Sommario
Introduzione
………...……...p. 5Capitolo
I.
Aspetti generali della prova atipica: definizione, ambito di
applicazione, sua ammissibilità e assunzione.
1. Sistemi processuali e cenni storici………...………...……p. 9 2. La definizione della prova non disciplinata dalla legge e suo ambito di
applicazione………...……...…...p. 17
3. L’applicabilità dell’art. 189 c.p.p. ai mezzi di ricerca della prova....…...…p. 19 4. L’ammissibilità e l’assunzione della prova atipica……..…………..……p. 22
Capitolo II.
Ammissibilità della prova atipica: limiti della legge e limiti
costituzionali.
1. Premessa………..…………...…..…..p. 30 2. Limiti di ammissibilità di legge………...……p. 31 3. Limiti di ammissibilità costituzionali………..………...……p.38
Capitolo III.
Le captazioni di immagini, movimenti e comunicazioni.
Premessa………...………..…...p. 52
Sezione I
Le videoregistrazioni
1. Le videoregistrazioni eseguite da soggetti diversi dagli inquirenti………...p. 53 2. Le videoregistrazioni come documentazione di attività tipiche d’indagine...p. 55 3. Le videoregistrazioni quali atti d’indagine autonomi…………...……...p. 56 4. Le videoregistrazioni in luoghi pubblici………..…………p. 67 5. Le videoregistrazioni nei luoghi di privata dimora…...……….p. 70 6. Le videoregistrazioni nei luoghi “riservati”………...…..p. 77 7. I problemi applicativi derivanti dall’elaborazione giurisprudenziale……...p. 84 8. L’evoluzione informatica delle videoriprese: il caso dell’attivazione in “remoto della
webcam”………...…..……….…p. 90
Sezione II
L’ascolto occulto delle conversazioni tra presenti.
1.
I caratteri distintivi………...……p. 982. La captazione di conversazioni effettuate dal privato “motu proprio”...p. 100 3. La captazione di conversazioni effettuate dall’agente segreto attrezzato per il
Sezione III
Il pedinamento satellitare o elettronico.
1. Il concetto di pedinamento satellitare o elettronico e sua natura giuridica...p. 110 2. Il pedinamento satellitare: ipotesi di prova atipica………...…...…p. 119 3. Modalità di esecuzione del pedinamento satellitare e compatibilità con i diritti
fondamentali………...….p. 123
4. I risultati del pedinamento satellitare: atti ripetibili o irripetibili?...p. 128
Capitolo IV
Le investigazioni informatiche.
1. Premessa……….…………...…...p. 137 2. La legge 18 marzo 2008 n.48: introduzione della computer forensics nel sistema
processuale italiano………...p.142
3. Ispezione e perquisizione di sistemi informatici e telematici………...p. 148 4. Il sequestro informatico………...……..p. 151 5. Un’ipotesi particolare: l’oscuramento………...…………..p.158 6. L’investigazione informatica a scopo esplorativo…….……...…p. 162
Capitolo V
Le c.d. perquisizioni online.
2. Le perquisizioni online: esperienze europee ed internazionali…………....p. 171 3. Le perquisizioni online nel vigente ordinamento italiano...p. 176 4. Le perquisizioni online in Italia: dal diritto alla prassi………...………p. 183
5. La normativa antiterrorismo e l’introduzione delle perquisizioni online:
opportunità o errore?...p. 189
6. Il problema della modalità della raccolta delle prove digitali...p. 193
Capitolo VI
Il mandato europeo di ricerca della prova.
1. Premessa………...………p. 200 2. Caratteri generali e sue criticità………...……...p. 201
Osservazioni conclusive
……….………...p. 209INTRODUZIONE
Il tema della “prova atipica” trova il suo fondamento normativo nell’art. 189 c.p.p., inserito dal legislatore del 1988 tra le disposizioni generali riportate dal Titolo Primo del Libro Terzo del Codice di Procedura Penale. L’apparente chiarezza lessicale dell’articolo nasconde in realtà due aspetti di particolare rilievo: uno di carattere storico-scientifico, e l’altro di applicazione pratica.
Per quanto concerne il primo, si deve tener conto che quest’articolo costituisce il risultato, o meglio la sintesi, del dibattito fondamentale che si svolse durante la nascita del vigente codice di procedura penale tra chi sosteneva la tassatività dei mezzi di prova e chi invece sosteneva la libertà degli stessi1. L’altro aspetto concerne l’individuazione dei confini di ammissibilità di questa tipologia di prova sulla base del necessario confronto con il principio di legalità processuale sancito all’art.111 comma 1 della Costituzione2 e dell’art.6 comma 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo3, norme poste sia per garantire la corretta
1 Regola vigente fino al codice del 1930. Sul tema E. ZAPPALÀ, Il principio di tassatività dei
mezzi di prova, Giuffrè ,1984, p.1 e ss.
2 Cost, art.111,comma 1: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato
dalla legge”.
3 CEDU art.6 comma 1: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata
equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo
ricostruzione del fatto ma soprattutto a tutela dei diritti fondamentali dell’individuo.
Proprio una corretta applicazione di questa norma si rende necessaria per porre un freno a prassi giurisprudenziali devianti che, facendo ricorso ad interpretazioni innovative circa l’atipicità probatoria, classificano come atipiche, e quindi ammissibili, prove assunte contra legem ovvero assunte violando disposizioni dettate dall’ordinamento.
Si pensi alle ipotesi della ricognizione dell’imputato in udienza, la captazione di conversazioni da parte di soggetto attrezzato per il suono oppure il caso del riconoscimento fotografico effettuato di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria.
Del resto l’applicabilità dell’articolo in esame dovrebbe limitarsi a quelle prove che siano realmente “innominate”, se è vero che la norma stessa richiede che preventivamente venga verificata la possibilità di assumere la prova richiesta secondo uno dei modelli tipizzati dal legislatore; solo dopo l’esito negativo di tale verifica, il giudice potrà provvedere ad ammettere la prova richiesta.
