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La delega di competenze assembleari: regime legale e autonomia statutaria

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

L

A DELEGA DI COMPETENZE ASSEMBLEARI

:

REGIME LEGALE E AUTONOMIA STATUTARIA

Candidato

Andrea Maggiani

Relatore

Chiar.mo Prof. Francesco Barachini

(2)

I

NDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLOPRIMO ILRIPARTODICOMPETENZETRAORGANISOCIALI ... 8

1. La delega di competenze assembleari e il riparto di competenze tra organi sociali. Introduzione. ... 8

2. Le radici dell’assetto legale della ripartizione di competenze tra organi sociali in prospettiva storico-comparatistica ... 10

3. L’esperienza del codice di commercio del 1882. ... 18

4. Il riparto di competenze nel codice civile del 1942. ... 21

4.1. L’estensione del potere gestorio degli amministratori ... 25

4.2. L’ampiezza dei poteri di ingerenza gestoria dell’assemblea .... 32

5. La disciplina del riparto di competenze fra organi sociali successiva alla riforma del diritto societario. ... 43

6. Conclusioni ... 56

CAPITOLOSECONDO LADELEGADICOMPETENZEASSEMBLEARI:INDAGINE CIRCALACONFIGURABILITÀDIUNAFATTISPECIE UNITARIA. ... 58

1. Introduzione ... 59

2. La storia delle deleghe assembleari ... 60

3. La natura giuridica della delega assembleare ... 78

4. Alcune questioni preliminari: il carattere non privativo della delega agli amministratori e gli artt. 2396 e 2487 c.c. quali ulteriori ipotesi (implicite) di delega agli amministratori ... 88

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5.1. Definitività dell’attribuzione come elemento differenziale

rispetto alla delega ... 100 5.2 Originarietà dell’attribuzione come elemento di differenziazione rispetto alla delega ... 104 5.3. Autonomia delle competenze attribuite ex art. 2365, 2° comma, c.c., come elemento di differenziazione rispetto alla delega ... 106 5.4. Natura privativa dell’attribuzione di competenze ex art.2365, 2° comma, c.c. come elemento di differenziazione rispetto alla delega agli amministratori. ... 113 5.5. Natura ibrida della ipotesi di delega agli amministratori come elemento di differenziazione rispetto alle competenze attribuibili ex art. 2365, 2° comma, c.c. Critica. ... 127 6. conclusioni ... 130

CAPITOLO TERZO LA NUOVA FATTISPECIE DI DELEGA DI COMPETENZE

ASSEMBLEARI E LE DELEGHE ATIPICHE ... 132

1. Introduzione ... 132 2. I requisiti di forma della delega di competenza assembleari .... 137 3. I soggetti coinvolti nella delega di competenza assembleari .... 140 4. Profili contenutistici della delega di competenze assembleari .. 143 5. La questione delle deleghe atipiche prima della riforma

societaria. ... 149 6. La questione delle deleghe atipiche dopo la riforma societaria. Introduzione e tesi negativa ... 161 6.1. La questione delle deleghe atipiche dopo la riforma societaria. Gli spazi dell’autonomia privata in termini di forma e organo

(4)

6.2. La questione delle deleghe atipiche dopo la riforma societaria.

Le deleghe frazionate. ... 170

6.3. La questione delle deleghe atipiche dopo la riforma societaria. Le deleghe atipiche a competenze invariate. ... 176

6.4 La questione delle deleghe atipiche dopo la riforma societaria. Le deleghe atipiche in senso stretto. ... 181

CONCLUSIONI ... 191

BIBLIOGRAFIA ... 194

(5)

INTRODUZIONE

Il presente elaborato si propone di indagare le caratteristiche di uno specifico istituto del diritto azionario: la delega di competenze assembleari. Un primo rilievo da fare in argomento è che il diritto societario non utilizza la denominazione appena ricordata, bensì delinea, nel codice civile, le (apparentemente) differenti figure della «delega agli amministratori» (art. 2443 c.c. e art. 2420-ter c.c.) e dell’«attribuzione di competenze» (art. 2365, 2° comma, c.c.). Il termine omnicomprensivo di «delega di competenze assembleari», invece, come si vedrà, discende da una opzione interpretativa autorevole che, tramite una argomentazione multidirezionale, tenta di dimostrare come si possa ricostruire una fattispecie unitaria in materia di attribuzione

convenzionale e non privativa di competenze lungo l’asse

assemblea-amministratori.

Preliminarmente considerando che le opere più rilevanti in materia rimangono le monografie di Gian Domenico Mosco1 e Di

Stefano Cerrato2, è d’uopo illustrare quale sia il percorso seguito da

1 G.D.MOSCO, Le deleghe assembleari nella società per azioni, Milano, 2000. 2 S.A.CERRATO, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni,

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questa tesi, la quale si divide in tre capitoli, il primo dei quali di natura introduttiva.

Nel primo capitolo ci si concentra sulla cornice sistematica di riferimento rispetto al tema in oggetto e, nello specifico, si tenta di evidenziare come il rapporto tra assemblea e amministratori si sia evoluto nel corso del tempo e quale sia la sua attuale configurazione. Si adotta un metodo storico volto a mostrare come i rapporti tra questi organi abbiano subito mutamenti e, in particolare, ci si focalizza sul processo di managerializzazione della disciplina delle società per azioni e si mette in evidenza come si possa individuare un principio di tendenziale (e, quindi, non assoluta) rigidità nel riparto di competenze di funzioni, tenendo presente che proprio l’aggettivo «tendenziale» apre spazi all’operare della disciplina in materia di delega.

Dopo la trattazione delle questioni preliminari sopra citate, nei capitoli seguenti, l’attenzione si sposta sulle problematiche che costituiscono il fulcro di questo lavoro, ossia la configurabilità di una fattispecie unitaria di delega di competenze assembleari e l’ammissibilità di deleghe atipiche.

Nel secondo capitolo, in particolare, dopo aver trattato della storia e dell’inquadramento giuridico della delega, si isola quale sia il profilo su cui si appuntano le maggiori critiche rispetto alla ricostruzione di una fattispecie unitaria di delega di competenze assembleari, ossia la supposta natura privativa delle attribuzioni di competenze ex art. 2365,

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2° comma, c.c. Segnatamente, si tenta di dimostrare che le figure tradizionali di delega agli amministratori (art. 2443 c.c e art. 2420-ter c.c.) e il trasferimento di competenze ex art. 2365, 2° comma, c.c. non possono essere considerate fattispecie eterogenee a causa della presunta natura abdicativa di questo secondo tipo di deroga convenzionale al riparto legale di competenze; anche l’attribuzione di competenze, infatti, secondo la tesi adottata, non priva l’organo assembleare delle competenze trasferite. Sul punto si addurranno argomentazioni tratte dalla massima notarile del Consiglio Notarile di Milano n. 47 del 19 novembre 20043 e dalla dottrina4, oltre che da un raffronto con gli istituti

dell’autorizzazione assembleare (art. 2364, 1° comma, n.5, c.c.) e della delega gestoria (art. 2381 c.c.).

Nel terzo capitolo, d’altro canto, in un primo momento si riscostruisce quali siano i confini della delega di competenze assembleari a seguito della riconduzione delle ipotesi di attribuzione ex art. 2365, 2° comma, c.c.5 nell’alveo della fattispecie unitaria di delega.

In seguito, si valuta la questione dello spazio dell’autonomia privata, verificando così che nel sistema non è presente un principio generale di

3 Cfr. Massima n. 47, 19 novembre 2004, al sito http: //

www.consigilonotarilemilano.it/notai/massime-commissione-società.aspx).

4 In particolare, cfr. S.A.CERRATO,Le deleghe di competenze assembleari, cit.,

passim.

(8)

delegabilità, potendosi, invece, costruire un sistema selettivo di deleghe atipiche.

