giuridica della delega assembleare. 4. Il carattere non privativo della delega agli amministratori. 5. Gli artt. 2396 e 2487 c.c.: ulteriori ipotesi (implicite) di delega agli amministratori? 6. L’art. 2365, 2° comma, c.c.: traslazione di competenze o ampliamento del novero delle deleghe assembleari? 6.1. L’argomento formale- lessicale. 6.2. Definitività dell’attribuzione come elemento differenziale rispetto alla delega. 6.3. Originarietà della attribuzione come elemento di differenziazione rispetto alla delega. 6.4. Autonomia delle competenze attribuite ex art. 2365, 2° comma, c.c., come elemento di differenziazione rispetto alla delega. 6.5. Natura privativa dell’ attribuzione di competenze ex art.2365, 2° comma, c.c. come elemento di differenziazione rispetto alla delega agli amministratori. 6.6. Natura ibrida della ipotesi di delega agli amministratori come elemento di differenziazione rispetto alle competenze attribuibili ex art. 2365, 2° comma, c.c. Critica. 7. Conclusioni
1. Introduzione
In questo capitolo il principale nucleo di indagine riguarda la riconducibilità delle fattispecie di «attribuzione» di competenze ex art. 2365, 2°comma, c.c.104 all’istituto della delega assembleare. Sul punto,
la ricostruzione di un’unica figura normativa ha condotto certa dottrina a coniare il termine omnicomprensivo di «delega di competenze assembleari». Nel prosieguo di questo elaborato, si userà quest’ultimo termine per indicare la totalità delle ipotesi rientranti in questa fattispecie unitaria, mentre, con «delega agli amministratori», si farà riferimento a quelle ipotesi normative in cui il legislatore espressamente utilizza la parola «delega»105.
Prima di esaminare la questione sopra esposta, ci si soffermerà, però, a considerare alcuni temi preliminari. Nello specifico, è utile ripercorrere la storia delle deleghe assembleari nell’ordinamento italiano106, considerare le diverse qualificazioni dogmatiche dell’istituto
104 Come si vedrà in seguito, del resto, esistono anche altre fattispecie sparse di
attribuzione di competenze assembleari agli amministratori e, in particolare vd. art. 2446, 2° comma, c.c. e art. 2506-ter c.c.
105 In particolare, si farà riferimento alle ipotesi ex art. 2420-ter c.c. e ex art. 2443. c.c. 106 In proposito cfr. anche G.D.MOSCO, Le deleghe assembleari, cit., 1 ss.; D.PASTORE,
L’aumento di capitale sociale delegato all’organo amministrativo, in Riv. dir. comm.,
2001, I, 531 ss.; S. TONDO, Delega per aumento di capitale e per prestito
obbligazionario, Implicazioni sostanziali e formali, in AA.VV., Imprese e tecniche di documentazione giuridica, II, Documentazione e vita dell’impresa, Milano, 1990, 133
in esame che si sono sviluppate in dottrina a partire dal periodo di vigenza del codice di commercio del 1882, valutare quale sia la ragione per cui il carattere non privativo della delega agli amministratori è un punto fermo in dottrina e, infine, esaminare brevemente la questione della riconducibilità nell’alveo dell’istituto della delega agli amministratori delle ipotesi ex artt. 2396 e 2487 c.c.
2. La storia delle deleghe assembleari
La delega agli amministratori è uno strumento di variazione convenzionale del riparto di competenze che tarda a manifestarsi nella storia delle società anonime. Peraltro, come si è esposto nel capitolo precedente107, fino al codice di commercio del 1882 gli amministratori
erano considerati mandatari degli azionisti e vigeva il principio della sovranità e della supremazia dell’organo assembleare; in tale contesto, ove i soci erano domini della gestione societaria, si può comprendere non vi fosse un’abbondanza di strumenti volti a modulare in senso manageriale la governance societaria.