Altro aspetto discusso, che si fa derivare dal principio di legalità del processo, è l’applicazione di quanto previsto dall’art 189 c.p.p. alle fasi anteriori al dibattimento in virtù dell’art. 61 c.p.p. che estende i diritti e le garanzie riconosciute all’imputato anche alla persona sottoposta ad indagini preliminari.
nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità può pregiudicare gli interessi della giustizia”.
Non minor importanza riveste il dibattito, soprattutto della dottrina processualpenalistica circa il problema della definizione della prova non disciplinata dalla legge: l’atipicità si riferisce solo al mezzo di prova o anche alle modalità attraverso le quali il mezzo viene acquisito al processo?
Esistono diverse forme di atipicità dei mezzi di prova? Sono configurabili mezzi atipici di ricerca della prova?4
Queste problematiche, come anche altre, hanno dato luogo ad un interessamento, sia dottrinario che giurisprudenziale, particolarmente vivo ed in continuo fermento, tenuto conto che il concetto di prova atipica è oggi legato anche al concetto di nuova prova scientifica, con tutte le conseguenze del caso in ordine alla loro ammissibilità come mezzi di prova. In questa ottica relegare il tema della prova atipica ad ipotesi residuale esige un ripensamento ed obbliga l’interprete ad evidenziare e definire in modo certo i diversi aspetti e requisiti applicativi soprattutto nei confronti dei principi costituzionali ed internazionali5 direttamente
4 Il vigente codice di procedura penale ha introdotto la distinzione innovativa tra mezzi
di prova e mezzi di ricerca della prova. Come riportato nella relazione al progetto preliminare del codice stesso( p.59) i primi vengono definiti come mezzi idonei di per sè ad offrire al giudice risultanze probatorie da poter utilizzare in sede di decisione, mentre i secondi si caratterizzano per la loro funzione di servizio finalizzata all’acquisizione al processo di cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria.
5 Oltre la CEDU già citata, si vedano gli art. 11,12 della Dichiarazione universale dei diritti
umani: Articolo 11 “1. Ogni individuo accusato di reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie per la sua difesa. 2. Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetrato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso.”; Articolo 12 “Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.”
applicabili nel nostro ordinamento ai sensi e per gli effetti dell’ art. 11 della Costituzione.
Nel corso del lavoro si cercherà di riassumere lo stato del dibattito sul tema, sia dal punto di vista dottrinario sia da quello giurisprudenziale, evidenziando in particolar modo gli aspetti più contrastati, quali l’ammissibilità, l’utilizzabilità ed i limiti costituzionali o di altra natura delle prove atipiche, nonché alcune ipotesi pratiche di questa tipologia di prova che gli interpreti ritengono di riconoscere come casi di prove atipiche, ed inoltre alle ipotesi di nuovi mezzi di ricerca della prova, per i quali si invoca il riferimento al concetto di atipicità per legittimare la loro ammissibilità nel procedimento penale. Il tutto con particolare riferimento ai quei mezzi di ricerca nati con l’evoluzione tecnologica ed in continuo mutamento man mano che il progresso scientifico propone nuove opportunità interessanti per gli organi inquirenti.
C
APITOLOI
A
SPETTI GENERALI DELLA PROVA ATIPICA:
DEFINIZIONE,
AMBITO DI APPLICAZIONE,
SUA AMMISSIBILITÀ ED ASSUNZIONE.
1. SISTEMI PROCESSUALI E CENNI STORICI.
È dato comune che ogni Stato, in qualsiasi tempo, ha avuto ed ha necessità di regolare il fenomeno giuridico del processo penale. Tuttavia le epoche storiche ed i vari ordinamenti hanno prodotto molteplici articolazioni e forme tali da non consentire di immaginare il fenomeno come riconducibile ad un modello univoco.
Ciononostante, nei vari sistemi è possibile individuare e riconoscere degli elementi comuni che rappresentano, da un punto di vista generale ed astratto, dei modelli processuali6.
I modelli che appaiono più frequenti sono due: l’inquisitorio e l’accusatorio. Dal punto di vista del fine cui deve tendere il processo penale, i due modelli si differenziano in quanto, il modello inquisitorio sembra basarsi più sulla valutazione dell’illecito penale come violazione dell’interesse pubblico al mantenimento della pace sociale e della giustizia, mentre il modello accusatorio è maggiormente rivolto a una
6 Vedi G. TRANCHINA, Il processo penale e le sue caratteristiche, in D. SIRACUSANO, A. GALATI, G.
valutazione dell’illecito penale come violazione d’interessi individuali7. Se si considerano questi sistemi invece dal punto di vista strutturale, il sistema inquisitorio è caratterizzato dalla presenza di un giudice inquisitore che può ricercare e giungere anche da solo ad una verità che sarà tanto più indiscutibile quanto più potere gli sarà riconosciuto dall’ordinamento. In alternativa il sistema accusatorio, partendo dalla certezza dei limiti della natura umana, ritiene che la ricostruzione del fatto storico possa avvenire solo con il confronto tra le diverse rappresentazioni prospettate dalle parti: in sostanza, per giungere alla verità si considera preferibile lo scontro tra soggetti mossi da interessi contrapposti, in cui il giudice svolge un ruolo più da arbitro e tutore delle regole processuali.
Per quanto concerne l’ordinamento italiano, durante il secolo appena trascorso, grande è stato l’interesse degli studiosi circa le modalità di accertamento della verità che caratterizzano i suddetti sistemi, in particolare in occasione delle modifiche legislative. Infatti con il nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore nel 1989, è stato abbandonato il precedente sistema caratterizzato da una forte impronta inquisitoria8, anche se dichiarato formalmente misto9, per passare ad un
7 C’è chi sostiene non errata “sebbene alquanto schematica, la ricorrente affermazione
secondo cui il processo accusatorio sarebbe espressione dei regimi democratici, il processo inquisitorio dei regimi totalitari”, vedi G. ILLUMINATI, Accusatorio ed inquisitorio( sistema), in Enc.giur.Treccani, vol I, Roma 1988, p.2.
