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L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina

L’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette va definito sulla base degli artt. 18 e 19 del codice del consumo, dai quali emerge in via generale che ricadono nell’ambito di applicazione di detta normativa le condotte ingannevoli o aggressive che siano contrarie alla diligenza professionale, intesa come il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori si aspettano siano posti in essere da un professionista nei loro confronti, rispetto ai principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività del professionista, nonché che falsino o siano idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio che esse raggiungono o al quale sono dirette.

In particolare, il titolo III della parte II c. cons., dedicato alle “pratiche commerciali, pubblicità e altre comunicazioni commerciali”, prende avvio dalle definizioni dell’art. 18 c. cons.,66 che sostanzialmente riproducono nel nostro ordinamento il contenuto dell’art. 2 della direttiva 2005/29/CE.

65 BARTOLOMUCCI P., op. ult. cit., p. 274-275.

66 Art. 18. c. consumo: “Definizioni 1. Ai fini del presente titolo, si intende per:

a) "consumatore": qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale;

b) "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

c) "prodotto": qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni; d) "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori" (di seguito denominate: "pratiche commerciali"): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere

Il nostro legislatore, con l’introduzione di un articolo dedicato alle definizioni, che riprende lo schema adottato dalla direttiva, utilizza una tecnica ormai consueta nella nuova legislazione, funzionale ad una delimitazione il più possibile precisa del campo di applicazione soggettivo ed oggettivo della disciplina, e favorisce l’individuazione della fattispecie giuridicamente rilevanti.

Inoltre, il legislatore italiano, seguendo una prassi consolidata del legislatore europeo, utilizza nell’art. 18 c. cons. termini e locuzioni già uniformi nella dinamica degli affari, e dunque mutuati da altre discipline, determinando in tal modo un mutamento della nostra cultura giuridica, inizialmente distante dalla contaminazione con categorie economico-sociali.67

da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

e) "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori": l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso;

f) "codice di condotta": un accordo o una normativa che non è imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici;

g) "responsabile del codice": qualsiasi soggetto, compresi un professionista o un gruppo di professionisti, responsabile della formulazione e revisione di un codice di condotta ovvero del controllo del rispetto del codice da parte di coloro che si sono impegnati a rispettarlo;

h) "diligenza professionale": il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista; i) "invito all'acquisto": una comunicazione commerciale indicante le caratteristiche e il prezzo del prodotto in forme appropriate rispetto al mezzo impiegato per la comunicazione commerciale e pertanto tale da consentire al consumatore di effettuare un acquisto;

l) "indebito condizionamento": lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una

decisione consapevole;

m) "decisione di natura commerciale": la decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto; tale decisione può portare il consumatore a compiere un'azione o

all'astenersi dal compierla;

n) "professione regolamentata": attività professionale, o insieme di attività professionali, l'accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, è subordinata direttamente o indirettamente, in base a disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali.”

67 Cfr. in proposito ROSSI CARLEO L., Dalla comunicazione commerciale alle pratiche

commerciali sleali, in Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano a cura di E. Minervini – L. Rossi Carleo, p. 17, la quale aggiunge che “Si ha (…)

Passando all’esame delle definizioni contenute all’art. 18 c. cons., la nozione di “consumatore” riprende quella riportata da numerose direttive comunitarie volte alla tutela dei rapporti di consumo, tra le quali appunto quella prevista dallo stesso art. 2 lett. a) della direttiva 2005/29/CE.

Essa ricalca quella generale di cui all’art. 3 c. cons.68 definendo il consumatore come qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del generale divieto introdotto dalla direttiva 2005/29/CE, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.

Viene così superata la definizione prevista ad hoc per la disciplina sulla pubblicità ingannevole e comparativa dal previgente testo dell’art. 18, la quale riferiva la nozione di consumatore anche alla “persona giuridica” cui le comunicazioni fossero dirette.

Infatti, nonostante la pubblicità ingannevole integri una specie del genus delle pratiche commerciali scorrette, la nuova disciplina, pur non pregiudicando la tutela garantita dal d. lgs. 2.8.2007 n. 145, vuole porsi in

uniforme, il legislatore europeo abbia privilegiato una scelta funzionale, ricorrendo all’uso di termini e locuzioni già, per così dire, uniformi nella dinamica degli affari”.

