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L’attitudine all’imprenditorialità: concetti ed evidenze empiriche

4. L'imprenditorialità: i paradigmi di riferimento

4.4. L’attitudine all’imprenditorialità: concetti ed evidenze empiriche

La domanda di ricerca sottesa all’analisi della sfera delle attitudini122 imprenditoriali si pone lo

scopo di stabilire se alcuni tipi di persone siano più adatti di altri a essere imprenditori, quali siano le determinanti che influiscono nella scelta di cimentarsi nella costituzione di una nuova impresa e quali siano i fattori in grado di suscitare, agevolare oppure ostacolare la nascita di un’iniziativa imprenditoriale. Studi dimostrano come le attitudini sociali e individuali determinino la percezione e la fattibilità dell’imprenditorialità quale possibilità di carriera (Eurofound 2015).

Recentemente la questione dell'attitudine, e in particolare dell’intenzione imprenditoriale, ha assunto un particolare rilievo testimoniando come essa possa influenzare sia il processo di creazione di nuove imprese sia l’innovazione dei quelle già esistenti. Molti studi (Ajzen 1991, Shapero e Sokol 1982, Krueger 1994, Boyd e Vozikis 1994), allo scopo di indagare l'intenzione personale nell’avvio di impresa, hanno prodotto teorie e modelli utili alla comprensione del concetto di intento imprenditoriale, definito come la decisione, di una persona, di avviare un’attività autonoma. Secondo questo approccio l’intenzionalità è considerata la migliore variabile di previsione del comportamento futuro (Krueger 1993), in questo caso la creazione di un’impresa, e l'attività imprenditoriale è da considerare e costituisce pertanto il risultato di un processo, anche lungo, di intenzione personale. L’adozione di un comportamento imprenditoriale, ovvero la creazione di un’impresa, secondo questa interpretazione, dipende dalle intenzioni dei soggetti ma anche dall’andamento di altre variabili fondamentali, rappresentate dalle caratteristiche personali, come visto, e da quelle socio-ambientali (Shapero e Sokol 1982). Il tema si inserisce nell’ambito degli studi di psicologia connessi all’imprenditorialità, che ha approfondito diversi ambiti attinenti alla personalità e alle motivazioni al lavoro autonomo, tenendo conto delle interazioni con la realtà socioeconomica e culturale, alle determinanti complesse e sempre più interagenti, personali, organizzative, culturali e socioeconomiche che influenzano la scelta e, infine, alla dimensione della propensione a intraprendere, considerato come un rilevante attributo delle persone in una realtà che richiede maggiore flessibilità, innovazione e creatività (Odoardi 2014). Tali studi hanno identificato che le risorse psicologiche maggiormente rilevanti nel processo di imprenditorialità, che viene descritto come di intenzione–autoefficacia123–azione, risiedano nel bisogno di realizzazione, di autonomia, di

122 Per attitudine si intende disposizione, inclinazione naturale, vocazione, talento. In questo senso ricomprende il

concetto di intenzionalità, di motivazione e di consapevolezza di sé.

123 In riferimento al processo cognitivo dell’autoefficacia – self efficacy – si prende a riferimento la definizione dello

psicologo Albert Bandura secondo cui “La percezione di auto-efficacia è definita come le credenze delle persone circa le loro capacità di produrre i necessari livelli di prestazione in grado di esercitare un'influenza sugli eventi che riguardano la loro vita. Le credenze in termini di autoefficacia determinano il modo in cui le persone si sentono, pensano, si motivano e si comportano. Tali credenze producono questi diversi effetti attraverso quattro processi principali, che comprendono processi cognitivi, motivazionali, affettivi e di selezione.” (Bandura 1994).

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cambiamento, nell’energia (dominio e dinamismo), nell’assunzione del rischio, nella coscienziosità (perseveranza), nell’abilità sociale e nella predilezione per il pensiero creativo e l’intuizione. Nell’ambito di tale modello, definito dell’autoefficacia e delle intenzioni imprenditoriali, la costruzione del processo avviene a partire dal contesto politico, sociale ed economico e dalla storia personale (personalità e abilità individuali), i quali contribuiscono a consolidare un bagaglio di informazioni e credenze da cui, successivamente, con un approccio analitico razionale, conseguono gli atteggiamenti e le percezioni, e con un pensiero olistico intuitivo, si rafforza l’autoefficacia. L’integrazione di tali elementi costituisce l’intenzione da cui risulta l’azione imprenditoriale (Boyd e Vozikis, 1994, Odoardi, 2013). Nell’ambito di queste analisi si sostiene che l’intenzione, che ha origine nelle credenze e nelle attitudini, determini il comportamento (Fishbein, Ajzen, 1975), e che le situazioni percepite, le aspettative, le attitudini, le opinioni e le preferenze influenzerebbero l’intenzione imprenditoriale (Boyd e Vozikis,1994). Considerando la scelta imprenditoriale e le sue dimensioni principali, questi studi individuano quindi, in sintesi, i fattori chiave dell’intenzione imprenditoriale, oltre che nelle variabili di contesto, nelle opinioni, nella motivazione e nell’autoefficacia, nell’orientamento all’apprendimento e nel comportamento innovativo, tutti fattori considerati cardini del processo di imprenditorialità.