8 Anche se nella relazione al precedente codice di procedura penale il Ministro della
Giustizia Rocco aveva dichiarato che l’obiettivo del codice stesso era “un giusto equilibrio” tra gli interessi dello stato e quelli dell’imputato, non si può non ricordare che la fase istruttoria era caratterizzata dalla segretezza e dalla scarsa attuazione del diritto di difesa; il pubblico ministero era dipendente dal potere esecutivo ed aveva i medesimi poteri coercitivi previsti per il giudice istruttore; egli poteva assumere prove e decidere di rinviare l’imputato a giudizio come fosse stato un giudice.
sistema accusatorio. Fondamentale, con questa riforma è stata la netta separazione tra le funzioni attinenti all’azione penale, che sono attribuite al P.M e concentrate nella fase delle indagini preliminari e le funzioni attinenti alla giurisdizione assegnate ad un organo giurisdizionale nella fase del dibattimento, con la conseguenza, in materia di prove, che nella fase dibattimentale possono essere utilizzate come prove solo quelle formatesi con il metodo del contradditorio tra le parti.
Quindi la fase del dibattimento, quale unica sede dove è consentito accertare e provare i fatti, ha determinato un cambio di prospettiva rispetto al modello previgente, poiché l’iniziativa di ricerca della prova e richiesta di ammissione dei mezzi di prova è attribuita alle parti10. È bene comunque precisare che tale cambiamento è senz’altro frutto della riforma codicistica del 1989, ma ciò non vuol dire che, in ogni caso, l’iniziativa probatoria delle parti sia una caratteristica necessaria del sistema accusatorio11. Ne siano prova, ad esempio, il codice di procedura civile napoleonico e il codice di procedura civile austriaco del 1898, che prevedono iniziative d’ufficio del giudice e un suo ruolo comunque
9 Il sistema misto è un sistema che ha in sé elementi sia del sistema accusatorio (difesa
dell’imputato) che di quello inquisitorio (difesa della società dal crimine); infatti la fase anteriore al dibattimento è prevalentemente inquisitoria in quanto segreta e condotta dal giudice; invece il dibattimento è prevalentemente accusatorio in quanto fondato sul contraddittorio tra le parti.
10 Riguardo all’iniziativa probatoria, con il nuovo ordinamento al giudice è riconosciuto
un ruolo residuale; infatti può esercitare poteri istruttori solo quando tassativamente previsto dal legislatore, entro limiti non soggetti ad estensione per via analogica e quando ciò si renda necessario per integrare l’attività probatoria delle parti o di sostituirsi alla loro inerzia.
11 A. DE CARO, Poteri probatori del giudice e diritto alla prova, Napoli 2003, p.108, sostiene
comunque che il legislatore del 1988 ha riconosciuto al giudice oltre il ruolo di garante della correttezza delle dinamiche probatorie, anche un ruolo attivo nella misura in cui gli viene consentito di assumere d’ufficio elementi utili alla decisione se ritenga ciò assolutamente necessario.
attivo12. Perciò sembra preferibile affermare che caratteristica necessaria ed ineludibile del sistema accusatorio, non sono i compiti più o meno attivi del giudice, bensì l’ esigenza che la prova si formi nel contraddittorio delle parti13.
Appare pertanto logico che, avendo il legislatore del 1988 scelto, anche se con alcuni temperamenti, il sistema accusatorio, il codice vigente abbia previsto un vero e proprio “diritto delle prove” dedicando un intero libro del codice alla materia della prova, assente nell’abrogato codice del 193014. Infatti, durante la vigenza di quest’ultimo, il presunto contrasto tra il principio di tassatività e il principio della libertà dei mezzi di prova costituiva uno tra i principali problemi su cui si contrapponevano dottrina e giurisprudenza. In sostanza, ci si chiedeva se esistevano regole processuali che proibivano o consentivano l’utilizzazione di qualsiasi mezzo di prova sia esso irrituale o al limite anche difforme da precetti normativi. La risposta giurisprudenziale a questa domanda era in definitiva negativa circa l’esistenza di limiti, sulla base del riferimento al principio del libero convincimento del giudice, secondo cui questi era svincolato da regole restrittive e libero di potersi servire di qualsiasi mezzo di prova. Con la conseguenza che qualsiasi irregolarità durante il procedimento di acquisizione della prova sarebbe stato giustificato (in
12 G. TARELLO, Dottrine del processo civile. Studi storici sulla formazione del diritto
processuale civile, Milano 1989, p.10.
13 G. ILLUMINATI, op.cit.p2
14 V. GREVI, Prove, in G. CONSO, V. GREVI e M. BARGIS, Compendio di procedura penale, Padova 2012, p.300, secondo cui l’idea di racchiudere in un unico contesto normativo, all’interno del codice, la disciplina delle prove nasce dall’esigenza di ripudiare l’impostazione frammentaria del codice del 1930 che aveva palesemente manifestato il proprio orientamento a ravvisare nella fase istruttoria, anziché in quella dibattimentale, il vero baricentro del processo.
assenza di una sanzione espressa) dal principio del libero convincimento15. In realtà in dottrina era stato sostenuto che tale principio non poteva essere alla base del fenomeno acquisitivo delle prove ma solo del momento valutativo, dovendo il legislatore preoccuparsi che il giudice avesse dei limiti nella scelta del materiale probatorio senza riconoscergli un potere troppo discrezionale al punto di determinare una vessazione nei confronti dell’imputato 16 . A giustificazione del principio di libertà dei mezzi di prova si sosteneva inoltre la necessità di ricercare in tutti i modi la verità materiale17.
Tuttavia, anche se c’è chi ha sostenuto che il libero convincimento del giudice e il principio della libertà dei mezzi di prova sono correlati fra loro18, in realtà è stato ritenuto preferibile in dottrina non confondere il principio di libero convincimento con il principio della libertà delle prove perché, il primo attiene al potere del giudice di sottoporre al suo libero esame le prove a lui portate mentre il secondo riguarda ciò che va provato e gli strumenti con cui la prova viene acquisita19. Quindi in sintesi, anche se nel codice del 1930 non era stato formalmente sancito il
15 E. ZAPPALÀ, Il principio di tassatività dei mezzi di prova nel processo penale, Milano 1982,
pp.108-‐110.