In seguito, di pari passo con l’affermarsi in dottrina di interpretazioni autorevoli che cercavano di superare la qualificazione
degli amministratori come meri mandatari108, la prassi commerciale
della fine del XIX secolo si sviluppò nel senso di consentire agli amministratori di aumentare il capitale a seguito di una delega loro conferita dai soci in sede di costituzione della società o con una successiva modifica dello statuto; l’attuazione 109 della delega
assembleare sarebbe stata effettuata dai componenti dell’organo amministrativo se e quando i bisogni dell’impresa lo avessero richiesto110.
La delega, d’altronde, non rimase a lungo confinata nello schema dell’aumento di capitale e, ben presto, si diffusero forme di delegazione ulteriori. All’inizio del secolo scorso la dottrina più autorevole affermava persino che qualsiasi delega (in favore degli amministratori) a modificare lo statuto, purché circostanziata, potesse111 «essere
prevista e determinata dallo statuto [stesso], sia quello originario, sia quello modificato successivamente», spettando agli amministratori il
108 Vd. Supra pp. 19-20
109 In seguito si specificherà come debba essere inteso in questo caso il termine
«attuazione». Vd. Infra. p. 63
110 Sul punto cfr.S.A.CERRATO, Le deleghe di competenze assembleari, cit., 3 e nt. 4
ove si passano in rassegna i contributi dottrinali e giurisprudenziali dell’epoca circa la legittimità della delega.
111 Ragionando sulla base dell’aumento di capitale delegato, infatti, che si risolve in
una modifica statutaria da parte degli amministratori attraverso l’aumento dell’ammontare del capitale sociale, si riteneva che gli organi delegati esercitassero la delega essenzialmente attraverso delle modifiche dell’atto costitutivo.
compito di «eseguirla, determinandone le condizioni concrete»112. Tale
espansione del novero delle modificazioni statutarie delegabili era motivata dal fatto che si iniziava ad avvertire l’esigenza di semplificare dal punto di vista procedimentale una serie di operazioni altrimenti irrigidite dal farraginoso passaggio assembleare113.
Prima di verificare come tale prassi normativa sia stata recepita dal legislatore del codice del 1942, è doveroso chiarire alcuni aspetti terminologici che potrebbero ingenerare ambiguità. In proposito, vi è da notare che la delega ottocentesca veniva spesso descritta come una mera attribuzione di facoltà attuative; tale espressione può suscitare nel giurista contemporaneo l’idea che l’organo amministrativo, pur a seguito della delega, non fosse detentore di alcun potere decisorio. È sufficiente considerare che la dottrina dell’epoca descriveva il fenomeno nei termini seguenti: «Il supremo potere [di modifica dello statuto] è
rimesso dalla legge esclusivamente all’assemblea» e,
conseguentemente, «il consiglio che esplica ed attua quelle previsioni
112 Cfr. C.VIVANTE, Le società commerciali, cit., 301, n.510 e nt. 143 e 143-bis il quale
menziona fra le riforme statutarie delegabili la fusione e la riduzione del capitale.
113 Come si è visto nel capitolo precedente, l’esigenza di accelerazione e
semplificazione nel prendere determinate decisioni sta alla base del lungo processo di managerializzazione che ha investito la s.p.a. Fra gli autori che già all’epoca di questa prima espansione delle ipotesi di delega avvertirono questa necessità cfr. C.VIVANTE,
non usurpa i poteri dell’assemblea, perché è dessa che ha deliberato e dichiarata la volontà sociale»114.
