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L’attività degli anni Cinquanta e Sessanta

Già a partire dal 29 gennaio 1952 Betocchi presenta a Bo, dopo aver parlato anche con Leone Piccioni, «una certa idea di Enrico Vallecchi, che vorrebbe rifare una rivista». Dopo il fallimento del progetto di «Atlante», si tratta dei primi accenni ad una nuova avventura editoriale che vedrà ancora una volta Bo e Betocchi collaborare alla «Chimera», il mensile di letteratura e d’arte pubblicato dalla fiorentina casa editrice Vallecchi negli anni 1954-1955. Fondata da Luzi insieme a Betocchi, Parronchi e Leonetto Leoni, il responsabile della redazione, la rivista resiste soltanto un biennio ma riesce a ricavarsi un suo spazio e una sua identità. Come nel caso del «Frontespizio», ma in una mutata atmosfera politica e culturale, la «Chimera» ha rappresentato una nuova occasione di collaborazione fra gli amici e i fratelli d’arte fiorentini. Essa ha saputo unire ancora di più la generazione di Betocchi e Vallecchi con quella più giovane di Parronchi, Bo e Luzi, dando vita, come ha scritto lo stesso Bo, a «un’occasione di stimolo e di invenzione» nel nome «della libertà e della purezza» (di qui, la chimera del titolo)270.

Le lettere del carteggio Bo-Betocchi mostrano come Bo, all’inizio non totalmente d’accordo con la creazione del nuovo mensile, abbia poi deciso di collaborare e di aiutare l’amico poeta. In uno dei primi numeri della rivista, infatti, è apparso un suo importante testo, che Betocchi gli riconosce essere stato scritto con il «magistero e la spietata schiettezza dello scrittore»271. Fin dalle prime

impressioni sul pezzo, scambiate con Enrico Vallecchi, Betocchi non ha potuto non tornare a riempirsi di ammirazione per Bo e, soprattutto, di «quell’affetto di stima che cresce nell’animo per chi si constata così pronto all’appello degli amici»272. Nella stessa lettera, sopra citata, Betocchi scriveva a Bo:

Vi saranno certamente delle reazioni al tuo pezzo: non vi potrebbero non essere, sia perché si tratta di una tra le pagine più importanti di uno spirito come il tuo, che è assiduamente seguito da molti, sia per il senso delle cose

270 C. Bo, La chimera eterna, in Petrollo, La Chimera. 1954-1955, cit., pp. 9-10.

271 Betocchi, 24 aprile 1954 [139]. L’articolo commentato da Betocchi e Vallecchi, invece, è quello

di Carlo Bo, Quando diciamo senza speranza, «La Chimera», a. I, n. 2 (1954), p. 2, poi in Scandalo della speranza, Vallecchi, Firenze, 1957, pp. 143-152.

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che hai dette. Queste reazioni non potrebbero mancare anche in seno alla «Chimera» che, sostanzialmente, per la sua stessa indole, volta piuttosto alla affermazione di fatti creativi, per quanto possano essere modesti, svolge il suo lavoro su un piano che non può rifiutarsi a quel tanto di fiducia, sia pure irrazionale, che aiuta gli uomini a vivere: ma giova, a tale fiducia, anche la tua risoluta verità. Essa, vorrei dire, nella sua stessa integrità stabilisce anche i suoi limiti, che potrebbero essere quelli di un certo modo di affidarsi alla cultura: e in questo senso il tuo caso personale è un formidabile esempio, e tu non hai mai scritto nulla di meglio273.

La citazione permette quindi di cogliere lo spirito generale che animò l’impresa e, ancora una volta, ne unì i protagonisti a prescindere dalle diverse posizioni personali. Come nel dibattitto sorto inizialmente intorno a Letteratura come vita, nel 1938, anche per la «Chimera» si ripete un ‘fronteggiamento’ epistolare e critico, sulle pagine della rivista, fra Bo e Betocchi. I due amici si scontrano ulteriormente sulle definizioni dei movimenti centrali dello spirito e della vita umana: se da un lato, infatti, il mensile fiorentino è volto all’«affermazione di fatti creativi, per quanto possono essere modesti», dall’altro esso non può che giovarsi della posizione razionale, di «risoluta verità», espressa da Bo. Egli, parlando degli anni appena trascorsi, non può non rilevare come siano stati anni di crisi, «intervenuti dopo un tempo di speranza e di crediti eccessivi»274.