16 Sul punto G. DE LUCA, Il sistema delle prove penali e il principio del libero convincimento
nel nuovo rito, in Riv. It. Dir. Proc. pen. 1992, p.1268, che sostiene come il libero
convincimento ha rappresentato per tanto tempo l’artifizio attraverso il quale una giurisprudenza basata su un avventuroso criterio teleologico nell’interpretare le norme processuali ha recuperato e utilizzato prove acquisite contra legem, abolendo di fatto quasi tutte le regole di esclusione delle prove.
17 È questo l’effetto della visione pubblicistica del sistema inquisitorio che, come detto in
precedenza, dà preminenza alla pretesa punitiva dello Stato, consentendo allo stesso un potere illimitato finalizzato all’accertamento del fatto sia nella fase della ricerca della prova, eliminando ogni regola di esclusione delle stesse, sia nella fase della valutazione, eliminando qualsiasi vincolo di prova legale.
18 M. NOBILI, Il principio del libero convincimento del giudice, Milano 1974, p.38. 19 G. LEONE, Manuale di diritto processuale penale, Napoli 1986, p.447.
principio di libertà dei mezzi di prova20, tale regola era divenuta prassi diffusa tanto da consentire l’uso di tutti quelli elementi si fossero ritenuti utili all’accertamento della verità materiale con conseguente introduzione nel processo di prove mascherate dalla qualificazione di atipicità, ma in realtà acquisite violando divieti probatori.
Di fronte a questi contrapposti orientamenti, ad un certo punto sembrò prevalere, nella discussione dottrinaria, la necessità di contrastare l’ammissibilità di prove non previste dal codice al fine di non comprimere oltre i diritti dell’imputato, il tutto sulla base sia dell’assenza nel codice Rocco di norme chiare circa l’adozione del principio di libertà delle prove sia dall’esame degli articoli 24 e 25 della Costituzione che, posti a tutela del diritto di difesa e della legalità processuale, amplificavano la funzione di garanzia anche costituzionale di tutte le norme codicistiche dettate in materia di prova penale21. Questo pensiero è stato bene espresso anche da un autorevolissimo autore22 secondo il quale: “Quando il codice nella sua ben architettata scrittura prevede un quadro di
mezzi di prova, è intorno ad esso che deve roteare la vicenda giudiziaria; essendo evidente, tra l’altro, che la mancata previsione di un mezzo di prova sta a significare che le prospettive di politica criminale che hanno presieduto alla formazione della legge lo hanno escluso; e che anche in caso di sopravvenuto delinearsi di un nuovo strumento di acquisizione della prova non è l’interprete, bensì il legislatore a dover aggiornare il sistema”.
20 L’abrogato art.299 c.p.p. affermava soltanto che: “Il giudice istruttore ha l’obbligo di
compiere prontamente tutti e soltanto quelli atti che in base agli elementi raccolti e allo svolgimento dell’istruzione appaiano necessari all’accertamento della verità”.
21 E. ZAPPALÀ, Il principio di tassatività dei mezzi di prova nel processo penale, cit., p.99. 22 G. LEONE, Trattato di diritto processuale penale, Napoli, 1961, p.178.
Tale concezione sfociò, nel progetto di riforma del codice di procedura penale del 1978, mai entrato in vigore, ma che nel suo articolato comprendeva anche l’articolo 179 c.p.p. che sanciva espressamente il principio di tassatività dei mezzi di prova imponendo al giudice solo le prove previste dalla legge23.
Il legislatore del 1988, invece, non seguì lo stesso ragionamento ma decise di orientarsi verso una posizione intermedia bilanciando la volontà di non limitare i mezzi di prova entro un elenco già tipizzato con la scelta di prevedere particolari tutele per le garanzie difensive dell’imputato. Infatti con l’articolo 189 c.p.p. è stata introdotta la possibilità di acquisire prove non disciplinate dalla legge, con modalità ossequiose del principio del contradditorio nella formazione della prova che caratterizzava il nuovo codice di procedura penale. Così facendo il legislatore ha lasciato aperta la possibilità che, in particolare, il progresso scientifico potesse evidenziare nuovi mezzi di prova, ma contemporaneamente ne ha predeterminato rigorose regole legali che ne consentono una legittima introduzione nell’ambito del processo penale.
Si può dire, quindi, che nel prevedere l’articolo 189 c.p.p., il vigente codice ha accolto il principio di libertà dei mezzi di prova? Il tema è dibattuto tra chi ritiene che il principio di tassatività dei mezzi di prova
23 L’articolo 179 c.p.p. disponeva infatti: “il giudice non può ammettere prove diverse da
quelle previste dalla legge”. La Commissione preposta alla redazione del progetto di
riforma giustificò tale norma con la previsione costituzionale del diritto di difesa e della soggezione del giudice alla legge, chiarendo che “in questo nuovo quadro garantistico non
è concepibile che al giudice sia consentito di avvalersi di mezzi di prova atipici o innominati: in ordine ad essi la difesa non potrebbe esprimersi con tutta l’incisività e la pienezza richieste dalle norme costituzionali”.
sia stato abbandonato24, chi invece considera tale norma come norma di chiusura della disciplina dei mezzi di prova25 e chi, invece, ritiene che l’articolo 189 c.p.p. non sia né una norma di chiusura né una norma di apertura del sistema delle prove penali, in quanto non ne risulta predefinito lo spazio di applicazione26. In realtà, probabilmente ha ragione chi sostiene che l’articolo 189 c.p.p. si possa definire come norma di apertura vincolata dell’elenco legale in virtù della sua funzione sussidiaria, perché utilizzabile solamente se il mezzo di prova da assumersi non sia riconducibile ad una figura già tipizzata27.
La scelta legislativa appare ancora più chiara dalla lettura di un passaggio della relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale del 1988 che così recita: “L’articolo 189 regola l’assunzione delle prove non previste
espressamente dalla legge, così lasciando intendere che il sistema non recepisce il principio di tassatività senza peraltro ignorarne la portata garantistica. Il progetto del 1978 aveva invece escluso l’utilizzabilità di prove atipiche o innominate nell’intento di rafforzare le garanzie difensive dell’imputato in relazione a mezzi di accertamento dei fatti di reato la cui acquisizione potrebbe condurre ad errori o abusi. Riesaminatosi il problema in tutti i suoi profili di politica e tecnica processuale, si è scelta una strada intermedia che consente al giudice di assumere prove non disciplinate dalla legge ma lo obbliga a vagliare, a priori, che queste siano, al tempo stesso, affidabili sul piano della genuinità dell’accertamento e non lesive della libertà morale della persona. Verificata
24 P. TONINI, La prova penale, Milano, 2000, p.92.
25 A. CIAVOLA, Prova testimoniale e acquisizione per il suo tramite del contenuto delle
intercettazioni telefoniche, in Cass. Pen. , 2000, p.488.
