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L’ EVOLUZIONE INFORMATICA DELLE VIDEORIPRESE : IL CASO

DELL’ATTIVAZIONE “IN REMOTO DELLA WEBCAM”.

Recentemente la dottrina è stata chiamata, in tema di videoregistrazioni, ad affrontare nuove situazioni. L’evoluzione informatica avvenuta negli ultimi anni ha portato alla luce ulteriori problematiche interpretative concernenti l’utilizzo per fini investigativi di videoregistrazioni ottenute attraverso particolari procedure informatiche come, ad esempio, quelle che si possono effettuare con una videoripresa ottenuta mediante l’attivazione “ in remoto” della webcam di un computer connesso alla rete internet173. In sostanza, attraverso la connessione internet, è possibile prendere il controllo del computer e, attraverso l’accesso alla webcam dello stesso, vedere, non solo coloro che in quel momento guardano lo schermo, ma anche una parte della vita che si svolge nel luogo dove si trovano gli utilizzatori del computer. Ci si trova quindi di fronte ad una videoripresa nel domicilio.

In questo caso, quanto sinora detto circa le classificazioni giurisprudenziali in tema di videoripresa in luogo di privata dimora, appare meritevole di un esame più approfondito, stante la questione che scaturisce dalla particolare modalità iniziale di esecuzione, e cioè un attivazione occulta della webcam. Infatti, quando si agisce con le tecniche tradizionali il luogo oggetto della ripresa è quantomeno noto, mentre                                                                                                                

173  Un  caso  di  specie  è  avvenuto  nel  2010  a  Bologna  dove  gli  investigatori  della  polizia  

delle   comunicazioni   della   questura   di   Bologna,   svolgendo   un   indagine   riguardante   il   furto   di   una   determinata   tipologia   di   computer   portatili,   avevano   attivato   una   serie   di   controlli  informatici  diretti  ad  intercettare  la  presenza  sul  web  di  “  tracce  elettroniche  di   computer   sottratti”.   Così   facendo   scoprirono   che   alcune   di   queste   macchine   erano   effettivamente  connesse  alla  rete.  Così  facendo  la  polizia  giudiziaria,  attraverso  lo  stesso   computer   rubato,   era   riuscita   ad   aprire   una   vera   e   propria   finestra   invisibile   nel   domicilio  di  chi  in  quel  momento  utilizzava  il  computer  stesso.      

l’attivazione della webcam di un computer messo in uso dopo il suo furto, può far dedurre solo che la macchina è connessa ad internet e a quale rete essa si agganci; e ciò non vuole assolutamente dire che sia stato rintracciato il luogo preciso dove il computer si trovi (pensiamo ad un rete wireless che spesso supera i confini fisici dei siti dove si trova l’utenza telefonica).

Quindi la webcam viene attivata quando è ignota l’allocazione del computer e quali siano i comportamenti che tengono eventuali persone davanti all’obbiettivo. In sostanza, mentre le videoriprese tradizionali si attivano quando l’indagine punta su persone o luoghi precisi, al contrario l’attivazione da remoto è strumentale proprio alla scoperta dei luoghi e delle persone, di cui ancora, verosimilmente, non si conosce nulla. Così facendo, il livello d’incertezza operativa di tale modalità investigativa appare difficilmente accettabile, perché non è dato sapere se l’attivazione della videocamera darà luogo ad una intercettazione, tenuto conto che non è possibile prevedere se davanti alla webcam si tengano o meno delle conversazioni e, non potendo sapere quale sia il luogo dove l’inquirente avrà così accesso, non è neppure possibile prevedere se si realizzerà una intrusione vietata oppure l’operazione costituirà un mezzo di prova atipica consistente nella osservazione di comportamenti in luogo pubblico. Come si vede, il livello d’incertezza è tale da far correre il rischio che un’eccellente modalità investigativa si traduca in uno strumento giuridico pressoché inservibile.

