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Le strutture metalliche – i volumi primari e l’igloo

2. Mario Merz

2.2 Le strutture metalliche – i volumi primari e l’igloo

Il recupero delle strutture primarie operato da Merz è inscindibile da una sua rivalutazione delle coordinate spazio-temporali in un’ottica che non distingue tra la loro dimensione quotidiana e quella assoluta ma le fa aderire perfettamente l’una all’altra, con il risultato che anche la tecnica interpretativa attraverso cui l’uomo si confronta da sempre con lo spazio e con il tempo - ossia l’architettura - viene messa in discussione. Per Merz, in un’epoca in cui l’uomo tende a riavvicinarsi alla natura piuttosto che escluderla, arroccandosi in fabbricati che oltre a suddividere lo spazio in aggregati funzionali raziona, ottimizzandolo, anche il tempo da trascorrere in ognuno in base alla destinazione d’uso, l’architettura dell’isolamento affronta una crisi che pone in dubbio la sua stessa esistenza. A questo spazio-tempo organizzato viene opposto sempre di più uno spazio-tempo naturale non identificabile però con la natura e i suoi ritmi comunemente intesi, esterni, ma con quella zona interna all’uomo dove questi riesce ad avvertirne le vibrazioni più intime, che è poi ciò che fa risuonare alle stesse frequenze tutto il vivente. In quanto decodifica di un parametro fisso universalmente dato non può esimersi dall’essere comunque un’operazione culturale di carattere architettonico, seppur di tipo diverso e nuovo: “L’uomo assumendosi il potere dello spazio sullo spazio crea un’architettura nuova che è quella del passaggio di se stesso sullo spazio cosmico totale. […] L’arte questo spazio lo vede dal di fuori per cui collega i due spazi; collegando i due spazi crea una nuova possibilità di visione”46.

Lo sguardo dell’arte - e dell’artista - permette il travalicamento del muro della realtà da parte di ciò che risiede nello spazio mentale come idea, realizzandosi in una visione totale priva di divisioni e pertanto di omissioni. In un’arte come abbattimento delle barriere spaziali si libera l’archetipo architettonico che prende forma e che nel suo occupare spazio rivela la presenza fisica e lo svolgersi del tempo che ha impiegato a sedimentare nella memoria universale e a diventare elemento naturalmente condiviso. Uno “spazio [che] […] crea lo spazio del tempo”47

perché risponde a una “concezione dello spazio vista attraverso il tempo”48 eternamente lontano

di una struttura elementare e mitica di cui l’igloo è uno dei condensati più potenti, poiché, una volta ripescato dal fondo del tempo comune come “idea organica”49 e ricondotto dall’arte a uno

stato visibile di complessa sintesi materiale, dispiega quelle componenti attive che lo rendono uno spazio vitale di contatto profondo. La sua semisfera appoggiata sul pavimento infatti richiama al tempo stesso il globo terrestre, quell’universo-mondo che comprende ogni aspetto di ogni esistenza, e la forma più primitiva di rifugio e abitazione, con la sua caratteristica ambivalenza relazionale. Da un lato racchiude una dimensione privata in cui l’uomo si concilia con se stesso nella solitudine avvolgente e protettiva della cupola-ventre, mentre dall’altro la dimensione più comunitaria del focolare domestico in cui si consolidano i legami familiari, che 46 B. Corà, Mario Merz – Architettura: il problema dello spazio del tempo (1981), in Mario Merz, a cura di G. Celant, Mazzotta, Milano 1983, p. 165-166.

47 Ibid., p. 181. 48 Ibid., p. 182.

49 J.C.Ammann, S. Pagé, Intervista a Mario Merz (1981), in Mario Merz, a cura di G. Celant, Mazzotta, Milano 1983, p. 148.

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grazie alla flessione sineddotica improntatigli dalla cupola-terra indicano l’intima connessione di tutti gli uomini. Un luogo trasparente e di passaggio tra interno ed esterno che si carica di significato nel momento in cui è lì presente, rendendo possibili le relazioni potenziali di cui è impregnato e non semplicemente rappresentandole.

Il metodo di assemblaggio adottato da Merz per la realizzazione pratica dell’igloo una volta terminata la fase di progettazione e fruizione mentale ricalca la doppia natura dell’oggetto, generale e particolare in un unico movimento continuo. Lo scheletro dell’igloo è costituito da una struttura di tubi metallici saldati fra loro in modo tale da ottenere un perimetro circolare d’appoggio da cui si dipartono un numero di semicerchi massimi variabile in base alla grandezza dell’opera. Nella maggior parte dei casi poi il telaio è ricoperto da una rete metallica che permette l’appoggio o il fissaggio, normalmente attraverso l’uso di fil di ferro, dei materiali che andranno di volta in volta a costruire il significato specifico di un’opera. Grazie alla rete metallica inoltre Merz riesce a ottenere una superficie uniforme che indipendentemente dal tipo di materiale di cui è ricoperta permette all’igloo di ritenere una forma semisferica priva di rientranze, gobbe, buchi e irregolarità in genere. Si prendano per esempio i teli catramati di

Objet cache-toi e la tela dipinta di Spicchi di igloo, che senza il supporto della rete seguirebbero

l’alternarsi discontinuo dei tubi dando luogo a inopportuni avvallamenti, o anche i panetti d’argilla cruda avvolti nella plastica dell’Igloo di Giap, che appesi alla rete metallica stesa sopra la struttura tubolare a distanza estremamente ravvicinata gli uni dagli altri ne seguono l’andamento.

