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L’ampiezza dei poteri di ingerenza gestoria dell’assemblea

4. Il riparto di competenze nel codice civile del 1942

4.2. L’ampiezza dei poteri di ingerenza gestoria dell’assemblea

Nel paragrafo precedente si è cercato di verificare quali fossero i limiti impliciti alla generale competenza gestoria degli amministratori prima della riforma societaria del 2003 e si è potuto constatare che la dottrina non ha trovato una posizione comune tra quanti ritenevano che solo gli atti eccedenti l’oggetto sociale fossero preclusi agli amministratori e quanti, invece, sostenevano la sussistenza di operazioni straordinarie incidenti sulla struttura finanziaria e patrimoniale dell’impresa societaria tali da richiedere l’intervento dell’assemblea per tali atti super-gestori.

54 Così si sviluppa il pensiero di P.ABBADESSA,l’assemblea, cit., 20.

55 Cfr. P.ABBADESSA, La competenza assembleare in materia di gestione nella società

per azioni: dal codice alla riforma, in L’attività gestoria nelle società di capitali. Profili di diritto societario italiano e spagnolo a confronto, A.SARCINA e J.A.GARCÌA

In questo paragrafo, invece, il dato normativo di partenza non è il generale potere degli amministratori, bensì il riconoscimento di un potere di ingerenza gestoria all’organo assembleare. Tale potere, peraltro, non poteva sussistere senza l’inserimento di clausole dell’atto costitutivo che riservassero determinate prerogative all’assemblea ex art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c. (ora abrogato). Ciò che occorre indagare, dunque, è l’ampiezza di tale potere di ingerenza e, in particolare, si cercherà di comprendere fino a che punto l’atto costitutivo potesse attribuire competenze di amministrazione all’organo assembleare prima della novellazione societaria del 2003.

L’arricchimento delle competenze deliberative dell’assemblea

ex art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c., infatti, fu interpretato variamente dalla

dottrina e, nello specifico, ha avuto molto rilievo una lettura restrittiva della norma di riferimento. Tale indirizzo ermeneutico era fondato sul disfavore, diffuso nella cultura giuridica del tempo, per il coinvolgimento degli azionisti nelle decisioni di impresa. In particolare, vennero formulati una serie di argomenti volti a mettere in luce come i soci fossero inadatti a assumere decisioni al di fuori di quelle loro riservate dalla legge e si tentò di sterilizzare il dato normativo limitando

qualitativamente e quantitativamente 56 le competenze attribuibili

all’assemblea attraverso disposizioni statutarie. Gli argomenti formulati57 erano i seguenti:

a) l’azionista non ha interesse né aspettativa a partecipare alla vita della società (argomento dell’azionista distratto);

b) i soci, nel decidere, si lasciano guidare dal proprio interesse particolare, mentre gli amministratori si presentano come mediatori tra l’interesse del capitale e tutti gli altri interessi che si appuntano sull’esercizio dell’impresa sociale e che vanno parimenti soddisfatti58

(argomento dell’azionista egoista);

c) se le decisioni promanano dall’assemblea, restano privi di tutela quegli interessi (dei soci minoritari, dei creditori, della collettività in genere) che il legislatore ha cura di garantire imponendo agli amministratori particolari forme di responsabilità insuscettibili di transitare in capo ai soci (argomento dell’azionista irresponsabile);

d) l’assemblea, sia per la mancanza di un’adeguata informazione dei soci, sia per l’ingombrante meccanismo procedimentale che la caratterizza, non è la sede idonea per la formazione delle decisioni aziendali (argomento dell’azionista incapace).

57 Tali argomenti sono tratti alla lettera daP.ABBADESSA, L’assemblea, cit, 31 ss. 58 Gli amministratori, nello specifico, secondo tale prospettiva, dovrebbero tenere

conto non solo degli interessi degli azionisti alla remunerazione del capitale investito ma anche degli interessi di altri soggetti quali i creditori.

