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Le pratiche commerciali scorrette: caratteri general

Definizioni normative e individuazione delle fattispecie

1. Le pratiche commerciali scorrette: caratteri general

omissioni ingannevoli - 4. Le pratiche commerciali “aggressive”

1. Le pratiche commerciali scorrette: caratteri generali

Come abbiamo visto nel capitolo precedente il bene giuridico tutelato dalla nuova normativa è, secondo l’opinione pacifica in dottrina, la libertà di

scelta del consumatore, quale prerogativa giuridica primaria direttamente

legata al principio di libera concorrenza e ad esso strumentale.99

99 Cfr. tra gli altri: DONA M., Pubblicità, pratiche commerciali e contratti nel Codice del

Consumo, Utet, Torino, 2008, p. 28 e nota 37, il quale evidenzia che il riferimento che la

normativa fa alla natura commerciale della decisione, insieme all’idoneità di questa a falsare il comportamento economico del consumatore, inducono a riconoscere l’interesse tutelato dal legislatore nella libertà negoziale del consumatore; CALVO R., Le pratiche commerciali

“ingannevoli”, in A.A.V.V., Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo, a cura di

G. De Cristofaro, Torino, 2008, p. 179, il quale sostiene che “la tutela del consumatore assume il rinnovato ruolo di mezzo capace di proteggere la libera competizione tra professionisti, che viene compromessa (…) dalle pratiche commerciali disoneste, ideate per trarre profitto dalla condizione di deficit informativo in cui si trovano i consumatori anche a scapito degli imprenditori i quali, all’opposto, operano in modo trasparente”; DI NELLA L., Le pratiche

commerciali “aggressive”, ivi, p. 292, ss., il quale sottolinea il ruolo centrale spettante al

consumatore nel meccanismo concorrenziale, essendo a lui richiesto di ergersi a giudice della qualità dei beni e della congruità dei prezzi compiendo le sue scelte secondo il metodo comparativo. Per tale motivo è necessario che la sua scelta sia consapevole, in modo che possa svolgere adeguatamente il ruolo assegnatoli. Ciò richiede un sistema di regole volte a garantirgli la possibilità di informarsi in modo chiaro e comprensibile e di disporre di informazioni veritiere e corrette, sanzionando allo stesso tempo le condotte sleali delle imprese. “Si è così configurata – continua l’Autore – la libertà di scelta del consumatore quale prerogativa giuridica primaria direttamente legata al principio di concorrenza e funzionale alla stessa”.

Lo scopo, infatti, è quello di rafforzare il principio di trasparenza nella contrattazione di massa per agevolare il consumatore a prendere decisioni consapevoli e perciò adatte a garantire la sua autodeterminazione.100

È, perciò, necessario che il consumatore venga adeguatamente informato sia nella fase precontrattuale, in modo da garantirgli la più ampia possibilità di scelta tra le varie offerte, sia, una volta che abbia scelto la sua controparte contrattuale, nella fase della conclusione del contratto, al fine di consentirgli una decisione ponderata che tenga conto di tutte le clausole contrattuali.101

Sembra, quindi, ormai essere stato recepito anche a livello normativo il superamento della concezione paternalistica che normalmente accompagna, in modo più evidente, la disciplina dei contratti del consumatore, visto che nella fase della negoziazione delle clausole contrattuali prevale la necessità di intervenire per correggere lo squilibrio strutturale che esiste tra consumatori e professionisti, mentre nella fase di scelta o acquisto del bene o del servizio emerge la necessità di tutelare l’interesse pubblico al corretto funzionamento del mercato quale luogo di scambio tra domanda e offerta, potenziando il ruolo sovrano del consumatore.

Al consumatore l’ordinamento cerca, dunque, di garantire soprattutto un’adeguata informazione, allo scopo di rendere in tal modo più efficiente e dinamico il mercato, anche sotto il profilo della concorrenza.102

Tale obiettivo è stato perseguito dal legislatore comunitario e da quello nazionale, in sede di recepimento della direttiva, attraverso l’imposizione al professionista di molteplici obblighi di informazione, la cui violazione può

100 Cfr. CALVO R., op. cit., p. 177, il quale sostiene che: “L’elemento di novità dello statuto

in tema di protezione della concorrenza consiste in ciò, che il legislatore transnazionale ha dettato una disciplina unitaria la quale prescinde dalla tipologia di beni, dalla specificità delle pratiche e dalla natura dei mezzi di comunicazione impiegati. Si è così voluto rafforzare il principio di trasparenza nella contrattazione di massa per agevolare il consumatore – in reazione alle politiche permeate dal caveat emptor – a prendere decisioni consapevoli e quindi adatte a garantire la sua autodeterminazione.”

101 BARTOLOMUCCI P., Le pratiche commerciali sleali ed il contratto: un’evoluzione del

principio della trasparenza, in Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, a cura di E. Minervini e L. Rossi Carleo, Milano, 2007, p. 262.

