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L'azione della Cooperazione Internazionale: il COOPI

Tra le varie ONG presenti sul territorio della Sierra Leone, il COOPI, Cooperazione Internazionale, è una che da più di trent'anni si occupa del recupero dei bambini che sono stati protagonisti della tragica guerra civile.

Il COOPI è un associazione italiana di volontariato internazionale operante dal 1965 in favore delle popolazioni più povere e disagiate del mondo. La sua azione ha l'obiettivo di promuovere una risposta al sottosviluppo, alla fame e all'emarginazione attraverso la promozione dello sviluppo armonico e integrale dell'individuo e della sua comunità su ideali di uguaglianza e giustizia23.

Dalla sua istituzione ha dato vita a 300 progetti di sviluppo in 30 Paesi in collaborazione con gli operatori locali.

In Sierra Leone il COOPI è presente dal 1967, dove ha portato avanti

23 G.Berton, I.C.E.G. Franceschini, P. Giroldini, A.Mariani, L.Scalettari, J. L. Touadi, A. Ferrari, Disegni di guerra..., op.cit., p. 100.

progetti di sviluppo rurale, sanitario e di formazione professionale. A causa dell'instabilità presente nel Paese molte volte i cooperatori sono stati costretti a evacuare le loro postazioni, fino a che nel 1998, momento in cui la Guerra Civile ha raggiunto l'apice, il loro intervento si è incentrato nel settore dell'emergenza finanziata dall'Ufficio Umanitario dell'Unione Europea.

Grazie a tali risorse, la prima azione fu quella di sostenere, attraverso un progetto, l'ospedale di Makeni, seconda città dopo Freetown, ma successivamente l'attacco dei ribelli alla città, che saccheggiarono e distrussero l'ospedale, li portò a spostarsi verso la capitale, dove si dedicarono alla cura dei malati in una clinica situata situata in un sobborgo di Freetown. Ma trascorso poco tempo anche la stessa capitale fu attaccata.

L'azione del COOPI a favore dei bambini-soldato iniziò quando nel luglio 1999 le Nazioni Unite, insieme ai capi delle fazioni ribelli e del Presidente in carica, sottoscrissero un accordo di pace che prevede il disarmo e il rilascio dei bambini reclutati. Furono proprio le Nazioni Unite a chiedere al COOPI di collaborare e occuparsi di fornire assistenza ai bambini che dalla firma dell'accordo venivano rilasciati.

Dal marzo 1999 il COOPI si occupa anche del settore child

protection, coordinato dall'Unicef e rientrato nel programma dei Comitati

realizzati, per la volontà delle Nazioni Unite, della Cooperazione inglese e della Banca Mondiale24.

Le attività di Child Protection, portata avanti dal COOPI, hanno inizio dal momento del rilascio del bambini per poi spostarsi al ricongiungimento familiare e al reinserimento all'interno della società. In tutte queste fasi il bambino è affiancato dal personale specificatamente formato.

Al momento del rilascio il minore è accompagnato dal suo ufficiale negli appositi centri di disarmo, dal 2000 sono 6 su tutto il territorio sierraleonese. Sotto supervisione dell'ECOMOG e dell'UNAMSIL, il bambino

consegna le armi in suo possesso e viene registrato, acquisendo lo status di ex combattente25. Il soggiorno nei centri di disarmo solitamente non supera i due

giorni.

Passato tale periodo, il bambino viene trasferito in un campo di smobilitazione dove perde lo status di ex combattente e acquisisce lo stato di civile. Una volta arrivati in questi campi si avvia la fase del ricongiungimento familiare se i parenti provengono dalla stessa zona in cui è situato il centro, altrimenti i bambini verranno trasferiti al centro di smobilitazione più vicino alla zona di origine.

Uno dei centri è gestito dal COOPI a Lakka, vicino Freetown. Dall'arrivo del bambino si avviano le ricerche per l'individuazione dei familiari. Prendendo in custodia i minori, il centro fornisce loro servizi base quale cibo, indumenti, assistenza medica e psicologica.

Tale fase del percorso di riconversione è la più critica. Molte volte i familiari sono deceduti e quindi la ricerca viene estesa a parenti più lontani. Nella cultura africana il concetto di “famiglia allargata” acquisisce un significato molto profondo in quanto il figlio di un fratello è considerato come un proprio figlio. Qualora della famiglia non si abbiano notizie, i minori saranno affidati momentaneamente a famiglie artificiali.