(9)

CAPITOLO

PRIMO

IL

RIPARTO

DI

COMPETENZE

TRA

ORGANI

SOCIALI

Sommario: 1. La delega di competenze assembleari e il riparto di competenze tra

organi sociali. Introduzione. 2. Le radici dell’assetto legale della ripartizione di competenze tra organi sociali in prospettiva storico-comparatistica. 3. L’esperienza giuridica del codice di commercio del 1882. 4. Il riparto di competenze nel codice civile del 1942. 4.1. L’estensione del potere gestorio degli amministratori. 4.2. L’ampiezza dei poteri di ingerenza gestoria dell’assemblea. 5. La disciplina del riparto di competenze fra organi sociali successiva alla riforma del diritto societario. 6. Conclusioni

1. La delega di competenze assembleari e il riparto di competenze tra organi sociali. Introduzione.

La delega di competenze assembleari6 è un istituto giuridico

volto a modulare il riparto di competenze fra organi sociali, e

6 Come si illustrerà nel prosieguo, e come si è ricordato nell’introduzione, il legislatore

non usa il lemma «delega di competenze assembleari», il quale è di formazione dottrinale. La legge fa riferimento al concetto di delega negli artt. 2420 ter c.c. e 2443 c.c., mentre le ipotesi di “attribuzione” di competenze assembleari dell’art. 2365, 2° comma, c.c. sono ricondotte dogmaticamente nell’alveo della delega di competenze

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segnatamente, tra assemblea e amministratori7, in senso derogatorio

rispetto alla disciplina ordinaria prevista dalla legge. In altre parole, tramite tale strumento, è possibile incidere sulla corporate governance societaria introducendo un elemento di flessibilità nella divisione dei compiti e delle funzioni sociali delineata dall’ordinamento. Vi è da notare, sin da ora, che la disciplina della delega di competenze assembleari, come indica il nome stesso, si sostanzia in un’attribuzione

unidirezionale di competenze, ossia permette un ampliamento delle

funzioni dell’organo amministrativo, mentre il dettato normativo è silente per quanto riguarda un ipotetico ampliamento delle competenze dell’assemblea a scapito di quelle degli amministratori8.

D’altronde, se si intende esaminare una fattispecie che consente di imprimere modifiche significative all’assetto individuato dalla legge come fisiologico, occorre, anzitutto, illustrare quale sia la disciplina derogata. Si può sostenere, quindi, che per analizzare la disciplina della delega di competenze assembleari sia utile, preliminarmente,

assembleari. Nel prossimo capitolo si esaminerà diffusamente il problema circa la riconducibilità di questa seconda ipotesi di attribuzione all’istituto in esame.

7 L’art. 2365, 2°comma, c.c., del resto, consente di attribuire competenze assembleari

anche al consiglio di sorveglianza nell’ambito del sistema dualistico.

8 Cfr. C. Angelici, La società per azioni: principi e problemi, in Trattato di diritto

civile e commerciale,A.CICU,F.MESSINEO e L.MENGONI (già diretto da), P. SCHLESINGER (continuato da), Milano, 2012, 352. Come si vedrà nel prosieguo, è possibile solo introdurre statutariamente la necessità di un’autorizzazione assembleare per competenze dell’organo amministrativo.

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interrogarsi su quale sia il riparto di competenze sociali tra organo assembleare e organo amministrativo.

In questo primo capitolo, dunque, si tenterà di saggiare quali siano i principali problemi circa l’allocazione delle competenze sociali; si adotterà, in proposito, un metodo storico volto a mettere in luce i cambiamenti occorsi e, nello specifico, dopo aver considerato le radici del problema nella esperienza europea ottocentesca, si seguirà l’evoluzione del riparto di competenze fra azionisti e amministratori a partire dal codice di commercio del 1882 sino ad arrivare all’attuale configurazione del problema a seguito della riforma societaria del 2003.

2. Le radici dell’assetto legale della ripartizione di competenze tra organi sociali in prospettiva storico-comparatistica

Durante la vigenza del codice di commercio del 1882 la dottrina era solita indicare l’assemblea come «organo supremo della volontà sociale»9; nei decenni successivi, del resto, si è potuto assistere a una

evoluzione del governo dell’impresa societaria che ha condotto a un ampliamento considerevole delle prerogative dell’organo amministrativo e a una riduzione della centralità dell’assemblea nella

9 Cfr.C.VIVANTE, Le società commerciali, in Trattato di diritto commerciale, II,

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vita societaria. Se questa, dunque, è la traiettoria che ha caratterizzato gli sviluppi della disciplina del riparto di competenze tra organi sociali negli ultimi decenni, desta senz’altro stupore notare che, nell’Europa continentale di inizio Ottocento, il percorso evolutivo in atto era di segno eguale e contrario: se l’organizzazione di stampo autoritario era il punto di partenza, i cambiamenti in atto propendevano per una configurazione democratica del governo societario10. Ai fini delle considerazioni

seguenti il termine autoritario riferito all’organizzazione sociale ha la funzione di descrivere un tipo di governo dell’impresa societaria sbilanciato a favore degli amministratori11, mentre con «organizzazione

democratica» si fa riferimento a una organizzazione sociale ove gli azionisti detengono un potere considerevole12.

Una cesura netta con l’esperienza precedente, di stampo «autoritario», si ebbe con le prime leggi a contenuto generale sulle società azionarie e, in particolare, fu decisivo il fatto che la società anonima13 divenne strumento tra i più importanti della iniziativa

economica privata e inquadrato come tale in schemi contrattualistici14.

10 Cfr. P.ABBADESSA, La gestione dell’impresa nella società per azioni, Milano, 1975,

6.

11 Cfr. P.ABBADESSA, La gestione, cit., passim. 12 Ibid.

13 Il termine “società anonima” anticamente indicava le società per azioni. 14 Cfr.P.ABBADESSA, La gestione, cit., 8.

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L’emersione forse più evidente di un diverso paradigma circa la distribuzione dei poteri societari è da rintracciarsi in una norma del codice di commercio francese del 1807 la quale statuiva che la società fosse amministrata «par des mandataires à temps, révocables»; tale espressione segnala la riconduzione della figura degli amministratori a quella dei mandatari di matrice civilistica15 e, dunque, indica come

l’organo amministrativo fosse considerato «inautonomo» 16 dalla

legislazione napoleonica. Illuminante sul punto è un chiarimento dottrinario che si esprime nei seguenti termini: «ce pouvoir

d’administrer n’appartient, en principle, qu’à la masse des actionnaires. Mais comment en concevoir l’exercise autrement que par délégation? […]. L’administration proprement dite, le rȏle actif, doit nécessairement étre concentré sur la tȇte d’un seul ou de quelques-uns, mandataires de la masse»17.

In Italia, il legislatore del 1865 non produsse modifiche di rilievo rispetto alla impostazione sopra descritta, limitandosi a tradurre il codice di commercio francese e, parimenti, la dottrina si conformò in modo pedissequo a quella d’oltralpe18.

15 Molti Autori francesi dell’epoca, infatti, sostennero l’applicabilità dell’art. 1988

code civil riguardante il mandato. Cfr.P.ABBADESSA, La gestione, cit., 9.

16 Si utilizza tale espressione che è tratta da P.ABBADESSA, La gestione, cit., 1. 17 Cfr. P.ABBADESSA, La gestione, cit., 8.

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In Germania vi fu, invece, una singolare concomitanza di resistenza al nuovo paradigma democratico sul piano dottrinario e di accoglimento del medesimo dal punto di vista legislativo. La dottrina tedesca dell’epoca, infatti, rilevò come la scarsa preparazione dei soci e la lentezza decisoria dell’organo assembleare potessero creare un vulnus alle necessità di efficienza della funzione amministrativa19; ciò, tuttavia,

non impedì che l’ADHGB si adeguasse al modello democratico.

Anche l’esperienza angloamericana seguì le stesse linee direttrici e agli amministratori venne attribuito un margine di libertà limitato per il fatto che erano usualmente considerati agents20.

