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La Questione dei Bambini Soldato: Un fenomeno generato dalla Globalizzazione

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INDICE

Introduzione 3

Capitolo I

I Conflitti Africani e le loro origini

1.1

Il postcolonialismo in Africa 6

1.2

L'emergere dei conflitti in Africa 10

1.3

Il cambiamento dei conflitti nel Tempo 15

1.4

1.4Conflitti Africani:La realtà della Sierra Leone 17

Capitolo II

Il fenomeno dei Bambini-soldato

2.1

Le cause del fenomeno 26

2.2

I bambini come esercito di riserva il reclutamento 30

2.3

Come si diventa soldato 35

2.4

Una realtà che supera i profili di genere 40

2.5

Bambini presenti non solo nei gruppi armati, ma anche nei gruppi terroristici 42

2.6

Bambini soldato in Sierra Leone 46

Capitolo III

Sviluppo del diritto internazionale in difesa dei bambini soldato

3.9 Convenzione di Ginevra 1949 e i Protocolli Aggiuntivi dl 1977 54

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3.3 Il rapporto Machel 62

3.4 Carta Africana sui Diritti e il benessere del fanciullo 1990 66

3.5 Principi Città del Capo 1997 68

3.6 Convenzione ILO n.182 71

3.7 Protocollo Opzionale alla Convenzione Internazionale sui diritti dell'Infanzia sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati del 1989 73

3.8 Le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 75 3.9 Un mondo a misura di bambino: sessione speciale ONU sull'infanzia 82

3.10 La Corte Penale Internazionale 86

3.11 La Corte Speciale per la Sierra Leone 89

3.12 L'azione europea nell'ambito dei bambini soldato 91

Capitolo IV

Il difficile cammino della riconversione

4.1

Prima Fase: Disarmo e smobilitazione 95

4.2 Seconda Fase: La Riabilitazione 96

4.3 Terza Fase: La Reintegrazione 98

4.4 Le Organizzazioni Coinvolte: la Coalizione Internazionale 99

4.5 L'azione delle Organizzazioni Umanitarie in Sierra Leone 101

4.6 L'azione del Consiglio di Sicurezza in Sierra Leone 103

4.7 L'azione della Cooperazione Internazionale: il COOPI 105

Conclusioni 110

Bibliografia 114

Linkografia 115

(3)

INTRODUZIONE

Nella realtà odierna, accanto alla violazione delle più elementari leggi di guerra, vi una delle maggiori brutalità perpetrate dall’uomo negli ultimi decenni. Il divieto di coinvolgere i bambini in guerra, presente in ogni cultura tradizionale, è venuto meno a seguito dell'evoluzione dei conflitti. Oggi i bambini sono i principali protagonisti delle più barbare atrocità belliche, divenendo dei veri e propri soldati, fenomeno che ha sempre più interessato i paesi sottosviluppati.

Il coinvolgimento dei minori nelle ostilità belliche è una delle più pesanti violazioni delle norme dei diritti umani nel mondo. Il reclutamento e il loro utilizzo comporta l'alterazione del loro naturale sviluppo psico-fisico, influenzando per sempre il loro futuro, sempre che essi sopravvivano alle battaglie. Però, si registra la sempre crescente esistenza di strumenti, possibilità e persone che in qualche modo stanno cercando di arginare questa triste realtà.

Il presente lavoro di tesi è stato, quindi, svolto analizzando le cause e le conseguenze che hanno generato questo fenomeno e i fattori sui quali occorre intervenire per far cambiare rotta ed eliminare definitivamente il problema, prendendo come esempio una particolare zona del Mondo.

La prima parte della tesi è dedicata all'origine e allo sviluppo dei conflitti interni in Africa, partendo dal contesto storico del postcolonialismo. Attraverso l'analisi del cambiamento dei conflitti armati nel tempo. Questo perchè l'Africa è spesso considerata l'epicentro del fenomeno dei bambini soldato, facendo emergere una forte correlazione fra bambini e guerra. Successivamente si è poi passato all'approfondimento della situazione in Sierra Leone, una delle realtà dove il fenomeno è maggiormente radicato, in cui in dieci anni di guerra civile i bambini soldato hanno avuto un ruolo di primo piano. Quindi, dopo aver esposto il mutamento della natura dei conflitti e il conseguente

(4)

coinvolgimento dei civili nelle ostilità, si è cercato di individuare le ragioni e le modalità di utilizzo dei bambini soldato, dedicando una parte specifica al superamento dei profili di genere e al sempre più frequente coinvolgimento dei minori in azioni terroristiche.

Successivamente è stato dato risalto alla produzione giuridica internazionale posta a tutela del minore, ovvero tutti gli strumenti giuridici che sono stati elaborati dalla comunità internazionale, al fine di proteggere i diritti dell’infanzia. Questa analisi è stata portata avanti in una prospettiva storica, evidenziando il percorso, avvenuto all’interno delle organizzazioni internazionali, ma anche nell’opinione pubblica, che ha portato al riconoscimento dell’importanza del bambino come essere umano portatore di diritti.

L’analisi si è indirizzata nello specifico verso quella branca di produzione giuridica che è finalizzata alla prevenzione del coinvolgimento, diretto o di supporto, dei minori alle attività militari. Partendo dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, ovvero i primi strumenti di protezione dei civili in tempo di guerra, in cui i fanciulli vengono considerati oggetto di tutela da parte degli adulti, e passando dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, che assegna ai minori una compiuta titolarità di diritti umani inviolabili e contiene disposizioni riguardanti la protezione dei diritti civili, politici, sociali, economici e culturali dei bambini, al pari degli adulti, si arriva alla recente Conferenza Internazionale di Parigi in cui per la prima volta si sono confrontati direttamente tutti gli attori che lavorano direttamente, o meno, a contatto con le realtà sociali colpite dal fenomeno, quindi Organizzazioni Governative e Non, rappresentanti dei governi e della società civile.

L’ultimo capitolo della tesi invece è incentrato sulle attività di recupero dei bambini soldato, al loro reinserimento nella società e alla prevenzione del fenomeno. In quest’ultima parte vengono, infatti, descritti e approfonditi i programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione portati

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avanti dalle Nazioni Unite e da altre Organizzazioni Non Governative locali e internazionali, come primo passo verso una normalizzazione della vita di questi bambini e adolescenti. Nel trattare i processi di reinserimento sociale è stata evidenziata l’importanza dell’educazione e della formazione professionale per estirpare dagli ex bambini soldato l’identità militare in cui si sono riconosciuti e con cui hanno vissuto fino alla loro smobilitazione e offrire, così, loro una nuova prospettiva di vita.

È solo lavorando con i bambini e trasmettendo loro questi principi che si può davvero sperare in un futuro più pacifico, raggiungendo un livello di criticità di guerra molto basso. Sono infatti i bambini la futura società che guiderà il Paese in cui essi vivono oggi ed è, quindi, importante dotare loro, come sancito dalle Convenzioni e dai Trattati internazionali, di tutti gli strumenti necessari, affinché ognuno possa sviluppare le proprie capacità professionali, creative ed umane, in un contesto democratico e nel pieno rispetto dei propri diritti.

(6)

CAPITOLO I

CONFLITTI AFRICANI E LE LORO ORIGINI

1.1

Il Postcolonialismo in Africa

Per postcolonialisimo viene inteso quel periodo storico collocato tra la fase delle indipendenze delle colonie africane dal dominio europeo e l'inizio degli anni Ottanta, la cosi definita era globale1. Periodo storico che parte dal

1960, anno in cui si avvia il processo di indipendenza africana e il 1989, anno in cui si ha la fine del conflitto bipolare.

La realtà africana che venne a delinearsi durante l'epoca coloniale precedente tale periodo fu condizionata dall'imposizione delle istituzioni dello stato moderno da parte degli Stati colonizzatori. È proprio l'origine storica del continente a costituire la sua perdurante debolezza e a cui sono legate le difficoltà che al giorno d'oggi questi Stati incontrano al fine di perseguire il loro sviluppo. Questo perché nel periodo coloniale la sovranità statale era esercitata dalla potenza che dominava il territorio, basandosi su un rapporto esclusivo tra metropoli e colonia, a vantaggio del primo sulla seconda, incentrato sullo sfruttamento non solo delle risorse per favorire i commerci e i guadagni, ma anche della stessa popolazione, imponendo molto spesso anche i propri valori e metodi di governo.