Un Autore 115 , del resto, ha sostenuto che le deleghe
ottocentesche non fossero differenti da quelle ora in uso e che l’utilizzo del termine «attuazione» al posto di «decisione» non fosse dovuto a una differenza sostanziale nell’istituto della delega assembleare, bensì fosse conseguenza naturale di una diversa sensibilità giuridica degli studiosi dell’epoca116. In particolare, che le potestà attribuite con le deleghe
ottocentesche non fossero di mera attuazione, si può desumere dal fatto che spesso i poteri dell’organo amministrativo assumevano una estensione anche più lata di quanto il codice del 1942 abbia poi consentito (art. 2443 c.c.). Il fatto che la natura giuridica della delega non sia mutata, infine, si può confermare sulla base della ricorrenza di alcuni profili comuni persistenti nella disciplina della delega: il carattere solo facoltativo della decisione delegata, la tendenza a collocare l’eventuale diritto di recesso nel momento in cui la delega è esercitata (e non nel momento del suo conferimento), la soggezione della
114 Cfr. C.VIVANTE, Le società commerciali, cit., 300, n. 510.
115 Cfr. S.A.CERRATO, Le deleghe di competenze assembleari, cit., 8 ss.
116 Del resto, durante la vigenza del codice di commercio vi fu chi cercò di degradare
i compiti dell’organo delegato a una mera attuazione. Cfr. Trib Napoli, 25 agosto 1905, in Riv. dir. comm., 1905, II, 579.
deliberazione delegata agli oneri pubblicitari prescritti per le modifiche dello statuto117.
Se la delega ottocentesca, in definitiva, non implicava una mera attribuzione di facoltà attuative, nondimeno essa non assunse mai i connotati di una traslazione di competenze dagli azionisti all’organo amministrativo118. Tale istituto si collocò, invece, in una posizione
mediana tra mera delega di poteri attuativi e traslazione di competenze, assumendo i tratti di uno strumento di cooperazione alla decisione. L’assemblea, infatti, era competente a fissare le direttive della decisione, conservava competenza concorrente e un potere di controllo sugli amministratori cui spettava la decisione119.
Se la prassi commerciale di fine Ottocento (e di inizio Novecento), aveva potenziato il congegno della delega di competenze dilatandone il perimetro di applicazione, il codice civile del 1942, invece, segnò un momento di contrazione della vitalità di tale fattispecie. Il
117 Cfr. C.VIVANTE, Le società commerciali, cit., 245 ss., n. 513. La questione, in
sostanza, sembra essere meramente nominalistica ed è riassunta efficacemente da S.A. CERRATO, Le deleghe di competenze assembleari, cit., 10 nei seguenti termini: «La
locuzione “attuazione” o termini analoghi a null’altro sottendevano, in altre parole, se non all’esercizio di una competenza decisoria riconosciuta – diciamo pure autorizzata, se vogliamo, - dallo statuto; punti di vista diversi, dunque, del medesimo fenomeno: all’epoca l’attenzione era focalizzata sul versante della fonte del potere; oggi siamo abituati a vedere il risultato finale di mutamento dello statuto senza considerare che l’esercizio della delega è, in fondo, “attuazione” di una volontà che i soci hanno espresso nello statuto».
118 C.VIVANTE,Le società commerciali, cit., 13.
legislatore codicistico, infatti, adottò un approccio più cauto e si limitò a recepire la species della delega per l’aumento del capitale sociale (art. 2443 c.c.).
L’aumento di capitale delegato, dal canto suo, venne sottoposto a vincoli stringenti, in quanto la delega perdeva efficacia dopo un anno e consentiva all’organo delegato di deliberare soltanto l’emissione di azioni ordinarie entro un ammontare determinato dall’assemblea delegante.
La prima formulazione dell’art. 2443 c.c., al pari di quella attualmente vigente, prevedeva anche che all’aumento di capitale era possibile procedere «in una o più volte»; che la facoltà di aumento delegato poteva essere attribuita anche tramite una modifica statutaria successiva; infine faceva divieto al consiglio d’amministrazione di delegare ulteriormente l’attribuzione al comitato esecutivo o agli amministratori delegati.