Il ricongiungimento familiare però non è risultato molto semplice, in quanto può accadere che il minore sia rifiutato dai propri cari perché considerato una bocca in più da sfamare ma vi è anche la paura che questi ex soldati siano ancora pericolosi. I bambini che tornano a casa, dopo aver vissuto la realtà della guerra, sono molto diversi rispetto a quando giocavano nel cortile di casa con i propri compagni. Hanno con sé i segni e le tracce della guerra,traumi psicologici, dipendenza da droga, segni indelebili sulla pelle provocati dalle incisioni del gruppo ribelle di appartenenza. Sono questi traumi che provocano una riunificazione molto lenta e difficile, che necessita del supporto delle

organizzazioni presenti nel paese per evitare che il bambino sia abbandonato a se stesso. Nella maggior parte dei casi il ritorno a casa rappresenta il tornare a vivere in una condizione di stenti e povertà, rispetto a quella vissuta nei gruppi armati dove cibo e acqua erano in abbondanza.

Il ruolo dei mediatori del COOPI è quello di seguire il minore in ogni momento del suo percorso di ricongiungimento e facilitarne il suo inserimento nella società. L'ambiente scolastico è considerato un elemento fondamentale di questo percorso. È una opportunità per evitare che il bambino sia abbandonato a se stesso e crearsi opportunità per il futuro, con l'obiettivo di migliorare la propria condizione e quella della sua famiglia. Il primo desiderio dei bambini, una volta rilasciati, è quello di ritornare fra i banchi di scuola, ma nella realtà africana la sola iscrizione a un istituto scolastico può sembrare difficile a causa dei suoi costi molto elevati rispetto al reddito medio della Sierra Leone.

Durante la permanenza nei centri gestiti dal COOPI i bambini iniziano a seguire le lezioni, ma la preoccupazione è quella di non poter proseguire gli studi una volta tornati a casa. Per cercare di trovare una soluzione, il COOPI ha istituito laboratori di formazione professionale per i bambini che non possono o non vogliono andare a scuola, con l'obiettivo di insegnare loro un mestiere per il futuro26.

Nella zona di Freetown sono presenti laboratori di falegnameria che possono ospitare dieci bambini e, a seconda delle capacità, tale formazione va da un periodo di sei mesi a un anno. Vi sono anche laboratori per la lavorazione dei tessuti dove vengono prodotte lavorazioni tradizionali sierraleonesi come il batik e il gara, ma viene insegnato loro anche l'art della tessitura, molto richiesta nel mercato locale.

La promozione di questi laboratori, secondo il COOPI, ha una duplice finalità. Da una parte significa aiutare i ragazzi a ostruirsi un proprio futuro e

26 G. Berton, I.C.E.G. Franceschini, P. Giroldini, A.Mariani, L.Scalettari, J. L. Touadi, A. Ferrari, Disegni di guerra....,op.cit., p. 105.

dall'altra sostenere la comunità.

Gli operatori del COOPI non svolgono un lavoro di sostegno verso i fanciulli, ma verso l'intera società che deve imparare ad accogliere il bambino soldato e ritornare a ciò che la Sierra Leone era prima della Guerra, cercando di riappropriarsi delle proprie tradizioni. Proprio per questo alcuni operatori provengono dalla realtà dell'arte, riuscendo a coinvolgere la comunità, aiutandola a comprendere e ad accettare il reinserimento degli ex combattenti.

L'obiettivo del COOPI non è quello assistenziale, ma di creare le basi per insegnare alla comunità di andare avanti con le proprie gambe.

Inoltre, nel 2002 il COOPI ha avviato una nuova fase di intervento sul territorio, dedicata alle bambine che hanno subito violenze da parte dei ribelli. Sono minori rapite violentate, torturate, molte di loro divenute madri, e per questo motivo e per le atrocità commesse sono spesso state rifiutate dalla propria famiglia o dalla comunità in cui vivevano27.

Finita la guerra molte di loro era solo e abbandonate e l'unica scelta era rimanere nei gruppi ribelli, continuando a subire violenze o entrarono nel giro della prostituzione come unica soluzione per mantenere se stesse e il proprio bambino.

