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L’azione politica e l’artificiale

5. Piero Gilardi

5.1 L’azione politica e l’artificiale

Piero Gilardi, il grande escluso dalla narrazione dell’Arte Povera, imprime a sua volta un brusco cambiamento sia a livello qualitativo che espressivo a quell’energia relazionale fluida di cui si è parlato fino a ora, andando oltre la sua rappresentazione o l’impiego di archetipi concretizzati per richiamarla alla mente, liberandola dall’isolamento all’interno di considerazioni di esclusivo carattere artistico. Nell’arte di Gilardi le relazioni tra oggetti, persone e memoria costruite e rese possibili dall’opera non rimangono confinate al momento della sua fruizione, con le riflessioni e le emozioni temporanee che ne scaturiscono, ma invadono la realtà sotto forma di azioni creative e collettive di stampo politico. L’importanza di una tale componente sociale e interattiva inizia a nascere e a prendere forma grazie agli scossoni intellettuali generati dalle discussioni con Aldo Mondino e Michelangelo Pistoletto, tra le poche occasioni di dibattito costruttivo di stampo artistico e talvolta politico in quella Torino di inizio anni Sessanta così isolata dalla scena italiana e internazionale a causa della sua “monocultura industriale”84, che ne limita, non promuovendolo, lo sviluppo culturale e lo

scambio di idee, e dove la maggior parte degli artisti di conseguenza si allinea passivamente alle tendenze, relegando ogni tentativo di ricerca e innovazione a fenomeno underground. Se questo elemento attivo e solidale inizialmente assume le forme di un’invasione da parte degli oggetti dello spazio dell’esperienza, attraverso opere che coniugano l’interazione con il visitatore a un confronto vissuto come positivo con un’ipotetica società futuristica (le Macchine

per il futuro, la serie dei tappeti-natura), ben presto si evolverà, in virtù di una consapevolezza

infine maturata, in interventi sulla realtà che superano la limitatezza dell’oggetto per farsi esperienze di aggregazione comunitaria. L’avvicinamento graduale all’intervento attivo nella dimensione politico-sociale inizia nel 1967 in seguito al rifiuto, da parte di Ileana Sonnabend, di quegli oggetti minimali di ispirazione contadina che avrebbero dovuto rappresentare la necessaria evoluzione dei tappeti-natura, in quanto meno vibranti e meno “pop” di questi ultimi. Un rifiuto che per Gilardi è da imputarsi allo scarso appeal visivo delle nuove creazioni, soprattutto se paragonate alla produzione precedente che grazie ai suoi colori e alla sua vitalità aveva riscosso grande successo sia di pubblico che di mercato. Da qui deriva una riflessione sui meccanismi, avvertiti come coercitivi, esercitati dal mercato nei confronti della libertà creativa dell’artista e che porta Gilardi a una dematerializzazione85 sempre maggiore del suo

lavoro. Nel 1968 giunge così alla teorizzazione dell’arte microemotiva, descritta come una ricerca su un movimento “microscopico e globale”86 avvertito come “vibrazione libera ed 84 L. Gallino, Quattro domande al sociologo, in M. Bandini, 1972. Arte Povera a Torino, Umberto Allemandi & C., Torino 2003, p. 112.

85 Cfr. Conversazione tra Piero Gilardi e Claudio Spadoni, in Piero Gilardi, catalogo della mostra a cura di C. Spadoni (Ravenna, Museo d’Arte della città di Ravenna), Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano 1999.

86 P. Gilardi, A Microemotive Art, in Piero Gilardi. Dall’arte alla vita, dalla vita all’arte, a cura di M. Bandini, Prints Etc. edizioni, Parigi 1982, pp. 30-31.

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asimmetrica, che si pone come rappresentazione dell’energia primaria”87 e che “interpreta un

atteggiamento mentale che ha superato l’alienante identificazione del media con il messaggio, attraverso l’intuizione di una nuova ‘qualità’ della libertà individuale ed emotiva”88. Nel corso

di numerosi viaggi nei Paesi Bassi, nel Regno Unito e soprattutto negli Stati Uniti, Gilardi constata che la tensione verso un tipo di arte analoga a quella “microemotiva” rappresenta una tendenza diffusa in diversi paesi con altrettanto variegati background storico-artistici, diventando uno stimolo a promuovere la nascita di una rete internazionale di artisti, liberi e indipendenti dal mercato, attraverso la diffusione delle idee rivoluzionarie tramite riviste di settore (come Flash Art e Arts magazine) e l’organizzazione di eventi collettivi.