Cominciando a riflettere anche sul proprio operato, piuttosto che di singolo come gruppo democratico-cattolico, bisogna ammettere «d’avere ceduto le armi ai primi momenti di cedimento»275, mentre sarebbe stato giusto insistere e

continuare a discutere. La politica, accusa Bo, «si è imposta in un modo così violento e assoluto che agli altri, […], non restava che il silenzio o il dispetto o, nei casi migliori, il dolore»276. La domanda centrale del suo saggio, dunque, è se

si possa considerare oggi la validità della realtà e che cosa significhi l’espressione «senza speranza». Anche di fronte alla crisi, spiega Bo, «la lezione dei fatti conta se noi siamo in grado di coglierla e di valutarla con intelligenza»277 ma, qualora

questo non sia più possibile, allora è meglio abbandonare un’opera di

273 Betocchi, 24 aprile 1954 [139].

274 Bo, Quando diciamo senza speranza, cit., p. 143. 275 Ivi, p. 145.

276 Ivi, pp. 145-146. 277 Ivi, p. 151.

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interpretazione delle cose e, illusi, «lasciare la vittoria al caso, cioè, alla fortuna delle cose»278.

All’articolo di Bo, però, Betocchi risponde con una maggiore fiducia nel farsi della «Chimera» e soprattutto con le sue lettere, sempre piene di affetto e di stima per «l’ansia di raffinamento spirituale»279 che caratterizza la riflessione del

critico. Nella sua lettera del 22 giugno 1954 Betocchi risponde così a Bo e ai dubbi del suo articolo: se continua a scrivergli e a volergli bene

è perché questo mondo, dopotutto, così desolato, forse ha bisogno che ci si riconosca, magari in extremis, tra galantuomini. E se la tua voce onesta può servire a indicarne uno… Tu sai che io so ben poco del mondo, e delle sue storie. Ti ho scritto pregato: l’ho fatto volentieri.

Betocchi, infatti, continua a riconoscere la tempra morale di Bo e delle sue riflessioni: nonostante una forma di pessimismo, che non gli è mai appartenuta, egli comprende le ragioni dell’amico e lo spinge a continuare sulla strada della verità. Nel 1955, in una lettera del 23 aprile, il poeta individua il motivo di fondo di un’età delle collaborazioni, di questa lunga età delle lettere, nell’allegria comune di conoscersi e riconoscersi anche negli errori e nelle differenze:

non è questione di quello, come dici tu «che sperai di fare»280. Mentre speravi

hai fatto: hai formato una corrente di interessi di grande importanza. Tu vai ora consolidando il tuo lavoro: puoi, non solo, ma devi sperare ancora: perché tu sei un uomo il cui lavoro non si può perdere. Esso acquisterà nuovi valori […].

Il lavoro di ognuno, infatti, acquista un valore più grande in relazione agli altri ai quali è indirizzato, come le lettere che, piene del desiderio individuale, acquistano ulteriore significato e complessità in vista e nell’interpretazione del loro destinatario. La «Chimera», dunque, se anche è riuscita a stampare soltanto quindici numeri ed è stata chiusa nel 1955, ha comunque rappresentato il coraggio e il merito di Vallecchi di averci provato. Per i suoi collaboratori essa è stata un luogo ulteriore in cui «disegnare le nostre idee», come scrive Betocchi a

278 Ivi, p. 152.

279 E. Ronconi (a cura di), Dizionario della letteratura italiana contemporanea, vol. I, Vallecchi, Firenze,

1973, p. 447

280 Betocchi cita esattamente le parole utilizzate da Bo nella lettera precedente, [147], del 18 aprile

1955: «Ti ringrazio, dunque, […] e non da oggi ti devo gratitudine, sei uno dei pochi che non dimentichino la mia buona volontà: quello che sperai di fare…».

97 Bo il 14 luglio 1955. Essa, come il «Frontespizio», verrà ricordata nel computo delle imprese basate sulla vicinanza dello spirito e, soprattutto, sull’affetto dei collaboratori.