Nonostante la breve durata del periodo coloniale, esso lasciò al continente africano una grande eredità. Oltre ai confini, che riproducevano nella maggior parte dei casi, le vecchie amministrazioni coloniali, anche le istituzioni amministrative e politiche, trasformazioni sociali ed economiche, legami con le ex madrepatrie, intrecciandosi con le esistenti caratteristiche delle società

1 S. Bellucci, Storie delle guerre Africane: dalla fine del colonialismo al neoliberalismo globale, Roma, Carocci Editore, 2007, p. 15.

(7)

colonizzate, contribuirono a dar forma agli aspetti politici che si tracciarono a partire dal 1960 con le dichiarazioni d'indipendenza che si susseguirono.

I nuovi Stati, attraverso il mutuo riconoscimento delle frontiere esistenti sancite nel 1963 ad Addis Abeba con la creazione dell'Organizzazione dell'Unità Africana2, furono caratterizzati da un'eterogeneità etnica, linguistica e

religiosa; alla base del richiamo nazionale vi era l'esperienza condivisa della sottomissione allo straniero e lo spazio geografico di questa sottomissione3.

Lo stesso concetto di nazionalismo era diverso da quello inteso dagli europei. Entrando a far parte del linguaggio utilizzato per la lotta indipendentista, esso andava ad acquisire il medesimo significato di anticolonialismo, mutuando le caratteristiche di patriottismo collegato al riscatto per la propria indipendenza.

Le aspettative dei popoli africani nei confronti di questo nuovo cambiamento fu caratterizzato da un profondo entusiasmo e ottimismo, con l'obbiettivo di realizzare Stati nazionali forti sia a livello politico che economico. Ciò avrebbe comportato il superamento delle diversità etniche e culturali di cui il paese è ricco, creando comunità politiche con un forte senso di appartenenza collettiva e omogeneità, superando quegli antagonismi tribali, motivo principale di contrasti all'interno di una stessa comunità.

L'obiettivo di tutti i governi indipendenti e delle nuove élites politiche africane si è basato sulla costruzione dell'identità e dell'unità nazionale, attraverso il tentativo di integrare i caratteri multietnici, multireligiosi, multilinguistici e multiculturali dei vari stati africani, diversità che venivano considerate uno degli ostacoli principali per la modernizzazione e lo sviluppo africano.

La realtà però fu totalmente diversa rispetto alle aspettative desiderate. Il raggiungimento dell'indipendenza avvenne in tempi molto rapidi e trovò il continente africano privo di quella preparazione tecnica e culturale necessaria per

2 Ivi p. 16.

(8)

i numerosi ruoli che richiedeva il trasferimento dei poteri. Impreparazione dovuta inoltre, alla mancata volontà dei paesi colonizzatori di trasferire, prima del riconoscimento pieno dell'indipendenza, le conoscenze e la formazione non solo per ciò che concerne le strutture amministrative ma anche di valori e principi di tipo democratico.

Il processo di indipendenza africano può essere così considerato incompleto sin dall'inizio, sia per la mancanza di preparazione, sia per la persistenza di influenze e ingerenze delle ex potenze coloniali. Inoltre, l'instaurazione di legami privilegiati con il paese europeo di riferimento, la partecipazione a organizzazioni multilaterali o, in modo minore, la presenza di eserciti stranieri sul territorio contribuirono a rallentare questo delicato processo4.

Furono proprio tali ingerenze, specialmente con l'avvento della Guerra fredda, ad aver frenato le politiche progressiste dei leader africani attraverso la spinta ad aumentare la spesa in ambito militare togliendo risorse ad altri settori di sviluppo. Fu proprio la logica dello sfruttamento economico, su cui si incentrò il periodo coloniale promuovendo la produzione di quei prodotti maggiormente commerciabili sui mercati internazionali, a provocare una scarsissima differenziazione della produzione.

Le conseguenze di tale mancanza si sono avute sopratutto sulla popolazione civile, la quale ha continuato a soffrire la povertà, le repressioni e le guerre intestine che martoriavano il territorio.

Altro fattore non meno importante, che ha incentivato l'emergere di instabilità e conflitti all'interno del territorio africano, si sviluppa agli inizi degli anni Novanta con la fine della realtà bipolare5. Ciò ha portato i Paesi africani a

interferire nelle questioni interne degli altri Stati del continente, appoggiando o reprimendo i gruppi ribelli dei Paesi vicini con l'obiettivo di indebolire i governi in carica, ponendo fine alla dottrina di non intervento adottata nel 1963 con la

4 Ivi p. 49.

5 S. Bellucci, Storie delle guerre Africane: dalla fine del colonialismo al neoliberalismo globale, Roma, Carocci Editore, 2007, p. 30.

(9)

OUA.

Gli anni Novanta sono anni in cui si è assistito a un'accelerazione dei conflitti nel continente dovuta a un accumulo di conflitti irrisolti e anche alla perdita di centralità dello Stato a cui si è sostituito l'aumento del peso politico della classe media della popolazione da una parte, e dell'identità etnica e religiosa della popolazione più povera dall'altra. Tutto ciò affiancato a un aumento del numero dei conflitti che hanno sempre più preso carattere etnico riflesso il più delle volte di interessi economici.

Ultimo dei fattori caratterizzanti di questo periodo, ma non per importanza, è il militarismo. Con il termine "militarismo" si intende il graduale aumento d'importanza delle forze armate nello Stato che, già a partire dagli anni Sessanta, divenne un attore chiave della politica africana. Mentre la militarizzazione è un fenomeno sociale emerso maggiormente negli anni Novanta, legato all'aumento di circolazione delle armi leggere tra la popolazione, all'indebolimento delle strutture politiche e del controllo del territorio6.

Si è assistito all'incremento di gruppi armati autonomi che, favoriti dall'incapacità dello Stato di governare e dall'incremento della povertà, si sono riorganizzati su basi etniche nella maggior parte delle province dei Paesi africani. Proprio con la fine della guerra fredda si sono definiti aspetti che caratterizzano i conflitti che interessano tutt'ora queste realtà caratterizzate da miliziani antigovernativi che hanno la capacità di disintegrare intere nazioni o di acquisire il potere, o dall'incremento delle milizie etniche ed eserciti privati provocato dal dissolvimento degli eserciti regolari. Gruppi che occupano attualmente intere porzioni di territorio e impongono la loro presenza nei villaggi, mettendo a rischio l'equilibrio degli Stati, portando anche in questo caso la popolazione civile a pagare il prezzo più alto.

(10)

1.2

L'emergere dei conflitti in Africa

Le guerre che hanno interessato il postcolonialismo possono essere suddivise in tre categorie: guerre di secessione, guerre anticoloniali, antirazziste e molte guerre civili. Le guerre nel continente africano possono essere definite “intrastatali”, riferite cioè ai conflitti che avvengono all'interno di uno Stato, con una dimensione interna legata ai valori culturali e alla società africana, e una esterna data dall'influenza della realtà internazionale e dei vari attori globali.

Fig.17

(11)

Il fattore determinante per la presenza di tali conflittualità è la militarizzazione con attori socio-militari organizzati in differenti gruppi armati e militanti, puntando a una trasformazione sia nella demografia che nella società di questi paesi.

La militarizzazione è un indicatore di fallimento politico. Essa è il risultato di un collasso o di una mancata capacità organizzativa da parte delle istituzioni statali nel favorire una pacifica convivenza delle diversità esistenti all'interno di una società. Il risultato di tali incapacità è quello di imporre la propria autorità attraverso l'utilizzo della forza da parte di chi detiene l'autorità statale, ma anche da parte dei gruppi oppositori ribelli presenti con l'obiettivo di contestare il potere e acquisire la legittimazione dello stesso.

Come per i conflitti, si possono individuare vari tipi di militarizzazione che si diversificano a seconda del punto in cui si applica la rottura degli equilibri. Alcune avvengono all'interno delle stesse istituzioni politiche, altre invece hanno come obiettivo quello di rompere l'ordine pubblico e sociale, provocando gravi conseguenze per l'intera società.