I limiti sopraindicati con riguardo alla durata e all’ammontare dell’aumento di capitale, peraltro, finirono col pregiudicare l’importanza pratica dello strumento120 e si deve ritenere che questi
confini angusti del potere di delega siano stati introdotti per controbilanciare il riconoscimento espresso della natura deliberativa
120 Cfr. A.MIGNOLI, Il rapporto tra società ed azionisti dopo il D.P.R. n. 30/1986 e le
nuove posizioni della Consob, in AA. VV., Consob. L’istituzione e la legge penale,
della stessa121. La conseguenza più rilevante di questa contrazione
dell’istituto della delega fu che tale strumento non venne più esaminato come modello generale di ripartizione convenzionale di competenze per diverse modificazioni statutarie, bensì come mera variante operativa dell’aumento di capitale122. In altre parole, e con terminologia più
moderna, la delega perse il suo tratto caratteristico di strumento di
corporate governance capace di curvare in senso manageriale il governo
societario per divenire solamente un particolare espediente volto a velocizzare l’aumento di capitale sociale.
Le scelte penalizzanti del codice del 1942 causarono un lungo disinteresse della dottrina per l’istituto della delega degli amministratori che si è protratto sino ai primi anni 2000. Sul disinteresse per l’istituto della delega, inoltre, hanno influito anche altri due fattori.
In primo luogo, è stato senza dubbio rilevante che il substrato giuridico di riferimento prima della riforma societaria fosse, almeno parzialmente, ancorato al principio della supremazia dell’organo assembleare; la persistenza di tale dogma, infatti, ha fatto sì che la dottrina fosse incline a considerare le non numerose ipotesi di delega ammesse dalla legge quali strumenti eccezionali non capaci di incidere
121 Cfr. G.D.MOSCO, le deleghe assembleari, cit., 13.
122 Cfr. F. GALGANO, La società per azioni, in AA. VV., Trattato di diritto
commerciale e di diritto pubblico dell’economia, F. GALGANO (diretto da), VII, Padova, 1988, 372.
sulla connotazione tipologica della s.p a. e sulla modulazione del riparto di competenze tra organi sociali123.
In secondo luogo, non si può trascurare che il contesto economico italiano è stato a lungo, per le sue caratteristiche, refrattario allo sviluppo di una tendenza alla concentrazione di potere manageriale in capo al consiglio di amministrazione124. Nel tessuto imprenditoriale
italiano, infatti, prevalgono la piccola e media impresa a proprietà familiare e persino nelle società quotate gli assetti proprietari sono solitamente concentrati125.
Per terminare l’esame della disciplina tradizionale della delega agli amministratori, deve anche ricordarsi che alla delega per l’aumento
123 S.A.CERRATO, le deleghe di competenze assembleari, cit., 21 sostiene che sia il
dogma della ripartizione rigida di competenze ad aver condotto a qualificare come eccezionale la delega agli amministratori. Nel senso dell’eccezionalità della delega cfr. anche D.PASTORE, L’aumento di capitale sociale delegato, cit., 533; G.MARASÀ,
Modifiche del contratto sociale e modifiche dell’atto costitutivo, in AA.VV., Trattato delle società per azioni, G. E. Colombo e G.B. Portale (diretto da), VI, Torino, 1993,
73 ss.
124 Cfr. F.BARCA, Imprese in cerca di padrone, Roma e Bari, 1994, passim; G.D.
MOSCO, Dove si forma la volontà sociale? Il ruolo dell’assemblea nella società per
azioni: considerazioni introduttive in ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Verso un nuovo diritto societario, P.BENAZZO,F.GHEZZI e S.PATRIARCA (a cura di),
Bologna, 2002, 143 ss.
125 Nel Rapporto Consob, Report on corporate governance of italian listed companies,
2017 reperibile al seguente link:
http://www.consob.it/documents/46180/46181/rcg2017.pdf/7846a42b-1688-4f45- 8437-40aceaa2b0e3, si specifica che al 2017 erano solo 203 le società italiane quotate alla Borsa di Milano e che, inoltre, in 7 casi su 10 queste presentavano un socio di riferimento di maggioranza assoluta o relativa del capitale.
di capitale, si aggiungeva, nella legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942 n. 267), un’altra fattispecie di delega in materia di approvazione della proposta e delle condizioni del concordato fallimentare (art. 152, 2°comma, l. fall.), applicabile anche all’approvazione della richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo (art. 161, ultimo comma), della richiesta di ammissione alla procedura di amministrazione controllata (art. 187, 2°comma, l. fall.) e della proposta e delle condizioni di concordato nella liquidazione coatta amministrativa (art. 214, 1° comma, l. fall.).