In questa prima fase di democratizzazione del modello societario, quindi, si riconobbe l’affermarsi della supremazia dell’assemblea quale organo ove si esprime al massimo grado la volontà sociale e ove si può svolgere liberamente la dialettica fra azionisti.

19 Ibid.

20 Per quanto riguarda gli Stati Uniti cfr. A.A.BERLE G.C.MEANS, Società per azioni

e proprietà privata, Torino, 1966 come citato da P.ABBADESSA, La gestione, cit., 12, nt. 24, ove si possono trovare queste considerazioni circa la situazione nordamericana: « Il quadro… è quello di un gruppo di proprietari costretti a delegare alcuni poteri di gestione, ma i cui diritti di proprietà sono pienamente tutelati da una serie di regole chiaramente fissate, per effetto delle quali il margine di libertà dell’amministrazione è relativamente limitato. Gli amministratori della società, infatti, erano considerati alla stregua di mandatari (agents) che amministravano l’impresa per conto dei proprietari; pur possedendo poteri più ampi di quelli normalmente concessi ai mandatari… la loro posizione era tale che i proprietari… potevano effettivamente imporre le loro direttive per ciò che riguardava gli interessi generali».

(15)

In seguito, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, con velocità variabile nei diversi contesti nazionali, si aprì una nuova stagione contrassegnata da una direzione contraria. L’accresciuta importanza della grande impresa e la diffusione dell’investimento azionario, difatti, causarono una nuova espansione dei poteri dell’organo amministrativo e, in particolare, si può osservare come tale evoluzione si sviluppò in due sensi:

a) In primo luogo i poteri degli amministratori si estesero alla intera gestione societaria;

b) in secondo luogo l’organo amministrativo si affrancò dalla posizione di subordinazione rispetto all’assemblea.

L’ampliamento dei poteri gestori degli amministratori, ad ogni modo, non travolse completamente la rilevanza essenziale dell’assemblea all’interno della compagine sociale e vennero mantenute alcune garanzie che preservavano la centralità degli azionisti nel governo dell’impresa. In particolare, si mantenne la competenza assembleare per una serie di decisioni che coinvolgono più da vicino il funzionamento dell’organizzazione sociale21; l’estensione del potere

gestorio degli amministratori, inoltre, trovò un limite decisivo nella

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tendenza a garantire all’assemblea le decisioni di interet primordial22.

Nei diversi Stati europei, peraltro, l’evoluzione verso una recuperata centralità degli organi amministrativi si impose attraverso percorsi differenti e assunse caratteristiche non uniformi.

In Francia le novelle legislative del 1940-43 erano ispirate al principio del riparto legale di funzioni tra organi e, dunque, contrastavano decisamente con il postulato della sovranità dell’assemblea. L’affermarsi della specializzazione fra organi sociali, ad ogni modo, trovava un temperamento nel persistere della lettura in termini gerarchici dei rapporti tra organi. In altre parole, l’introduzione di un riparto di funzioni parzialmente inderogabili non condusse a una equiordinazione tra organi, bensì venne a più riprese ribadita da parte della dottrina e della giurisprudenza la gerarchia tra assemblea e amministratori.23

22 L’espressione italiana corrispondente «operazioni primordiali» indica quel tipo di

affari che sono tali da influire sui diritti partecipativi e patrimoniali dei soci e che, dunque, secondo una certa prospettiva dottrinale dovrebbero essere di competenza degli stessi; cfr., fra gli altri, G.FAUCEGLIA, “Così è (se vi pare)”: l’orientamento dei

giudici di merito in tema di fallimento di una società di fatto tra società di capitali e persone fisiche, in Giur. comm., 2018, II, 747, ss.

23 Cfr. P.ABBADESSA, La gestione, cit., 26, nt. 54. Nella stessa prospettiva si colloca

il celeberrimo arrét Motte in cui la Cassazione francese affermò che: «la société dont

les organes sont hiérarchisés et dan la quelle l’administration est exercée par un conseil élu par l’assemblée générale; qu’il n’appartient donc pas a l’assemblée générale d’empiéter sur les prérogatives du conseil en matière d’administration». Cass. civ., 4 giugno 1946 in J.C.P. come citato da P.ABBADESSA, La gestione, cit., 26, nt. 55. Questo arresto giurisprudenziale è stato variamente interpretato da Autori

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Il ruolo di supremazia dell’assemblea, del resto, è messo in discussione dalla dottrina tedesca tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Nello specifico, si può citare la posizione di Gierke secondo cui la sovranità dell’assemblea consisterebbe esclusivamente nella riserva di decisioni ultime e in una presunzione di competenza; gli amministratori, ad opinione dell’Autore, non sarebbero riducibili al rango di mandatari ma sarebbero a tutti gli effetti organi dotati di poteri fissati dalla legge24. La riflessione senz’altro più importante del resto è

quella di Ratheneau, il quale propose un ribaltamento della lettura contrattualistica della società per azioni e sostenne che la grande impresa societaria non potesse considerarsi soltanto un fenomeno a rilevanza privatistica. Il diritto azionario, al contrario, avrebbe dovuto assicurare anche la tutela dei molteplici interessi pubblici coinvolti dalla vita sociale e pertanto, secondo quest’ultimo Autore, l’assemblea degli azionisti, luogo principe di tutela dei diritti individuali dei singoli soci, non sarebbe il luogo più adatto al governo complessivo dell’impresa, mentre l’organo amministrativo potrebbe ergersi a centro di gravità della struttura societaria, intestandosi il compito di contemperare i differenti interessi che si assommano nella società25.

che hanno alternativamente enfatizzato il riconoscimento della specializzazione delle competenze sociali e la persistenza del principio di gerarchia.

24 Cfr. P.ABBADESSA, La gestione, cit., 21. 25Cfr. P.ABBADESSA,La gestione, cit., 22.

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Queste idee trovarono ampio favore durante il regime nazionalsocialista che riconobbe la posizione preminente del Vorstand quale espressione del Führerprinzip26e anche la dottrina del secondo

dopoguerra accolse tali posizioni seppur privandole del vecchio portato ideologico27.

Interessante è anche la traiettoria dell’esperienza anglo-americana e, in particolare, si deve segnalare che la giurisprudenza della Corte Suprema U.S.A. mise in crisi il principio di supremazia dell’assemblea sin dalla decisione Hoyt v. Thompson’s Executor28, in

cui viene affermato che non sussiste un rapporto di agency tra assemblea e amministratori essendo questi ultimi dotati di poteri a carattere originario. Nell’esperienza statunitense, d’altronde, l’autonomia e i poteri degli amministratori si fondano, oltre che su alcuni «miti» quali l’individualismo e la responsabilità sociale di impresa29, sull’idoneità

dell’organo amministrativo a fungere da contrappeso al potere della maggioranza degli azionisti così da assicurare una efficace tutela della minoranza assembleare30.

26 Il nucleo della disciplina era contenuto nei §§ 70,74, 95, 103. In proposito cfr. P.

ABBADESSA, La gestione, cit., 23, nt. 48.

27 Cfr. G.E.COLOMBO, Il problema della «cogestione» alla luce dell’esperienza e dei

progetti germanici, in Riv. soc., 1974, 89 ss.

28 Cfr. Hoyt v. Thompson’s Executor, 19 N.Y 207, 1859.

29 Cfr. E.GLIOZZI, Gli atti estranei all’oggetto sociale nelle società per azioni, Milano,

1970, 72 ss.

30Cfr. P.ABBADESSA, La gestione, cit., 17-18. La funzionalizzazione dei poteri degli

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3. L’esperienza del codice di commercio del 1882.