Generalmente in Africa l'emergere della militarizzazione è il risultato dei fallimenti politici8. Le cause che portano alla diffusione di tale fattore, la cui

escalation si ha a partire dagli anni Settanta del Novecento, sono da individuare nelle origini dello Stato africano, dove le istituzioni formatesi, inizialmente autoritarie, hanno ostacolato la creazione di spazi istituzionali di confronto costruttivo tra le parti che vi erano in conflitto. Le istituzioni militari ereditate dalla realtà coloniale erano composte dagli elementi locali delle forze coloniali che avevano occupato il Paese, con la presenza di un limitato elemento di “africanizzazione” basato sull'assegnazione di cariche più elevate nella struttura di comando agli indigeni africani, al punto che anche la struttura militare era il

8 C. Clapham, The militarization of society in Africa: National armies and armed movement in political process in : A. Trulzi, M. C, Ercolesi, State, Power, and Political Actors in Postcolonial Africa, Milano, Feltrinelli Editore, 2002, pp. 201-202.

(12)

risultato di qualcosa ereditato dal passato9.

Nella maggior parte dei casi l'indipendenza non ha costituito un elemento unificante e i conflitti che sono scaturiti dalle diversità formatesi all'interno di uno stesso territorio hanno visto l'interferenza di potenze estere, portando la distribuzione di armi che sono sfuggite al controllo degli eserciti nazionali dove erano allocate, favorendo la militarizzazione delle società africane e l'emergere di guerriglieri, insorti, milizie e ribelli.

I conflitti che maggiormente affliggono il territorio africano, scaturiti dagli elementi sopra riportati, sono identificati nelle Guerre Civili. Per “Guerra Civile” si intende un conflitto armato che vede da una parte le autorità di uno Stato formalmente sovrano e dall'altra autori non statali, quali ribelli, partiti politici, formazioni sorte dall'esercito, che a esso si oppongono facendo un uso organizzato della violenza con l'intento di modificare lo status quo sociale, politico e economico, inclusa la possibile alterazione dei confini territoriali. La sua portata può essere varia e può consistere in un'iniziativa isolata oppure comprendere ampi settori della popolazione10.

Tali conflitti sono la manifestazione di una perdita di controllo sulla violenza organizzata da parte degli Stati che a livello nominale dovrebbero essere gli unici depositari dell'uso della forza. Sono guerre che avvengono all'interno dei confini degli Stati, che scaturiscono da conflitti sociali, culturali e politici, nascondendo gli aspetti puramente economici connessi alla situazione di sottosviluppo e povertà in cui il maggior numero della popolazione vive rispetto alle poche realtà elitarie presenti. Chi sceglie la guerriglia ha come obiettivo quello di rovesciare il potere centrale e, molto spesso, le divergenze tra i vari gruppi assumono la forma di conflitti politici ai quali sono collegate anche ragioni storiche più profonde.

9 Ivi p. 204.

(13)

In un Paese l'oggettiva opportunità di ribellarsi costituisce un importante elemento per capire le ragioni di una così elevata incidenza di conflittualità nel continente. I ribelli prendono in considerazione la capacità di risposta degli apparati statali in base alle capacità delle istituzioni ad adottare azioni anti-insurrezionaste. Le guerre civili sorgono quando gli individui si mobilitano e si organizzano per cogliere le opportunità offerte dalle autorità e istituzioni deboli ovvero quando vi sono motivazioni sufficientemente forti da spingerli ad agire.

La guerriglia emersa all'interno del continente africano, in contro risposta alle istituzioni statali è di vario tipo e promuove forme diverse di militarizzazione. Punto comune è la leadership, proveniente da gruppi elitari che hanno assunto una posizione dominante alla fine della realtà coloniale, come il caso di Liberia e Somalia, quali ha come obbiettivo l'acquisizione del potere statale.

La differenziazione di tali gruppi si ha tra coloro che hanno un progetto politico da perseguire o una concezione di Stato da instaurare nella porzione di territorio a loro interessata, ampiamente condivisa sia dai leader che dai seguaci di tale gruppo armato, e coloro il cui obiettivo iniziale era l'indipendenza attraverso insurrezioni per liberare la popolazione dal potere e pressioni degli occupanti, non avendo però un chiaro progetto di visione statale dopo il raggiungimento dell'obiettivo iniziale11.

Gli anni Novanta sono spesso riconosciuti come il decennio della democratizzazione dell'Africa, comprendendo la legalizzazione di partiti politici, l'eliminazione del controllo sui media, la legalizzazione dell'opposizione politica, svolgimento di elezioni multipartitiche e elaborazione di nuove Costituzioni, però i risultati scaturiti sono magri e insoddisfacenti12. Il mancato

raggiungimento di risultati soddisfacenti è determinato dalla mancanza di

11 C. Clapham, op. cit., p. 205. 12 S. Bellucci, op. cit. p. 108.

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condizioni precise non solo a livello istituzionale ma anche sociale ed economico.

La democratizzazione ha portato con sé squilibri economici e sociali dalle quali sono scaturite ribellioni e guerre. L'elemento più rilevante è quello economico, portando un ulteriore impoverimento delle masse e lo speculare arricchimento delle élites. Sono realtà in cui domina il potere esecutivo, dove il ruolo dell'amministrazione centrale si riduce meramente a fare gli interessi di una sola parte dei cittadini, un'élite o un etnia, favorendo un accentuazione dell'aspetto opportunistico della classe dirigente.

Nella realtà contemporanea l'identità etnica è divenuta lo strumento principale dell'organizzazione e della competizione politica, facendo divenire le guerre civili odierne di stampo etnico-tribale. Guerre favorite inoltre dalla grossa disponibilità di armi leggere e a costi irrisori che possono essere trovate sul territorio, diffusione dovuta al loro facile trasporto, impiego e manutenzione. Nella sola Africa occidentale ne sono vittima oltre due milioni di persone durante i vari combattimenti, al quale bisogna poi aggiungere le vittime derivanti dalla disgregazione sociale, dalle malattie, dalle carestie,dalla malnutrizione e dalla presenza di mine antipersona diffuse all'interno del territorio africano13.

Le maggiori conseguenze della militarizzazione e dell'emergere di questi gruppi armati provengono da coloro riconosciuti con la denominazione di “signori della guerra”, dove i progetti politici giustificano la guerriglia. Questo tipo di rivolte non consistono più in lotte tra Stati, ma vedono contrapporsi, oltre agli eserciti regolari e forze di opposizione, gruppi paramilitari e bande di ribelli. Queste sono caratterizzate da una mancanza di disciplina, unite e alimentate da un forte desiderio di vendetta e alimentate dalla logica del profitto, stabilendo una personale connessione con il leader, o un gruppo all'interno delle società indigene.

13 C. Gervasoni, Lo sfruttamento militare dell'infanzia, in Deportate, esuli e profughe, n.9, settembre 2008, p. 165.

(15)

La differenziazione delle rivolte è difficile da individuare poiché queste ultime molto spesso partono da una ribellione contro una determinata situazione politica per poi degenerare nella volontà di acquisire il controllo del potere centrale e lo sfruttamento delle risorse in maniera intensiva, attraverso atti di violenza che tendono a rifarsi contro la popolazione delle aree nelle quali combattono, distruggendo e saccheggiando interi villaggi, reclutamento forzato delle persone e soprattutto di bambini soldato, provocando conseguenze sociali devastanti.

Il risultato del coinvolgimento della popolazione civile è causato dal cambiamento della visione che si è avuta in riferimento al fare la guerra, diventando molto spesso l'obiettivo primario del conflitto.

1.3

Il Cambiamento dei conflitti nel tempo

“Uno dei peccati originali dell'umanità è la sua incapacità di vivere in pace”14. Sin dall'origine i conflitti hanno costituito una costante della realtà

mondiale, assumendo forme e regole differenti nei vari periodi storici che si sono susseguiti.

Sin dai tempi più antichi sono state stabilite delle regole di comportamento da rispettare durante la belligeranza, una delle prime differenziazioni fu quella tra “guerrieri”, ovvero coloro che si assumevano i rischi che accompagnavano il “fare la guerra” accordando loro oneri e poteri, e i “civili”, ovvero coloro che si trovavano al di fuori del campo di battaglia a cui veniva assicurata una protezione che li metteva al riparo dalle ripercussioni che il conflitto poteva loro provocare.

Il divieto di coinvolgere i civili, soprattutto della popolazione più

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inerme quali donne e bambini, è una norma presente in ogni epoca storica che va dall'antica filosofia cinese e dalle società tribali africane sino all'epoca moderna con la firma della Convenzione di Ginevra.

Nonostante tale regola non sia stata sempre rispettata, essa costituisce una delle più durevoli norme dello jus in bello, il cosiddetto "diritto di guerra".