Per quanto riguarda l’evoluzione successiva dell’istituto, si deve osservare che nei decenni seguenti, fino alla riforma societaria, vi furono solo due interventi normativi di rilievo che incisero su profili specifici.
In primo luogo, il d.p.r. 30/1986 di attuazione della II direttiva del 13 dicembre 1976 n. 77/91/CEE ha ampliato considerevolmente l’ambito della delega per l’aumento di capitale innalzandone la durata massima fino a cinque anni e consentendo l’emissione delegata di azioni anche non ordinarie126.
In secondo luogo, lo stesso d.p.r. 30/1986 ha introdotto l’art. 2420-ter che, nella sua prima formulazione, consentiva agli
126 L’ampliamento fu tale che A.MIGNOLI, Il rapporto tra società e azionisti, cit., 177
ss.; 179. parlò di una «norma nuova». In proposito, cfr. anche B.LIBONATI, Direttive
comunitarie e legislazione italiana nel campo societario: la situazione attuale, in L’adeguamento della disciplina della società per azioni alle direttive comunitarie nel d.p.r. 30/1986, Firenze, 1987, 195 ss.; 200 ss.
amministratori delegati dall’assemblea di deliberare in una o più volte l’emissione di obbligazioni anche convertibili per un periodo massimo di cinque anni.
Questi primi interventi normativi resero meno stringenti i limiti in cui la delega agli amministratori era stata costretta dal legislatore codicistico del 1942 ma non si spinsero sino al punto di rivitalizzare la fattispecie generale di delega di competenze assembleari.
Per concludere l’esame della disciplina dell’istituto in esame prima della riforma societaria del 2003, si può rilevare come in dottrina si sia discorso di una normativa bipartita127 e ciò perché le deleghe
codicistiche presentavano una serie di caratteristiche difformi dalle ipotesi di delega previste nella legge fallimentare. Il primo gruppo di deleghe, infatti, consisteva in un’attribuzione convenzionale di competenze da parte dell’atto costitutivo e prevedeva un limite quanto a durata e ammontare dell’aumento di capitale o dell’emissione di obbligazioni128. Per il secondo gruppo, invece, si faceva riferimento a
una delega di poteri e si ometteva ogni indicazione ulteriore, il presupposto non era indicato esplicitamente e l’interpretazione più diffusa ne individuava uno diverso dalla previsione statutaria129.
127 Cfr. G.D.MOSCO, Le deleghe assembleari, cit., 3-4 che viene parafrasato.
128 Oltre alla necessità di una verbalizzazione e pubblicità della deliberazione
consiliare e al divieto di comprendere l’attribuzione nell’amministrazione delegata.
129 Per l’opinione maggioritaria secondo la quale la delega “fallimentare” non
La seconda stagione di espansione normativa dell’istituto che si sta esaminando, d’altro canto, è stata senz’altro più incisiva della prima e ha consentito di riaprire la riflessione sulla delega di competenze assembleari come strumento generale di corporate governance.