Dopo aver descritto nelle pagine precedenti l’evoluzione occorsa nelle principali tradizioni giuridiche circa il riparto di competenze tra organi sociali tra l’inizio del XIX secolo e la prima metà del XX secolo, è utile concentrarsi sull’esperienza italiana. In primo luogo, si riassumeranno i termini del problema durante la vigenza del codice di commercio del 1882 per poi focalizzarsi sulla disciplina del codice civile del 1942 e sulle modifiche introdotte con la riforma del diritto societario del 2003.

Il codice di commercio del 1882 conteneva alcune disposizioni normative che parevano confermare il primato dell’assemblea quale organo supremo nel governo dell’impresa, l’art. 121 cod. comm. 1882, difatti, statuiva che: «la società anonima è amministrata da uno o più mandatari temporanei, rivocabili, soci o non soci». Si affermava, dunque, che il rapporto tra assemblea e amministratori fosse fondato sul modello del mandato e, di conseguenza, si delineava un organo amministrativo non autonomo; anche l’art. 122, 3° comma, cod. comm. 1882 assumeva grande rilievo precisando che gli amministratori non avrebbero potuto compiere altre operazioni «che quelle espressamente menzionate nell’atto costitutivo». Il dato normativo illustrato, apparentemente

giurisprudenza talora ha ammesso che i soci in caso di unanimità possano ingerirsi nella gestione dell’impresa.

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univoco, indusse i primi commentatori a ritenere che i poteri di gestione degli amministratori fossero limitati alle operazioni esplicitamente attribuite all’organo gestorio dallo statuto31.

Nonostante il dato letterale delle norme sopracitate, del resto, una parte della dottrina adottò una interpretazione evolutiva e sottolineò il carattere originario della funzione gestoria. Nello specifico, alcuni Autori sostennero che la preclusione dell’art. 122, 3° comma, cod. comm. 1882 al compimento di operazioni diverse da quelle espressamente nominate nello statuto dovesse intendersi come una norma di divieto che impediva agli amministratori di compiere atti estranei all’oggetto sociale e non come una regola di organizzazione incidente sul riparto di competenze fra assemblea e organo amministrativo32.

Acquisito che l’art. 122 co. 3 cod. comm. 1882 non fosse una norma di organizzazione dei poteri sociali, la dottrina dell’epoca, d’altronde, si divise circa l’ampiezza dei poteri dell’organo amministrativo.

Un primo indirizzo, espansivo, sosteneva che il rispetto dell’oggetto sociale costituisse l’unico limite legislativo del potere

31 Cfr. P.ABBADESSA,La gestione, cit., 30. 32 Ibid.

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gestorio del consiglio di amministrazione; rimanendo entro tale confine, gli amministratori avrebbero potuto compiere qualunque atto33.

Un secondo indirizzo, restrittivo, sosteneva invece che l’oggetto sociale non fosse l’unico limite al potere degli amministratori poiché la natura stessa dell’organo amministrativo impediva che il consiglio potesse compiere atti incidenti sulla struttura industriale e finanziaria dell’impresa34.

Ad ogni modo, nonostante l’affermazione progressiva dell’idea che esistesse un proprium di poteri rientrante nella competenza originaria dell’organo amministrativo, durante la vigenza del codice di commercio del 1882, non venne mai definitivamente messo in dubbio il primato degli azionisti riuniti nel consesso assembleare. Vivante, ad esempio, si esprimeva in questi termini: «Il consiglio di

amministrazione di una società anonima deriva i suoi poteri dall’assemblea, che è padrona della sua rielezione e della sua revoca, e può, senza modificare lo statuto, restringere o sospendere, nelle proprie deliberazioni, l’esercizio dei suoi poteri, per esempio, dando il

33 Cfr. G.F, L’organo amministrativo nelle società anonime, Roma, 1938, 153 ss.

Questo indirizzo prese il sopravvento in giurisprudenza e trovò espressione nella massima secondo cui: «Non si deve cercare se la legge o lo statuto attribuiscano agli

amministratori una determinata facoltà eccedente l’ordinaria amministrazione, ma invece se le suddette fonti normative, limitando la pienezza dei poteri di realizzazione dell’oggetto sociale spettanti altrimenti agli amministratori, qualche facoltà dispositiva riservino all’assemblea». Cfr. la giurisprudenza citata in P.ABBADESSA,

La gestione, cit., 32, nt. 64.

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voto contrario alla conclusione di un affare. Questa deliberazione contraria ai progetti degli amministratori è legge per loro (art. 147 n. 4), mentre non lo sarebbe per il gerente di una società in accomandita»35

La posizione di sovraordinazione gerarchica dell’assemblea trovava un limite solo nel dovere degli amministratori di non dare esecuzione a delibere violative della legge o dello statuto e nella impossibilità per l’organo assembleare di ridurre i poteri degli amministratori al punto da mettere in discussione l’esistenza stessa di tale organo36.

4. Il riparto di competenze nel codice civile del 1942.

Per comprendere come si sia sviluppata la riflessione dottrinale e giurisprudenziale circa il riparto di competenze fra organi sociali durante la vigenza del codice civile del 1942 fino alla riforma del diritto societario del 2003, è necessario esaminare alcuni dati normativi essenziali.

Anzitutto vi è da notare che gli artt. 2364 e 2365 c.c., già nella loro formulazione pre-riforma, individuavano nominativamente le

35 C.VIVANTE, Le società commerciali, cit., 284. 36 Cfr G. Frè, L’organo amministrativo, cit., 47 e 161.

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competenze dell’assemblea ordinaria e straordinaria. Il catalogo delle competenze era (ed è) poi completato da altre disposizioni rinvenibili nella disciplina codicistica37.

37 Nello specifico, l’art. 2364 c.c. è dedicato all’elencazione delle competenze della

assemblea ordinaria mentre l’art. 2365 è dedicato a enumerare le competenze della assemblea straordinaria. Il catalogo di competenze dell’assemblea era (ed è) arricchito dalla presenza di altre attribuzioni di competenze sparse nella parte del codice civile dedicata al diritto societario. In particolare, l’assemblea ordinaria era competente per: la determinazione del numero degli amministratori (art. 2380, 2° comma, c.c.); la nomina e la revoca degli amministratori (art. 2364 2° comma, c.c. e art. 2383, 1° e 3° comma, c.c.); la nomina e la revoca dei sindaci (art. 2364 n. 2 c.c. e art. 2400, 1° comma, c.c.); la nomina e la revoca del direttore generale (art. 2396 c.c.); la nomina e la revoca della società di revisione (art. 2, 1° e 7° comma, d.p.r. 31-3-1975 n. 136, modificato dall’art. 15, 1°comma, d.p.r. 27-1-1992, n. 88); la nomina del presidente del consiglio di amministrazione (art. 2380, 4° comma, c.c.); la nomina del presidente del collegio sindacale (art. 2398 c.c.); la fissazione del compenso degli amministratori (art. 2364, n.3, c.c. e art. 2389, 1° comma, c.c.); la fissazione del compenso dei sindaci (art. 2364, n. 3, c.c. e art. 2402, 1° comma, c.c.); la fissazione del compenso della società di revisione (art. 2, 5° comma, d.p.r. 31-3-1975 n.136); l’autorizzazione agli amministratori a svolgere attività concorrenti (art. 2390, 1°comma, c.c.); l’autorizzazione agli amministratori a delegare le loro attribuzioni (art. 2381 c.c.); l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori (art. 2393, 1°comma, c.c.); l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro i sindaci (art. 2407, 3°comma, c.c.); l’esercizio della azione sociale di responsabilità contro il direttore generale (art. 2396 c.c.); l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro i liquidatori (art. 2452, 2° comma, c.c. e art. 2276 c.c.); l’esercizio della azione sociale di responsabilità contro la società di revisione (art. 1, ultimo comma, d.p.r. 31-3-1975 n. 136 e art. 2407, 3° comma, c.c.); la rinuncia e la transazione delle azioni di responsabilità (art. 2393, ultimo comma, c.c.); l’approvazione del bilancio di esercizio (art. 2364 n.1 c.c. e art. 2433, 1° comma, c.c.); l’acquisto e la vendita di azioni proprie (art. 2357, 2° comma, c.c.); l’acquisto di beni o di crediti dei promotori, fondatori, soci ed amministratori nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese (art. 2343-bis, 1° comma, c.c); gli “opportuni provvedimenti” in caso di perdita di capitale superiore al terzo (art. 2446, 1° comma, c.c.); il consenso per la cancellazione

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All’indicazione dei poteri assembleari non si accompagnava, però, un’elencazione delle prerogative dell’organo amministrativo e, tantomeno, un’attribuzione generale esplicita di competenza gestoria al medesimo38. Ciononostante, secondo taluni, l’affidamento del potere

gestorio agli amministratori sarebbe stato un presupposto necessario dell’art. 2380 c.c. che (nella sua formulazione pre-riforma societaria) regolava la qualità dei soggetti a cui può essere affidata l’amministrazione39.