Le guerre che hanno interessato la realtà contemporanea hanno posto fine a suddette regole e limitazioni che disciplinavano la pratica della guerra. Viene meno la distinzione tra civili e combattenti, facendo diventare i primi le vittime principali delle guerre, divenendo molto spesso loro stessi protagonisti. Il docente di etica presso l'università di Harvard, Michal Ignatieff afferma che quello a cui si è assistito all'interno dei conflitti, consiste in una “perdita

dell'onore del guerriero”15. I guerrieri non sono più guidati da un codice etico,

ma sono predatori, prendendo così di mira la parte più povera della società, mettendo in pratica brutalità estreme come la pulizia etnica, l’assassinio pre-ordinato verso coloro che appartengono ad etnie diverse, le uccisioni di massa, le contaminazioni attraverso lo stupro, la distruzione di edifici simbolo di cultura e tradizione, insieme a varie tecniche intimidatorie che rendono il luogo inabitabile.

Tutto ciò ha portato l'identificazione di un nuovo modello di guerra, passando da guerre intese come una serie di scontri armati fra eserciti e in porzioni di territorio lontane dai centri abitati, incentrate su conquiste territoriali o obiettivi chiaramente definiti, a guerre tra fazioni militari opposte o gruppi armati, che si battono in un logorante e spesso non risolutivo confronto su interi territori statuali nel quali vengono coinvolte le popolazioni civili divenendo così i protagonisti di tali scontri. Ciò è evidenziato dal fatto che la maggior parte dei caduti di queste guerre contemporanee, che avvengono in un singolo Stato attraverso attacchi paramilitari e irregolari con lo scopo di saccheggio, stupro o

15 M. Ignatieff, The Warrio's Honor: Ethic War and The Modern Concience, New York, Henry Holt and Co., 1998.

(17)

massacro etnico, è costituita da civili.

Episodi che in passato venivano considerati effetti collaterali indesiderati e illegittimi, sono divenuti elementi centrali nel modo di combattere le nuove guerre16.

Il superamento delle basilari leggi di guerra ha portato la realizzazione di episodi estremamente violenti, dove i principali obiettivi all'interno della popolazione civile, sono donne e sopratutto bambini, divenendo una delle principali tattiche di guerra contemporanea. Sono questi ultimi, infatti, a essere diventati sia i bersagli ma anche gli stessi esecutori di tali atrocità, poiché la nuova dottrina militare prevede metodi e le condizioni per l'impiego dei bambini nei conflitti armati, facendoli divenire essi stessi i carnefici.

1.4

Conflitti Africani: La realtà in Sierra Leone

Secondo l'UNDP, il programma economico per lo sviluppo delle Nazioni Unite, undici paesi tra i più poveri del mondo si trovano in Africa Occidentale, fra questi Stati i più colpiti sono Sierra Leone e Liberia17. Le

condizioni che hanno portato alla nascita dei conflitti sono state tutte quelle conseguenze derivanti dalla realtà postcoloniale, quali povertà, mancanza di opportunità sociali ed economiche. Inoltre i paesi come la Sierra Leone sono ricchi di risorse strategiche importanti, entrando nel mirino di milizie di insorti con l'obbiettivo di autofinanziarsi attraverso il commercio illegale di pietre preziose, divenendo vere e proprie guerre di profitto.

La Sierra Leone è un paese famoso per le sue bellezze e le sue sventure. Le bellezze naturali della Sierra Leone insieme alla cordialità dei suoi

16 M. KALDOR, New and old war: organized violence in a global era, Stanford, Stanford University Press, 1999, p. 11.

(18)

abitanti hanno fatto di questa nazione un luogo d'incontro fra i popoli dell'Africa occidentale e degli europei18. A partire dagli anni Sessanta, è proprio l'incontro

con l'Occidente la causa delle sue sventure, provocando un degrado sociale che è sfociato in dure e sanguinose guerre civili. Tali episodi hanno portato la popolazione ha subirne le maggiori conseguenze, riducendola allo stremo, il più delle volte costretta a rifugiarsi al di fuori del confine della propria nazione.

Il paese è un ex colonia britannica, la cui indipendenza è stata raggiunta nel 1961 con il ritiro del governo di Londra e l'affido della gestione governativa a sir Milton Margai, leader del partito popolare19. Nonostante vari

tentativi, la democrazia non riuscì a imporsi sul territorio, vedendo così alternare dittature militari e colpi di stato, i quali resero difficili il raggiungimento della stabilità sia politica che democratica.

La Sierra Leone è l'espressione di due culture profondamente diverse, quella africana con una ampia composizione etnica, e quella degli ex schiavi afroamericani fuggiti in Canada durante la guerra d'indipendenza americana e riportati in Africa da uomini liberi da parte degli inglesi per la loro fedeltà dimostrata alla Corona. È una regione ricca di materie prime, quali legname, oro, alluminio, titanio e sopratutto diamanti20, ma a causa delle guerre civili che la

interessarono è uno dei paesi più poveri e indebitati del mondo.

18 G.Berton, I.C.E.G. Franceschini, P. Giroldini, A. Mariani, L. Scalettari, J.L. Touadi, A. Ferrari, Disegni di guerra: la guerra civile in Sierra Leone raccontata dagli ex bambini soldato, Bologna, Editrice missionaria italiana, 2000, p. 7.

19 G. Albanese, Soldatini di Piombo: la questione dei bambini soldato, Milano, Feltrielli Editore, 2005, p. 90.

20 http://scienzaepace.unipi.it/old/index.php?option=com_content&view=article&id=266:sierra-leone-tra-diamanti-e-bambini-soldato&catid=15:pace-e--guerre-dimenticate

(19)

Fig.221

Nell'aprile 1971 il paese si staccò in maniera definitiva dalla Corona britannica, divenendo una repubblica guidata dal leader del partito di opposizione “Congresso di tutto il popolo” (APC), divenuto poi nel 1978 partito unico. Furono anni caratterizzati sia una grande penuria alimentare che da una forte corruzione governativa. Tale realtà fu dovuta dall'istituzione di uno stato modellato fra schemi occidentali e diritto tribale, cadendo in una profonda crisi che ebbe inizio nel 1979, divenendo col tempo sempre più violenta.

Tale realtà di malessere e corruzione portò la nascita di un movimento armato, guidato da un ex caporale dell'esercito Foday Sankoh. Da un iniziale gruppo armato ristretto composto da studenti universitari, mercenari, ribelli liberiani fedeli al leader militare Taylor, il quale appoggerà personalmente lo stesso movimento, si trasforma in un feroce e repressivo Fronte rivoluzionario

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unito, conosciuto sotto l'acronimo di RUF22.

L'instabilità portò una vera e propria escalation che raggiunse l'apice nel marzo 1991, quando il RUF invase la Sierra Leone dalla Liberia, intento al rovesciamento del partito unico APC e a porre fine al saccheggio delle ricchezze del paese da parte del potere statale. La guerra si estese rapidamente per tutto il paese, i ribelli puntarono sul malessere della popolazione sempre più povera e sfruttata, coinvolgendola nella lotta armata attraverso riti d'iniziazione e adottando uno stile di vita comunitario23. Le azioni di difesa adottate dall'esercito

governativo risultarono inefficaci e inadatte a frenare l'avanzata dei ribelli.

Il RUF da semplice movimento armato si trasformò in milizia, grazie al supporto economico e militare ricevuto dalla Liberia, adottando azioni terribili contro la popolazione civile, per dimostrare l'incapacità governativa a proteggerli e impadronendosi delle risorse territoriali, sopratutto dei diamanti.

Nel 1992 ci fu un colpo di stato guidato dal capitano dell'esercito Strasser. Durante il suo regime molti capi dell'esercito vennero accusati di assecondare il RUF fornendo loro informazioni in cambio di diamanti; accuse che provocarono la perdita di fiducia da parte del popolo verso l'esercito nazionale, portando conseguentemente, la nascita di forze di difesa civile, il CDF, a fianco del governo, per la difesa dei villaggi contro l'attacco del RUF.

Evento più doloroso del conflitto, a seguito dei continui insuccessi, fu l'idea del governo di ampliare le fila dell'esercito attraverso l'arruolamento di minori. Arruolamento non forzato a cui parteciparono sopratutto orfani bisognosi di protezione e di guadagno facile. Nonostante ciò il RUF prese sempre più piede nel territorio seminando morte e distruzione24.