Le uniche eccezioni sono quelle opere in cui l’artista vuole evidenziare le proprietà dello spazio trasparente e osmotico occupato dall’igloo, creando una continuità visiva tra l’interno e l’esterno che verrebbe ostacolata dalla presenza di un elemento di supporto privo di valore espressivo. In questi casi i materiali vengono appoggiati o fissati direttamente alla struttura tubolare, come accade in Chiaro Oscuro, in cui le lastre di vetro sono tenute in posizione per mezzo di morsetti applicati sui tubi e pani d’argilla situati esternamente alla base.

Adattamenti pratici dei diversi modi in cui l’artista organizza l’idea di igloo, i materiali, Sulla sinistra, la rete metallica posizionata a supporto della tela dipinta in Spicchi di igloo. Sulla destra,

la rete metallica plastificata su cui sono alloggiate le forme in cera nella medesima opera. (Lo stato dell’arte 4: 4. congresso nazionale IGIIC: volume degli atti: Siena, Santa Maria della Scala,

con la loro fisicità, sono l’igloo in tutte le sue possibili variazioni, incorporando e facendo scomparire sotto il loro peso e la loro materialità qualsiasi intelaiatura metallica (anche se perfettamente visibile), metafora dell’idea, ma senza la quale l’opera mancherebbe di supporto e solidità non solo strutturali ma anche ontologici. Sarà dunque necessario, in fase di analisi preliminare dell’opera, riservare alla struttura tubolare e ai singoli materiali il medesimo grado di attenzione.

I tubi utilizzati da Merz sono solitamente in ferro o acciaio, materiali che presentano una buona resistenza all’invecchiamento se conservati in un ambiente con un basso livello di umidità relativa e protetti dalla condensazione di acqua sulla superficie, dal dilavamento e dai depositi di agenti atmosferici. Un esempio particolarmente emblematico a questo proposito è quello di Spicchi di igloo, in cui la porzione di semisfera tubolare che fuoriesce dal muro, per metà rivestita da una tela di cotone dipinta e per metà coperta da uno strato non omogeneo di lastre di cera, presentava al momento del restauro differenti livelli di degrado nelle due parti. Se il telaio dello “spicchio dipinto” appariva in buono stato e privo di fenomeni corrosivi grazie alla protezione fornita dalla tela a trama stretta, nello “spicchio ceroso” i tubi al contrario erano interessati da diffusi e avanzati processi ossidativi che avevano intaccato anche i fili metallici di ancoraggio dei pannelli di cera, la cui disposizione discontinua aveva lasciato esposte parti della struttura tubolare. La forma e la grandezza variabile delle lastre di cera, unita alle diverse distanze fra le parti preposte al loro supporto (nove tubi metallici orizzontali aggiuntivi con porzioni di tela plastificata verde di dimensioni variabili) creano una trama volutamente imprecisa e casuale che blocca una quantità di particellato atmosferico e agenti inquinanti molto inferiore rispetto alla tela. Queste sostanze, come i prodotti della combustione industriale (anidride solforosa, ossidi di azoto, acido solfidrico e particelle carboniose), le polveri igroscopiche e i sali, catalizzano i fenomeni ossidativi del ferro e delle sue leghe, di cui il più comune nei manufatti esposti all’atmosfera è la corrosione a umido. Questa avviene in un ambiente umido o acquoso dove l’ossigeno atmosferico in esso disciolto rende possibile

La funzione strutturale dei morsetti e dei pani d’argilla in Chiaro Oscuro.

(B. Ferriani, M. Pugliese, Monumenti effimeri. Storia e conservazione delle installazioni, Mondadori Electa, Milano 2009).

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lo sviluppo sulla superficie del metallo di processi elettrochimici che portano alla formazione di ossidi diversi a seconda delle sostanze presenti nella parte umida, della possibilità o meno di processi autocatalitici, della quantità di acqua disponibile. L’ossido ferroso, la goethite, la limonite, sono alcuni dei prodotti dell’ossidazione che possono comparire sul ferro, e ognuno presenta delle proprietà specifiche. In particolare gli idrossidi, genericamente noti come ruggine, che si formano in ambienti molto umidi con pH acidi, indipendentemente dal grado di compattezza tendono a essere molto porosi e poco aderenti al substrato, permettendo la costante diffusione attraverso di essi di aria umida che continua ad alimentare il processo. La procedura standard da adottare quando si ha a che fare con i metalli ossidati è esemplificata dall’intervento svolto sul telaio tubolare dello spicchio ceroso di Spicchi di igloo: in un primo momento si procede alla rimozione meccanica dei prodotti dell’ossidazione adoperando bisturi, spazzolini, gommini o carte abrasivi, per poi passare all’applicazione di un inibitore di corrosione che ha il compito di “passivare” la superficie del metallo, ossia di isolarlo dagli agenti esterni impedendo così che questi possano attivare il processo di ossidazione.

Per quanto riguarda invece le reti metalliche, oltre alla corrosione possono insorgere problemi e deformazioni strutturali a causa del peso al quale sono continuamente sottoposte. La rete di

Igloo di Giap risultava infatti incurvata soprattutto nella parte ritagliata che funge da porta

attraverso cui vengono inseriti i cavi e il sistema d’alimentazione delle lampade fluorescenti. Dopo aver sostituito gli anelli di fil di ferro che la collegano alla struttura principale, per garantirle una rigidità maggiore, sono state anche infilate delle bacchette di metallo tra le maglie della rete per darle più sostegno.

Il posizionamento dei pani d’argilla sulla rete metallica durante le operazioni di restauro di Igloo di Giap.

(Cosa cambia: teorie e pratiche del restauro nell’arte contemporanea, a cura di M.C. Mundici, A. Rava, Skira, Milano 2013).