Le lettere degli anni Cinquanta, anche in seguito al termine delle pubblicazioni della «Chimera», testimoniano come il rapporto fra Bo e Betocchi continui a vivere negli anni una familiarità crescente, un affetto fraterno impiegato anche nel risolvere questioni pratiche e problemi della vita quotidiana. È Betocchi, spesso, a scrivere a Bo per certe questioni economiche: egli ha spesso qualche disturbo dovuto alla casa, ai numerosi trasferimenti, al lavoro che non viene pagato, e si trova quindi nella necessità di chiedere a Bo qualche favore. Inoltre, spesso egli chiede consiglio a Bo sul futuro dei suoi figli, per Silvia, figlia della Mima, la sua compagna di una vita, ma anche per la situazione lavorativa di Marcello, avuto dalla prima moglie. Le lettere sono ricche di ringraziamenti e di care parole rivolte all’amico che, anche a fronte degli impegni, non manca mai di dare aiuto al poeta. Per l’importanza delle somme in denaro, che vengono spesso citate nelle lettere, Bo e Betocchi diventano quindi i protagonisti anche di numerosi premi letterari e dell’organizzazione di alcuni convegni principalmente a Firenze e Urbino.

Tuttora, in Italia, prosperano numerosi premi letterari che si occupano sia di narrativa che di poesia. Visto il loro grande numero e la qualità non sempre garantita dei comitati e delle giurie281, questi premi non vengono forse considerati

importanti quanto in passato o, se ancora famosi, hanno purtroppo acquisito un valore più commerciale che letterario vero e proprio. Le numerose lettere degli anni Cinquanta e Sessanta, dunque, rivelano dettagli interessanti di questo fittissimo panorama letterario italiano, che è stato poi definito «Premiopoli»282.

La scrittura epistolare, che diventa qui piuttosto pratica e organizzativa, si occupa dei membri e della scelta delle commissioni dei premi, degli autori e delle opere dei partecipanti, dei premi vinti e di quelli assegnati o non assegnati. È interessante vedere come esistano premi per ogni genere di scritti, dalla narrativa

281 Si veda ad es. la lettera di Betocchi del 5 luglio 1965 [304], nella quale il poeta dichiara a Bo

che anche l’amico Piccioni, partecipando ad un dibattito sul “Premio Strega” per l’Approdo, ha messo bene in luce «quello che di equivoco sono i premi».

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alla saggistica, dal teatro alla poesia, ma soprattutto come essi siano diffusi in tutta Italia e, per la maggior parte, siano nati proprio nel clima di ripresa economica del secondo dopoguerra e soprattutto dei primi anni Cinquanta. Dal premio Saint Vincent per il giornalismo, valdostano, a quello di Napoli, dal Premio Marzotto allo Strega, dal Viareggio al Ceppo di Pistoia, fino al premio Estense di Ferrara o a quello del Montefeltro, istituito da Carlo Bo ad Urbino, molte o quasi tutte le città italiane possono vantare un loro premio dedicato. Grazie a questi premi, alle serate di conferimento e alle figure rilevanti di alcuni partecipanti, queste città oggi ormai defilate, rispetto al panorama letterario, possono invece dimostrarsi vivaci centri attivi della vita culturale del paese. I premi letterari testimoniano ancora una volta la vitalità delle provincie e di molte realtà italiane che potremmo dire periferiche, rispetto ai grandi e storici centri culturali, allargando il campo del dibattito culturale al di là della capitale, della Milano dell’editoria o della Firenze delle riviste.

Negli anni 1955-1965 Bo entra a far parte della giuria di diversi premi letterari e Betocchi gli si rivolge spesso per commentare qualche candidatura, generalmente l’opera di un giovane o di un autore ancora sconosciuto che ha letto e apprezzato in prima persona. Quasi mai i libri proposti e commentati nel carteggio sono quelli che vinceranno i premi, ma essi testimoniano l’intenso lavoro di lettura di Betocchi, il vaglio di un critico attento e il suo costante interessamento al panorama poetico e letterario italiano. Fin dagli anni del «Frontespizio», in cui presentava giovani poeti italiani e stranieri, egli si è infatti dedicato alla lettura e, nonostante le sue frequenti rivendicazioni di autodidatta, non ha mai smesso agire secondo la sua competenza di mediatore culturale, che darà poi un’impronta riconoscibile all’«Approdo» radiofonico e letterario.

Dalle lettere sui premi appaiono evidenti, seppur non dichiarate, le diverse strategie di reclutamento e attribuzione, sia quelle dei giudici, che devono trovare un accordo spesso difficile e così scegliere i vincitori, sia degli autori e soprattutto delle case editrici che presentano le loro opere. Molto spesso, infatti, i libri di poesia vengono pubblicati in base alle tempistiche dei premi e, ancora più spesso, essi vengono presentati contemporaneamente a più di un premio letterario, per aumentare le possibilità se non di vittoria almeno di visibilità. Ciò

99 permette ad autori fra i più noti, come Ungaretti o Caproni, ma anche ai meno noti, di ottenere una vetrina più ampia per sé e le proprie opere e, come accade anche oggi, di stringere alleanze e affinare conoscenze in vista dei prossimi premi. Betocchi stesso, grazie alla sua opera poetica, concorre e ottiene diversi premi letterari, che corrispondono anche al maggior interesse riscosso dalla sua poesia, negli anni maturata e sempre più apprezzata da critici e lettori.