Nel 1996 un ennesimo colpo di stato portato avanti dal Generale Julius Maada Bio il quale promise l'adozione di elezioni multipartitiche e l'avvio di trattative pacifiche con il RUF. Come promesso dal Generale, a marzo si

22 G. Albanese, op cit, p. 91.

23 P. Brivio, S.Verdacchia, Non chiamarmi soldato, Torino, Edizioni gruppo Abele, 2002, p. 22. 24 G. Albanese, op. cit., p. 93.

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tennero le prime elezioni che portarono la vittoria di Ahmed Tajan Kabbah, un ex funzionario ONU molto stimato, il quale dopo la sua elezione riescì a siglare un accordo di pace col capo del RUF Sankoh25. Pace che ebbe una durata limitata,

poiché già nel gennaio 1997 ci fu un ritorno degli attacchi, costringendo la popolazione ad abbandonare le proprie case divenendo profughi in cerca di rifugio. Nello stesso anno Kabbah fu costretto ad abbandonare la sua carica e venne formato un governo composto dagli ex esponenti del RUF, provocando un ritorno all'autoritarismo. Tale situazione assunse una forte risonanza internazionale che portò l'ONU ad imporre un embargo sulle armi e il petrolio.

Gioco forza fu la presenza delle truppe nigeriane dell'ECOMOG, forza d'intervento dell'Africa occidentale. Inizialmente i ribelli subirono un arresto, ma grazie al controllo sulle miniere il loro riarmo fu molto rapito. Lo scontro tra questi due gruppi portò l'inizio della fase più drammatica della storia sierraleonese.

Il Paese cadde nel baratro: tutte le vie di comunicazione e di commercio furono distrutte, la popolazione, oltre a soffrire la fame e le malattie che si diffusero, fu costretta a subire le violenze da entrambi i gruppi in conflitto. ECOMOG nonostante la lotta per riportare la stabilità nel Paese, intervenne pesantemente nel tentativo di stanare i ribelli presenti, mentre il RUF e gli altri movimenti a lui affiliati scelsero di adottare una strategia incentrata sul terrore e sull'intensificazione degli attacchi.

Il 6 gennaio 1999 l'offensiva dei ribelli arrivò nella capitale Freetown. Una carneficina mai vista in precedenza, dove le truppe ribelli si fecero strada mandando avanti bambini armati di vecchie armi, imbottiti di cocaina a altre droghe per renderli più audaci, oggetto anche di sfogo sessuale o procacciatori di cibo26. Si combatteva dappertutto, case e edifici rasi al suolo, villaggi distrutti,

25 G. Berton, I.C.E.G. Franceschini, P. Giroldini, A. Mariani, L. Scalettari, J.L. Touadi, A. Ferrari, op. cit., p 30.

26 http://scienzaepace.unipi.it/old/index.php?option=com_content&view=article&id=266:sierra-leone-tra-diamanti-e-bambini-soldato&catid=15:pace-e--guerre-dimenticate

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uccisioni, stupri e mutilazioni vero la popolazione, portarono la crisi a raggiungere dimensioni catastrofiche27.

All'ECOMOG servirono due mesi per acquisire il controllo di Freetown, ma le aree minerarie e sopratutto diamantifere, restarono in mano ai ribelli, i quali non arrestarono l'attività estrattiva durante tutte le fasi della guerriglia. Del resto le risorse minerarie hanno da sempre rappresentato il motore della vita politica e militare della Sierra Leone.

La comunità internazionale iniziò a far pressione per una conclusione pacifica della guerra civile, che aveva causato la morte di oltre ottocento soldati dell'ECOMOG, e i paesi che avevano sostenuto le spese militari, quali Nigeria, Gran Bretagna e Stati Uniti non si dimostrarono più disposti a finanziare un conflitto senza fine28. Anche i ribelli si resero conto che la firma di un accordo di

pace fosse la soluzione più idonea.

Il 7 luglio 1999 vennero firmati gli accordi di pace, amnistia e integrazione a Lomè in Togo. Il capo dei ribelli Sankoh, in carcere dopo esser stato condannato a morte, venne liberato e reinserito all'interno del gioco politico, ma tornò presto ribellarsi sia nei confronti dei poteri interni che internazionali.

L'accordo di pace stipulato prevedeva la creazione di un governo nazionale con Kabbah a capo e Sankoh vice presidente, fino alle elezioni previste per il 2001, il graduale disarmo dei ribelli, il rilascio dei civili, dei bambini soldato, dei prigionieri di guerra e l'invio di una forza multinazionale per il ripristino della pace e della stabilità nel territorio29. Si definì il ritiro graduale

dell' ECOMOG dal paese, e l'avvio del programma di smobilitazione, reintegro e disarmo; al quale l'ONU decise di inviare l' UNASIL, la forza di pace in Sierra Leone, con il dispiegamento nel 2000 di seimila caschi blu con il compito di

27 G. Albanese, op. cit., p. 97. 28 Ibidem.

29 G. Berton, I.C.E.G. Franceschini, P. Giroldini, A. Mariani, L. Scalettari, J.L. Touadi, A. Ferrari, op. cit., p. 32.

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vigilanza e coordinamento30. Il contingente dispiegato dall'ONU è uno fra i più

grandi mai dispiegati, che sarà in seguito vittima della sua stessa disorganizzazione e delle gelosie interne.

L'attuazione dell'accordo di Lomé fu molto lenta, al punto che alcune zone continuarono a essere in mano ai ribelli con continue violazioni del cessate il fuoco mentre le azioni di arruolamento non sembrarono arrestarsi. Il problema più difficile da affrontare nei Paesi in cui la pace si è conclusa attraverso un compromesso è il disarmo, senza contare che in Sierra Leone le armi erano ancora in mano ai miliziani ed il territorio suddiviso in fazioni.

In una realtà di pace instabile, l'equilibrio venne rotto nel maggio 2000. L'area venne interessata da una nuova guerra civile che coinvolse anche la comunità internazionale, dove altri gruppi ribelli attaccarono il personale delle Nazioni Unite, distruggendo i campi realizzati per procedere alle fasi del disarmo, uccidendo molti giornalisti e prendendo in ostaggio molti Caschi Blu. La Gran Bretagna, ex potenza coloniale della Sierra Leone, fu la prima ad adottare una reazione per ristabilire l'ordine all'azione del' UNASIL e, per ordine del governo locale, Sankoh e i membri del governo del RUF vennero arrestati.

Nel novembre 2000 il governo nazionale e il RUF sottoscrissero un nuovo cessate il fuoco, sotto la supervisione della Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale, che attraverso l'ECOMOG svolgono una cooperazione per la sicurezza della regione. Oltre al disarmo e alla restituzione delle armi, tali accordi prevedevano la libertà di movimento sul territorio del personale ONU e l'impegno al raggiungimento di un definitivo accordo di pace31.

L'elezione del 2002 portò non solo la fine della guerra, ma anche la scomparsa del RUF che, presentandosi come movimento politico alla consultazione elettorale, fu bocciato dal popolo sierraleonese. Nel 2004 l'UNASIL passò il controllo e la gestione del territorio alle autorità locali, con

30 http://scienzaepace.unipi.it/old/index.php?option=com_content&view=article&id=266:sierra-leone-tra-diamanti-e-bambini-soldato&catid=15:pace-e--guerre-dimenticate

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una graduale riduzione del suo contingente, per poi sciogliersi l'anno seguente. Il conflitto vissuto dalla Sierra Leone, nonostante le sue caratteristiche interne e regionali, presenta elementi comuni con altre realtà di conflitto alcune appartenenti alla stessa area geografica.

La guerra civile è stato il risultato del cambiamento di visione del “fare la guerra” che si è avuto a partire dal XX secolo. La somma più elevata è stata pagata da quell'80% della popolazione civile che vive in condizioni precarie, dai migliaia di profughi che si sono rifugiati nei Paesi limitrofi per sfuggire alle violenze a cui va aggiunto anche il numero degli stessi sfollati interni, spostatisi in zone sicure per garantirsi la sopravvivenza.

