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L'azione europea nell'ambito dei bambini soldato

Anche l'Unione Europea si è pronunciata in merito alla questione dei bambini soldato. Dal 18 al 20 ottobre 1999 si è tenuta in Germania la Conferenza Europea di Berlino.

In tale Conferenza, dopo aver dimostrato la preoccupante realtà del fenomeno, in cui più di 3000 milioni di minori nel mondo sono coinvolti nei conflitti armati e accogliendo i vari strumenti giurisdizionali redatti fino a quel momento a livello internazionale, l'Unione Europea si impegna a stabilire standard internazionali che proibiscono a persone con età inferiore ai 18 anni di partecipare alle ostilità.

Venne chiesto agli Stati Membri di ratificare tutte le normative in materia che furono redatte fino ad allora e che le autorità nazionali possano designare il reclutamento dei minori di 18 come “attività suscettibile di nuocere

alla salute la sicurezza ed il morale dei minori" come affermato nell'articolo 3

della Convenzione di Ginevra.

Inoltre vennero garantiti supporto e assistenza agli Stati affinché ratifichino e applichino al loro interno le varie norme, prendendo in seria considerazione la possibilità di modificare la propria normativa nazionale sul reclutamento qualora sia prevista per i minori di 18 anni, adeguandosi all'articolo

38 della Convenzione del 198962. Gli Stati Europei sono anche invitati a

promuovere la realizzazione di un organismo di monitoraggio internazionale in grado di fornire aggiornamento annuale e analisi nazionali relative al reclutamento, all'impiego dei minori e all'uso diretto nei conflitti armati.

Altra azione verso tale tematica fu adotta dalla Commissione Europea il 4 luglio 2006 incentivando la realizzazione di una strategia che garantisca che l'Unione Europea adotti una azione che promuova e salvaguardi i diritti dei fanciulli, sostenendo gli sforzi realizzati dagli Stati Membri.

La Strategia proposta dalla Commissione si sviluppa nel raggiungimento di vari obiettivi ai quali sono correlate le azioni da perseguire, al fine che l'UE si impegni ad esaminare l'impatto dei conflitti sui minori, attraverso i vari strumenti a disposizione, e di indurre gli attori non statali e Paesi terzi ad applicare la normativa internazionali a riguardo.

CAPITOLO IV

IL DIFFICILE CAMMINO DELLA RICONVERSIONE

Il recupero dei bambini-soldato è l'aspetto più difficoltoso di tutto il processo di riconversione. Esso si sviluppa in più fasi: disarmo e smobilitazione, un percorso riabilitativo per poi concludersi con il ricongiungimento con la propria famiglia e la comunità di appartenenza.

Tale percorso è stato possibile grazie al lavoro di molte ONG e organizzazioni internazionali. Ne è un esempio il prezioso supporto dell'UNICEF, la quale finanzia la realizzazione e il mantenimento dei centri riabilitativi, la formazione degli psicologi, la realizzazione di programmi di recupero degli enti locali e la creazione di programmi incentrati sulla formazione professionale dei ragazzi per dar loro la possibilità di affacciarsi al mondo del lavoro1.

Nei trattati di pace molto spesso la questione dei bambini soldato non è esplicitamente inserita e i bambini rientrano nella categoria di ex combattenti, non ricevendo uno specifico piano di recupero. La mancanza di disposizioni specifiche non è solo dannosa per i bambini stessi, ma anche per il mantenimento della pace. La mancanza di insegnamenti sulla non violenza e la risoluzione pacifica delle controversie, insieme al rancore presente all'interno di questi ragazzi, potrebbe causare il riemergere di guerre in futuro.

Una delle difficoltà esistenti per lo stanziamento dei progetti di recupero è molto spesso la mancanza di ammissione da parte dei contraenti locali, eserciti e movimenti di guerriglia, di aver reclutato e coinvolto direttamente i bambini negli scontri. L'impossibilità di identificare i minori coinvolti costituisce un ostacolo per il reinserimento nella vita civile, impedendo

1 L. Bertozzi, I bambini soldato: lo sfruttamento globale dell'infanzia, il ruolo della società civile e delle organizzazioni internazionali, Bologna, Editrice Missionaria Italiana, 2003, p. 154.

il primo passo per la smobilitazione2.

