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l’approccio al paziente in un’ottica transculturale

Il rapporto di fiducia tra medico e paziente è un elemento necessario non solo alla riuscita della cura, ma anche a individuare – attraverso la comunicazione – la strada stessa da percorrere. Quando il medico ha a che fare con pazienti apparte- nenti ad altre culture, instaurare questo tipo di rapporto è forse ancora più im- portante, ma può risultare molto più difficile. Da un lato, infatti, egli ha bisogno

di acquisire alcune conoscenze di base, che riguardano gli elementi fondamentali del rapporto di quel determinato popolo, cultura o religione con la medicina, la malattia e la morte. Dall’altro lato questo non basta, perché è importante che egli mostri disponibilità all’ascolto e all’accettazione del punto di vista del paziente, anche quando questo contrasti con i propri punti di vista e presupposti.

Questo è mostrato molto bene da Bernard Lo nel suo Resolving Ethical Di-

lemmas: A Guide for Clinicians1, che si occupa di alcuni casi nei quali il medico

ha a che fare con pazienti di diverse culture e che riguardano in particolare temi “caldi” della discussione sulla bioetica, come la comunicazione di una diagnosi grave al paziente, le direttive anticipate, le decisioni sull’etica di fine vita, le preferenze culturali in generale. In questi casi al medico sono richieste una particolare attenzione e sensibilità, poiché egli deve cercare di comprendere ed evitare di giudicare o di tentare di imporre il proprio giudizio. Infatti, il consi- glio generale che viene dato da Lo al medico nei diversi casi, è di usare doman- de aperte, che non presuppongano già una possibile risposta e che permettano di capire il punto di vista dell’altro. Così, ad esempio, in un caso di contrasto sulle decisioni sul fine vita: «Ogni volta che un medico raggiunge un disaccordo con un paziente o una famiglia sulla cura di fine vita, è utile porre domande a risposta aperta per capire meglio le loro preoccupazioni e i loro valori. Capire la prospettiva del paziente e della famiglia – e mostrare di capire – è un primo passo essenziale nel risolvere i disaccordi sulle decisioni mediche»2.

Lo si occupa di pazienti americani in ospedali americani; ciò nonostante egli rileva grosse differenze di atteggiamento non solo riguardo ai temi etici, ma anche riguardo alla fiducia nella medicina e nel medico. Così, ad esempio, egli evidenzia il risultato di una ricerca che dimostra che gli afro-americani tendono a non avere fiducia nel sistema sanitario. Paradossalmente, mostra Lo, questa sfiducia – se non combattuta – può portare a un effettivo trattamento discriminante, poiché questi pazienti (e in generale i pazienti di appartenenza culturale o etnica diversa da quella del medico), sfiduciati, tendono a non chiedere un supplemento di in- formazioni, con il risultato di riceverne effettivamente meno degli altri. In questo modo si rischia che essi siano meno partecipi delle decisioni sulla loro salute. Anche in questo caso, per mostrare al paziente che può fidarsi del medico e del sistema in generale, è importante soprattutto l’ascolto con empatia.

1 B. Lo, Resolving Ethical Dilemmas: A Guide for Clinicians, 4th Edition, Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore, 2009 (in particolare il cap. 44 “Ethical Issues in Cross-Cultural Care”). Per avere un quadro generale della discussione sulle differenze culturali e delle principali posizioni su questo tema si veda C. Botti (a cura di), Le etiche della diversità culturale, Le Lettere, Firenze, 2013. 2 B. Lo, Resolving Ethical Dilemmas, cit., p. 332. La traduzione dall’inglese dei brani citati è a cura

C’è però un elemento che viene ancora prima ed è la prontezza da parte del medico nel riconoscere la particolarità di alcuni casi. Egli deve essere pronto a riconoscere che alcuni problemi sono dovuti alla diversa percezione della realtà che caratterizza ogni cultura. Come sottolinea Lo riguardo alle direttive anticipate: «I medici devono capire che ci possono essere forti ragioni culturali per la riluttanza di alcuni pazienti a prendere in considerazione le direttive anticipate»3.

Possiamo osservare che questo riconoscimento della differenza viene ancora prima della conoscenza da parte del medico di una specifica cultura. La con- sapevolezza del possibile peso della cultura di provenienza sulle preferenze e le scelte dei pazienti è il primo passo, e solo successivamente si possono affrontare le proprie carenze di informazioni e le altre difficoltà, attraverso la tecnica delle domande a risposta aperta. Nella trattazione di Lo del caso di una donna musul- mana (la «signora K») che preferisce essere curata da personale femminile, si può riconoscere un esempio di questo modo di procedere. «Non è realistico aspettarsi che i medici che hanno poca esperienza con pazienti musulmani prevedano le preferenze della signora K […]; tuttavia, vedendola rifiutare le procedure me- diche di routine, il medico dovrebbe tentare di cogliere le motivazioni del suo rifiuto attraverso domande a risposta aperta»4.

Una volta ottenuta risposta alle sue domande a risposta aperta, il medico sarà in grado di comprendere le ragioni del rifiuto di essere curata da parte della pa- ziente e potrà andare incontro alle sue esigenze. Per instaurare una relazione di fiducia tra medico e paziente (e con la famiglia del paziente) è importante asse- condare le sue preferenze e mostrare rispetto per il paziente come persona, attra- verso il rispetto per la sua eredità culturale. Le due cose vanno insieme e questo si evidenzia anche nelle affermazioni di Lo a proposito dei casi di pazienti che non vogliano conoscere una diagnosi grave. Anche a questo proposito, infatti, le sue indicazioni tendono a mettere in secondo piano le conoscenze del medi- co sulle diverse preferenze culturali: non è così essenziale ricordare le statistiche sulle diverse preferenze di ogni cultura, quanto piuttosto considerare che ogni individuo, a prescindere dalla cultura di provenienza, può avere una sua partico- lare posizione in merito. Dunque, in ogni caso, i medici «dovrebbero di routine chiedere a ogni paziente se vuole che gli siano comunicati i risultati degli esami e le diagnosi, o se preferisce invece che queste informazioni siano comunicate a qualcun altro»5. D’altra parte, aggiunge Lo, «tale valutazione individualizzata è 3 Ivi, p. 333.

4 Ivi, p. 335. 5 Ivi, p. 331.

particolarmente importante con pazienti di culture che tradizionalmente non rivelano le diagnosi gravi»6.

Così, partendo dalle posizioni espresse da Lo, possiamo affermare che in ge- nerale il medico dovrebbe saper riconoscere che in alcuni casi sono in gioco at- teggiamenti e preferenze che dipendono dall’eredità culturale del paziente e che è necessario muoversi sul piano dei rapporti tra culture, oltre che tra individui. Una volta riconosciuto questo aspetto, al medico è richiesto di sospendere in qualche modo il proprio etnocentrismo. Il fatto di suggerire al medico di tenere aperte tutte le possibilità di risposta, infatti, equivale a incoraggiarlo a sospendere – entro certi limiti – il proprio punto di vista e il proprio sistema di valori, senza darlo per scontato o cercare di imporlo come se fosse l’unico possibile.

Questo è un atteggiamento consigliato, ma adottarlo può non essere facile, poiché richiede un lavoro da parte del medico anche su se stesso, per rivedere alcune certezze che a volte sono molto profonde e radicate.