L'impossibilità di coltivare i terreni e allevare bestiame, ha generato conseguentemente un alto tasso di disoccupazione, portando povertà e carestia. Inoltre, fu registrato l'aumento dell'utilizzo delle droghe e alcol, sostanze che durante il conflitto furono usate dai ribelli, ingerite da adulti e bambini per placare la paura di non farcela. Tali difficoltà portano a favorire l'emigrazione verso la regione del Kono, noto come distretto diamantifero del paese, dove i giovani si impegnano nella ricerca di materie prime, commercio il più delle volte gestito dai “signori della guerra” per cercare di fare un mercato parallelo, tra legalità e illegalità, sfruttando gli equilibri instabili che interessano tali zone32.

Le risoluzioni più ardue da raggiungere in Sierra Leone sono quelle inerenti le violazioni sui diritti umani, compiute da entrambe le parti coinvolte nel conflitto, sia legalmente riconosciute che non. La società esce da un conflitto di durata decennale, che ha portato una forte destabilizzazione delle relazioni familiari e degli schemi sociali tradizionali, ribaltando i valori portanti della società africana. Tali violazioni non hanno solo provocato conseguenze materiali, ma anche psicologiche: amputazioni, violenze subite, tatuaggi che rappresentano l'appartenenza gruppi guerriglieri, cicatrici e sopratutto la privazione della giovinezza. Per portare la stabilità sociale, sarà necessario punire i responsabili

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ed effettuare un duro lavoro di riabilitazione nei confronti delle vittime di questa guerra, cercando di far tornare in loro la fiducia verso la propria comunità. Molto di questo lavoro dipende oggi dalle organizzazioni non governative e dalle organizzazioni internazionali che sono sempre state in prima linea nel rispondere a questi bisogni.

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CAPITOLO II

IL FENOMENO DEI BAMBINI SOLDATO

2.1

Le cause del fenomeno

Alle progressive violazioni delle norme di guerra, si aggiunge oggi un elemento ancora più inquietante, caratterizzato da una prassi bellica di tipo nuovo, la quale racchiude i caratteri più cruenti della nuova guerra moderna. Tale prassi descrive i metodi e le condizioni d'impiego dei bambini in combattimento, superando così la distinzione tra combattenti e civili.

« È immorale che gli adulti vogliano far combattere i bambini al loro posto. Non ci sono scuse né motivi accettabili per armare i bambini1 ».Queste

sono le parole utilizzate dal vescovo africano Desmond Tutu per descrivere il fenomeno dei bambini soldato, realtà che interessa, insieme al continente africano, altri Stati del globo.

Secondo il diritto internazionale, per “bambino soldato” s'intende un qualsiasi bambino o bambina sotto i 18 anni che faccia parte di qualsiasi forza armata regolare o irregolare, con qualsiasi funzione, comprese quelle di: cuochi, facchini, messaggeri, e tutti i bambini che accompagnano tali gruppi al di fuori delle loro famiglie. Tale definizione di riferisce anche a bambini e bambine reclutati forzatamente per motivi sessuali e/o per matrimoni forzati, non riguardando esclusivamente minori che portano o hanno portato armi2. Al giorno

d'oggi la partecipazione dei bambini nei conflitti armati ha assunto una portata globale, di dimensioni sempre maggiori e di vastità superiore rispetto a quella conferitale dalla comunità internazionale. Sono oltre mezzo milione i minori che vengono reclutati nelle forze di gruppi armati o governativi in più di 87 paesi del

1 G. Albanese. Soldatini di piombo: la questione dei bambini soldato, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 9. 2 G. Carrisi. Kalami va alla guerra: i bambini soldato, Milano, Ancora Editrice, 2006, p. 7.

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globo3. Attualmente sono più di 300mila i bambini e le bambine che combattono

attivamente nei conflitti, realtà questa non solo presente nei paesi in via di sviluppo ma anche nei paesi più industrializzati. Benché la maggior parte dei bambini soldato hanno un età compresa tra i 14 e i 18 anni, molti sono stati reclutati a soli 10 anni, e non meno frequenti sono stati i casi di baby soldier con solamente 5 anni di età.

Fig.14

Il 23% delle organizzazioni militari nel mondo, totali usano nei combattimenti bambini di 15 anni e anche più piccoli, approssimativamente sono 84 gruppi armati su 366 totali ; il 18% del totale (64 su 366) usano bambini dai 12 anni in giù5.

3 D. Cavazza, I bambini-soldato: un dramma planetario in P. Brivio, S. Verdacchia. Non chiamarmi soldato: i bambini combattenti tornano a casa:frammenti di pace in Sierra Leone, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2002, p. 199

4 http://atlante.unimondo.org/var/unimondo/storage/images/paesi/carte-tematiche/bambini-

soldato/540524-3-ita-IT/Bambini- soldato.jpghttp://atlante.unimondo.org/var/unimondo/storage/images/paesi/carte-tematiche/bambini-soldato/540524-3-ita-IT/Bambini-soldato.jpg

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Le cause dell'origine di queste violazioni sono da individuare nel caos sociale e nel mancato sviluppo provocato dalla globalizzazione. Guerre e malattie non solo hanno portato un maggiore conflitto globale causa di forte instabilità, ma anche una sconnessione generazionale che ha consentito di utilizzare i minori come combattenti effettivi, per sopperire alla mancanza di personale in età adulta da impiegare.

L'utilizzo dei minori è coerente con l'obiettivo delle guerre moderne, incentrate sul terrorizzare le popolazioni e destabilizzare intere comunità a causa dello sconvolgimento dei valori tradizionali che legano l'uomo all'infanzia. Sono bambini che nella loro vita non hanno conosciuto un solo giorno di pace, considerando la guerra un modo di vivere permanente6.

Altra origine è da individuare nel perfezionamento tecnologico che ha portato una maggiore facilità di manovra delle armi conosciute sotto la denominazione di “armi leggere”, reperibili facilmente e a buon mercato, in quanto il loro funzionamento è stato così semplificato che possono essere smontate, rimontate e fatte funzionare da un bambino di meno di dieci anni. Inoltre, sono strumenti che hanno bisogno di scarsa manutenzione e bastano soltanto poche ore di addestramento per insegnare a un ragazzino o a una ragazzina tutto ciò che serve per uccidere o ferire centinaia di persone nel giro di poco tempo, affiancando alla facilità di utilizzo l'ampliamento della capacità distruttiva dell'arma. Tale progresso permette ai bambini di partecipare attivamente alla guerra, trasformandoli in combattenti non meno letali degli adulti, inibendo le loro paure attraverso l'alcol e droga che li fanno sentire invincibili.

Secondo stime recenti sarebbero 650-700 milioni le armi leggere in circolazione, con un giro d'affari di oltre 28 milioni di dollari. Sono state proprio queste armi a decretare negli anni Novanta le sorti di 46 conflitti su 49; guerre

6 L. Bertozzi, I bambini-soldato: lo sfruttamento globale dell'infanzia: il ruolo della società civile e delle istituzioni internazionali, Parma, Editrice missionaria Italiana, 2003, p. 3.

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che secondo le stime UNICEF hanno decretato la morte di 5 milioni di persone di cui la metà era costituita da minori7.

Tale strategia di reclutamento sembra essere molto gradita ai gruppi poiché, oltre che poco onerosa e facile da attuare, è caratterizzata da costi irrisori e dalla malleabilità dei bambini rispetto agli adulti nell'eseguire un ordine. Ciò fornisce anche a quelle organizzazioni più deboli e poco conosciute di creare una mobilitazione e organizzazione di unità militari a un costo pari a zero.

Rilevante è anche il supporto politico e militare internazionale nei confronti di forze o gruppi armati che hanno i bambini tra le loro fila di combattenti, legato molte volte allo sfruttamento di risorse naturali come diamanti o petrolio. Ciò ha in molti casi peggiorato i conflitti e lo sfruttamento dell'infanzia, causando effetti negativi sull'intero corpo sociale poiché, anche quando pochi bambini sono coinvolti in un conflitto come soldati, tutti i ragazzi di quella particolare comunità saranno guardati con sospetto8.

Tale situazione si è diffusa generalmente laddove lo Stato è assente o incapace di agire. Le strutture nate nell'era postcoloniale non si sono mai consolidate e, alla fine della guerra fredda, molti paesi del Terzo Mondo possedevano strutture solo apparentemente simili a una realtà statale, ed erano generalmente poco sviluppati, finanziariamente deboli, privi di sistemi di responsabilità e incapaci di adottare azioni militari concrete, facendo divenire il raggiungimento dell'ordine interno qualcosa di impossibile.

