale” in base ad analisi effettuate su una serie di indicatori economico-finanziari tratti dai bilanci societari.

I vari modelli si differenziano tra loro per la tipologia di indicatori economico-finanziari usati, per la composizione del campione di analisi, per i criteri usati per scindere le aziende in sane e anomale, e così via.

Tendenzialmente i modelli di scoring non danno come risultato finale la probabilità di default, ma vengono di fatto usati per poterla determinare.

Per quel che concerne la stima del rischio di credito, i modelli di scoring basati su indici di bilancio svolgono un ruolo diverso a seconda del segmento di mercato considerato.

Infatti, spesso questi modelli vengono usati, per la semplicità e per il costo molto contenuto, per effettuare le necessarie valutazioni sul campione dei crediti al consumo, mentre, nel caso in cui si valuti il segmento di prestiti erogato a società di grandi dimensioni, questi modelli vengono usati come supporto ad altre e ulteriori analisi nella determinazione del rating interno, ma sicuramente non possono, in quest’ultimo caso, rappresentare l’unico modello da utilizzare.

uno, ottenendo, quindi, un risultato irrealistico, dovendosi la probabilità di un evento collocare sempre tra zero e uno.

17

I modelli fin qui presentati si basano su un approccio di tipo deduttivo, finalizzato a individuare le relazioni causali di natura economica che spiegano l’insolvenza. In questi casi vengono, infatti, identificate a priori le variabili rilevanti (ad esempio la leva finanziaria o il rapporto oneri finanziari/reddito operativo) che si considerano direttamente proporzionali alla probabilità di default.

(34)

25 Nella prassi, di fatto, non si ricorre mai all’uso esclusivo di questo modello per la valutazione della perdita attesa, a causa dei rilevanti limiti che bisogna considerare nel momento del loro utilizzo.

In particolare, questi modelli considerano soltanto fattori di natura quantitativa, tralasciando, quindi, tutte le componenti qualitative rilevanti che posso determinare la probabilità di default di un’impresa, la qualità del management o la fase del ciclo economico, inoltre, i risultati derivanti da questi modelli dipendono dalla definizione di insolvenza adottata ex ante.18

1.3.3.2 I modelli di option pricing

In alternativa ai modelli di credit scoring si fa spesso ricorso ai modelli di option pricing,19 i quali considerano le azioni di una società come un’opzione call sul valore degli assets della società,20 considerando che lo strike price (prezzo di esercizio) è il valore del debito contratto dall’impresa.

Secondo il modello di Merton, il default di un’impresa si manifesta quando il valore degli assets è inferiore al valore del debito. Pertanto, conoscendo il valore del debito, il valore dell’attivo e il valore della volatilità è possibile definire la probabilità di default dell’impresa.

Questo modello è definito come un modello strutturale perché tratta le caratteristiche strutturali di un’impresa (valore di attività e passività, grado di leva finanziaria, variabilità dell’attivo) come determinanti della probabilità di default dell’impresa stessa.

18

Esistono diversi “gradi di insolvenza”. Se la definizione adottata nel suddividere il campione di stima è troppo ampia (comprende anche imprese che hanno registrato un ritardo nel pagamento degli interessi) si ottiene un modello che classifica come insolventi un elevato numero di soggetti. A seconda della definizione di insolvenza utilizzata si ottengono, quindi, risultati anche significativamente diversi.

19

I modelli di option pricing originano dal contributo dato in tale ambito da Merton (1974). 20

Un’opzione Call è uno strumento derivato in base al quale l'acquirente dell’opzione acquista il diritto, ma non l'obbligo, di acquistare un titolo, ossia il sottostante a un preciso strike price, cioè ad un dato prezzo d’esercizio Al fine di acquisire tale diritto, l'acquirente paga un premio. L’opzione call ha un valore positivo se alla scadenza il prezzo di mercato S è maggiore del prezzo d’esercizio K, in questo caso l’acquirente esercita l’opzione.

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