26 O. DOMINIONI, La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-‐tecnici nuovi o
controversi e di elevata specializzazione, Giuffrè, 2005, p.86.
27 M. CHIAVARIO, Commento al nuovo codice di procedura penale, vol. II, Torino, 1990,
l’ammissibilità del mezzo di prova atipico, il giudice dovrà poi regolarne in concreto le modalità di assunzione così da rendere conoscibile in anticipo alle parti l’iter probatorio. È sembrato che una norma così articolata possa evitare eccessive restrizioni ai fini dell’accertamento della verità, tenuto conto del continuo sviluppo tecnologico che estende le frontiere dell’investigazione, senza mettere in pericolo le garanzie difensive”28.
2. LA DEFINIZIONE DELLA PROVA NON DISCIPLINATA DALLA LEGGE
E SUO AMBITO DI APPLICAZIONE.
Come appare evidente l’articolo 189 c.p.p. non riporta alcuna definizione di “prova atipica”29 e, certamente, non può risultare sufficiente limitarsi ad una interpretazione meramente lessicale, che condurrebbe a definire la prova atipica come semplice “prova diversa dai modelli legali disciplinati dalla legge”30. Su questo punto è stato particolarmente acceso il dibattito dottrinario che ha rilevato come il concetto di prova atipica abbia significati polivalenti; infatti, se da un lato il predetto termine può essere assunto con il significato di prova innominata, cioè non prevista dalla legge, dall’altro lato, se riferito al procedimento di assunzione delle prove come stabilito dalla legge, può anche indicare eventuali deviazioni da questo. Secondo la dottrina, nella prima ipotesi ciò che viene definito “innominato” è il mezzo di prova che non rientra nel catalogo legale o che consente di ottenere un risultato diverso da quello che si sarebbe
28 Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale del 1988, in Gazz.uff.
, 24 Ottobre 1988 numero 250, suppl.ord.n.2, p.60
29 In realtà il codice di procedura penale vigente non definisce neanche il concetto di
prova in generale.
raggiunto attraverso una prova tipica e che comunque costituisce fonte del convincimento del giudice31. Nella seconda ipotesi invece si individua il concetto di prova irrituale, intendendo per tale un mezzo di prova assunto in deroga al procedimento acquisitivo previsto dal legislatore32. Si identifica inoltre anche il concetto di prova “anomala”, quando si parla di una prova tipica, ma che venga formata deviando in tutto o in parte dalle regole previste dalla normativa di riferimento33.
Sul tema non si può non dare conto che l’interpretazione dottrinaria dominante dell’art 189 c.p.p. è sicuramente restrittiva, nel senso che l’atipicità a cui si riferisce la norma deve intendersi con riferimento ad eventuali nuovi mezzi d’indagine derivanti dal progresso scientifico. Da qui la netta distinzione tra la prova atipica in senso stretto e la prova, tipica o atipica che sia, ma acquisita illegittimamente, derogando alle regole di acquisizione al processo. In conclusione la prova atipica non può essere una prova contra legem, come ad esempio quelle sopra citate e nominate come prove “irrituali” e prove “anomale”, il cui ineludibile destino è quello di integrare una ipotesi di inutilizzabilità in base all’ art 191 c.p.p.
31 G. F. RICCI, Le prove atipiche, Milano 1999, p.46.
32 P. TONINI, La prova penale, op.cit. , p.94, che, ricordando che la testimonianza prevede la presenza del teste in aula, porta come esempio di modalità atipica di svolgimento l’esame del teste a distanza, che può essere legittimata dall’articolo 189 c.p.p., salvo che non ricorra l’ipotesi prevista all’articolo 147-‐bis disp. att. c.p.p. (ricognizione in dibattimento delle persone che collaborano con la giustizia)
33 È questo il caso, per esempio, del riconoscimento in udienza dell’imputato da parte del
testimone che avviene senza l’osservanza delle modalità della ricognizione previste dall’art 213 c.p.p., ipotesi che in giurisprudenza è ammessa al contrario di quanto sostenuto in dottrina. Sul punto vedi Cass., sez. I, 2 Febbraio 2005, in Cass.pen , 2006, p.2527, che la ritiene ammissibile non tanto come prova atipica ma perché costituisce parte integrante di una dichiarazione testimoniale.
Nei fatti, la dottrina preferisce individuare il campo di applicazione dell’articolo in esame nell’ambito del concetto del praeter legem, nel senso che la norma consente non solo mezzi di prova non coperti dalla previsione della legge, ma anche quei mezzi di prova tipici in cui taluni aspetti presentino elementi di atipicità finalizzati all’accertamento probatorio; il tutto purché le norme legislative che li regolano non ne prevedano l’invalidità34.
Inoltre l’esclusione della prova anomala e di quella irrituale della categoria delle prove atipiche si evince anche dal principio della legalità processuale sancito dall’articolo 111 Cost. e dal combinato disposto degli articoli 191 e 526 c.p.p. che vincolano il giudice ad utilizzare, ai fini della decisione, le sole prove legittimamente acquisite nel dibattimento siano esse atipiche o tipiche, imponendogli così il rispetto dei vincoli probatori imposti dal sistema35.
3. L’APPLICABILITÀ DELL’ART.189 C.P.P. AI MEZZI DI RICERCA DELLA
PROVA.
A questo punto occorre precisare che quanto sopra riportato riguarda la definizione di prova intesa come mezzo di prova, ma sappiamo che il legislatore del 1988, in tema di prove, ha distinto per la prima volta i mezzi di prova dai mezzi di ricerca della prova36. Da qui la dottrina si è
34 A. SCALFATI, Premesse sulla prova penale, in Trattato di procedura penale, a cura di G.
SPANGHER , vol II, t.I, Torino 2009, pp.27-‐28 , che ricorda inoltre la necessità di valutare di
volta in volta il regime delle nullità, caratterizzato dal principio di tassatività per individuare l’esistenza o meno di una valida prova atipica.