Questi argomenti erano condivisi da quanti erano scettici circa la possibilità di rendere l’assemblea, attraverso disposizioni statutarie, un centro nevralgico di competenze gestorie. I sostenitori dell’indirizzo restrittivo in esame, d’altra parte, pur concordando sulla necessità di non consentire la formazione di un nuovo paradigma di sovranità assembleare, seppur per via statutaria, si dividevano circa le conseguenze dell’inidoneità degli azionisti a partecipare alla gestione della impresa sociale.

Secondo taluni, l’atto costitutivo, lungi dal traslare competenze deliberative in capo all’assemblea, avrebbe avuto l’unico effetto di sottoporre alcune operazioni societarie al parere59 o all’autorizzazione

degli azionisti60; l’organo assembleare, in particolare, sarebbe stato

chiamato a esprimere una semplice valutazione che si inseriva in un procedimento complesso destinato a terminare con l’assunzione della decisione da parte degli amministratori, soli detentori del potere gestorio61.

59 Cfr. F.BONELLI, Le direttive dell’assemblea agli amministratori di società per

azioni (art. 2364 n.4 c.c.) in Giur. comm., 1984, I, 5 ss. Per la giurisprudenza cfr. Trib.

Torino, 10 agosto 1988, in Giur. comm., 1989, II, 242 ss.; Trib. Tor., 11 settembre 1990, in Società., 1991, 73 ss.

60 Come rende evidente il prosieguo del testo qui si intende il termine autorizzazione

in senso debole non nel significato di Vetorecht riportato da G.B.PORTALE, Lezioni, cit., 207; cfr. anche F.CORSI, Il concetto, cit., 269 ss.

Secondo altri, invece, gli argomenti sopracitati avrebbero consentito un’interpretazione che restringeva quantitativamente il nucleo di decisioni riservabili alla assemblea62.

Gli argomenti sopra menzionati, ad ogni modo, sono stati largamente criticati da coloro che propendevano per un’interpretazione estensiva dell’art. 2364, 1° comma, n.4, c.c.

L’argomento che fa leva sul disinteresse dell’azionista per la vita sociale (argomento dell’azionista distratto) fu contestato poiché sembra basarsi sulla generalizzazione di quelle situazioni societarie in cui vi è una miriade di piccoli azionisti del tutto inidonei a essere coinvolti nelle operazioni societari63. Tale modello, per il vero, lungi dall’essere

universalmente diffuso, rappresentava (e rappresenta) solo una piccola parte della realtà economica italiana e internazionale ove prevalevano (e prevalgono) società per azioni «chiuse» o che, comunque, sono caratterizzate dalla presenza di azionisti che detengono una quantità di azioni considerevole64.

Per quanto riguarda l’argomento dell’azionista egoista urge considerare che, nell’ordinamento e nella dottrina italiani, non si sono mai affermati quegli indirizzi che affermano che l’impresa societaria

62 Cfr. F. DI SABATO, Manuale delle società, cit., 425;

63 Tale argomento, in altri termini, sembra basato sull’assunto che i soci siano sempre

azionisti risparmiatori, trascurando il caso degli azionisti imprenditori.

sarebbe un centro di interessi multipli, mentre è sempre prevalsa l’aderenza al dato codicistico (art. 2247 c.c.) che sancisce come il perseguimento dell’interesse sociale sia l’unico obiettivo della azione sociale65.

A proposito dell’argomento dell’azionista irresponsabile, per ciò che concerne la tutela dei soci, vi è da dire che l’ordinamento riservava le competenze più significative all’assemblea mostrando così di ritenere tutelata la minoranza dal corretto esercizio del potere assembleare66.