L’assegnazione ex lege delle competenze assembleari, del resto, non sopiva del tutto alcuni profili problematici e, segnatamente, la riflessione giuridica si concentrò e si divise sull’interpretazione dell’art. 2364, 1°comma, n. 4, c.c., il cui tenore testuale era il seguente:

di iscrizioni ipotecarie ove il credito non fosse soddisfatto (art. 2383, 2° comma, c.c.). Le competenze dell’assemblea straordinaria, invece, erano le seguenti: le modificazioni dell’atto costitutivo (art. 2365 c.c.); le modificazioni dello statuto (art. 2328, ultimo comma, c.c.); la fusione (art. 2502 c.c.); la scissione (art. 2504-novies, ultimo comma, c.c., introdotto dall’art 18 d.p.r. 16-1-1991 n. 22); la delibera di non emissione di certificati azionari (art. 5 r.d. 29-3-1942 n. 239); la nomina e la revoca dei liquidatori (art. 2365 c.c. e art. 2450, 1°, 2° e 4° comma, c.c.); la determinazione dei poteri dei liquidatori (art. 2365 e art. 2452, 2° comma, c.c.); l’emissione di prestiti obbligazionari (art. 2365); la proposta di concordato fallimentare e di liquidazione (rispettivamente art. 152, 2° comma, l. fall e art. 214, 1° comma, l. fall); la proposta di concordato preventivo (art. 161, 4° comma, l. fall); la proposta di amministrazione controllata (art. 187, 2° comma, l. fall).

38 Questa sarà la soluzione prescelta dal legislatore in sede di riforma del diritto

societario (art. 2380-bis c.c.).

39 Cfr. V.SALAFIA, Deliberazioni assembleari sulla gestione sociale: obblighi degli

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«L’assemblea ordinaria delibera sugli altri oggetti attinenti alla gestione riservati alla sua competenza dall’atto costitutivo, o sottoposti al suo esame dagli amministratori, nonché sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci».

Tale disposizione sembrava riconoscere, almeno implicitamente, che gli amministratori godessero di una vera e propria investitura generale a compiere atti di gestione40, ad eccezione dei casi in cui la

competenza della assemblea fosse prevista dalla legge o riservata dallo statuto.

In altri termini, l’assemblea non poteva in alcun modo, come invece era possibile durante il vigore del codice di commercio del 1882, sostituirsi agli amministratori nella decisione di operazioni aventi carattere gestorio rispetto alle quali non vi fosse una riserva di competenza all’organo assembleare.

Sebbene fosse ormai chiarito che gli amministratori godessero di una riserva generale di potere gestorio, ciò non impedì la diffusione di controversie interpretative riguardanti il riparto di competenze tra azionisti e amministratori, con particolare riguardo a:

40 Tale argomento è stato avanzato, fra gli altri, da G. MINERVINI, Gli amministratori

di società per azioni, Milano,1956, 219 ss.; E. GLIOZZI, Gli atti estranei, cit., 152 ss.; V. CALANDRA BUONAURA, Gestione dell’impresa e competenza dell’assemblea nella

società per azioni, Milano, 1985, 106 ss.; F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1992, 423.

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a) L’estensione e i limiti impliciti del potere gestorio degli amministratori;

b) l’ampiezza dei poteri di ingerenza gestoria dell’organo assembleare.41

Nei paragrafi seguenti si analizzeranno partitamente le diverse posizioni interpretative connesse a queste questioni di diritto.

4.1. L’estensione del potere gestorio degli amministratori

Trattando dell’ampiezza dei poteri gestori dell’organo amministrativo nella disciplina pre-riforma, sembra doveroso porre alcuni punti fermi.

Anzitutto non si può trascurare che l’impianto complessivo del codice, con l’attribuzione di competenze nominate all’assemblea e con il riconoscimento, seppur implicito, della competenza gestoria generale degli amministratori, abbia segnato un significativo regresso delle

41 Con tale espressione si intende far riferimento al problema riguardante l’attribuzione

di competenze gestorie all’assemblea per mezzo di disposizioni dell’atto costitutivo ex art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c. (ora abrogato).

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competenze assembleari42, tanto che, a partire dalla svolta normativa

rappresentata dal codice civile del 1942, si può ben affermare che non sia più possibile predicare la sovranità dell’organo assembleare43.

Per quanto concerne i limiti impliciti delle prerogative gestorie degli amministratori, peraltro, la dogmatica giuridica continuava a essere divisa tra quanti ritenevano che l’organo amministrativo, detentore di una competenza esclusiva ed autonoma44 in materia di

gestione dell’impresa sociale, incontrasse l’unico confine dell’oggetto sociale e quanti, invece, continuavano a sostenere che l’assemblea, seppur non più “sovrana”, mantenesse un ruolo rilevante in materia gestoria per il tramite della vincolatività delle direttive e delle autorizzazioni assembleari ex art. 2364, 1° comma, n.4 c.c.45.

42 Cfr. M.NOTARI, L’assemblea e i processi decisionali dei soci nelle proposte di

riforma delle società non quotate, in Riv. soc., 2001, 153.

43 Bisogna ricordare che il termine sovranità qualora riferito alla assemblea è

polisemico. Così si esprime P.ABBADESSA, L’ assemblea: competenza, in Trattato

delle società per azioni, E.COLOMBO G.B.PORTALE (diretto da), III, Torino, 1994, 3

nt. 1: «Nell’uso corrente si parlava e si parla di “sovranità” dell’assemblea per lo meno in tre significati distinti: per sottolineare l’insindacabilità nel merito delle sue decisioni da parte della minoranza e del giudice (…), per affermare la situazione di preminenza che ad essa deriva soprattutto dal potere di revoca degli amministratori e di modifica dello statuto ed, infine, per indicare il potere di sostituirsi in ogni momento alla gestione sociale (…). Mentre l’assemblea può dirsi ancora sovrana con riguardo alle prime due accezioni del termine, con l’avvento del nuovo codice è venuto meno il terzo e più significativo aspetto di quel carattere».

44 Così G.B.PORTALE, Lezioni di diritto privato comparato, Torino, 2007, 192. 45 Tale disposizione è rilevante anche, e soprattutto, per il tema dell’estensione dei

poteri di ingerenza gestoria dell’assemblea e, quindi, sarà, analizzata diffusamente nel prossimo paragrafo. Per una ricostruzione del dibattito cfr., ad esempio, F.CORSI, Il

(28)

Tra quanti propendevano per riservare un qualche ruolo gestorio all’assemblea, del resto, si diffuse anche il convincimento che quando gli atti gestori comportano una trasformazione della struttura dell’impresa o incidono in modo grave sui diritti partecipativi e patrimoniali degli azionisti (decisioni di interesse primordiale), sia necessario sottoporre la decisione all’approvazione assembleare46. Tale

orientamento interpretativo si ricollega al tema delle competenze implicite47 rispetto alle quali la celebre sentenza Holzmuller afferma:

«esistono decisioni fondamentali, che pur essendo formalmente coperte

sia dal potere di rappresentanza degli amministratori, come pure dalla competenza degli stessi e dalla lettera dello statuto, tuttavia incidono così profondamente sui diritti di partecipazione degli azionisti, sulla proprietà delle loro quote e sugli interessi patrimoniali, che il Vorstand [organo di gestione] non può ragionevolmente pensare di realizzarle sotto la propria esclusiva responsabilità, senza la partecipazione

concetto di amministrazione nel diritto privato, Milano, 1974, 245 ss. Per la tesi

favorevole a riconoscere un ruolo gestorio all’assemblea cfr. G.F. CAMPOBASSO,

Diritto commerciale, II, Diritto delle società, Torino, 2002, 369 ss.; Cfr. anche P.

