2. Mario Merz
2.1 Il polimaterismo
Entrando nella sfera di influenza attiva di un’opera di Mario Merz per prima sopraggiunge un’impressione di straniamento, che nasce dalla sensazione di ritrovarsi in una dimensione alternativa ma allo stesso tempo familiare. Uno spazio popolato da oggetti e materiali non avvertibili come tali, presenti ma allo stesso tempo impalpabili, privi di quella mondanità che ne rende possibile l’abitudine visiva e d’uso e ricondotti a una primordialità essenziale. L’oggetto viene infatti spogliato dei valori che socialmente gli si attribuiscono, dall’economico al funzionale, dall’estetico all’affettivo, per esser depurato da tutto il superfluo e dall’“idea di oggetto-oggetto”37 ed essere sintetizzato in una nuova forma.
In Merz quindi si assiste a una trasfigurazione di questi oggetti che non sono più oggetti ma entità di diverso ordine, sperimentabili a un livello puramente istintivo perché appartenenti a un passato ancestrale di cui non si ha ricordo eppure realmente percepibile, non ricostruibile in maniera razionale in una struttura logica: la coscienza non può far altro che prendere nota di un momento di afasico riconoscimento. In presenza di questi oggetti sublimati si assapora la sensazione di ritrovare dentro di sé un qualcosa di arcaico, di legato a un tempo lontano e non conoscibile, un luogo di memoria condivisa nel quale hanno sedimentato quelle tradizioni e quei saperi che formano il bagaglio di conoscenze innate di ogni individuo. Riunendo in sé il carattere archetipico di un’esperienza mitica comune e la tangibilità di un’esistenza indiscutibilmente reale, l’oggetto, “di un esistenzialismo totale”38, si fa depositario di una
saggezza pratica, di un modo antico di vedere e fare le cose che nella sua radicale semplicità - privo cioè di tutte quelle sovrastrutture culturali che ne celano, con la loro pesantezza e ingombranza, la finalità reale - riesce a mettere l’uomo nella condizione di riallacciare quelle relazioni con il mondo che ha dimenticato. Viene così risvegliata la capacità umana di stabilire un intimo contatto prima con la natura, non più tenuta al di fuori ma accolta dentro di sé, poi con gli altri uomini, ora parte di una comunità che si è riscoperta globale e intrinsecamente solidale, e infine, soprattutto, con se stessi. L’azione dell’oggetto si rivela quindi bidirezionale e continua e parte dall’interiorità dell’artista, che riscoprendo una fantasia elementare fatta di solidi e serie numeriche decide di immetterla nel mondo in forma oggettuale, attuando “uno scambio cioè tra reale e immaginario”39; in seguito, dall’esterno del suo essere realmente
presente si muove verso il dentro dell’osservatore risvegliandolo alla memoria e realizza così un ciclo che esce dalla gerarchia del tempo storico per entrare in una temporalità infinitamente dilatata che si espande tanto nel passato quanto nel futuro, perché il movimento della memoria si propaga in tutte le direzioni, aprendo la possibilità del “tutto” come visione - rendendolo 37 G. Celant, Mario Merz (1971), in Mario Merz, a cura di G. Celant, Mazzotta, Milano 1983, p. 50.
38 B. Corà, Mario Merz – Architettura: il problema dello spazio del tempo (1981), in Mario Merz, a cura di G. Celant, Mazzotta, Milano 1983, p. 176.
39 J.C.Ammann, S. Pagé, Intervista a Mario Merz (1981), in Mario Merz, a cura di G. Celant, Mazzotta, Milano 1983, p. 142.
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materiale.