Molti di questi Stati hanno avuto un collasso nel momento in cui il loro benefattore è venuto meno, facendo riemergere situazioni di violenza, portando il riaprirsi di conflitti etnici e una forte permeabilità statale, permettendo ai cosiddetti Signori della guerra di assumere il controllo e alimentare il caos. Tali personalità capirono che armare i bambini significava dotarsi di un esercito, provocando non solo una violazione dell'infanzia ma anche

7 G. Carrisi. Kalami va alla guerra: i bambini soldato, Milano, Ancora Editrice, 2006, p. 58. 8 L. Bertozzi. op. cit., p. 198.

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l'emergere di nuove guerre civili e collassi statali che hanno caratterizzato la politica globale dalla fine della guerra fredda a oggi9. Sono gruppi che

considerano i bambini come oggetti, malleabili e poco costosi, cui perdita si attribuisce alla causa per cui si combatte e sono facilmente rimpiazzabili.

Il fenomeno appena descritto provoca gravi conseguenze non solo alle generazioni future direttamente coinvolte, con danni e ferite difficilmente rimarginabili, ma anche all'interno della società, impedendo un miglioramento delle condizioni in cui vivono, paralizzando così la vita del paese.

La comunità internazionale, a partire dal XIX secolo, si è dimostrata molto interessata a tale fenomeno mediante l'adozione di una serie di norme e azioni per eliminare tale violazione e porre fine alla privazione dell'infanzia a tutti coloro che saranno gli uomini di domani, cercando di conferire loro prospettive per il futuro diversa dal tenere in spalla un kalashnikov.

2.2

Bambini come esercito di riserva: Il reclutamento

I bambini cresciuti nella violenza, rappresentando potenziali reclute, considerano la guerra una realtà permanente. Essi costituiscono un'alternativa al reclutamento degli adulti in quanto aumentano le capacità potenziali dei gruppi o fazioni armate, le quali possono rigenerarsi facilmente e rimpiazzare rapidamente le perdite subite.

Trasformare un bambino in un soldato può risultare molto semplice. La prima fase di questo terribile percorso consiste nel reclutamento, le cui modalità variano da conflitto a conflitto.

Fra tutti i vari fattori, la facilità del reclutamento è anche la conseguenza di un dato decisamente allarmante. In varie parti del mondo,

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sottrarre dalle rispettive famiglie, è estremamente facile in quanto i bambini non sono registrati alla nascita. I registri di stato civile nei quali vengono annotati gli eventi salienti nella vita di ogni persona: nascita, matrimonio, morte risultano sconosciuti in molte parti del mondo, in particolare in Africa e nel sud-est asiatico. La non registrazione alla nascita può essere vista come la prima violenza che il bambino può subire, motivo per il quale non avremo mai una stima precisa dei bambini coinvolti.

L'UNICEF in un suo rapporto ha calcolato che quasi 50 milioni di bambini nel 2000 sono nati e non sono stati registrati. Questo dato corrisponde alla metà delle nascite mondiali10.

Quando parliamo di reclutamento esso può essere forzato, attraverso il rapimento o sequestro, oppure volontario, mediante tecniche di persuasione, cui segue poi l'addestramento. Le differenti modalità di iniziazione alla vita militare tendono in questi contesti sociali ad assottigliarsi fino a perdere un senso poiché in molti casi non vi sono altre alternative al mestiere del soldato. L'obiettivo finale del reclutamento consiste nel rendere il minore totalmente dipendente dal gruppo armato in maniera tale da impedirne la fuga.

(32)

Fig.211

Molto spesso i minori reclutati provengono dai gruppi della società più vulnerabili, come i bambini di strada, rifugiati, esuli o appartenenti ai ceti più poveri. I luoghi scelti dalle milizie sono nella maggior parte dei casi scuole, campetti di calcio, moschee e orfanotrofi. Molto frequenti sono anche le incursioni nei villaggi al ridosso della frontiera o nella comunità di rifugiati, utilizzando il terrore come arma e punendo chi oppone resistenza. Il fine è quello di massimizzare il risultato minimizzando i gli sforzi.

Gli arruolamenti volontari sono influenzati dal contesto in cui tale

11 UNICEF: Every childs birth right-inequities and trends in birth registration, 2013 report in: http://www.unicef.org/gambia/Every_childs_birth_right_-_inequities_and_trends_in_birth_registration_-_2013_report.pdf

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decisione viene maturata. Sono realtà caratterizzate da un forte disagio sociale dove povertà, mancanza di mezzi di sostentamento, violenza, crisi politiche, hanno portato il ricorso alle armi ad essere considerato una necessità, facendo divenire l'arruolamento l'unica realtà in mancanza di migliori alternative.

I soggetti responsabili del rapimento delle possibili reclute ricevono dai loro superiori istruzioni in merito alle fasce d'età di loro interesse, che variano in base alle varie esigenze del gruppo armato. I criteri presi in considerazione fanno riferimento alla struttura fisica, consegnando al minore un'arma per verificare la sua capacità di trasportarla.

Altri gruppi ricorrono a metodi diversi per verificare lo sviluppo fisico prendendo in riferimento altri standard, come la crescita di almeno due denti molari12. Metodo usato anche per le bambine, quali vengono reclutate in base alla

loro bellezza.

I fanciulli considerati inidonei a diventare soldati vengono liberati o uccisi, con l'intento di intimidire sia la popolazione civile che le nuove reclute, mentre coloro che sono risultati adeguati non hanno alcuna scelta alternativa. Se non obbediscono agli ordini dei loro superiori, l'unica scelta è la morte.

Nei casi di decisione volontaria dei bambini a sostenere la causa dei gruppi ribelli prendendo parte a un conflitto armato, i gruppi armati non violano alcun codice morale, raggiungendo ugualmente il loro scopo.

Un bambino è spinto verso tale scelta non per una propria consapevolezza ma è spinto da forze esterne, fuori dal proprio controllo come la fame, la carestia e la ricerca di un luogo in cui sentirsi protetti. Vi sono casi in cui sono stesso i genitori a spingere il proprio figlio ad arruolarsi, poiché la sua famiglia non è in grado a provvedere al suo sostentamento. In tal caso gli eserciti pagano il salario della giovane recluta direttamente alla famiglia.

La semplice difesa personale può essere considerata un'altra motivazione. Circondati da una realtà violenta, i bambini si sentono più al sicuro

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all'interno di un gruppo di combattenti con un'arma in mano, piuttosto che essere soli e disarmati.

Altro motivo può essere ricercato nel sentimento di vendetta, frutto di un'esperienza diretta o di cui sono stati testimoni, considerato a volte un pretesto per unirsi alla lotta. Molte sono le realtà in cui i minori hanno assistito al massacro della propria famiglia, cadendo in un forte senso di colpa per essere l'unico superstite, in balia di sentimenti quali rabbia e rivendicazione.

Alla base della loro decisione vi è la convinzione che arruolandosi eviteranno che altri bambini perdano la propria famiglia13. Ciò è possibile

riscontrarlo in una dichiarazione di un ex combattente di 16 anni che faceva parte dell'esercito di Liberazione del Sudan: «Mio padre, mia madre e i miei fratelli

sono stati ammazzati dal nemico. Io ero furibondo. La sola cosa che potevo are era vendicarmi. E per vendicarsi bisogna avere una pistola. Se ho una pistola posso vendicarmi. Posso combattere e vendicare mia madre, mio padre e i miei fratelli. È questa la decisione che mi ha fatto diventare soldato. Il giorno che mio padre, mia madre e i miei fratelli sono stati ammazzati l'esercito ci ha colti di sorpresa. Hanno assalito il villaggio, radunato la gente, poi hanno preso tutte le vacche e bruciato tutte le case. Nelle case sono stati bruciati tutti i nostri vestiti. Siamo rimasti nudi, senza cibo e soffrivamo, persino di fame. Anche il fatto di essere nudi era un problema. Poi ho deciso cosa fare. Ho pensato che avrei fatto meglio ad arruolarmi nell'esercito14».

Vi sono anche casi di gruppi che sfruttano il periodo dell'adolescenza dei fanciulli, fase della vita in cui l'identità personale deve essere ancora definita, offrendo ruoli considerati onorevoli tanto da essere visti come eroi. Indagini effettuate, infatti, dimostrano che in Africa il 15% dei bambini si è arruolato volontariamente poiché affascinato dal prestigio e dall'emozione di servire un unità militare e di possedere un'arma15.