ABBADESSA, La gestione, cit., passim.

46 Cfr. P. ABBADESSA, La gestione, cit., 40 ss.; P. ABBADESSA, l’assemblea:

competenze, cit., 19 ss.; V. CALANDRA BUONAURA, Potere di gestione e potere di

rappresentanza degli amministratori, in Trattato delle società per azioni, IV, Torino,

1991, 105 ss.

47 Si vedrà nel prosieguo che le supposte competenze implicite dell’assemblea, qualora

esistenti, non hanno comunque natura gestoria e non sono quindi idonee a interferire con l’ambito di intervento proprio degli amministratori.

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dell’assemblea»48. Nondimeno, come si vedrà nel prosieguo, il

riconoscimento dell’esistenza di decisioni «super-gestorie» non conduce necessariamente al riconoscimento dell’esistenza di competenze implicite dell’assemblea.

Per considerare il tenore delle ragioni addotte a favore della persistenza di un qualche limite alla competenza gestoria degli amministratori, con particolare riguardo alla necessità di interpellare l’assemblea per l’assunzione di decisioni particolarmente incisive sulla struttura dell’impresa e sulle partecipazioni dei soci, può essere utile esaminare il pensiero di Abbadessa49. L’argomentazione dell’Autore si

compone di una pars destruens e di una pars costruens.

In un primo momento, infatti, viene confutata la tesi secondo la quale sarebbero esistite operazioni riservate all’assemblea perché incidenti in modo fondamentale sulla struttura stessa, industriale e finanziaria, dell’impresa societaria. In proposito, si sosteneva che l’art. 2364, 1° comma, n.4, c.c. sembrava escludere la sussistenza di atti di gestione ricadenti nella sfera di competenze necessaria dell’assemblea poiché la disposizione in questione consentiva soltanto una attribuzione statutaria di competenze gestorie all’organo assembleare, rimanendo silente circa la supposta esistenza di un nucleo fondamentale di

48 Così la sentenza Holzmuller come riportata da G.BPORTALE,Lezioni, cit., 197. 49 Cfr. P. ABBADESSA, La gestione, cit, 40 ss.; P. ABBADESSA, L’assemblea:

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competenze assembleari. Ad adiuvandum veniva anche addotta una lettura sistematica della legislazione che si concentrava sul raffronto con la disciplina della preposizione institoria. Se infatti l’institore non poteva alienare o ipotecare beni immobili ex art. 2204, 1° comma, c.c. (e non può tuttora) e ciò era indicativo della sua incapacità di trasformare l’impresa nei suoi concreti e fondamentali elementi costitutivi, si poteva rilevare come analoga disposizione fosse assente nell’ambito della disciplina circa i poteri degli amministratori di società50 e ciò,

ragionando a contrario, avrebbe potuto far ritenere che agli stessi fossero riconosciuti i poteri preclusi agli institori. Riassumendo, in sostanza, si negava che fossero riconoscibili indizi normativi capaci di fondare ipotesi dottrinali volte a riconoscere l’esistenza di vere e proprie competenze implicite dell’assemblea.

Ad opinione di Abbadessa, del resto, la tesi dottrinale che individuava l’oggetto sociale come unico limite alle competenze degli amministratori presentava il limite di non considerare che possono ricorrere atti che, per la loro qualità e importanza, possono mettere in discussione le sorti stesse dell’impresa e incidere in modo potenzialmente pregiudizievole sugli interessi partecipativi e patrimoniali degli azionisti e che, dunque, richiedono un qualche controllo da parte dei soci che sostengono il rischio dell’andamento della gestione societaria.

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La difficile conciliazione tra l’assenza di un dato normativo che limitasse esplicitamente le competenze degli amministratori con riguardo a determinate operazioni e la necessità di una qualche forma di controllo da parte dei soci fu raggiunta dall’Autore attraverso l’interpretazione evolutiva di un inciso dell’art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c. Il frammento di disposizione a cui si fa riferimento è quello in forza del quale gli amministratori potevano sottoporre determinate questioni inerenti alla gestione all’esame dell’assemblea. Sul punto, La dottrina precedente aveva sempre sposato un indirizzo ermeneutico che considerava la norma in esame come attributiva di una mera facoltà di interpellare l’assemblea riguardo ad oggetti che coinvolgevano la funzione gestoria. Secondo tale dottrina, questa possibilità, del resto, sarebbe stata concessa agli amministratori per coinvolgere l’organo assembleare in operazioni particolarmente incerte o rischiose così da evitare una eventuale responsabilità51. Secondo Abbadessa, al contrario,

l’interpello dell’organo assembleare da parte degli amministratori si sarebbe potuto colorare di doverosità, in quanto nella lettera della disposizione non vi erano prove evidenti che il potere di sottoporre questioni all’assemblea fosse una mera facoltà e fosse attribuito nell’esclusivo interesse degli amministratori. I componenti dell’organo amministrativo, in definitiva, sarebbero stati obbligati giuridicamente a sottoporre al vaglio dell’assemblea quelle operazioni che fossero a tal

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punto decisive ed essenziali per l’impresa societaria da sottoporla a rischi economici particolarmente rilevanti52.

Il controllo degli azionisti circa le operazioni vitali che incidono sulla struttura economica dell’impresa societaria, dunque, secondo l’Autore, si sarebbe dovuto concretare non nella spoliazione di competenze gestorie e nella conseguente riduzione del potere degli amministratori, bensì nel riconoscimento del dovere di interpello dell’assemblea, il quale, peraltro, secondo un certo indirizzo interpretativo, avrebbe avuto il valore di un Vetorecht capace di incidere in senso ostativo al potere gestorio degli amministratori53. Nello

specifico, gli amministratori avrebbero dovuto sottoporre all’assemblea

52 In proposito queste sono le parole utilizzate da P.ABBADESSA, La gestione, cit, 44:

«Si potrebbe, cioè, sostenere che gli amministratori sono tenuti a sottoporre

all’assemblea quelle operazioni che tendono a imprimere all’esercizio dell’impresa un corso radicalmente nuovo o a esporla a rischi economici assolutamente straordinari, rispetto ai quali è da presumere che i soci siano interessati a ricevere congrue informazioni e ad esprimere il proprio consenso. Ove gli amministratori omettessero di farlo, agirebbero a proprio rischio, nel senso che, versando già in colpa, sarebbero in ogni caso responsabili degli eventuali danni, salva comunque la possibilità di revoca per giusta causa. Solo l’urgenza o la riservatezza della decisione potrebbero giustificare l’omissione. In pratica, la soluzione proposta tende a formalizzare quei “contatti confidenziali” tra amministratori e azionisti di maggioranza che in casi come quelli considerati inevitabilmente si instaurano, costringendo il gruppo di controllo a rendere conto in sede assembleare dei propri progetti circa il futuro dell’impresa».

53 Cfr. G.B.PORTALE, Lezioni, cit., 207. Sul punto può essere utile considerare che in

ambito di s.r.l. l’art. 2479, comma 2, n.5, c.c. prevede che: «In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci[…] 5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci».

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le decisioni che implicano una modifica degli interessi partecipativi e patrimoniali dei soci in virtù del principio di buona fede (ex. Art. 1375 c.c.)54.

