ITALIANO.
L’analisi di questo strumento d’indagine, necessaria per verificare la sua compatibilità con i diritti fondamentali dell’individuo tutelati a livello sia nazionale che internazionale, non può evitare di porsi un preciso quesito: è possibile inquadrare tale istituto in una tipologia legale già esistente? In realtà, anche da un esame non approfondito, si può affermare che questo mezzo di ricerca della prova ha una natura ibrida, in quanto, pur presentando caratteristiche simili ad istituti ben normati dal legislatore nazionale quali le ispezioni, le perquisizioni e le intercettazioni, evidenzia caratteri tali da renderlo indipendente da ciascuno di quest’ultimi. Infatti, le perquisizioni online non sono assimilabili alle perquisizioni tradizionali, previste dall’art. 247 c.p.p., avendo quest’ultima ad oggetto la ricerca del corpo del reato o di cose comunque pertinenti al reato ed, inoltre, esse presuppongono sicuramente un atto a sorpresa351, ma che in ogni caso avviene in modo palese rispetto al soggetto interessato352. Al contrario le perquisizioni online non sono solo atti a sorpresa ma, per risultare fruttuose, devono restare ignote all’indagato durante tutto il tempo del loro svolgimento.
Allo stesso tempo deve considerarsi esclusa la possibilità di ricondurre questo mezzo di ricerca della prova nell’ambito della categoria delle
351 S. MARCOLINI, Le cosiddette perquisizioni online ( o perquisizioni elettroniche), in Cass.
pen., 2010, p.2858.
352 Sarebbero, inapplicabili nell’ipotesi di perquisizioni online, le disposizioni degli artt.
250 c.p.p., che impone la consegna all’imputato del decreto di perquisizione, e 365 c.p.p., concernente la nomina del difensore e la facoltà di farsi assistere dallo stesso durante l’esecuzione delle operazioni.
ispezioni di tipo informatico, perché, come è stato detto353, quest’ultime sono caratterizzate dal fatto di essere finalizzate esclusivamente a fotografare una realtà esistente, ma senza procedere ad alcuna apprensione di dati. Si potrebbe allora pensare, visto il loro carattere occulto che queste perquisizioni potrebbero essere assimilate alle intercettazioni previste all’art. 266 bis c.p.p., dove si regola l’intercettazione del flusso di comunicazioni relative a sistemi informatici o telematici. Ma anche in questo caso manca un elemento essenziale rappresentato dalla carenza del carattere comunicativo del dato digitale acquisito, comunicatività intesa come elemento originato dall’attività dell’uomo354. Infine non risulta soddisfacente anche l’ipotesi di accostare le perquisizioni online allo strumento del pedinamento, anche se virtuale; e ciò perché il pedinamento è considerato dalla giurisprudenza come un atto non intrusivo della sfera privata del soggetto che lo subisce355, al contrario della forte invasività, dal punto di vista della privacy, dello strumento della perquisizione online.
Verificata l’impossibilità di una collocazione sistematica, le perquisizioni
online dovrebbero risultare catalogabili tra i mezzi di ricerca della prova
atipici, ai quali si dovrebbe applicare la disciplina prevista all’art. 189
353 F. IOVENE, Le perquisizioni on-‐line tra nuovi diritti fondamentali ed esigenze di accertamento penale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 22 luglio 2014.
354 Cass. sez. I, 24 settembre 2003, in Cass. pen., 2004, p.21, secondo cui le intercettazioni
in genere, e quindi anche quelle informatiche o telematiche, si caratterizzano proprio per “la captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più
soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere gli altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da un soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato”.
355 Cass., sez. II, 30 ottobre 2008, in Guid. Dir., n.5, p.90; Cass., sez.VI, 11 dicembre 2007,
c.p.p.. Ma la conferma di questo inquadramento rende necessario individuare quali siano i valori costituzionali su cui questo strumento incide, in quanto, come già sostenuto356, la loro ammissibilità, come prova non disciplinata dalla legge, potrà avvenire solo se risulterà rispettato il dettato costituzionale.