Altre indagini a carattere socioeconomico hanno offerto un contributo importante alla comprensione del tema della propensione o attitudine imprenditoriale, come l’indagine GEM che spostando l’attenzione a considerare gli aspetti maggiormente legati al profitto e al tema delle opportunità, ha individuato e costruito l’indicatore delle attitudini imprenditoriali, considerando l’importanza delle percezioni positive sia nei confronti delle variabili personali, come le capacità imprenditoriali, sia rispetto alle variabili ambientali, come le opportunità imprenditoriali, ricomprendendo inoltre alcune specifiche variabili di intenzionalità tra cui la percezione delle opportunità nel luogo di residenza, la percezione delle capacità a intraprendere, la paura di fallire e l’intenzione a fare impresa in tempi brevi. Mentre l’indicatore delle opportunità percepite, secondo GEM, può essere considerato il fattore principale che spinge le persone dei Paesi guidati dal principio dell’innovazione – Innovation driven – come l’Italia e tutti i maggiori Paesi industrializzati, a creare una nuova impresa124, in riferimento all’indicatore delle capacità imprenditoriali, l’indagine mette in

luce che la percezione di avere sufficienti capacità imprenditoriali, che rappresenta uno degli

124 Risultano in testa alla graduatoria delle opportunità percepite la Svezia (il 70,1% della popolazione percepisce buone

opportunità imprenditoriali, in aumento rispetto al 64,4% del 2013), la Norvegia (63,7%) e la Danimarca (59,7%). Sulla stessa graduatoria sono ottime anche le posizioni dei Paesi nordamericani, Canada (55,9%) e Stati Uniti (50,9%). In Europa la Gran Bretagna è in testa con il 41% della popolazione che percepisce opportunità (in aumento dal 35,5% del 2013), seguita da Germania (37,6%, in aumento dal 31,3%) e Francia (28,3%, in aumento dal 22,9%). L’Italia è al quarto posto con opportunità percepite dal 26,6% della popolazione (in aumento dal 17,3%). Nelle ultime posizioni come opportunità percepite il Portogallo (22,9%), la Grecia (19,9%) e la Slovenia (17,2%) (GEM 2014).

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ingredienti fondamentali per la decisione di iniziare un’attività d’impresa, dipenda dalle condizioni storiche e culturali di ciascun Paese.

A questo proposito l’indagine mostra come nella maggior parte dei casi i valori percentuali di percezione delle opportunità e di valutazione delle proprie capacità siano molto vicini tra loro in ciascun Paese, a parte la significativa eccezione dei Paesi Scandinavi (Norvegia, Svezia e Danimarca) dove la prima è di molto superiore alla seconda125. In questi Paesi il contesto ambientale è più

favorevole rispetto alla capacità dei singoli e quindi in grado di fare da catalizzatore per la creazione d’impresa. Spiccano, viceversa, i casi di Paesi, nella parte bassa della classifica sulle opportunità percepite, dove l’autovalutazione delle capacità imprenditoriali è superiore alle opportunità offerte dai rispettivi Paesi. Si tratta di Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Croazia e Slovenia126. In questi

Paesi il contesto ambientale è percepito come meno favorevole rispetto alla capacità che le persone ritengono di avere e quindi agisce nel senso di diminuire il potenziale di creazione d’impresa.

Per quanto attiene alla paura di fallire, considerato un fattore molto rilevante che può rallentare notevolmente l’intenzione a creare impresa, GEM rileva che la percentuale di popolazione, che percepisce opportunità imprenditoriali, ma che dichiara anche di aver paura di fallire cambi considerevolmente da Paese a Paese e vari anche nel tempo127. Un ultimo indicatore considerato da

GEM è rappresentato dall’intenzione a intraprendere, misurata dalla percentuale di persone che prevedono di dar vita ad una nuova attività imprenditoriale nei successivi 3 anni, considerata una variabile molto importante e complessa, dipendente da molti fattori, come quelli già visti, cioè le opportunità e le capacità percepite, la paura di fallire, ma anche dalla presenza di valide alternative di occupazione rispetto alla creazione di impresa e dalla percezione del valore culturale attribuito all’attività imprenditoriale dalla società (imprenditori sui media, opinioni positive sulla carriera imprenditoriale, ecc.). I livelli dell’intenzione a intraprendere, sempre in percentuale sulla popolazione, sono variabili anche in misura consistente128.