Il primo premio importante, vinto dal poeta, è il Viareggio per la poesia nel 1955: quell’anno, infatti, è uscita per Vallecchi la prima edizione che raccoglie tutta la produzione betocchiana dal 1930 al 1954283. Nella lettera a Bo del 30

agosto 1955, così scrive Betocchi: «Le sorti han girato in modo che Viareggio ha preceduto il tuo affettuoso e prezioso interessamento. So la tua esultanza anche dal carissimo Khane […]». Come le lettere, in questa stagione, anche le notizie dei successi e dei premi ricevuti circolano nell’ambiente letterario suscitando esultanza e congratulazioni che, il poeta, ha ricevuto fin dai suoi esordi da Bargellini, Luzi, Bo e gli altri amici della redazione del «Frontespizio».

Pochi anni dopo, con la pubblicazione de L’estate di san Martino284 nel

1961, Betocchi vince il premio Montefeltro e dà inizio ad una nuova stagione, più matura, della sua poesia, quello «stile tardo» per cui riceverà sempre più frequentemente importanti e generali riconoscimenti285. Al riguardo, nella lettera

del 27 ottobre 1961, Caproni gli scrive intelligentemente che è inutile congratularsi per un libro come l’ultimo suo: «Mi par d’aver sentito dire che hai vinto il Montefeltro. Voglio augurarmi che sia vero e, se è vero, “mi congratulo”, anche se è ridicolo “congratularsi” con un grande libro come l’Estate di San Martino»286. Un libro di questo tipo, infatti, non ha bisogno di premi, ma sa

parlare da sé attraverso le pagine e i versi, anche se dopo la premiazione avvenuta ad Urbino, i primi di dicembre 1961, Caproni scrive di nuovo al poeta:

283 C. Betocchi, Poesie. 1930-1954, Vallecchi, Firenze, 1955. 284 C. Betocchi, L’estate di san Martino, Mondadori, Milano, 1961.

285 Cfr. E. W. Said, Sullo stile tardo [2006, post.], tr. it. di A. Arduini, Il Saggiatore, Milano, 2009;

prendendo a modello Said, e i riferimenti critici da lui citati, si veda L. Lenzini, Stile tardo. Poeti del Novecento italiano, Quodlibet, Macerata, 2008, con un capitolo sulla poesia di Betocchi (ivi, pp.97- 123).

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ti ho visto ieri sera alla TV, con la Mima e la Silvia. […] Rallegramenti per quel bel fiore tuo, e anche per il Premio, si capisce, al di là del valore pecuniario, che certamente ti aiuterà come una mano tesa della Provvidenza. Mi sei parso abbastanza in forma, asciutto e increspato come i tuoi tegoli, e più Carlo che mai, con quel tuo “allegro” discorso sul lavoro come ritrovamento d’innocenza.

I premi vinti, infatti, non cambiano nella sostanza l’umiltà della persona e della poesia di Betocchi, ma gli consentono di guadagnare qualcosa e far conoscere la sua poesia. Egli, infatti, rivendica ad ogni occasione il valore del proprio lavoro, poetico e come geometra, ma, contemporaneamente, la necessità di non inorgoglirsi per un dono poetico che è anche una croce.

Gli anni Sessanta, comunque, sono per il poeta fiorentino una stagione particolarmente favorevole ed egli riceve anche altri importanti premi. Si tratta, e vengono puntualmente citati nelle lettere a Bo, del premio Lerici-Pea nel 1966, a cui viene inviato il testo Al caffè287; del premio Feltrinelli dell’anno successivo,

vinto con Un passo, un altro passo288, per cui Betocchi viene premiato a Roma il 14

novembre, lo stesso giorno in cui Bo pubblica su di lui il bellissimo articolo Come invecchia un poeta289; del premio Elba, nel 1968290, sempre per la raccolta Un passo,

un altro passo.