13 Ivi p. 7.

14 Unicef Global Report, Child Soldier: Demobilization in Southern Sudan, Unicef, febbraio 2001. 15 L. Dumas Wounded Childwood: The Use of Children in Armed Conflict in Central Africa, in:

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I bambini rispetto agli adulti sono più vulnerabili e molte sono le pratiche di persuasione adottate per approfittare della loro innocenza, come false promesse che garantiscono il superamento della condizione di miseria e povertà in cui vivono.

Altro mezzo è l'indottrinamento scolastico per esaltare i bambini alla guerra, con l'obiettivo di far identificare i minori all'interno dell'organizzazione armata e spingerli a prenderne parte.

Altro ruolo non meno importante è quello assicurato dalla propaganda e dalla distorsione mediatica che possono da una parte sminuire l'avversario e dall'altra indurre il giovane ad arruolarsi. Bastano dei richiami, false promesse o la diffusione di immagini liete e eroiche per indurli all'utilizzo delle armi. La stessa pressione proveniente dal gruppo dei coetanei già parte di una milizia può portare il bambino a prenderne parte.

È la realtà in cui questi bambini crescono, in cui sono soggetti a sperimentare una militarizzazione della loro vita quotidiana caratterizzata da continue minacce di morte e combattimenti, che li spingono a prendere parte ai gruppi armati. Il reclutamento è solo il primo passo al quale poi succede una fase molto più complessa che li porterà a divenire soldati senza scrupolo.

2.3

Come si diventa soldato

Una volta individuati e reclutati, i bambini vengono sottoposti a un lungo processo di formazione per diventare dei veri e propri soldati. Tale percorso prevede l'indottrinamento, l'addestramento e l'impiego nei campi di battaglia.

L'indottrinamento ha lo scopo di creare nel bambino una visione del

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mondo da soldato. Questa viene considerata la fase cruciale di tale percorso di formazione e ha come obiettivo il mantenimento dei soldati nelle file dell'esercito per spingerli a correre rischi e a commettere atti di violenza.

Per ottenere livelli elevanti di obbedienza, il gruppo armato utilizza la paura, la brutalità e la manipolazione psicologica per spingerli a identificarsi con le cause per loro difficili da comprendere.

Come per il reclutamento, l'indottrinamento varia a seconda del gruppo di guerriglia a cui prendono parte. Vengono utilizzate minacce di punizioni fisiche verso i minori che non sembrano aderire alla causa del gruppo e vengono, inoltre, mostrati loro video di uccisioni per abituarli alla violenza.

Nel caso della Sierra Leone i membri del RUF incoraggiavano i minori a chiamare “Puppy” il leader del gruppo Sakon, come se da quel momento in poi egli doveva essere considerato il loro padre, che veniva poi paragonato a Gesù o al profeta Maometto. Un vero e proprio lavaggio del cervello per spingere sempre più i minori a diventare soldati16.

Per dissociare il bambino dalla vita vissuta in precedenza e per cercare di attutire i sensi di colpa per le brutalità che sono destinati a commettere, viene loro assegnato un nome di battaglia. Dal punto di vista fisico, per imporre l'appartenenza a questi squadroni della morte, vengono marchiati con il nome o un simbolo di riconoscimento attraverso pezzi di vetro, aghi o tatuaggi. Tale metodologia è utilizzata non solo per la reidentificazione ma per facilitare l'individuazione di coloro che tentano la fuga.

In questa fase i reclutati sono soggetti a realtà più cruente. Sono forzati a compiere atti di violenza estrema, come prendere parte a uccisioni rituali immediatamente dopo il rapimento, sia verso prigionieri di guerra ma anche a danno dei propri familiari o membri della propria comunità, allo scopo sia di renderli insensibili alla sofferenze che per precludere ogni possibilità di ritorno a

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casa17.

Molto spesso i bambini sono soggetti ad atti di cannibalismo. Vengono forzati a mangiare il cuore delle loro vittime nella convinzione che ciò porti in loro un sentimento di disprezzo nei confronti della vita umana.

Nonostante i vari metodi presenti nei vari gruppi armati, il risultato dell'indottrinamento è una sconnessione dalla morale, che porta i bambini ad impegnarsi in azioni prima considerate amorali.

Dopo la fase di iniziazione e di influenza della coscienze, i minori sono sottoposti alla fase di addestramento in cui vengono inizialmente insegnate loro tecniche militari di base per poi proseguire con una formazione più specialistica.

Alcuni dei minori reclutati sono destinati a ricoprire ruoli d'appoggio, come cuochi, portatori, sentinelle, spie o addetti agli approvvigionamenti immediatamente impiegati. La stragrande maggioranza però viene reclutata per combattere in prima linea destinando loro un addestramento di base che va dall'insegnare ad utilizzare e pulire un arma a tendere un imboscata o collocare mine antipersona.

La durata dell'addestramento va da un giorno a undici mesi e può essere sia concentrato all'inizio che suddiviso in più fasi, intervallate da un'esperienza diretta sul campo. Tale tipo di formazione non è così dissimile da quella ricevuta dai soggetti adulti, in quanto la rigida disciplina e la minaccia di morte sono una costante dei programmi di addestramento.

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Fig. 218

Una volta conferita una formazione basilare, le reclute vengono mandate nei campi di battaglia per mettere in atto le conoscenze acquisite, diventando guerrieri privi di scrupolo disposti a portare a termine gli incarichi più rischiosi. Questo perché nell'età infantile non si ha la totale conseguenza delle proprie azioni e, inoltre, i bambini non hanno una sviluppata consapevolezza della morte. Per rafforzare questa mancanza di paura e vincere ogni tipo di resistenza e dolore, i bambini sono obbligati dal gruppo ad assumere droghe, tranquillanti e alcolici, oltre alla diffusione di miscele locali.

Le droghe maggiormente usate in Liberia e Sierra Leone sono la cosiddetta cocaina “brown-brown” e l'eroina tagliata insieme a polvere da sparo, mentre in Africa orientale viene somministrata l'erba khat, costituita dalle foglie fresche e dai giovani virgulti di una pianta che cresce spontaneamente in quelle zone, che consiste in una soluzione stimolante che elimina il senso di fame,

18 h ttp://www.brookings.edu/~/media/resear ch/files/articles/2005/1/winter%20islamicworld %20singer/singer20051215

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sonno e stanchezza19. Molti bambini hanno dichiarato di essere stati costretti a

bere latte e polvere da sparo, e altre tipo di sostanze prima di affrontare una battaglia.

Con l'assunzione di droghe i bambini adottano azioni di maggior violenza e mettono in pratica qualsiasi cosa viene loro ordinato. Le testimonianze di un bambino soldato reclutato durante la guerra civile in Sierra Leone dimostrano quanto affermato: «Mi facevano dei tagli sulle gambe e sulla

braccia, mi riempivano le ferite di cocaina. Dopo un po mi sentivo un eroe e uccidere diventava un gioco perché vedevo le persone come polli e topi in attesa di essere sgozzati... da me naturalmente20».

Inizialmente l'assunzione di tali sostanze è imposta dai propri superiori, fino a quando i bambini iniziano ad assumerle volontariamente per una vera e propria assuefazione. In questo tipo di realtà, i minori subiscono maggiormente la vita militare rispetto gli adulti e possono subirne le maggiori conseguenze. A causa dei carichi pesanti che sono costretti a portare, possono avere la schiena deformata. Infezioni respiratorie e patologie della pelle sono molto diffuse. La carestia di cibo rende il minore debole e maggiormente esposto a malattie. La partecipazione ai conflitti provoca problemi di vista e udito e, nel caso in cui incappano in una mina, sono costretti a subire amputazioni. Tale conseguenze causano esclusione sociale poiché considerati non più idonei a far parte del gruppo21.

Oltre alle violenze fisiche e psicologiche che sono costretti a subire, molti fanciulli sono anche sottoposti a sistematici abusi sessuali, provocando la trasmissione dell'HIV piaga che interessa sopratutto molte zone dell'Africa.

Oltre alle violenze fisiche e psicologiche che sono costretti a subire, molti fanciulli sono anche sottoposti a sistematici abusi sessuali, provocando la trasmissione dell'HIV, piaga che interessa soprattutto molte zone dell'Africa.

19 C. Gervasoni, op. cit., p. 174. 20 G. Albanese, op. cit., p. 112. 21 L. Bertozzi, op. cit.., pp. 42-43.

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