125 In Norvegia la percezione di opportunità imprenditoriali (63,5%) è più del doppio rispetto alla percezione di capacità

imprenditoriali (30,5%); in Svezia la percezione di opportunità (70,1%) è quasi il doppio della percezione di capacità (36,7%) mentre in Danimarca la percezione di opportunità è al 59,7%, mentre la percezione di capacità è al 34,9%.

126 Il divario tra le percezioni di capacità e di opportunità è particolarmente ampio in Grecia (25,6 - era 33 punti nel

2013), Spagna (25,5 - era 32 punti), Portogallo (23,7 - era 28 punti) ed è inferiore per l’Italia (4,7 - era 12 punti) anche perché l’autovalutazione di capacità imprenditoriale è più bassa (31,3 - era 29,1%).

127 In ambito europeo i Paesi con paura del fallimento relativamente bassa sono la Svizzera (29%), gli Stati Uniti

(29,7%) ed anche la Slovenia (29%). Viceversa su valori relativamente alti si posizionano la Grecia (61,6%), la Polonia (51,1%) e l’Italia (49,1). Nel confronto con i più grandi Paesi europei l’Italia viene dopo Gran Bretagna (36,8%), Germania (39,9%) e Francia (41,2%). Mentre la media dei Paesi europei si ferma al 40,7% (era al 38,2% nel 2013).

128 In ambito europeo si registra un importante 31,7% in Romania. Notevoli anche il 19,7% della Lituania e il 19,5%

della Croazia. Nel confronto con gli altri grandi Paesi europei l’Italia con il 11,4% (era il 9,8% nel 2013) è meglio posizionata di Germania (5,9% era 6,8%nel 2013) e di Gran Bretagna (6,9% era 7,2% nel 2013), ma meno della Francia (14,2% era 12,6%).

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Sul versante della motivazione all’imprenditorialità GEM offre un importante apporto indentificando l’indice di motivazione, ovvero un indicatore della qualità dell’iniziativa imprenditoriale, che è dato dal rapporto tra le due categorie entro cui è ricompreso questo ambito, quella dell’imprenditorialità per opportunità (opportunity driven) e quella per necessità (necessity driven). Nell’ambito della prima categoria gli imprenditori sono maggiormente motivati a migliorare la propria posizione in termini economici o ad avere maggiore indipendenza, e nei Paesi evoluti (innovation driven) l’imprenditorialità per opportunità è sempre superiore a quella per necessità, con l’evidenza di alcuni casi eclatanti in cui la prima (per opportunità) è un multiplo significativo della seconda (per necessità)129 (GEM 2014).

Sempre in tema di motivazione un contributo significativo è offerto anche dall’indagine Eurostat del 2005 “Factors of Business Success”130, che con la finalità di far emergere le caratteristiche dei

nuovi imprenditori e gli aspetti qualitativi del processo imprenditoriale, ha prodotto delle interessanti evidenze riferite al target degli imprenditori, da ricondursi principalmente alle dimensioni della motivazione, dell’innovatività, dell’esperienza pregressa e della difficoltà nell’avvio di impresa.

In particolare, per quanto attiene alle motivazioni sottese alla scelta imprenditoriale, l’indagine FOBS evidenzia come quelle maggiormente citate siano il desiderio di non avere capi e la prospettiva di aumentare i guadagni; sul fronte dell’innovatività l’indagine fa emergere come la percezione della stessa aumenti con il crescere del livello di istruzione; per quanto attiene all’esperienza pregressa, l’aver già lavorato nel settore e aver condotto un’azienda risulta essere di aiuto ma non fondamentale per diventare un imprenditore di successo; infine tra un’ampia gamma di difficoltà possibili l’indagine mette in luce come i rapporti con i clienti e le questioni amministrative siano come le principali difficoltà percepite; inoltre la componente maschile, piuttosto che quella femminile, percepisce l’area del guadagno come problematica.

Lungo questa direttrice si inserisce anche l’indagine “Entrepreneurship in the EU and Beyond”131,

con l’ultima edizione del 2012, offrendo alcune evidenze particolarmente utili, come le indicazioni

129 In ambito europeo i valori del rapporto opportunità-necessità sono: per la Francia circa 5 volte, per la Germania poco

più di 3 volte. La media europea è di circa 4 volte. Migliora la posizione dell’Italia, con un rapporto tra i due valori di quasi 6 volte, che torna ad avvicinarsi ai Paesi migliori. All’ultimo posto in Europa la Grecia con un rapporto opportunity driven su necessity driven di solo 1,77 (GEM 2014).