La lettera di Betocchi a Bo del 17 novembre 1967 è dunque una delle più significative del carteggio, perché esprime chiaramente cosa conti di più per Betocchi. Non si tratta, infatti, di esultare per l’assegnazione dei premi letterari, quanto di condividere la gioia con un amico e rallegrarsi, soprattutto, per la sua continua e affettuosa attenzione. Così scrive Betocchi a Bo:

Carissimo Carlo,

il tuo splendido articolo e la tua affettuosa attenzione di farlo pubblicare – mentre ormai è inconsueto – sulla terza pagina del «Corriere» e proprio nel giorno che mi veniva consegnato il Premio Feltrinelli, tutto questo è stato per me, e per tutti noi di casa, assai più ricco e consolante del Premio stesso. Te ne ho ringraziato per telegramma da Roma, e qui ti confermo che non avevo ancora visto il giornale […]. Ti aggiungerò che continuo a ricevere lettere in cui mi si parla e ci si rallegra con me proprio per codesto articolo; né sto a dirti il piacere che qui ha avuto Bargellini per il fatto che tu l’hai rammentato come quello che per primo s’interessò alle

287 Betocchi, 28 aprile 1966 [314].

288 C. Betocchi, Un passo, un altro passo, Mondadori, Milano, 1967.

289 Betocchi, 14 novembre 1967 [328] e 17 novembre 1967 [329]: il poeta esprime a Bo i suoi più

sentiti ringraziamenti per lo «splendido articolo».

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mie poesie e le presentò. Con tutto ciò, queste non sono che la frangia – diciamo – di quello che ho provato in cuore: la consolazione di ritrovarti ancora una volta, come sempre, in quella fede che sappiamo che è la tua, e che ci hai insegnato ad osservare, a mantenere (Piccioni, ieri, a Roma, mi ha detto: ­ Bo, e t’accorgi che è sempre il migliore di tutti!). Cose che ci avvertono che oltre i giorni di questa vita c’è qualcosa di più; perché queste prove di fedeltà ne sono come una segreta testimonianza291.

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103 Il carteggio fra Bo e Betocchi, anche di fronte alle attestazioni e ai riconoscimenti pubblici dei premi letterari, assume una importanza centrale per la testimonianza dei movimenti segreti della loro anima. I due corrispondenti, di fronte ai fatti gioiosi della vita, ai successi ma anche ai dolori, continuano a scriversi e a condividere le loro esperienze. Contemporaneamente ai premi ricevuti da Betocchi, anche Carlo Bo ha ottenuto degli importanti riconoscimenti per il suo lavoro: nel 1960 è stato nominato Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana e nel 1966 Cavaliere di gran croce292. Nel 1965,

per la pubblicazione della sua raccolta Siamo ancora cristiani?, ha ricevuto a Ferrara il Premio Estense per il giornalismo293; nel 1989 il premio Grinzane Cavour ha

ufficialmente premiato la sua opera di traduttore e francesista, mentre la sua inesausta attività di critico viene riconosciuta col premio Nuova Antologia nel 1994.

Uno degli aspetti dei premi letterari, maggiormente messo in luce dal carteggio, è però ancora l’aspetto pecuniario. Accanto alla popolarità e all’estensione geografico del fenomeno, non si può dimenticare, come scrive più volte lo stesso Betocchi, che la vittoria di un premio corrisponde a una certa cifra in denaro «che fa sempre comodo a chi vive come me, più o meno nelle mani degli editori!!!»294. Il denaro vinto in occasione di questi premi, dunqu, concorre

a rimpolpare i guadagni del lavoro redazionale, fortemente tassati e spesso ricevuti in ritardo, e quelli delle opere pubblicate, donando un po’ di sollievo alle preoccupazioni costanti del poeta.

Durante tutto l’arco cronologico della corrispondenza Betocchi ha chiesto più volte aiuto a Bo e l’amico ha sempre risposto prontamente, addirittura in un caso con l’invio di denaro e carbone per superare l’inverno295.

292 Istituito con la Legge 3 marzo 1951, n. 178 (G.U. n. 73 del 30 marzo 1951), è il primo fra gli

Ordini nazionali ed è destinato a "ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, della economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari".

293 Bo venne premiato a Ferrara per il suo Siamo ancora cristiani?, Vallecchi, Firenze, 1964, e

Betocchi gliene scrisse nella sua del 5 luglio 1965 [304].

294 Betocchi, 24 gennaio 1982 [446].

295 Bo, 16 dicembre 1960 [243]: «Caro Carlo, eccoti la legna e il carbone. Se morissi, restituisci la

piccola somma a Marise. Vi faccio tanti auguri, siate felici, vi sia clemente l’anno novo tuo Carlo