Solamente un anno dopo però Gilardi prende atto del fallimento del suo “progetto di emancipazione interno alla comunità artistica”89, avvenuto essenzialmente per due motivi:

da un lato l’amara osservazione che, dopo un periodo più o meno lungo d’incubazione, il sistema dell’arte alla fine assorbe sempre tutte le spinte controtendenza, legittimandole nella loro opposizione. Dall’altro, l’analisi a posteriori che un siffatto progetto, con quel “corporativismo”90 che lo lasciava confinato a un settore assai ristretto della società, non

poteva che fallire: il problema che viene rilevato non è infatti ridotto al solo mercato artistico, ma è radicato in una più ampia dimensione economica e sociale i cui rapporti sono esasperati dai sistemi di produzione. Ne consegue che il processo di rinnovamento e liberazione deve aver un raggio d’azione molto più esteso poiché, come afferma Gilardi in più di un’occasione, “per liberare l’arte occorreva liberare la vita”91. Ecco che allora inizia quella fase di impegno

sociale e politico durata per tutti gli anni Settanta e scandita dall’attività di arte-terapeuta presso diversi centri (come il centro d’incontro del quartiere Aurora) e dalla partecipazione a diversi collettivi (Lenin nel 1970, La Comune nel 1974) di cui curava la sfera propagandistica, dagli striscioni ai volantini ai pupazzi di gommapiuma da usare durante le manifestazioni. La scelta della “militanza politica ‘creativa’” assume le connotazioni di “una soluzione alternativa basata sull’utopia negativa della ‘non-arte’”92.

Negli anni Ottanta, con il succedersi delle scoperte tecnologiche nell’ambito dell’IT e del networking, Gilardi ritorna a quella dimensione tecnologica e scientifica che lo aveva sempre affascinato e che ora è più di un espediente dal sentore romantico per parlare di una società migliore, diventando un elemento attivo delle opere, che dal progetto Ixiana fino al Parco d’Arte Vivente diventano installazioni virtuali interattive che l’artista equipara agli eventi collettivi del decennio precedente, per le loro capacità di “offrire la stessa penetrazione nel mondo dell’impulso e la stessa condivisione di un’espressione simbolica ed estetica”93.

87 Ibid., p. 31. 88 Ibid., p. 32.

89 Conversazione con Andrea Bellini, in Piero Gilardi, catalogo della mostra a cura di A. Bellini (Rivoli, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), JRP Ringier, Zurigo, 2012, p. 6.

90 Cfr. Ibid.

91 Conversazione tra Piero Gilardi e Claudio Spadoni, in Piero Gilardi, catalogo della mostra a cura di C. Spadoni (Ravenna, Museo d’Arte della città di Ravenna), Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano 1999, p. 34.

92 Conversazione con Andrea Bellini, in Piero Gilardi, catalogo della mostra a cura di A. Bellini (Rivoli, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), JRP Ringier, Zurigo, 2012, p. 8.

L’interesse per la componente tecnologica è quello che per primo entra nella poetica di Gilardi, inserendosi come primo motore di trasformazione della società nel momento in cui, con le

Macchine per il futuro (1963), viene assunto come elemento democratico di rinnovamento,

nonostante l’artificiale sia inteso come alterazione dei sani rapporti tra cose e persone, risultato di quel processo di meccanicizzazione e standardizzazione attuato dalla società consumistica. Si noti in questa declinazione dell’elemento artificiale la differenza rispetto a Zorio, per il quale rappresenta in senso ampio ogni appropriazione culturale operata dall’uomo. Questa ambivalenza della componente tecnologica è particolarmente rintracciabile nella serie dei tappeti-natura. Da un lato si percepisce tutta la nostalgia di un’interazione con una natura “vera”, resa impossibile da una società irrimediabilmente artificiale che ha pervertito qualunque rapporto con il mondo e con una componente naturale umiliata e ormai distrutta e relegata a mero complemento d’arredo. Dall’altro, però, è espressa una chiara fiducia nei confronti di queste evoluzioni sintetiche e delle loro potenzialità, rintracciabile in primis nella morbidezza della gommapiuma (materiale mutuato dagli oggetti di Oldenburg) che si presenta come invito al gioco: il tappeto, derivato da immagini vere (rilievi di paesaggi realmente esistenti) o mentali, è un qualcosa da usare con il corpo e da consumare94 per rilasciare nello

spazio quell’energia primaria relazionale che si attiva solo con il gesto e con l’azione e capace di portare alla riconquista di un rapporto reale con il mondo e con le altre persone.

Considerata l’importanza dell’elemento tattile dei tappeti-natura, il cui significato ultimo è proprio quello di essere tastati, strizzati e giocati da chiunque gli si avvicini, cani compresi95,

il principale obiettivo del restauratore che non voglia snaturare queste opere dovrà essere la conservazione della sofficità, dell’elasticità e della flessibilità del materiale - proposito che, nel caso della gommapiuma, si dimostra però particolarmente arduo da mantenere.

94 Cfr. Arte contemporanea: conservazione e restauro. Contributi al ‘Colloquio sul restauro dell’arte moderna e

contemporanea’, a cura di S. Angelucci, Nardini, Firenze 1994

95 Cfr. Ibid.

Piero Gilardi, Macchina per discorrere, 1963.

(https://www.alfabeta2.it/wp-content/uploads/2013/05/p02-MACCHINA_PER_ DISCORRERE_1963.jpg. Consultato il 16/05/2016).

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