Da questo punto di vista, mentre appare discutibile che questo mezzo investigativo comporti una compromissione del diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 15 Cost.), perché ciò assumerebbe rilevanza solo se le perquisizioni riguardassero l’apprensione di comunicazioni informatiche, come l’email o le conversazioni VoIP., appare più rilevante una possibile lesione della sfera di tutela prevista dall’art. 14 Cost.. Infatti, anche se a prima vista questa lesione sembrerebbe esclusa a causa del legame fisico richiesto tra il concetto tradizionale di “domicilio” e l’ambiente in cui si svolge l’attività privata oggetto di protezione costituzionale, in realtà è ormai riconosciuto in dottrina che il web costituisca uno spazio virtuale in cui un soggetto svolge la propria attività e la cui conoscibilità è esclusa a terze persone357. Se si aderisse a questa soluzione, si dovrebbe raggiungere la conclusione circa l’inammissibilità delle perquisizioni online, sia per l’assenza di una
356 Vedi il precedente capitolo II sui limiti costituzionali.
357 F. IOVENE, Le perquisizioni on-‐line tra nuovi diritti fondamentali ed esigenze di accertamento penale, cit., che utilizza il termine di “domicilio informatico”. Inoltre v., M.
TROGU, Sorveglianza e “perquisizioni” online su materiale informatico, in A. SCALFATI ( a
cura di), Le indagini atipiche, Giappichelli, 2014, p.434, che ipotizza la violazione dell’art. 14 Cost. nel caso delle perquisizioni informatiche sulla base della necessaria installazione del programma spia all’interno del sistema da monitorare, certamente catalogabile in quegli “speciali strumenti” idonei a superare le barriere poste dal soggetto controllato a protezione del domicilio, strumenti a cui ha fatto riferimento la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 149/2008, allorquando ha vincolato l’operatività dell’art. 14 Cost., in tema di videoriprese di comportamenti non comunicativi all’interno del domicilio, al caso in cui siano stati apprestati adeguati accorgimenti per evitare la captazione occulta dell’attività svolta nel luogo di privata dimora.
previsione legislativa che stabilisca i casi e i modi in cui esse potrebbero incidere sulla libertà di domicilio, sia per il fatto che una lettura rigorosa dell’art. 14 Cost. vieterebbe limitazioni alla libertà di domicilio finalizzata allo svolgimento di attività diverse da quelle espressamente previste e cioè ispezioni, perquisizioni o sequestri358.
Un’interessante dottrina359, ha osservato che chi non ritiene estensibile al concetto di domicilio informatico la tutela prevista dall’art. 14 Cost., non può non riconoscere che vi sia comunque un diritto alla riservatezza tutelabile ai sensi dell’art. 2 Cost. il quale, non ponendo alcuna riserva di legge, consentirebbe lo svolgimento dell’attività di perquisizione di un sistema informatico, come prova rientrante nello schema dell’art. 189 c.p.p., previa autorizzazione motivata dell’Autorità giudiziaria360.
Quest’ultima considerazione, e cioè il riferimento alla tutela prevista dall’art. 2 Cost. al diritto alla riservatezza, presa in sé per sé, sembra offrire garanzie meno strutturate rispetto a quella prevista dagli artt. 13, 14 e 15 Cost., ma forse non è così. Infatti, questa chiave di lettura deve correlarsi anche con l’art. 8 CEDU361, il quale impone anche l’individuazione delle condizioni di limitazione di tali diritti
358 Va ricordato comunque che la giurisprudenza maggioritaria non ritiene comunque
tassativa l’elencazione dell’art. 14 Cost.. Vedi Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, cit., p.1347. Con nota di C. CONTI, Le video-‐riprese tra prova atipica e prova incostituzionale: le Sezioni Unite elaborano la categoria dei luoghi “riservati”, cit.
359 F. IOVENE, Le perquisizioni on-‐line tra nuovi diritti fondamentali ed esigenze di
accertamento penale, cit.
360 Tale affermazione si fonda sulle stesse argomentazioni utilizzate dalla famosa
sentenza Prisco (Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, cit.) per giustificare la distinzione di disciplina tra videoriprese di comportamenti non comunicativi effettuate in luoghi di privata dimora, inammissibili in quanto lesive dell’art. 14 Cost. e spazi riservati, attività ricondotta nell’alveo dell’art. 189 c.p.p. e per le quali è stato ritenuto sufficiente un provvedimento motivato dell’Autorità giudiziaria.
fondamentali362. Tra queste si evidenzia la necessità che l’attività d’indagine sia prevista dalla legge o in alternativa che abbia una base legislativa o giurisprudenziale che sia conoscibile dall’interessato, cosicché egli possa prevedere le conseguenze della misura nei suoi confronti.