La soluzione illustrata, rispetto a quella fondata sull’individuazione di competenze implicite aveva il vantaggio di evitare una rigida tipizzazione delle fattispecie rilevanti55.

4.2. L’ampiezza dei poteri di ingerenza gestoria dell’assemblea

Nel paragrafo precedente si è cercato di verificare quali fossero i limiti impliciti alla generale competenza gestoria degli amministratori prima della riforma societaria del 2003 e si è potuto constatare che la dottrina non ha trovato una posizione comune tra quanti ritenevano che solo gli atti eccedenti l’oggetto sociale fossero preclusi agli amministratori e quanti, invece, sostenevano la sussistenza di operazioni straordinarie incidenti sulla struttura finanziaria e patrimoniale dell’impresa societaria tali da richiedere l’intervento dell’assemblea per tali atti super-gestori.

54 Così si sviluppa il pensiero di P.ABBADESSA,l’assemblea, cit., 20.

55 Cfr. P.ABBADESSA, La competenza assembleare in materia di gestione nella società

per azioni: dal codice alla riforma, in L’attività gestoria nelle società di capitali. Profili di diritto societario italiano e spagnolo a confronto, A.SARCINA e J.A.GARCÌA

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In questo paragrafo, invece, il dato normativo di partenza non è il generale potere degli amministratori, bensì il riconoscimento di un potere di ingerenza gestoria all’organo assembleare. Tale potere, peraltro, non poteva sussistere senza l’inserimento di clausole dell’atto costitutivo che riservassero determinate prerogative all’assemblea ex art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c. (ora abrogato). Ciò che occorre indagare, dunque, è l’ampiezza di tale potere di ingerenza e, in particolare, si cercherà di comprendere fino a che punto l’atto costitutivo potesse attribuire competenze di amministrazione all’organo assembleare prima della novellazione societaria del 2003.

L’arricchimento delle competenze deliberative dell’assemblea

ex art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c., infatti, fu interpretato variamente dalla

dottrina e, nello specifico, ha avuto molto rilievo una lettura restrittiva della norma di riferimento. Tale indirizzo ermeneutico era fondato sul disfavore, diffuso nella cultura giuridica del tempo, per il coinvolgimento degli azionisti nelle decisioni di impresa. In particolare, vennero formulati una serie di argomenti volti a mettere in luce come i soci fossero inadatti a assumere decisioni al di fuori di quelle loro riservate dalla legge e si tentò di sterilizzare il dato normativo limitando

qualitativamente e quantitativamente 56 le competenze attribuibili

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all’assemblea attraverso disposizioni statutarie. Gli argomenti formulati57 erano i seguenti:

a) l’azionista non ha interesse né aspettativa a partecipare alla vita della società (argomento dell’azionista distratto);

b) i soci, nel decidere, si lasciano guidare dal proprio interesse particolare, mentre gli amministratori si presentano come mediatori tra l’interesse del capitale e tutti gli altri interessi che si appuntano sull’esercizio dell’impresa sociale e che vanno parimenti soddisfatti58

(argomento dell’azionista egoista);

c) se le decisioni promanano dall’assemblea, restano privi di tutela quegli interessi (dei soci minoritari, dei creditori, della collettività in genere) che il legislatore ha cura di garantire imponendo agli amministratori particolari forme di responsabilità insuscettibili di transitare in capo ai soci (argomento dell’azionista irresponsabile);

d) l’assemblea, sia per la mancanza di un’adeguata informazione dei soci, sia per l’ingombrante meccanismo procedimentale che la caratterizza, non è la sede idonea per la formazione delle decisioni aziendali (argomento dell’azionista incapace).

57 Tali argomenti sono tratti alla lettera daP.ABBADESSA, L’assemblea, cit, 31 ss. 58 Gli amministratori, nello specifico, secondo tale prospettiva, dovrebbero tenere

conto non solo degli interessi degli azionisti alla remunerazione del capitale investito ma anche degli interessi di altri soggetti quali i creditori.

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Questi argomenti erano condivisi da quanti erano scettici circa la possibilità di rendere l’assemblea, attraverso disposizioni statutarie, un centro nevralgico di competenze gestorie. I sostenitori dell’indirizzo restrittivo in esame, d’altra parte, pur concordando sulla necessità di non consentire la formazione di un nuovo paradigma di sovranità assembleare, seppur per via statutaria, si dividevano circa le conseguenze dell’inidoneità degli azionisti a partecipare alla gestione della impresa sociale.

Secondo taluni, l’atto costitutivo, lungi dal traslare competenze deliberative in capo all’assemblea, avrebbe avuto l’unico effetto di sottoporre alcune operazioni societarie al parere59 o all’autorizzazione

degli azionisti60; l’organo assembleare, in particolare, sarebbe stato

chiamato a esprimere una semplice valutazione che si inseriva in un procedimento complesso destinato a terminare con l’assunzione della decisione da parte degli amministratori, soli detentori del potere gestorio61.

59 Cfr. F.BONELLI, Le direttive dell’assemblea agli amministratori di società per

azioni (art. 2364 n.4 c.c.) in Giur. comm., 1984, I, 5 ss. Per la giurisprudenza cfr. Trib.

Torino, 10 agosto 1988, in Giur. comm., 1989, II, 242 ss.; Trib. Tor., 11 settembre 1990, in Società., 1991, 73 ss.

60 Come rende evidente il prosieguo del testo qui si intende il termine autorizzazione

in senso debole non nel significato di Vetorecht riportato da G.B.PORTALE, Lezioni, cit., 207; cfr. anche F.CORSI, Il concetto, cit., 269 ss.

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Secondo altri, invece, gli argomenti sopracitati avrebbero consentito un’interpretazione che restringeva quantitativamente il nucleo di decisioni riservabili alla assemblea62.

Gli argomenti sopra menzionati, ad ogni modo, sono stati largamente criticati da coloro che propendevano per un’interpretazione estensiva dell’art. 2364, 1° comma, n.4, c.c.

L’argomento che fa leva sul disinteresse dell’azionista per la vita sociale (argomento dell’azionista distratto) fu contestato poiché sembra basarsi sulla generalizzazione di quelle situazioni societarie in cui vi è una miriade di piccoli azionisti del tutto inidonei a essere coinvolti nelle operazioni societari63. Tale modello, per il vero, lungi dall’essere

universalmente diffuso, rappresentava (e rappresenta) solo una piccola parte della realtà economica italiana e internazionale ove prevalevano (e prevalgono) società per azioni «chiuse» o che, comunque, sono caratterizzate dalla presenza di azionisti che detengono una quantità di azioni considerevole64.

Per quanto riguarda l’argomento dell’azionista egoista urge considerare che, nell’ordinamento e nella dottrina italiani, non si sono mai affermati quegli indirizzi che affermano che l’impresa societaria

62 Cfr. F. DI SABATO, Manuale delle società, cit., 425;

63 Tale argomento, in altri termini, sembra basato sull’assunto che i soci siano sempre

azionisti risparmiatori, trascurando il caso degli azionisti imprenditori.

(38)

sarebbe un centro di interessi multipli, mentre è sempre prevalsa l’aderenza al dato codicistico (art. 2247 c.c.) che sancisce come il perseguimento dell’interesse sociale sia l’unico obiettivo della azione sociale65.

A proposito dell’argomento dell’azionista irresponsabile, per ciò che concerne la tutela dei soci, vi è da dire che l’ordinamento riservava le competenze più significative all’assemblea mostrando così di ritenere tutelata la minoranza dal corretto esercizio del potere assembleare66.