35 E. AMODIO, L’assunzione delle prove in dibattimento, in Quaderni C.S.M., 1991, p.25. 36 Vedi precedente nota 4.
chiesta se la disciplina prevista dall’articolo 189 c.p.p. possa essere estesa anche alla categoria dei mezzi di ricerca della prova; in sostanza sono ammissibili mezzi atipici di ricerca della prova?37
La difficoltà nell’argomentare la risposta deriva sostanzialmente da due aspetti fondamentali: il primo aspetto consiste nel fatto che il mezzo di prova viene assunto solamente davanti al giudice nella fase dibattimentale o nel corso di un incidente probatorio (quindi con tutte le cautele derivanti dal contraddittorio), mentre il mezzo di ricerca della prova può essere disposto dal giudice, o dal pubblico ministero o, addirittura, dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari. Il secondo aspetto deriva dal fatto che, di regola, il mezzo di ricerca della prova, al fine di assicurarne l’efficacia, è caratterizzato dall’esecuzione a sorpresa e senza preavviso.
Alcuni autori38 hanno negato l’applicabilità dell’art 189 c.p.p. ai mezzi di ricerca della prova sulla base dell’impossibilità di sentire anticipatamente le parti sulle modalità di assunzione, riconoscendo del resto che l’attività investigativa è già di per sé connotata da una naturale atipicità, regolamentata dagli articoli 55 e 348 c.p.p. che autorizzano lo svolgimento di qualsiasi attività, considerata utile per la ricostruzione del fatto e l’individuazione del colpevole.
37 Il legislatore ha previsto e regolamentato quattro mezzi di ricerca della prova tipici:
ispezione, perquisizione, sequestro ed intercettazione.
38 A. LARONGA, L’utilizzabilità probatoria del controllo a distanza eseguito con sistema
Ma la dottrina maggioritaria39 ritiene invece applicabile l’articolo 189 c.p.p. ai mezzi di ricerca della prova per due ordini di ragioni: la prima riguarda l’allocazione della norma tra le disposizioni generali sulla prova, che quindi la rende estensibile anche alla fase delle indagini preliminari; la seconda riguarda la possibilità di svolgere il contradditorio previsto dall’ articolo 189 c.p.p. posticipandolo, al momento della decisione sulla utilizzabilità degli elementi acquisiti40. Tale affermazione ha anche il merito di preservare il principio di legalità della prova e di evitare il pericolo di una sorta di “anarchia conoscitiva” del giudice41.
La giurisprudenza sembra invece unanime nel riconoscere la configurabilità di mezzi atipici di ricerca della prova. Così sono state ritenute ammissibili come prove atipiche le videoriprese di comportamenti non comunicativi effettuate dalla polizia in luoghi pubblici o esposti al pubblico42.
Sono state inoltre ritenute ammissibili anche le dichiarazioni fonoregistrate rese alla polizia giudiziaria dalle persone offese in quanto, pur non essendo un’attività tipica di documentazione, non sono prove illegittimamente acquisite ma prove atipiche da considerarsi legittime perché dirette ad assicurare l’accertamento idoneo dei fatti senza pregiudizio per la libertà morale del dichiarante43.
39 Per tutti: V. GREVI, Prove, op cit, p.296, che sostiene che le disposizioni generali previste
all’inizio del libro terzo, debbano senz’altro applicarsi anche nel corso delle indagini preliminari, nei limiti consentiti dalla natura e dalla finalità delle stesse, perché rappresentano basilari scelte di civiltà giuridica sul terreno probatorio.
40 A. CAMON, Le riprese visive come mezzo d’indagine: spunti per una riflessione sulle prove incostituzionali, in Cass. pen., 1999, p.1195; G.F. Ricci, Le prove, op cit., p.538.
41 E. AMODIO, op. cit., p.25.
42 Cass., Sez. Un., 28 Marzo 2006, Prisco, in Dir. pen. proc., 2006, p.1347. 43 Cass, 6 Luglio 2007, Alberti, in C.E.D. Cass., n 237654.
Anche la Corte Costituzionale44 ha avuto modo di esprimere la sua adesione all’impostazione data dal giudice di legittimità. Occupandosi, infatti, di riprese visive ha stabilito che: “ ove eseguite in luoghi non fruenti di protezione costituzionale – quali i luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti al pubblico – dette riprese visive restano utilizzabili nel processo come «prova atipica», ai sensi dell’art. 189 c.p.p.. Al contrario, le videoregistrazioni in luoghi riconducibili al concetto di «domicilio» di cui all’art. 14 Cost., in assenza di una normativa che le consenta, disciplinandone i casi e i modi, debbono considerarsi inibite in assoluto: con la conseguenza che è vietata la loro acquisizione e utilizzazione nel processo, in quanto prova illecita”.
4. L’AMMISSIBILITÀ E L’ASSUNZIONE DELLA PROVA ATIPICA.
L’inserimento della prova nel processo è regolato da una figura complessa che rientra nel concetto di procedimento probatorio, frutto del principio di legalità della prova che costituisce una delle scelte più rilevanti del vigente codice di procedura penale. Nell’ambito di questo procedimento si può distinguere la fase dell’ammissione e la fase dell’acquisizione della prova.