L’essenzialità universale e concreta degli oggetti di Merz affonda le sue radici in una di quelle zone dove gli opposti non sono in contraddizione ma generano dialetticamente nuove possibilità: un limbo archeologico, un archetipo concreto, uno spazio mentale. Ed è proprio in questa zona che si realizza quell’identità tra l’oggetto e il materiale di cui è costituito, perché se l’oggetto, apparendo in primo luogo alla mente sotto forma di idea, necessita del materiale per acquisire organizzazione strutturale e visibilità, il materiale non può fare a meno di essere scelto come risposta alla situazione urgente che anima l’oggetto per assumere una sua espressività. E nonostante la varietà potenzialmente infinita di elementi da usare puri, Merz ha una sua gamma personale e circoscritta a cui affidare il compito di elaborare la fisicità dell’opera. Un po’ come accade al pittore, anche Merz si avvale di un numero limitato di mezzi amorfi fondamentali dalle cui combinazioni è possibile ricavare la totalità delle risposte richieste dalle necessità poetiche e plasmare così la sua sensibilità - del resto, un approccio di stampo pittorico, inteso in senso ampio, accompagna la sua opere fin dagli inizi informali. Eppure ci sono due differenze di metodo tra l’uso che Merz fa della materia prima e quello di un pittore. In primo luogo, la presenza di certi materiali piuttosto che di altri nella sua tavolozza è il frutto di una scelta e non di un obbligo imposto dal soggetto. Bisogna inoltre tener presente che i materiali non sono più identificati con se stessi ma con le loro proprietà e talvolta, come nel caso della tela, con un simbolo di se stessi - ed è proprio ciò che guida la scelta. Ecco che allora Merz usa il vetro non come finestra ma come trasparenza, e i giornali non come mezzi d’informazione ma come parole e storia; il neon, in particolare, non è più una lampadina ma pura luce. In una profusione di pietra, argilla, cera, neon, ombrelli, bottiglie, animali impagliati, i materiali allo stato grezzo e informe tramite il gesto dell’artista assumono una propria identità e diventano elementi attivi che agiscono nella e sulla realtà creando una rete di relazioni mutevoli tra di loro e con lo spazio.
Questo polimaterismo non fa che complicare ulteriormente la pratica conservativa, in quanto moltiplica la quantità di ricerche che il restauratore deve condurre per comprendere la composizione e il comportamento dei materiali, oltre che costringerlo a considerare tutti i possibili effetti dell’interazione tra materie diverse. Non sempre però si può conoscere in anticipo il grado e l’intensità con cui influenzeranno a vicenda le rispettive proprietà fisico- chimiche e i relativi processi degrado, che potrebbero essere tanto smorzati (come per le materie plastiche su cui sono stese mani di pittura, che le proteggono dalla luce, dall’ossigeno e dai depositi atmosferici) quanto accelerati (incompatibilità chimica, il degrado dell’uno innesca o affretta il deterioramento dell’altro, etc.). La nuova categoria di variabili che si viene così a creare trasforma, semplificandola o rendendola più problematica, la natura e la sostanza delle misure conservative dirette o preventive da soppesare.
Data la natura scomponibile e talvolta modulare di gran parte delle opere di Merz, in cui i diversi elementi non sono concretamente legati in maniera indissolubile, in molti casi si è potuto procedere al restauro individuale dei singoli pezzi e talvolta anche alla loro sostituzione. Un’operazione che se nell’etica tradizionale non solo è malvista ma integralmente respinta, per quanto riguarda l’opera di Merz è stata spesso sostenuta dal consenso dell’artista stesso,
che in alcune occasioni, come per il restauro di Nella strada (1967)40, ha addirittura aiutato
i restauratori a ricostruire quelle parti (i quattro elementi in legno laccato) ormai prive della loro espressività o andate perdute. Nonostante non si sia mai rifiutato di collaborare con chi gli chiedeva consigli, opinioni e approvazioni per la conservazione e l’allestimento, egli non ha mai dato una spiegazione definitiva e sicura delle sue opere dal significato aperto e mutevole che segue lo slittamento spazio-temporale dell’oggetto nel suo movimento continuo, lasciando l’interpretazione ai singoli osservatori e mettendo così curatori e restauratori nella condizione di non poter esser certi dell’effettivo valore simbolico di ogni elemento. Ossia, impedisce un’accurata distinzione tra le componenti secondarie e quelle insostituibili.