130 Nel 2005 Eurostat ha realizzato l’indagine “Factors of Business Success” (FOBS), allo scopo di raccogliere dati

confrontabili sulle caratteristiche dei nuovi imprenditori e su aspetti qualitativi del processo imprenditoriale, al fine di apportare elementi oggettivi utili ad orientare le politiche europee per lo sviluppo della crescita economica. L’indagine si è basata sull’adozione di definizioni condivise e sull’utilizzo di un questionario comune tra i paesi partecipanti, al fine di ottenere dati confrontabili e armonizzabili a livello europeo. L’indagine, condotta in maniera sperimentale, ha coinvolto 15 paesi dell’Ue: Austria, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Francia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania, Slovenia e Svezia. In Italia l’indagine è stata condotta da Istat.

131 Flash Eurobarometer n. 354 "Entrepreneurship in the EU and beyond". L’indagine è stata condotta in 27 Paesi

dell’Ue e in Croazia, Islanda, Israele, Norvegia, Svizzera, Turchia, Brasile, Russia, Stati Uniti, Cina, India, Giappone e Corea del Sud nell’agosto del 2012.

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sulle tendenze europee per quanto riguarda l’intenzionalità imprenditoriale, le percezioni sull’imprenditorialità e sul ruolo dell’istruzione nello sviluppo dell’imprenditorialità, le propensioni e le motivazioni sottese alla scelta di un lavoro autonomo o dipendente. Dall’indagine risulta come il lavoro autonomo abbia perso, dal 2009, di attrattività e che la netta maggioranza degli europei (58%) preferirebbe un lavoro dipendente. Per contro dall’indagine emerge che quasi un quarto degli europei (23%) abbia già intrapreso un lavoro autonomo o stia pensando di avviarne uno. Per quanto riguarda l’ambito delle percezioni sull'imprenditorialità l’indagine pone in evidenza come la maggior parte degli intervistati (87%) ritenga che gli imprenditori arrechino un vantaggio economico alla società, anche se mossi da motivi egoistici e che il 79% concordi sul fatto che gli imprenditori siano creatori di posti di lavoro e creino nuovi prodotti e servizi per il beneficio di tutti. L’indagine offre interessanti spunti di riflessione anche in riferimento alla dimensione della preferenza tra lavoro autonomo e dipendente mettendo in luce come la motivazione più popolare alla base della scelta di lavoro autonomo risulti essere l’indipendenza personale o auto-realizzazione (62%), seguita dalla libertà di scegliere il luogo e l'orario di lavoro (30%) e dalle migliori prospettive di reddito (16%,).

Con riferimento all’indice di motivazione di GEM l’indagine permette di rilevare come la metà degli europei che abbia intrapreso un’attività autonoma abbia deciso di farlo per cogliere un’opportunità, più di un quarto degli intervistati (29%) abbia deciso di farlo per necessità, mentre un sesto degli intervistati (15%) sostiene di aver iniziato l’attività autonoma per entrare nell’impresa di famiglia. Per contro, nel 58% degli intervistati che dichiara di preferire un'occupazione dipendente rispetto a un lavoro autonomo, i motivi della scelta sono riconducibili alla preferenza di un lavoro sicuro (27%) e al richiamo di un’occupazione regolare e di un reddito costante (24%).

In conclusione, convergendo che l’intenzionalità sia fondamentale nei processi di imprenditorialità e che la stessa sia creata dall’interazione tra fattori personali, come la personalità, le motivazioni, le abilità, le esperienze e fattori contestuali, sociali, politici e economici (Bird 1988, 1992) le fondamentali caratteristiche che identificano il profilo dell’imprenditore potenziale possono essere riferite a quattro aree di comportamento e competenza, rappresentate dalla proattività, ovvero dal comportamento caratterizzato dalla capacità di creare situazioni, ricercare informazioni, persistere nel perseguire gli obiettivi, creare l’ambiente nel quale si opera, dall’iniziativa, ovvero dal comportamento caratterizzato dalla spinta ad avviare, dall’autonomia, dalla persistenza nell’affrontare le situazioni, da un approccio attivo al lavoro, dall’innovatività, ovvero dal comportamento diretto ad una intenzionale generazione e implementazione di nuove idee con costante sforzo di miglioramento e dall’intuizione, ovvero dal comportamento di colui che sa “leggere e interpretare” le situazioni ambientali cogliendone le opportunità per trasformarle in occasioni/progetti imprenditoriali (Odoardi 2014).

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