68 Cfr. art.3 c. cons.:

“Definizioni 1. Ai fini del presente codice ove non diversamente previsto, si intende per: a) consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta;

b) associazioni dei consumatori e degli utenti: le formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori o degli utenti;

c) professionista: la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario; d) produttore: fatto salvo quanto stabilito nell'art. 103, comma 1, lettera d), e nell'articolo 115, comma 2-bis il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonché l'importatore del bene o del servizio nel territorio dell'Unione europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo;

e) prodotto: fatto salvo quanto stabilito nell'art. 18, comma 1, lettera c), e nell'art. 115, comma 1, qualsiasi prodotto destinato al consumatore, anche nel quadro di una prestazione di servizi, o suscettibile, in condizioni ragionevolmente prevedibili, di essere utilizzato dal consumatore, anche se non a lui destinato, fornito o reso disponibile a titolo oneroso o gratuito nell'ambito di un'attività commerciale, indipendentemente dal fatto che sia nuovo, usato o rimesso a nuovo; tale definizione non si applica ai prodotti usati, forniti come pezzi d'antiquariato, o come prodotti da riparare o da rimettere a nuovo prima dell'utilizzazione, purché il fornitore ne informi per iscritto la persona cui fornisce il prodotto;

f) codice: il presente decreto legislativo di riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori.”

netta discontinuità69 con la previgente disciplina della pubblicità commerciale, che nell’originario art. 18, c.3 c. cons. definiva il consumatore (o utente) come la “persona fisica o giuridica cui sono dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze”.

Si reputa consumatore, dunque, qualunque soggetto possa essere, direttamente o indirettamente, potenzialmente pregiudicato nel proprio comportamento economico o nella libertà di autodeterminazione dalla pratica commerciale sleale.

Un rilevante elemento di novità può ravvisarsi nelle aggettivazioni dell’attività estranea al fine della contrattazione del consumatore, la quale non è genericamente “imprenditoriale” ma, specificatamente, “commerciale”, industriale” o “artigianale”.

Tale integrazione chiaramente non ha valenza meramente formale ma comporta la conseguenza pratica di consentire una più precisa delimitazione del campo di applicazione soggettiva della norma, come dimostrano le questioni di illegittimità costituzionale sollevati in precedenza in relazione all’art. 1469 bis c.c., nella parte in cui non avrebbe equiparato l’artigiano al consumatore, con riferimento agli artt. 3, 25 c.1 e 41 della Costituzione.70

Passando poi alla nozione di “professionista”, destinatario del divieto di pratiche commerciali scorrette, anch’essa riprende la definizione di cui all’art. 2, lett. b) della direttiva 2005/29/CE, intendendosi per professionista qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali agisca nel quadro della propria attività commerciale, industriale, artigianale o professionale nonché chiunque agisca in nome o per conto di un professionista.

È professionista, quindi, qualsiasi persona giuridica, a prescindere dallo scopo ideale o lucrativo dell’ente contraente, ovvero dalla sua qualificazione pubblica o privata, purché il contratto sia concluso per uno scopo connesso all’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o

69 Cfr. PARTISANI R., in Codice ipertestuale del consumo diretto da Franzoni M., Utet

giuridica, 2008, sub art.18, p. 68 ss.

professionale, la stessa nell’esercizio della quale è diffuso il messaggio pubblicitario dell’art. 2, d. lgs. 145/2007.71

Tale definizione è speculare anche rispetto a quella generale di cui all’art. 3, lett. c) del codice del consumo, con l’unica differenza relativa al ricorso all’espressione “chiunque agisce in luogo o per conto” al posto del riferimento alla figura dell’intermediario. A tale riguardo è stato osservato come l’uso della disgiuntiva “o” tra le espressioni “in nome” e “per conto” comporterebbe che la disposizione possa essere riferita sia a chi agisca in rappresentanza del professionista che a chi operi a vario titolo nel suo interesse72.

La nuova definizione, perciò, amplia l’area di operatività del divieto di pratiche commerciali sleali, rendendone destinatari gli ausiliari del professionista in senso lato, e quindi gli agenti, i rappresentanti, le società di marketing e, più in generale, tutti coloro che a diverso titolo operano nell’interesse del professionista stesso.