Passando ad analizzare le soluzioni processualmente accolte nel diritto interno, si può rilevare come la giurisprudenza, con riferimento ad altre attività atipiche d’indagini, ad esempio le videoriprese di comportamenti non comunicativi realizzate in luoghi riservati o le registrazioni effettuate con strumenti forniti dalla polizia giudiziaria, abbia ritenuto sufficiente la garanzia di un livello minimo di tutela consistente in un provvedimento autorizzativo del P.M.363.
Ma questa soluzione, che, anche per i casi sopracitati, la dottrina non considera soddisfacente, come abbiamo già rilevato nei capitoli precedenti relativi alle altre tipologie d’investigazioni tecnologiche, non è certamente auspicabile per il caso in esame. Infatti, partendo dal principio affermato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007, secondo cui l’integrazione tra le norme di diritto interno e quelle sovranazionali debba perseguire il rafforzamento delle libertà
362 Non è in discussione che le norme CEDU hanno nell’ordinamento interno un valore
inferiore solo alle norme della Costituzione, cosicché nel caso di eventuale contrasto tra una norma di legge interna e una norma CEDU potrà essere sollevata anche la questione di legittimità costituzionale, come ha stabilito la Corte Costituzionale basandosi sull’art. 117, comma 1, Cost.. Sul punto si vedano le sentenze della Coste Costituzionale n. 348 del 22 ottobre 2007 e n. 349 del 22 ottobre del 2007.
363 Cass., Sez. un, 26marzo 2006, cit., in tema di videoriprese di comportamenti non
comunicativi eseguite in luoghi riservati diversi dal domicilio; Cass., Sez. IV, 7 aprile 2010, in C.E.D. Cass., n.247384, in tema di registrazioni eseguite da un interlocutore con strumenti forniti dalla P.G.; Cass. Sez. un., 23 febbraio 2000, in Giur. it, 2001, p.1707, in tema di tabulati telefonici.
oggetto di tutela364, appare chiaro come il diritto alla riservatezza informatica sia riconosciuto non solo dall’art. 2 Cost., ma anche dall’art. 8.1 CEDU365 e conseguentemente eventuali limitazioni o restrizioni a questo diritto possono avvenire solo se rispettose delle prescrizioni contenute nella stessa CEDU all’art. 8.2, che afferma: “……..non può
esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
Anche a livello di norme comunitarie, è chiara l’applicazione del principio soprariportato, se consideriamo l’art. 5 par. 2 della direttiva 2002/58/CE, relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, che dispone che: “….gli Stati membri assicurano, mediante disposizioni di leggi nazionali, la
riservatezza delle comunicazioni effettuate tramite la rete pubblica di comunicazione e i servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, nonché dei relativi dati sul traffico. In particolare essi vietano l’ascolto, la captazione, la memorizzazione ed altre forme d’intercettazione o di sorveglianza delle comunicazioni e dei relativi dati sul
364 Afferma la Corte Costituzionale nelle citate sentenze che: “il confronto tra tutela
convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie…..con la precisazione che nel concetto di massima espansione delle tutele deve essere compreso il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti”.
365 L’art. 8.1 CEDU afferma che : “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita
privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”. La stessa tutela
è prevista anche dall’art. 7 della Carta di Nizza (carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
traffico ad opera di persone diverse dagli utenti, senza il consenso di quest’ultimi, eccetto quando sia autorizzato legalmente a norma dell’art. 15 paragrafo 1”366.
Pertanto si può concludere che, allo stato dei fatti, le cosiddette perquisizioni online risultano inammissibili per il nostro diritto interno perché rappresentano una compressione del diritto alla riservatezza “informatica” non legittima, in assenza di una previsione legislativa e del rispetto del principio di proporzionalità367.