L’ammissione consiste in una valutazione preventiva posta a carico del giudice sulla sussistenza o meno di una serie di requisiti che la legge pone come condizione di ammissibilità della prova e si conclude con il provvedimento (ordinanza) con cui il giudice, d’ufficio o in seguito
all’allegazione di parte, dispone che la prova sia introdotta nel processo per esservi assunta, utilizzata e valutata. L’esito positivo sull’ammissibilità della prova dà luogo alla fase successiva dell’assunzione, consistente nell’attività con cui la prova, ammessa dal giudice, viene immessa nel processo e da questi percepita45. Il giudizio di ammissibilità ha luogo sulla base di presupposti differenti a seconda che si tratti di ammettere una prova tipica o una prova atipica. Nel primo caso è l’articolo 190 c.p.p. che stabilisce i requisiti di ammissibilità consistenti nella “ legalità”, “non superfluità” e “rilevanza”; nel secondo caso è l’articolo 189 c.p.p. che li individua nella “idoneità all’accertamento dei fatti” e nella “non lesività della libertà morale della persona”. È chiaro comunque che, nell’ipotesi di prova atipica, sarà necessario per il giudice verificare l’esistenza di tutti i requisiti sia dell’art. 189 c.p.p. che dell’art. 190 c.p.p.46. Infatti anche le prove atipiche dovranno essere prove non vietate dalla legge. Quindi, in pratica, di fronte ad una prova atipica il giudice dovrà valutarne, in primis, la legalità processuale, cioè l’inesistenza di un espresso divieto riguardante l’oggetto o il soggetto della prova o anche in merito la procedura di acquisizione. Il secondo passaggio logico sarà per lui quello di valutare se le prove non risultino manifestamente superflue47 o irrilevanti48. E quindi,
45 A volte l’ammissione può essere contenuta nello stesso atto acquisitivo: così accade
quando il mezzo di prova consiste in un documento esibito dalla parte o da un terzo e che il giudice allega semplicemente al fascicolo.
46 V. GREVI, Prove, op. cit., p 299.
47 Il criterio della non superfluità presuppone che il mezzo di prova richiesto non debba
tendere ad ottenere un dato conoscitivo già acquisito.
48 Il criterio della rilevanza concerne il nesso logico deduttivo d cui è probabile
l’esistenza tra il mezzo di prova e l’oggetto della pronuncia. In altri termini la prova è rilevante quando il suo presunto risultato sia idoneo e dare un contributo all’accertamento dell’esistenza del fatto da provare.
solo dopo tale giudizio positivo, il giudice dovrà procedere a verificare la sussistenza dei requisiti dell’art. 189 c.p.p.
Il primo limite posto al giudice dall’art 189 c.p.p. è quello relativo al giudizio di idoneità del mezzo di prova ad assicurare l’accertamento dei fatti, nel senso che dovrà essere valutata la sua possibilità di offrire un contributo di conoscenza, utile alla ricostruzione del fatto, che non sia raggiungibile attraverso altri mezzi di prova tipici ovvero che risulti più affidabile di quanto si potrebbe conseguire con una prova tipica.
Va precisato che il requisito della rilevanza probatoria dell’art. 190 c.p.p. ed il requisito dell’idoneità probatoria dell’art. 189 c.p.p. non coincidono. Infatti, mentre il requisito della rilevanza va accertato dal giudice in concreto, cioè verificato in relazione al tema da provare del singolo processo, il requisito dell’idoneità va valutato, invece, ex ante ed in astratto, in quanto è inerente al rapporto tra fatto provante e tema da provare49.
Ma a questo punto merita soffermarsi su come deve effettivamente interpretarsi il dettato dell’articolo in esame quando richiede che la prova risulti “idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti”. Basti pensare che il giudice, di norma, provvede all’ammissione delle prove nella fase degli atti introduttivi del dibattimento50, momento in cui si potrà giovare soltanto di elementi di giudizio da lui conoscibili solo sulla base dei fatti che le parti intendono provare. Appare evidente che, in tale fase, gli elementi necessari per la formazione di un giudizio sono scarsi, per cui,
49 O. DOMINIONI, La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-‐tecnici nuovi o
controversi e di elevata specializzazione, op. cit., p.220.
se in alcuni casi il mezzo di prova può apparire de visu idoneo o inidoneo all’accertamento dei fatti, nella maggior parte dei casi esso si presenta semplicemente come “non manifestamente inidoneo”. Di qui la necessità di esprimere un giudizio non in termini categorici ma in termini di giudizio di non manifesta inidoneità probatoria51. Del resto un giudizio categorico comporterebbe una duplice conseguenza negativa in quanto renderebbe la disposizione dell’art. 189 c.p.p. non applicabile per i nuovi o controversi strumenti scientifici di elevata specializzazione, cioè proprio per quelle ipotesi che invece costituiscono la principale ratio della norma stessa ed, inoltre, creerebbe una lesione al principio del diritto alla prova riconosciuto in egual misura a tutte le parti dagli articoli 24, 111 e 112 Cost..
Va pure considerato che un eventuale erronea valutazione iniziale del giudice potrebbe essere rivista e corretta da questi, esercitando il potere previsto dall’art. 495, comma 4 e 8 c.p.p., che consente, con ordinanza, di revocare l’ammissione di prove che risultino superflue ovvero di ammettere prove già escluse.
In definitiva la vera differenza, che intercorre tra il giudizio previsto per le prove tipiche dall’art. 190 c.p.p. e il giudizio previsto per le prove atipiche ex art 189 c.p.p., va riscontrato dal principio di inclusione del primo e il principio di esclusione del secondo. Infatti, nel primo caso, in presenza dei requisiti elencati nell’art. 190 c.p.p., il giudice è tenuto ad ammettere tutte le prove richieste; nel secondo caso le prove atipiche
sono potenzialmente escluse salvo che non si registri la sussistenza di tutti i requisiti previsti da entrambe le norme. Quindi si può affermare che il giudizio previsto dall’art 190 c.p.p. è negativo in quanto individua una connotazione squalificante la prova, mentre il giudizio previsto dall’art 189 c.p.p. è positivo perché individua una connotazione qualificante la prova.
Questa differenza produce l’effetto pratico in ordine all’onere che grava sulla parte che richiede la prova e quella che vi si oppone. Tale onere sarà più impegnativo per la parte opponente, in caso di prova tipica, mentre parimenti lo sarà per la parte richiedente, nel caso di prova atipica. Infatti, nel caso della prova atipica è onere della parte che la richiede dimostrare elementi di giudizio che ne evidenzino la possibile idoneità alla ricostruzione del fatto mentre, la parte opponente può limitarsi ad assumere l’assenza di questi elementi.