L’argomento dell’azionista irresponsabile, del resto, sembrava senza dubbio di maggior pregio nella parte in cui sosteneva che l’attribuzione di competenze proprie degli amministratori all’assemblea avrebbe potuto vanificare la tutela degli interessi dei creditori, i quali non avrebbero più potuto fare affidamento sulla responsabilità dei componenti dell’organo amministrativo. Riguardo alla necessità di garantire la tutela dei creditori sociali, infatti, occorre impostare un ragionamento complesso. Un’impostazione molto lucida del problema è quella di Candian che, per primo, sollevò il problema in oggetto; così si esprimeva l’Autore: «Il limite (della riserva statutaria di competenze all’assemblea) è segnato dalla necessaria tutela di quegli interessi dei

terzi che nell’ordinamento giuridico è garantita da sanzioni di

65 Cfr.P.SPADA, Dalla nozione al tipo della società per azioni, in Riv. dir. civ., 1985,

123 ss.

responsabilità civile e penale a carico degli amministratori (…) Se l’assemblea, che non assume responsabilità patrimoniale verso i terzi e non è soggetto di responsabilità penale, potesse prendere il posto degli amministratori, ai terzi sarebbe sottratta una garanzia fondamentale»67.

Se il presupposto fondamentale che questo ultimo argomento sottende, ovvero la necessità di garantire una piena tutela per i terzi, è senza dubbio persuasivo, una parte della dottrina ha sostenuto che la limitazione delle competenze statutariamente riservabili all’assemblea non fosse l’unico modo per garantire gli interessi di soggetti estranei alla impresa societaria. In particolare, è stato evidenziato come non fosse necessario addivenire a interpretazioni vanificatrici dell’art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c., essendo sufficiente riconoscere agli amministratori il potere di rifiutare l’esecuzione di quelle delibere assembleari che fossero lesive di interessi di cui essi sono garanti per mezzo dell’imposizione di forme di responsabilità. Tale potere di resistenza, del resto, non avrebbe assunto i tratti della scelta discrezionale, bensì sarebbe rimasto confinato ai soli casi in cui la compliance dell’organo amministrativo alle deliberazioni assembleari fosse stata causativa di pregiudizio per gli interessi dei terzi68.

67 Cfr. A.CANDIAN, Nullità ed annullabilità di delibere di assemblea delle società per

azioni, Milano, 1942, 187; 193 ss.

Riguardo l’argomento dell’azionista irresponsabile, è utile altresì fare alcuni brevi cenni allo sviluppo successivo della dottrina. Il dogma dell’irresponsabilità del socio, infatti, si basava sulla riluttanza dell’ordinamento italiano pre-riforma societaria nell’ammettere forme di tutela risarcitoria a fianco delle più tradizionali ipotesi di tutela reale di contrasto a deliberazioni viziate pregiudizievoli nei confronti dei soci o dei creditori sociali. Sul punto, è doveroso evidenziare come l’evoluzione del diritto societario abbia apportato un crescente interesse per l’azione di danni e i rimedi di tipo obbligatorio. In tal senso, si pensi, ad esempio all’attribuzione alle minoranze (art. 2393-bis c.c.) della legittimazione straordinaria all’esercizio dell’azione di responsabilità. Questi mutamenti normativi, hanno condotto taluni69 a mettere in

discussione il dogma della irresponsabilità degli azionisti.

Per quanto riguarda la tutela dei creditori sociali, viene sostenuto che gli stessi avrebbero un interesse all’accertamento delle alterazioni del processo decisionale che hanno condotto a esiti pregiudizievoli per la consistenza del patrimonio sociale e, in particolare, la tutela risarcitoria da predisporsi in loro favore dovrebbe potersi espandere sino a colpire l’influenza esercitata a loro danno dal gruppo di comando70. In

altri termini, stante la protezione accordata ai creditori quali portatori di interessi tutelati (artt. 2423 ss. c.c.; artt. 2343 ss. c.c.; art. 2430 ss. c.c.;

69 Cfr. F.GUERRERA,La responsabilità deliberativa nelle società di capitali, Torino,

2004, passim.

artt. 2446 e 2447 c.c.; art. 2394 c.c.; art. 223 ss. l. fall.; art. 2410 c.c.; artt. 2445, 2500 novies e 2503 c.c.; 2485 ss. c.c.), si configurerebbe, ad opinione della dottrina qui richiamata, la possibilità di imputare ai soci di comando una responsabilità aquiliana, fondata sull’induzione dolosa all’inadempimento degli obblighi di amministratori e una responsabilità di tipo contrattuale, fondata sulla violazione degli obblighi accessori, destinati a controbilanciare, per la protezione dei creditori sociali, la posizione di dominio71.