Un esempio è il Mozambico: nonostante un quarto dei soldati impiegati nel conflitto fossero bambini, le parti coinvolte non lo hanno dichiarato e le Nazioni Unite, considerando veritiera tale facciata, non ha incluso i bambini nei suoi programmi ufficiali di smobilitazione, portando i ragazzi a un ritorno alla vita civile senza alcun supporto, causando conseguenze all'interno della società e alti livelli di banditismo.

Il Mozambico non è il solo. Molti paesi hanno adottato il medesimo atteggiamento, come l'Angola dove il governo non ha mai dichiarato la presenza di minori nelle sue file, cosi i bambini sono stati abbandonati a se stessi3.

Altro aspetto peculiare consiste nel tentativo da parte dei gruppi armati di trattenere le bambine soldato anche dopo la conclusione del conflitto perché i leader non sono disposti a rinunciare al valore acquisito da queste ragazze di mogli o serve. È il caso del Ruf in Sierra Leone che ha restituito alla comunità solo un decimo delle ragazze arruolate (si conta che al momento del rilascio di 591 ragazzi solo dieci erano le bambine presenti)4.

Altra problematica, non molto spesso considerata, è la presenza di adulti arruolati quando erano solo dei bambini. Questi bambini diventano adulti, durante il conflitto, e crescono con dentro i valori della guerra. Purtroppo non vi sono programmi specifici per tale categoria e molto spesso sono completamenti ignorati e lasciati a se stessi.

Nonostante vi siano delle mancanze tali progetti sono stanziati nel tentativo di dare una nuova possibilità di vita al bambino e, nonostante i fondi sono insufficienti, i risultati raggiunti sono positivi.

Il processo di riconversione viene suddiviso in più fasi a cui è accompagnato un costante sostegno e supporto sia educativo/formativo che

2 Ibidem.

3 P. W. Singer, I Signori delle mosche:l'uso militare dei bambini nei conflitti armati, Milano, Gian Giacomo Feltrinelli Editore, 2005, pp. 192-193.

socio-psicologico.

4.1

Prima fase: Disarmo e Smobilitazione

Una volta che il conflitto è terminato il primo passo è l'imposizione di un'immediata rimozione e consegna agli appositi centri, di tutto il personale militare con meno di 18 anni di età. In tali centri i minori vengono registrati e disarmati. Essendo diverse le modalità di disarmo e smobilitazione, tali programmi sono diversi da quelli rivolti al personale militare adulto.

La fase del disarmo consiste nella raccolta di armi e munizioni che i combattenti decidono di consegnare alle autorità competenti con l'obbiettivo di distruggerle. Però considerando, sono molto rari i casi in cui i minori posseggano armi proprie, il disarmo non dovrebbe essere correlato direttamente alla fase di smobilitazione e riconversione dei bambini soldato5.

Dopo la fase di disarmo segue quella della smobilitazione. Tale fase consiste nell'invio dei minori in appositi campi per avviare il processo di supporto per far ritorno alla vita civile6.

I bambini soldato una volta separati dai gruppi armati di appartenenza hanno bisogno di un'adeguata protezione, qualora venga a mancare portare le autorità militari a manipolare la fase di smobilitazione per favorirne un nuovo reclutamento7. Durante questa fase i programmi portati avanti hanno un'azione

persuasiva in quanto devono convincere i minori ad abbandonare le armi e la realtà della guerra, offrendo loro tutela e sicurezza.

Arrivati ai campi di smobilitazione i minori sono sottoposti a un

5 F. Gentile, Bambini e Guerra:L'azione dell'Unicef, UNICEF COSENZA, 16 marzo 2016, p. 19 6 Africa Region Working Paper, Child Soldiers: Preventing, Demobilizing and Reintegrating,

Novembre 2001, Series No. 23

7 Child Soldiers: Prevention, Demobilization and Reintegration in

colloquio iniziale in cui si viene informati dell'obiettivo del percorso che dovrà essere affrontato, valutando anche i bisogni di ciascun minore coinvolto. L'obiettivo è quello di ridare al bambino una visione individuale e non più collettiva come avveniva nei gruppi.

Dopo il colloquio i volontari si incentrano a fornire al bambino tutto ciò di cui ha bisogno per soddisfare i propri bisogni primari, cure mediche, cibo e assistenza. Contemporaneamente individuano la provenienza dei bambini e viene avviata la fase di ricerca dei familiari.

Fornito loro un documento di riconoscimento e individuati i familiari e la comunità di provenienza, i bambini vengono trasferiti al centro più vicino alla propria zona per affrontare la seconda fase del percorso, quella riabilitativa.

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