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Il ‘sale’ del carteggio: le difficoltà degli anni Quaranta

Nelle Confessioni minori, curate da Albisani, Betocchi sembra rispondere all’interrogativo sul senso della vita con queste parole:

Dalle profondità del nostro essere, prende straordinaria importanza quello che noi sentiamo, non quello che noi pensiamo, o pensiamo di sentire: questa che sale come una profonda angoscia e gioia insieme è il sale del canto, è il primo sapore che si sente del canto. Tale è la sostanza del canto, la terra della nuova possibile rivoluzione […]247.

Il «sale del canto» nasce dunque dalle profondità dell’essere e da ciò che di più vero c’è in noi. Come già segnalato per Letteratura come vita, di Carlo Bo, una rivoluzione e una vera letteratura sono possibili soltanto comprendendo che il segreto dell’esistenza è nel suo essere consustanziale alla nostra anima, cioè partecipe e connaturata ad una stessa sostanza, dolorosa e gioiosa insieme.

Charles Du Bos, di cui Bo non ha mai dimenticato la lezione, in Che cos’è la letteratura ha scritto: «Il fine reale per ciascuno di noi è che tutto quanto v’ha di meglio quaggiù divenga consustanziale alla nostra anima, l’aiuti a crescere, a completarsi, la guidi verso la perfezione»248. Alla morte del critico nel settembre

1939, Bo annotava nel suo Diario aperto e chiuso di aver imparato da lui molte cose e, prima di tutto, a parlare e ad avere il senso della misura. Du Bos, continuava il critico sestrese,

mi ha dato il senso del pudore e del rispetto, mi ha fatto vedere in tutta la sua luce che cosa è uno spirito, che cosa è un libro, fino a che punto è lecito introdursi nell’opera degli altri […]. Ricordo che mi ha insegnato a conoscere la parte sana dell’entusiasmo, […] secondo lui bisognava entrare in uno spirito e prendervi dimora, senza chiedere alla fine si sarebbero ottenuti non si sa quanti doni249.

Fra i doni ottenuti da Bo, grazie all’ascolto attento del suo spirito, ci sono state l’amicizia e l’attenzione costante che Betocchi gli ha continuato a tributare negli anni. Terminata ormai definitivamente l’esperienza del «Frontespizio» e

247 C. Betocchi, Il sale del canto. X, in Confessioni minori, cit., p. 390.

248 C. Du Bos, Che cos’è la letteratura?, trad. di L. Ascani, Fussi, Firenze, 1949, p. 31: la citazione è

presenta anche in Spadaro, Abitare nella possibilità, cit., p. 57.

91 quella ben più tragica della guerra, con il suo portato di inevitabili cambiamenti, il carteggio Bo-Betocchi continua anche negli anni Quaranta a mostrare «come la rosa nell’orto brutto, questa fertile amicizia come vive»250. Come scrive

Betocchi nel 1940, le lettere continuano ad accompagnare i due corrispondenti «in un mondo puro dove anche i nostri errori – e voglio dire i miei – non hanno importanza»251. Il 29 dicembre 1941, così si rivolge Bo al poeta, scusandosi di

alcuni suoi lunghi e numerosi silenzi, augurandogli un buon 1942:

E grazie per le buone parole che mi dici: ne ho davvero bisogno in questi giorni di sconforto e di desolazione dove tutto sembra stato inutile, tutto buttato nel giro d’un vento stupido. Penso alla nostra amicizia, al fervore e all’innocenza degli anni passati: resterà davvero un’età miracolosa252.

Il 1942 e il 1943, però, sono ancora anni difficili, contrassegnati da uno scambio esiguo di lettere, anche se il lavoro dei due corrispondenti ferve e non mancano i riferimenti critici a quello dell’uno o dell’altro. Attraverso gli scritti di Carlo Bo e i nuovi testi in versi di Betocchi, definito dall’amico «l’accezione più piena di poesia»253, «una proposta di vita trascurata» nel panorama italiano dopo

Quasimodo254, i due corrispondenti vivono degli anni di attesa, di preparazione,

che preludono a una nuova ondata di pubblicazioni e alla ripresa ancora più intensa della collaborazione.

Il 29 luglio 1945 Betocchi scrive a Bo: «Attendo con impazienza il tuo Diario e ogni tuo lavoro, che vorrei avere da te». Nello stesso anno, infatti, il critico deciderà di pubblicare il Diario aperto e chiuso255, che racchiude riflessioni e

spunti critici degli anni 1932-1944. Sono ventun anni di lavoro e di un «perpetuo calvario»256 che mettono di fronte al lettore il «lavoro dello spirito» di Bo, come

scrive egli stesso nell’introduzione, «il senso di un discorso maggiore di cui mi

250 Betocchi, 23 dicembre 1939 [70]: «E dunque tra rimorsi, e silenzio, e sentimento del mio

isolamento, come la rosa nell’orto brutto, questa fertile amicizia come vive in me!».

251 Betocchi, 16 maggio 1940 [71]. 252 Bo, 29 dicembre 1941 [83]. 253 Bo, 15 maggio 1946 [95].

254 C. Bo, La poesia italiana dopo Quasimodo, «Il libro italiano nel mondo», a. III, n. 7-8-9 (1942),

pp. 20-26.