Anzitutto, occorre ricordare che il d.lgs. 5/2006 ha eliminato tutte le ipotesi di delega anteriormente previste dalla normativa concorsuale. La competenza per l’approvazione della proposta e delle condizioni del concordato fallimentare (e le altre ipotesi a cascata secondo il meccanismo dei rinvii), del resto, è stata attribuita direttamente all’organo amministrativo salvo diversa previsione statutaria (art. 152, 2° comma, lett. b), l. fall.). Questa modifica normativa, dunque, si è risolta in un cambiamento di paradigma che mostra come le prerogative degli amministratori si siano nel tempo accresciute: non si tratta più di una competenza assembleare delegabile, bensì, di una competenza dell’organo amministrativo che solo attraverso specifiche clausole statutarie può essere attribuita alla potestà assembleare. Tale evoluzione normativa ha rappresentato, in definitiva, una significativa svolta in senso manageriale poiché da un sistema basato sulla competenza assembleare (delegabile) si è giunti ad
12 ottobre 1979, in Vita not., 1979, 1009 ss.; Trib. Udine, 23 marzo 1984, in Società, 1984, 1027 ss.; Trib. Milano, 26 novembre 1985, in Società, 1985, 403 ss.; Contra Minervini, Gli amministratori, cit., 226 ss.
assegnare le prerogative sopra menzionate direttamente all’organo amministrativo130.
Ad ogni modo, l’intervento riformatore senza dubbio più rilevante per la fattispecie di delega assembleare fu la novella societaria del 2003.
Primariamente, vi è da evidenziare quali fossero le linee direttrici della legge delega per la riforma del diritto societario (l. 366/2001). In proposito, si può dire che il disegno del legislatore fosse rivolto a «ampliare gli ambiti dell’autonomia statutaria, tenendo conto delle
esigenze di tutela dei diversi interessi coinvolti»131, ma venne avvertita
anche la necessità di «favorire la crescita e la competitività delle
imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali»132, di «definire con chiarezza e precisione i compiti e le responsabilità degli organi sociali»133 e di «semplificare la disciplina delle società, tenendo conto delle esigenze delle imprese e del mercato concorrenziale»134.
130 In proposito si consideri la relazione al dlgs. 5/2006 al link
https://www.ilsole24ore.com/SoleOnLine4/Speciali/2006/guida_professionisti/22giu gno2006/Relazione_DLGS_5_2006.pdf?cmd%3Dart, ove si specifica che tale modifica normativa è in linea con la generale tendenza di managerializzazione che si è sviluppata nelle s.p.a. per il tramite della novella societaria del 2003.
131 Così P.MONTALENTI, Le linee della riforma, in AA.VV., La riforma del diritto
societario, Torino, 2001, 34 ss.
132 Ibid. 133 Ibid. 134 Ibid.
Tali orientamenti potevano condurre a un’espansione oltremodo incisiva dell’istituto della delega in quanto riconoscevano la necessità di ampliare gli ambiti dell’autonomia privata statutaria e, seppur implicitamente, la necessità di accrescere il ruolo degli amministratori. Dai lavori preparatori del successivo d.lgs. 6/2003, infatti, si evince che una parte dei redattori propendeva per la costruzione di una clausola generale di delegabilità di competenze assembleari135. La legge delega,
del resto, non fu attuata in tutte le sue potenzialità espansive e il successivo d.lgs. 6/2003, pur apportando significative modifiche, si caratterizzò per scelte meno radicali.
Passando a trattare del contenuto delle novità in materia di deleghe apportate dal legislatore nel 2003, si deve rilevare che la seconda stagione di espansione di questo istituto, fu caratterizzata da un intervento legislativo di tipo bidirezionale.
Infatti, la riforma intervenne in una prima direzione ampliando e rafforzando le fattispecie tradizionali di delega agli amministratori. Nello specifico, per un periodo massimo di cinque anni ed entro determinati limiti quantitativi, all’autonomia statutaria è ora consentito di attribuire agli amministratori:
135 Cfr. S.A.CERRATO, Le deleghe di competenze assembleari, cit., 25; La riforma del
a) l’emissione di obbligazioni (soltanto) convertibili (art. 2420-
ter c.c.)136;
b) L’aumento di capitale a pagamento (art. 2443 c.c.);
c) l’esclusione del diritto di opzione in caso di aumento a pagamento (artt. 2441 e 2443 c.c.).
In dottrina, peraltro, è discusso se possa essere delegato agli amministratori anche l’aumento di capitale gratuito. Gli assertori della