Ma questa conclusione non deve rappresentare un punto di arrivo bensì solo un punto di partenza. Del resto si è visto che, a livello internazionale e comunitario, l’esigenza di utilizzare questo metodo d’indagine per la lotta alle varie forme di criminalità e terrorismo tende ad affermarsi sempre più, e negare la validità di questo strumento d’indagine nel nostro ordinamento non è certo una soluzione appagante. È auspicabile, pertanto, che il legislatore si preoccupi di intervenire in materia con una disciplina specifica che, sulla base del principio di proporzionalità, persegua un bilanciamento tra i diritti costituzionalmente protetti in gioco, e precisamente quello della riservatezza informatica e quello della repressione dei reati. E ciò potrà avvenire solo se il legislatore disciplinerà questa materia stabilendone un uso, anche per finalità preventive, limitato
366 L’art. 15 paragrafo 1 della Direttiva 2002/58/CEE consente agli Stati membri di
adottare norme tendenti a limitare il diritto alla riservatezza delle comunicazioni nella misura in cui la limitazione sia una misura necessaria, opportuna e proporzionata per la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati.
367 F. IOVENE, Le perquisizioni on-‐line tra nuovi diritti fondamentali ed esigenze di
accertamento penale, cit., p.19; S. MARCOLINI, Le cosiddette perquisizioni online ( o perquisizioni elettroniche), cit., p.2861, secondo il quale, se le perquisizioni online fossero
effettuate in un procedimento penale italiano, “ dovrebbero essere dichiarate
inammissibili come prova perché, non previste dalla legge, verrebbero ad incidere su di un bene giuridico (riservatezza della vita privata) la cui lesione, alla luce del nuovo combinato costituzionale-‐ sovranazionale [….] esige la previa determinazione, da parte del legislatore ordinario, dei casi e dei modi di aggressione di quel bene”.
a particolari gravi reati debitamente individuati, prevedendo un necessario e motivato provvedimento motivato dell’Autorità giudiziaria, stabilendo le modalità di intromissione e dello svolgimento dell’attività d’indagine e, infine, introducendo specifiche garanzie a tutela dei dati personali non rilevanti per le indagini e considerando inutilizzabile il materiale acquisito illegittimamente.
4. LE PERQUISIZIONI ONLINE IN ITALIA: DAL DIRITTO ALLA PRASSI.
Il silenzio del legislatore nazionale in tema di utilizzo di captatori o altri mezzi tecnici necessari per la perquisizione occulta di sistemi informatici o telematici non ha impedito in quest’ultimi anni la formazione di una prassi seguita da molti pubblici ministeri che, pur di non rinunciare a questi strumenti dotati di enormi potenzialità investigative, hanno ritenuto di ricorrere (in via analogica) alla disciplina delle intercettazioni per ottenere una più sicura copertura giuridica al fine di escludere eventuali eccezioni di inutilizzabilità per violazione della riserva di legge in materia probatoria.
Ne è stato un esempio il cosiddetto “caso Virruso”368, in cui la Suprema Corte, pur analizzando il problema dal punto di vista del legittimo ingresso nel processo della prova, ai sensi dell’art. 189 c.p.p., ha legittimato indirettamente l’uso del captatore informatico come mezzo atipico di ricerca della prova. In particolare ha escluso che il ricorso ad un
captatore informatico, consistente in un’apparecchiatura in grado di intercettare e clonare in tempo reale il flusso unidirezionale d’informazioni veicolato dall’utilizzatore sul proprio computer attraverso comuni software di videoscrittura, possa ritenersi in conflitto con le tutele garantite dagli artt. 14 e 15 Cost..
Ma, in questo caso, anche se si può riconoscere corretta l’interpretazione della Cassazione rispetto all’art. 15 Cost., in quanto i flussi d’informazione oggetto di apprensione non avevano certo contenuto comunicativo, e quindi non vi era violazione al diritto di segretezza delle comunicazioni, non appare esente da critiche la negazione della violazione del domicilio di cui all’art. 14 Cost.