255 Bo, Diario aperto e chiuso, cit. 256 Ivi, p. 18.

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piace essere stato vittima e favorito»257. Se l’importanza di questa pubblicazione

e della forma del diario, per la concezione critica di Bo, verrà discussa più avanti, nel capitolo dedicato interamente alla sua figura, non si può non rilevare fin da subito la vicinanza della scrittura diaristica e quella epistolare. Entrambe sono forme ambigue di rappresentazione del sé, anche se in questo caso il diario «aperto e chiuso» è una sorta di «lavoro nascosto»258, ovvero chiuso, poi rivelato

all’esterno, e quindi aperto. Pubblicando le pagine delle sue meditazioni Bo sceglie umilmente di «mostrare tutte le debolezze e la serie dei propri errori», rivolgendo però al lettore e condividendo «un senso di semplice lavoro dello spirito», la «propria passione spirituale e intellettuale»259.

Sempre nel 1945 Bo pubblica la sua raccolta di saggi L’assenza, la poesia, che era stata anticipata da un intervento omonimo pubblicato sulla rivista «Prospettive»260. Il volume, che non viene esplicitamente commentato nel

carteggio, raccoglieva però degli interventi critici sulla poesia ricollegandoli ad un tema che Betocchi, già nel 1935, scriveva essere «tanto nostro, caro Carlo. Assenza e Presenza, poli intorno ai quali roteano tutti i migliori dopo Rimbaud e con un impegno così totale»261. L’impegno totale per la letteratura, dunque, non

si verifica soltanto nell’attività di Bo, ma anche in quella di Betocchi che, dopo la ristampa di Realtà vince il sogno, nel 1943, sta ripensando a certe sue prose e lavorando a nuove poesie262. Se era lo stesso Bo, già nel maggio 1934, a scrivere

che Betocchi gli era indispensabile anche con «le sue prose di cui nessuno sembra volersi ricordare»263, nel 1947 Betocchi pubblicherà Notizie di prosa e di poesia, una

raccolta mista che così anticipava all’amico il 6 gennaio 1947:

Io sono sempre all’alba di ogni cosa possibile: per me il lavoro deve sempre cominciare, e spesso illusi canti di gallo mi fanno credere che ci sia il sole a mezzanotte. E sempre spero, e non vorrei disegnarmi che in un libro di speranza. Invece penso di pubblicare le sparse cose di questi anni mescolate con le prose e prosette, in un ordine cronologico più proprio all’andamento

257 Ivi, p. 11, 13. 258 Ivi, p. 16. 259 Ivi, p. 11.

260 C. Bo, L’assenza, la poesia, «Prospettive», a. IV, n. 10 (1940), pp. 3-5. 261 Betocchi, 21 maggio 1935 [22].

262 Betocchi, 14 gennaio 1943 [88]: «per quanto mi riguarda: sto sentendo e lavorando poesie,

ossia versi; e credo che una mia prossima […] ti piacerà».

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del mio lavoro che non è che il capriccioso serpeggiamento di una scintilla vitale.

Descrivendo all’amico questo suo terzo libro, significativo del lavoro continuo in versi e in prosa, il poeta spiega a Bo che

vi sono infatti raccolte le prosette antiche, sulle quali tu ponesti qualche attenzione, e via via altri componimenti inediti raspati tra le maglie di Altre poesie264 oltre a quelli recentissimi. A mio modo di vedere è una storia un po’ disordinata, secondo la mia grande facilità di errori, che va a integrare la storia più o meno espressa dai libretti precedenti265.

La scintilla vitale, di cui Betocchi parla nel 1947, non abbandona però mai del tutto i due amici e anche Bo, nel 1946, ha dato alle stampe i Nuovi studi266.

All’inizio del 1947, infatti, Betocchi non solo aspetta di ricevere l’ultima raccolta del critico, ma gli scrive: «non posso che seguitare a dire di te, con tutto l’affetto che ti porto, quell’infinito bene che ne penso»267.

Nonostante la stima e la fiducia di Betocchi, non tutti i progetti sono fecondi e felici come quello del fiorentino «Frontespizio» o del successivo «Approdo». Nel 1946 Carlo Bo, insieme a Quasimodo, Renzo Bertoni e Renato Birolli, stava progettando di pubblicare a Milano una nuova rivista, «Atlante», di cui però, alla fine, non si fece più nulla. Del progetto, attraverso le lettere del carteggio, ci resta soltanto la carta intestata di alcune missive: il 15 maggio 1946, dopo un silenzio dovuto a «dei mesi brutti per la malattia e poi la morte di mio padre», Bo scrive a Betocchi spiegandogli che «la rivista non è mai uscita e non uscirà più: era una delle tante imprese del nostro unico Bertoni fantastiche e poi andate a male»268. Gli anni Quaranta, però, conservano in sé «il peso di quella

passione d’allora e di quella comune disposizione di attesa» che, dagli anni Trenta del «Frontespizio», riaffiorerà negli anni Cinquanta e Sessanta tratteggiando, anche con la scrittura epistolare, una stagione nuovamente «fortunata e robusta»269.

264 Betocchi, Altre poesie, cit. 265 Betocchi, 29 febbraio 1948 [99].

266 C. Bo, Nuovi Studi. Prima serie, Vallecchi, Firenze, 1946. 267 Betocchi, 6 gennaio 1947 [96].

268 Bo, 15 maggio 1946 [95]. 269 Ibidem.

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