Nel 2003 per aiutarle il COOPI ha avviato un progetto grazie ai finanziamenti dell'Unione Europea nella zona di Freetown e ne distretto di Koidu. Inoltre, altri centri sono stati aperti collaborando con un organizzazione locale che si batte per le donne, la Progressive Women Association, in cui vengono promosse varie attività. Tali centri rimangono a disposizione delle donne anche dopo la fine della loro permanenza.

Il COOPI è solo una delle tante ONG impegnate, con i loro progetti, nel recupero dei bambini soldato. Tutte hanno un solo obiettivo: dare futuro a chi ha visto le atrocità della guerra e restituire loro una famiglia, una casa, e la propria identità

CONCLUSIONI

Dall’analisi fin qui svolta, si può affermare che l’impiego dei minori come soldati nasce dalla violazione sociale dei loro diritti ed è perciò fondamentale che qualsiasi iniziativa di intervento sia indirizzata a risolvere le radici del problema. È necessario, anche, combattere la marginalizzazione economica di particolari gruppi, inserendo i programmi di riabilitazione nel contesto di più generali programmi di sviluppo.

Il problema della reintegrazione degli ex-bambini soldato non va assunto nei termini dell’emergenza, ma richiede un impegno a lungo termine e una stretta collaborazione tra comunità locali, governi, ONG nazionali e internazionali. Si deve lavorare nella realtà locale della comunità, ma allo stesso tempo tenere ben presente che il processo di riabilitazione è strettamente collegato con lo sviluppo sociale ed economico dell’intero Paese e con l’educazione.

Ad oggi una delle maggiori priorità è quella di rimuovere qualsiasi bambino di età minore di 18 anni da qualsiasi tipo di forza armata e prevenire ogni possibilità di nuovi arruolamenti. Gli accordi di pace e i relativi documenti devono prevedere la smobilitazione dei bambini; comunque sia, i programmi di DDR devono essere sempre una priorità, a prescindere dagli interventi di

peacekeeping. Questi programmi devono includere misure speciali per la

protezione dei minori da forme di sfruttamento e dal ri-reclutamento; i bisogni delle bambine e dei minori disabili devono essere una priorità dei programmi di reintegrazione.

Per porre fine alla partecipazione dei minori ai conflitti armati, i governi devono ratificare il Protocollo Opzionale della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e sottoscrivere lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Quindi i governi devono modificare gli standard legali nazionali per il reclutamento volontario obbligatorio, portando a 18 l’età minima prevista

per l'arruolamento. Contemporaneamente, essi devono punire il reclutamento forzato dei minori in tutte le forze armate governative, nelle milizie locali e nelle forze di difesa civili, introducendo adeguate procedure di arruolamento. Allo stesso modo bisogna adottare azioni concrete verso tutte le altre realtà che incidono sul reclutamento dei minori e ne aggravano la portata. I trafficanti di armi leggere devono essere puniti insieme a quanti li sostengono e li finanziano. L’esistenza di meccanismi punitivi serve da deterrente per altre violazioni; infatti, se non si pone fine all’attuale cultura dell’impunità, ogni sforzo sarà inutile.

È necessario implementare inoltre i sistemi di registrazione anagrafica, o crearli dove non esistono, anche per i rifugiati, per gli sfollati e per gli appartenenti a minoranze. I bambini orfani, rifugiati, sfollati, e i bambini di strada devono ricevere particolare protezione dal momento che rappresentano i bersagli preferiti dei gruppi armati. Un altro obiettivo primario devono essere i programmi di riunificazione familiare.

È lapalissiano che l’unico modo per impedire effettivamente agli adulti di arruolare i bambini è che la guerra finisca.

Mentre alcuni cercano di lavorare per porre rimedio a questo problema e ai suoi effetti collaterali, è importante, allo stesso tempo, canalizzare energie e finanziamenti nel settore dell’educazione e portare avanti processi di

peacebuilding che coinvolgano le società nel loro complesso. Come sancito dai

Principi di Parigi, l’educazione dovrebbe essere di buona qualità, inclusiva, ad accesso libero e non discriminatorio1. Le agenzie educative devono affrontare le

tematiche legate alla mondialità, alla pace, alla possibilità di una soluzione nonviolenta dei conflitti, al rispetto dei diritti umani e alle pratiche interculturali. È fondamentale promuovere una cultura di accoglienza, dialogo e rispetto per le diversità e sviluppare nei giovani un senso di responsabilità nei confronti di ciò che accade nel mondo. Qualsiasi pubblicità, o propaganda, per l’arruolamento