102 RABITTI M., sub art. 20, in Le modifiche al codice del consumo, a cura di E. Minervini e

essere frutto, in certi casi, di un’azione ingannevole, ed in altri, di un’omissione ingannevole. Essi sono:

1) l’obbligo di indicare “l’intento commerciale della pratica”, quando non risulti “già evidente dal contesto” (art. 21, c.2, c. cons.);

2) l’obbligo di informare circa l’attitudine di certi prodotti a “porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori” (art. 21, c.3, c. cons.);

3) gli obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o la commercializzazione del prodotto (art. 22, c.5, c. cons.);

4) l’obbligo di fornire, nell’invito all’acquisto, le cinque informazioni fondamentali, indicate nell’art. 22, c.4, c. cons., quando l’omissione risulti idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

L’art. 20 ai commi 2-4 e gli art. 21-26 c. cons. individuano i parametri di valutazione della “correttezza” di una pratica commerciale.

In particolare l’art. 20 c. 2 contiene una definizione di carattere generale che individua i suddetti parametri nella contrarietà alle norme di diligenza professionale103 e nella falsità o idoneità a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge, o al quale è diretta, ovvero del membro medio di un gruppo, qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. La qualificazione di una pratica commerciale come sleale sembra richiedere l’accertamento di entrambi i presupposti .104

103 Deve sottolinearsi, al riguardo, come la contrarietà alla diligenza professionale della pratica

non debba essere oggetto di prova specifica da parte del consumatore in sede di giudizio civile.

104 Cfr. DE CRISTOFARO G., La difficile attuazione della direttiva 2005/29/CE concernente

le pratiche commerciali sleali nei rapporti fra imprese e consumatori: proposte e prospettive,

in Contratto e Impresa-Europa, 1/2007, p.17.

In proposito va osservato che l’illiceità della condotta del professionista, accertata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, non esonera il consumatore dal provare in sede civile il danno che ad esso viene cagionato. In questo senso si sono pronunciate le Sezioni Unite civile nel 2009 ribadendo che l’illiceità della pratica commerciale non può essere considerata ex se prova del danno cagionato. In particolare, il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole e agisca, ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di

Tale definizione è poi “concretizzata” attraverso l’enucleazione di due categorie “speciali” di pratiche scorrette, e cioè le pratiche ingannevoli di cui agli artt. 21 e 22 e le pratiche aggressive di cui agli artt. 24 e 25, nonché attraverso l’analitica individuazione di singole, concrete tipologie di pratiche commerciali “considerate in ogni caso scorrette”, quelle elencate nelle “liste nere” di pratiche commerciali sicuramente ingannevoli ed aggressive rispettivamente inserite negli artt. 23 e 26 c. cons.105, cui si aggiungono altre fattispecie non previste nella corrispondente normativa comunitaria, e cioè quelle di cui all’art. 21 commi 3 e 4 del c. cons., e l’ipotesi di cui all’art. 22 bis c. cons., aggiunta con la legge n. 99 del 23 luglio 2009, relativa da un’ipotesi di pubblicità considerata in ogni caso ingannevole.

In dottrina si è perciò rilevato che la struttura normativa che ne deriva può essere definita “a piramide”106 o, usando un’altra immagine, può essere rappresentata come una serie di “cerchi concentrici”107 che partono dalla definizione generale di pratica commerciale, in cui è compresa la pubblicità, per poi dipanarsi, sulla base della “scorrettezza”, in pratica ingannevole, per azione o per omissione, e in pratica aggressiva.

Il comune denominatore della nozione “generale” di pratica commerciale scorretta e delle categorie delle pratiche ingannevoli (azioni ed omissioni) e delle pratiche aggressive, in cui si può ravvisare l’elemento fondamentale qualificante la “scorrettezza” di una pratica commerciale, va, dunque, ravvisato nell’attitudine della condotta del professionista a incidere in misura rilevante e con modalità inaccettabili per l’ordinamento, sui procedimenti decisionali attraverso i quali i consumatori operano le loro scelte di mercato, spingendoli ad assumere “decisioni di natura commerciale” che non avrebbero

causalità tra pubblicità e danno, nonché almeno la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose (Cass. S.U., 15 gennaio 2009, n. 794; Cass. S.U., 5 maggio 2009, n. 10274 ).

105 Mentre, infatti, nella direttiva la black list era unica, sia con riferimento alle pratiche

commerciali ingannevoli che a quelle aggressive, il legislatore italiano in sede di recepimento ha separato la lista in due parti.

106 Così LIBERTINI M., Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle

pratiche commerciali scorrette, in Contratto e impresa, 2009, 73.

107 Così TRIPODI E.M. - BATTELLI E., Commento agli artt. 18-27, in Tripodi E.M. –

Battelli E. (a cura di), Codice del Consumo. Commentario del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 2006, Maggioli, Rimini, 2008, p. 131.

altrimenti preso o avrebbero preso a condizioni differenti rispetto a quelle in concreto adottate.108

Con la tipizzazione delle pratiche commerciali ingannevoli, dunque, il legislatore comunitario è riuscito a definire una fattispecie unitaria di condotte ingannevoli, che consente di eliminare i particolarismi emergenti dalla stessa disciplina comunitaria che mediante molteplici direttive ha introdotto precetti specifici per contrastare le asimmetrie informative.