Il secondo limite cui è subordinata l’ammissibilità della prova atipica è quello della “non lesività della libertà morale della persona”. È chiaro che questo limite, espressamente dettato dall’art. 189 c.p.p., deve considerarsi come la prima applicazione del principio generale contenuto nel precedente art. 188 dello stesso codice, che dichiara inutilizzabili “metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti”52. In questo caso per
52 Per l’individuazione dei mezzi di costrizione in grado di manipolare la psiche si veda F.
CORDERO, Procedura penale, Milano 2006, p.620. che suggestivamente afferma: “ l’endiadi “metodi o tecniche” allude a narcoanalisi, lie-‐detector e simili, ma il divieto colpisce qualunque intervento manipolante, grossolano o sottile: ad esempio, le veglie coatte che Ippolito Marsili vantava come arma pulita (perchè non lasciano segni visibili) e infallibile; fame , sete, luce abbagliante, buio, caldo e freddo, esami estenuanti,
libertà morale si intende senza dubbio uno stato in cui il soggetto può esercitare la sua facoltà critica di scelta senza pressioni di alcun genere, optando tra più soluzioni diverse con il pieno utilizzo della propria memoria e capacità di valutazione.
È bene precisare, inoltre, che per la norma in esame è sufficiente che esista solo l’eventualità e non anche l’effettività che l’uso della prova richiesta possa mettere in pericolo la sfera psichica della persona, in quanto la norma predispone una tutela preventiva finalizzata ad evitare la violazione e non ad eliminare le conseguenze di una violazione già avvenuta. Per quanto concerne la libertà fisica della persona appare coerente con la struttura ordinamentale che l’art 189 c.p.p. non se ne occupi, in quanto la libertà dalle coercizioni fisiche è già ampiamente tutelata dalle norme della costituzione. Infatti, la coercizione fisica confluisce nella violazione dei precetti costituzionali che tutelano l’integrità fisica della persona, per cui ogni prova che si pone in contrasto con tale bene, costituzionalmente garantito, deve ritenersi inammissibile perché lesiva dei diritti fondamentali tutelati dagli art. 13 e 32 Cost., non necessitando quindi un divieto espresso processuale.
Analizzando i rapporti tra prova scientifica e processo penale, la dottrina ha individuato alcune ipotesi in cui sono riscontrabili attentati alla libertà morale dell’individuo, soprattutto nell’ambito dell’interrogatorio: tra questi l’ipnotismo e l’utilizzo del poligrafo (lie-detector).
messinscene traumatiche (equivalenti alla territio: l’inquisito veniva condotto nella stanza dei tormenti; e se lo spettacolo degli arnesi non fosse bastato a smuoverlo lo spogliavano); e minacce, naturalmente ovvero esche, quali l’impunità o favori offerti sotto banco”.
Nel primo caso è evidente che il rapporto psichico che si forma tra il soggetto attivo e il soggetto passivo determina interferenze tali da far considerare perduta la spontaneità di un eventuale testimonianza o atto confessorio posto in essere durante l’induzione ipnotica. Tale situazione è sicuramente lesiva della libertà morale della persona e deve essere sanzionata con l’inutilizzabilità della prova prevista dall’art. 191 c.p.p.53. Più discusso è l’utilizzo del poligrafo (più comunemente chiamato “macchina della verità”). Già sotto il codice Rocco la dottrina non riteneva esserci un divieto assoluto di questo apparato, ma raccomandava l’attenzione sulla necessità di utilizzare le indicazioni fornite in modo particolarmente cauto54. Attualmente c’è chi sostiene55 che questo strumento non sia lesivo della libertà morale del soggetto fonte di prova perché la persona risponde in piena coscienza e non perde le proprie capacità critiche, dato che lo strumento controlla solo le variazioni di certi parametri dell’organismo umano (battito cardiaco, la pressione sanguigna, le modifiche elettrodinamiche ed altro), ma non nasconde che il risultato potrebbe essere falsato dalla diversa emotività di ciascun individuo; cosicché un soggetto a sangue freddo potrebbe continuare a mentire senza problemi. Sembra comunque preferibile la tesi di chi sostiene, come abbiamo già ricordato56, che l’uso di questo strumento comprometta comunque l’autodeterminazione della persona e le sue facoltà mnemoniche e valutative, in quanto la norma, come si è detto,
53 G. TRANCHINA, Ipnotismo, in Enc dir., vol. XXII, Milano 1972, p.739. 54 E. ZAPPALÀ, op. cit., p.141.
55 G. F. RICCI, op. cit., p.543. 56 V. GREVI, op. cit., p. 304.
vuole preventivamente impedire la lesione anche solo potenziale della libertà morale.
C
APITOLOII
A
MMISSIBILITÀ DELLA PROVA ATIPICA:
LIMITI DELLA LEGGE E LIMITI COSTITUZIONALI.1. PREMESSA
Come si è già detto, il principio della legalità probatoria pone a carico del giudice l’obbligo di verifica e d’individuazione di eventuali divieti probatori, sia espressamente predisposti dal legislatore sia desumibili dai principi generali dell’ordinamento. A questo punto è necessario chiarire quali siano le fonti normative che regolano tali divieti, tenuto conto che questo tema, dal punto di vista dell’utilizzabilità della prova, presenta diversi punti di collegamento con altri settori dell’ordinamento, con particolare riferimento alle norme penali sostanziali e alle norme costituzionali.
Occorre, infatti, verificare se siano ammissibili divieti probatori fuori dalle norme processuali e se tali divieti rappresentino altrettanti limiti all’esercizio del potere istruttorio. La questione non è recente57. Sin dagli anni Sessanta è nato un acceso dibattito dottrinale circa l’individuazione della categoria delle prove illecite e, tra queste, la categoria delle prove cosiddette incostituzionali. In un saggio, che ha molto influenzato il dibattito dottrinale58, la prova illecita e la prova non costituzionale
57 Già durante la vigenza del vecchio codice si distinguevano gli atti illegittimi, compiuti
in violazione di un divieto esclusivamente processuale, dagli atti illeciti, individuati quale risultato della violazione di un divieto di natura sostanziale. Sul tema vedi P. NUVOLONE, Le prove vietate nel processo penale nei paesi di diritto latino, in Riv. Dir. proc. 1966, p.407.