1 http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Dichiarazione-delle-Nazioni-Unite- sulleducazione-e-la-formazione-ai-diritti-umani/211

non dovrebbe essere permessa nella struttura scolastica e nei suoi spazi esterni. Il diritto all’educazione, sancito dagli art. 28 e art. 29 della Convenzione sui diritti dell’infanzia, non viene meno quando il Paese è coinvolto in un conflitto. È per questo che gli interventi di sostegno alla crescita economica di un Paese devono prevedere dei programmi di mantenimento e sviluppo dell’educazione. In caso di conflitto invece devono essere fatti tutti gli sforzi possibili per mantenere attivi i sistemi educativi esistenti. La comunità internazionale deve persuadere i governi e le altre entità non statali coinvolte nella guerra per fare in modo che i servizi educativi non vengano bersagliati, ma vengano protetti. Mentre i paesi e le ONG che contribuiscono materialmente ed economicamente alla rinascita di una Nazione colpita da un conflitto devono indirizzare parte delle donazioni ai programmi educativi e provvedere al loro svolgimento e alla loro continuità. I paesi devono favorire e incoraggiare la cooperazione internazionale nel settore dell’educazione, in vista, soprattutto, di contribuire a eliminare l’ignoranza e l’analfabetismo nel mondo e facilitare l’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche e ai metodi di insegnamento moderni. A tal fine si deve tenere conto in particolare delle necessità dei Paesi in via di sviluppo economico.

In ultima analisi dovrebbe essere portato avanti un training sui diritti dei bambini e sulla protezione dell’infanzia rivolto allo staff locale che lavora nelle agenzie per la protezione dell’infanzia nazionali e internazionali, ai membri delle forze armate del Paese, per le forze internazionali di peacekeeping e per le strutture di applicazione della legge nazionali. Infatti, tutte le persone che lavorano a contatto, diretto o indiretto, con i bambini soldato devono ricevere una formazione, oltre a quella specifica professionale, su una sorta di “codice di condotta” che assicuri la protezione dei bambini contro forme di abuso e sfruttamento. A questo scopo dovrebbero essere create anche degli organi di monitoraggio che siano in grado di attuare azioni punitive e di allontanamento nei casi di violazione, accertata, nei confronti dei minori.

Non basta solo ricordare il fenomeno dei bambini soldato ogni 12 febbraio, giornata internazionale contro l'uso dei bambini soldato, ma devono essere adottate vere e proprie azioni quotidiane e concrete per porre fine a questo fenomeno. Tutto questo deve essere fatto con la consapevolezza che i bambini di oggi saranno gli uomini del domani, e insegnare loro principi come la condivisione, risoluzione pacifica delle controversie e la convivenza fra le varie diversità; tali insegnamenti garantirebbero meno probabilità di scoppio di guerre future e finalmente tutti i minori appartenenti alla comunità internazionale potranno godere di un infanzia fatta fra i banchi di scuola e partite di pallone e non di kalashnikov e sangue.

Fig.1 1

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RINGRAZIAMENTI

In questo giorno un altro traguardo è stato raggiunto. Un percorso non sempre in discesa ma se oggi sono qui il merito va anche a tutte le persone che hanno fatto parte di questi tre bellissimi anni e che mi hanno supportato ed hanno sempre creduto in me.

Un primo ringraziamento va al mio relatore, il professore Maurizio Vernassa che ha permesso la realizzazione di questo elaborato, un argomento che mi sta molto a cuore, e il suo assistente il professor Francesco Tamburini per i suoi utili consigli.

Un grazie speciale va a Maggiore Massimo Alligri, che mi ha affiancato durante questi mesi, dedicandomi parte del suo prezioso tempo, incoraggiandomi nel raggiungimento dei miei obbiettivi e sempre pronto a rispondere ad ogni mio dubbio e perplessità.

E poi c'è la mia famiglia che anche se lontana mi è stata sempre vicina e ha condiviso con me ogni singolo esame; è solo grazie a loro che ho potuto vivere questa bellissima esperienza a Pisa e conseguire tale titolo. Un pensiero va anche al mio fidanzato Luigi, che ha condiviso con me questa esperienza e questo percorso, aiutandomi a rialzarmi quando credevo di non farcela e gioire con me ad esame superato.

L'esperienza “pisana” mi ha inoltre permesso di crescere e di incontrare persone meravigliose che porterò con me sempre, che mi hanno permesso di amare ed

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