La medesima dottrina, inoltre, facendo leva sui doveri di correttezza e buona fede dei soci, pone le basi per l’affermazione di una responsabilità interna degli stessi per l’esercizio del diritto di voto, mettendo così in discussione, anche in questo ambito, il dogma dell’irresponsabilità del socio e della irresponsabilità dei pregiudizi derivanti da atti corporativi72.

Infine, non si può trascurare che in ambito di s.r.l. vi sia una norma, l’art. 2476, 7° comma, c.c. che prevede che: «sono altresì responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti

71 Così, con parole simili, F.GUERRERA,La responsabilità, cit., 250. 72 Cfr. F.GUERRERA,La responsabilità, cit.,22 ss.

dannosi per la società, i soci o i terzi» e che una parte della dottrina abbia sostenuto che tale norma sarebbe applicabile anche in ambito di s.p.a.73

Sull’altro versante dello spettro interpretativo rispetto agli argomenti (azionista distratto; azionista egoista; azionista irresponsabile; azionista incapace) sin qui esaminati, vi erano poi quanti, sposando una lettura fortemente derogatoria della norma rispetto all’assetto di competenze legalmente prefissato dal codice, propendevano per una interpretazione estensiva della regola ex art. 2364,1° comma, n.4, c.c. Costoro, nello specifico, sostenevano che: «non vi sono attività inerenti

all’esercizio dell’impresa sociale il cui compimento non possa all’assemblea essere riservato dall’atto costitutivo»74. Secondo gli

interpreti che condividevano questa ermeneutica estensiva, dunque, sarebbe stato possibile ricostituire statutariamente il principio della sovranità assembleare attraverso una spoliazione pressoché totale delle competenze dell’organo amministrativo.

Emerse, infine, una posizione intermedia fondata sulla contestazione degli argomenti sopra menzionati con la sola eccezione dell’argomento dell’azionista incapace che, invece, venne almeno

73 Cfr. F.FIMMANÒ,Abuso di direzione e coordinamento e tutela dei creditori nelle

società abusate, in Riv. not., 2012, II, 314, nt. 154.

74 Cfr. G.MINERVINI, Gli amministratori, cit., 223 ss; cfr. anche G.F.CAMPOBASSO,

parzialmente accolto75. Secondo tale tesi non vi sarebbero stati problemi

a demandare l’adozione di fondamentali scelte imprenditoriali agli azionisti, costoro infatti avrebbero potuto ponderare tali questioni, che non richiedono risposte immediate. Il problema di garantire un meccanismo decisorio veloce ed efficace, invece, si presentava per gli atti “minuti” di gestione, i cosiddetti atti di routine amministrativa, i quali presentano caratteristiche e frequenza che impediscono l’attesa dei tempi necessari per la convocazione e la deliberazione dell’assemblea76.

L’inderogabilità della competenza dell’organo amministrativo per la gestione corrente dell’impresa societaria avrebbe costituito, dunque, l’unico limite alla riserva statutaria di competenze a favore dell’assemblea ex art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c. Tale interpretazione si accompagnava all’opzione ermeneutica sopracitata a mente della quale le delibere assembleari avrebbero potuto essere disattese, qualora pregiudizievoli rispetto a interessi di terzi, dagli amministratori. Si individuava così un nucleo di potere amministrativo non trasferibile in capo all’organo assembleare.

75 Tale argomento viene accolto facendo riferimento alla lentezza del procedimento

assembleare più che alla incapacità degli azionisti di valutare le operazioni e gli atti gestori.

5. La disciplina del riparto di competenze fra organi sociali successiva