L’argomento dell’azionista irresponsabile, del resto, sembrava senza dubbio di maggior pregio nella parte in cui sosteneva che l’attribuzione di competenze proprie degli amministratori all’assemblea avrebbe potuto vanificare la tutela degli interessi dei creditori, i quali non avrebbero più potuto fare affidamento sulla responsabilità dei componenti dell’organo amministrativo. Riguardo alla necessità di garantire la tutela dei creditori sociali, infatti, occorre impostare un ragionamento complesso. Un’impostazione molto lucida del problema è quella di Candian che, per primo, sollevò il problema in oggetto; così si esprimeva l’Autore: «Il limite (della riserva statutaria di competenze all’assemblea) è segnato dalla necessaria tutela di quegli interessi dei

terzi che nell’ordinamento giuridico è garantita da sanzioni di

65 Cfr.P.SPADA, Dalla nozione al tipo della società per azioni, in Riv. dir. civ., 1985,

123 ss.

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responsabilità civile e penale a carico degli amministratori (…) Se l’assemblea, che non assume responsabilità patrimoniale verso i terzi e non è soggetto di responsabilità penale, potesse prendere il posto degli amministratori, ai terzi sarebbe sottratta una garanzia fondamentale»67.

Se il presupposto fondamentale che questo ultimo argomento sottende, ovvero la necessità di garantire una piena tutela per i terzi, è senza dubbio persuasivo, una parte della dottrina ha sostenuto che la limitazione delle competenze statutariamente riservabili all’assemblea non fosse l’unico modo per garantire gli interessi di soggetti estranei alla impresa societaria. In particolare, è stato evidenziato come non fosse necessario addivenire a interpretazioni vanificatrici dell’art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c., essendo sufficiente riconoscere agli amministratori il potere di rifiutare l’esecuzione di quelle delibere assembleari che fossero lesive di interessi di cui essi sono garanti per mezzo dell’imposizione di forme di responsabilità. Tale potere di resistenza, del resto, non avrebbe assunto i tratti della scelta discrezionale, bensì sarebbe rimasto confinato ai soli casi in cui la compliance dell’organo amministrativo alle deliberazioni assembleari fosse stata causativa di pregiudizio per gli interessi dei terzi68.

67 Cfr. A.CANDIAN, Nullità ed annullabilità di delibere di assemblea delle società per

azioni, Milano, 1942, 187; 193 ss.

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Riguardo l’argomento dell’azionista irresponsabile, è utile altresì fare alcuni brevi cenni allo sviluppo successivo della dottrina. Il dogma dell’irresponsabilità del socio, infatti, si basava sulla riluttanza dell’ordinamento italiano pre-riforma societaria nell’ammettere forme di tutela risarcitoria a fianco delle più tradizionali ipotesi di tutela reale di contrasto a deliberazioni viziate pregiudizievoli nei confronti dei soci o dei creditori sociali. Sul punto, è doveroso evidenziare come l’evoluzione del diritto societario abbia apportato un crescente interesse per l’azione di danni e i rimedi di tipo obbligatorio. In tal senso, si pensi, ad esempio all’attribuzione alle minoranze (art. 2393-bis c.c.) della legittimazione straordinaria all’esercizio dell’azione di responsabilità. Questi mutamenti normativi, hanno condotto taluni69 a mettere in

discussione il dogma della irresponsabilità degli azionisti.

Per quanto riguarda la tutela dei creditori sociali, viene sostenuto che gli stessi avrebbero un interesse all’accertamento delle alterazioni del processo decisionale che hanno condotto a esiti pregiudizievoli per la consistenza del patrimonio sociale e, in particolare, la tutela risarcitoria da predisporsi in loro favore dovrebbe potersi espandere sino a colpire l’influenza esercitata a loro danno dal gruppo di comando70. In

altri termini, stante la protezione accordata ai creditori quali portatori di interessi tutelati (artt. 2423 ss. c.c.; artt. 2343 ss. c.c.; art. 2430 ss. c.c.;

69 Cfr. F.GUERRERA,La responsabilità deliberativa nelle società di capitali, Torino,

2004, passim.

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artt. 2446 e 2447 c.c.; art. 2394 c.c.; art. 223 ss. l. fall.; art. 2410 c.c.; artt. 2445, 2500 novies e 2503 c.c.; 2485 ss. c.c.), si configurerebbe, ad opinione della dottrina qui richiamata, la possibilità di imputare ai soci di comando una responsabilità aquiliana, fondata sull’induzione dolosa all’inadempimento degli obblighi di amministratori e una responsabilità di tipo contrattuale, fondata sulla violazione degli obblighi accessori, destinati a controbilanciare, per la protezione dei creditori sociali, la posizione di dominio71.

La medesima dottrina, inoltre, facendo leva sui doveri di correttezza e buona fede dei soci, pone le basi per l’affermazione di una responsabilità interna degli stessi per l’esercizio del diritto di voto, mettendo così in discussione, anche in questo ambito, il dogma dell’irresponsabilità del socio e della irresponsabilità dei pregiudizi derivanti da atti corporativi72.

Infine, non si può trascurare che in ambito di s.r.l. vi sia una norma, l’art. 2476, 7° comma, c.c. che prevede che: «sono altresì responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti

71 Così, con parole simili, F.GUERRERA,La responsabilità, cit., 250. 72 Cfr. F.GUERRERA,La responsabilità, cit.,22 ss.

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dannosi per la società, i soci o i terzi» e che una parte della dottrina abbia sostenuto che tale norma sarebbe applicabile anche in ambito di s.p.a.73

Sull’altro versante dello spettro interpretativo rispetto agli argomenti (azionista distratto; azionista egoista; azionista irresponsabile; azionista incapace) sin qui esaminati, vi erano poi quanti, sposando una lettura fortemente derogatoria della norma rispetto all’assetto di competenze legalmente prefissato dal codice, propendevano per una interpretazione estensiva della regola ex art. 2364,1° comma, n.4, c.c. Costoro, nello specifico, sostenevano che: «non vi sono attività inerenti

all’esercizio dell’impresa sociale il cui compimento non possa all’assemblea essere riservato dall’atto costitutivo»74. Secondo gli

interpreti che condividevano questa ermeneutica estensiva, dunque, sarebbe stato possibile ricostituire statutariamente il principio della sovranità assembleare attraverso una spoliazione pressoché totale delle competenze dell’organo amministrativo.

Emerse, infine, una posizione intermedia fondata sulla contestazione degli argomenti sopra menzionati con la sola eccezione dell’argomento dell’azionista incapace che, invece, venne almeno

73 Cfr. F.FIMMANÒ,Abuso di direzione e coordinamento e tutela dei creditori nelle

società abusate, in Riv. not., 2012, II, 314, nt. 154.

74 Cfr. G.MINERVINI, Gli amministratori, cit., 223 ss; cfr. anche G.F.CAMPOBASSO,

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parzialmente accolto75. Secondo tale tesi non vi sarebbero stati problemi

a demandare l’adozione di fondamentali scelte imprenditoriali agli azionisti, costoro infatti avrebbero potuto ponderare tali questioni, che non richiedono risposte immediate. Il problema di garantire un meccanismo decisorio veloce ed efficace, invece, si presentava per gli atti “minuti” di gestione, i cosiddetti atti di routine amministrativa, i quali presentano caratteristiche e frequenza che impediscono l’attesa dei tempi necessari per la convocazione e la deliberazione dell’assemblea76.

L’inderogabilità della competenza dell’organo amministrativo per la gestione corrente dell’impresa societaria avrebbe costituito, dunque, l’unico limite alla riserva statutaria di competenze a favore dell’assemblea ex art. 2364, 1° comma, n. 4, c.c. Tale interpretazione si accompagnava all’opzione ermeneutica sopracitata a mente della quale le delibere assembleari avrebbero potuto essere disattese, qualora pregiudizievoli rispetto a interessi di terzi, dagli amministratori. Si individuava così un nucleo di potere amministrativo non trasferibile in capo all’organo assembleare.

75 Tale argomento viene accolto facendo riferimento alla lentezza del procedimento

assembleare più che alla incapacità degli azionisti di valutare le operazioni e gli atti gestori.

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