Infatti, l’aver affermato che “invero, l’apparecchio monitorato con l’installazione
del captatore informatico non era collocato in un luogo domiciliare ovvero in un luogo di privata dimora, ancorché intesa nella sua più ampia accezione, bensì in un luogo aperto al pubblico”, ossia in una sede di un ufficio comunale dove sia
l’imputato sia altri impiegati ed, in determinati momenti della giornata, il pubblico degli utenti ed il personale delle pulizie, avevano libero accesso, ha indotto la Corte a rovesciare la prospettiva per inquadrare correttamente il caso: infatti non doveva avere rilevanza il luogo dove era collocato il sistema informatico, ma doveva essere individuato lo stesso sistema informatico come luogo, dando rilevanza a quest’ultimo e non al primo, confermando così il concetto di domicilio informatico inteso quale spazio ideale, ma anche fisico, in cui sono contenuti i dati
informatici di pertinenza della persona369. Ma l’aspetto di questo caso che più ci interessa è il fatto che, sostanzialmente, la Cassazione non ha rilevato illegittimità nel “decreto di acquisizione di atti”, ai sensi dell’art. 234 c.p.p., con il quale il P.M. aveva autorizzato tale attività. In realtà, il decreto disponeva l’acquisizione non solo dei file già esistenti, ma anche di tutti quei dati che sarebbero stati inseriti in futuro nella memoria del personal computer in uso al soggetto indagato, formatisi, pertanto, dopo il provvedimento, realizzando in tal modo un vero e proprio monitoraggio occulto e continuativo del contenuto della memoria di massa del computer, con un’attività protrattasi per oltre otto mesi, che, evidentemente, esula dallo schema normativo dell’art. 234 c.p.p..
Interessante, per il tipo particolare d’intromissione nel computer del soggetto controllato, è stato anche il caso “Svanityfair.com”370 , riguardante la pubblicazione, su questo sito, di numerosi articoli ritenuti dalla Procura della Repubblica diffamatori; per scoprire chi fosse l’effettivo gestore del sito, gli inquirenti, tramite il tracciamento preventivo del sito e delle mail collegate a quest’ultimo, utilizzarono l’invio di “e-mail civetta”, dando luogo ad una vera e propria
369 Per l’interpretazione corretta di domicilio informatico vedi Cass. pen., sez V, 26
ottobre 2012, n. 42021: il caso esaminato dalla Corte aveva ad oggetto la condotta di un tecnico informatico che, avendo lavorato come dipendente di una certa società ed essendo a conoscenza degli indirizzi di posta elettronica degli impiegati, si era introdotto nel server di posta elettronica della società, effettuando da una postazione presso la sua abitazione molteplici tentativi di accesso a caselle e-‐mail di membri della società, alcuni dei quali giunti a buon fine, violando molti account dei dipendenti e trasmettendo altresì e-‐mail destinate al servizio di posta elettronica interna mediante gli account violati. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di Appello territoriale che aveva confermato la condanna in primo grado dell’imputato. Attraverso il riconoscimento del c.d. “domicilio informatico”, la Suprema Corte ha ritenuto in particolare valida la querela sporta dal legale rappresentante della società titolare del server violato, riconoscendo cioè tutela a chiunque abbia racchiuso nel proprio domicilio dei dati, a prescindere dalla loro natura e da quella del loro titolare.
introduzione occulta in uno dei due terminali attivi della conversazione, al fine di intercettare dati inerenti all’ipotesi di reato in questione. Lo stesso P.M., nella sua requisitoria definì corretta l’attività della polizia giudiziaria, eseguita su delega dello stesso P.M., di inviare dell’e-mail all’indagato, il quale, proprio per aver risposto a queste e-mail, aveva “implicitamente comunicato una serie di dati tecnici, i quali adeguatamente elaborati e
sviluppati, anche con la collaborazione del gestore della telefonia, aveva condotto alla sua compiuta e precisa identificazione”371. Il Tribunale, nell’accogliere la tesi del P.M. ritenne che il caso potesse inquadrarsi come un’ipotesi di mezzo di ricerca della prova atipico, pacificamente ammissibile nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 189 c.p.p.372. Ma a ben vedere lascia perplessi il fatto che questo tipo di attività non sia stata considerata come un intercettazione; infatti vi sono due terminali attivi, uno mittente, quello della polizia giudiziaria con l’e-mail traccianti, ed uno destinatario, quello dell’indagato. In questa ipotesi risulta evidente che si ha a che fare con un comportamento comunicativo vero e proprio, anche se non vocale: infatti, le risposte dell’indagato, con le quali sono state implicitamente comunicate una serie di dati tecnici, non possono che rappresentare una oggettiva attività di captazione di tali informazioni da parte della polizia giudiziaria, che avrebbe dovuto essere autorizzata dall’autorità competente alla stregua di una qualsiasi intercettazione.
371 Secondo il P.M. non ricorreva la figura del c.d. agente provocatore, perché non vi era
stata nessuna induzione alla commissione di reati.