Nel capitolo si analizzerà la simbologia di alcuni dei materiali utilizzati da Merz e il loro trattamento in sede di restauro in base alla letteratura reperibile a riguardo. Le opere prese in considerazione sono:
- Igloo di Giap, 1968. Tubi di metallo, rete metallica, sacchetti di plastica riempiti di argilla, neon, batterie, accumulatori. Centre Pompidou, Parigi41.
- Città irreale, 1968-69. Struttura d’acciaio, mussola sintetica, cera, neon, batterie, accumulatori. Stedelijk Museum, Amsterdam42.
- Spicchi di igloo, 1979-85. Tubi di metallo, rete metallica, velatino, tela dipinta, lastre di cera. LAC – Lugano Arte e Cultura43.
- Objet cache-toi, 1969-2001. Tubi di metallo, rete metallica, teli catramati, argilla, neon. Collezione privata44.
- Chiaro Oscuro, 1983. Tubi di metallo, rete metallica, vetro, fascine, argilla, morsetti, cemento. Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Rovereto45.
40 Cfr. O. Chiantore, A. Rava, Conservare l’arte contemporanea: problemi, metodi, materiali, ricerche, Electa, Milano 2005.
41 C. Quirot, ‘Che Fare?’ Ricerche storiche e tecniche e restauro di ‘Igloo di Giap’ di Mario Merz, in Cosa cambia:
teorie e pratiche del restauro nell’arte contemporanea, a cura di M.C. Mundici, A. Rava, Skira, Milano 2013.
42 L. Beerkens, The preservation of a city of light, in Modern Art: Who Cares?: an interdisciplinary research project
and an international symposium on the conservation of modern and contemporary art, a cura di U. Hummelen, D. Sillé,
Foundation for the conservation of modern art and the Netherlands institute for cultural heritage, Amsterdam 1999. 43 B. Ferriani, L. Borgioli, ‘Spicchi d’Igloo’ di Mario Merz, in Lo stato dell’arte 4: 4. congresso nazionale IGIIC:
volume degli atti: Siena, Santa Maria della Scala, 28-30 settembre 2006, Nardini, Firenze 2006.
44 O. Chiantore, A. Rava, Conservare l’arte contemporanea: problemi, metodi, materiali, ricerche, Electa, Milano 2005.
45 B. Ferriani, Esempi di restauro con l’Arte Povera, in Cosa cambia: teorie e pratiche del restauro nell’arte
contemporanea, a cura di M.C. Mundici, A. Rava, Skira, Milano 2013; N. Boschiero, B. Ferriani, Mario Merz. Chiaro Oscuro, 1983, in B. Ferriani, M. Pugliese, Monumenti effimeri. Storia e conservazione delle installazioni, Mondadori
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Mario Merz, Spicchi di igloo, 1979-85. Tubi di metallo, rete metallica, velatino, tela dipinta, lastre di cera. (http://www.artribune.com/2012/07/lugano-i-primi-passi-del-lac/merz-lalveare-e-la-pentola/.
Consultato il 16/05/2016).
Mario Merz, Igloo di Giap, 1968. Tubi di metallo, rete metallica, sacchetti di plastica, argilla, neon, batterie, accumulatori.
Mario Merz, Chiaro Oscuro, 1983. Tubi di metallo, rete metallica, vetro, fascine, argilla, morsetti, cemento. (http://www.mart.tn.it/collections.jsp?ID_LINK=688&area=137&id_context=3353. Consultato il 16/05/2016).
Mario Merz, Objet cache-toi, 1969-2001. Tubi di metallo, rete metallica, teli catramati, argilla, neon. (O. Chiantore, A. Rava, Conservare l’arte contemporanea: problemi, metodi, materiali, ricerche, Electa, Milano 2005).
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Mario Merz, Città irreale, 1968-69. Struttura d’acciaio, mussola sintetica, cera, neon, batterie, accumulatori. (http://www.stedelijk.nl/en/artwork/741-citta-irreale. Consultato il 16/05/2016).