In sostanza il compimento di quest’atto d’indagine presenta due problematiche attinenti al risultato che ne sarà il prodotto. In primo luogo, nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che si che rivelerà una volta attivata la webcam e con il rischio concreto d’intromissione nel domicilio altrui, l’Autorità giudiziaria, qualora ritenga di doverlo autorizzare, non potrà che optare per qualificare l’atto come un’intercettazione per aumentare la speranza che esso produca risultati utilizzabili. Ma, anche se si vuole seguire questa impostazione, resta il fatto che non sarà possibile sapere se questa cosiddetta finestra telematica rivelerà un dialogo oppure no ed inoltre appaiono difficili le motivazioni giustificative di un simile atto d’indagine, essendo del tutto imprevedibile che durante lo svolgimento di questo atto ci sia lo svolgimento di un attività criminosa. In secondo luogo, non è possibile dimenticare quell’orientamento interpretativo che impedisce l’ammissione di prove formate attraverso la violazione di norme penali174, come si determinerebbe nell’ipotesi di un intrusione non autorizzata. Infatti, se l’accesso occulto al portatile aprisse la vista ad una parte del domicilio altrui e non captasse un dialogo, ma solo comportamenti non comunicativi, la videoripresa darebbe luogo a una prova vietata poiché si realizzerebbe così una compressione della libertà domiciliare in modo difforme da quanto previsto all’art. 14 Cost.175. Ed in questo particolare caso potrebbe integrarsi anche la fattispecie prevista dall’art. 615 bis c.p. che prevede la procedibilità d’ufficio per “chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o                                                                                                                

174  Cass.  pen.,  sez.  I,  30  ottobre  2002,  Carnevale,  op.  cit.,  921.   175  Cass.  pen.,  Sez.  Un,  28  luglio  2006,  cit,  1347.  

sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata che si svolge nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p.p.”, con aggravamento della sanzione per il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che commetta il fatto “ con abuso di poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio”176.

Dalle precedenti osservazioni, parte della dottrina177 ritiene che, fintanto che vige l’attuale sistema normativo, i soggetti titolari di poteri d’indagine dovrebbero fare un passo indietro, rinunciando all’uso di questo strumento, al fine di non mettere a rischio i diritti fondamentali dell’individuo che godono della più ampia tutela costituzionale.

Diversa appare la situazione se il controllo a distanza attraverso la webcam viene invece attivato direttamente dal proprietario del personal computer oggetto del furto. Il soggetto privato, senza il coinvolgimento delle forza di polizia e utilizzando il suo stesso computer potrebbe introdursi nella vita privata di altri, registrando scene di vita domiciliare, dialoghi o comportamenti non comunicativi. E ciò sarebbe possibile considerando il ruolo fondamentale, anche se non voluto, del comportamento di colui che usa il computer illecitamente sottratto ad altri, in quanto la connessione volontaria ad internet deve considerarsi equivalente ad una esposizione volontaria della propria vita domiciliare, privando chi usa il computer rubato della protezione prevista dall’art 14 Cost.. Più precisamente, se il computer viene collegato ad internet è come se questo                                                                                                                

176  Questo   potenziale   inconveniente   sussiste   già   per   le   videoregistrazioni   eseguite   con  

mezzi  tradizionali  ma  in  questo  caso  il  rischio  cresce  in  modo  esponenziale.  

177  F.  MORELLI,  Videoriprese  mediante  la  webcam  di  un  computer  illecitamente  sottratto  e  

fosse posto in uno spazio in cui il legittimo proprietario può accedere e può tornare ad usarlo come bene che li appartiene in tutte le sue componenti, compresa la webcam.178 Si può concludere pertanto che

l’unico soggetto che può usare legittimamente il computer connesso ad internet, ovunque esso si trovi, è solo ed esclusivamente il legittimo proprietario, anche nel momento in cui tramite la webcam apre una finestra sul domicilio di chi sta utilizzando il computer rubato. È, infatti, lo stesso titolare del diritto protetto (il presumibile autore del furto o un suo successivo acquirente) ad aver aperto, connettendosi ad internet, il suo domicilio al legittimo proprietario del computer 179. Questa osservazione, anche se a prima vista sembra frutto di una interpretazione eccessiva, in realtà si fonda su principi oramai consolidati, sia nella giurisprudenza ordinaria che in quella costituzionale, nel senso che il domicilio non viene protetto senza condizioni, ma, chi vuole godere del diritto all’intimità della sfera privata e familiare, deve adottare cautele tali da evitare intromissioni nella propria vita privata180 . Per cui, come non si possono limitare le azioni altrui, come volgere lo sguardo nella direzione di un balcone, così la libertà domiciliare di chi usa un computer rubato non può giungere a proibire alla persona offesa l’uso legittimo della cosa che li è stata sottratta, anche se ciò avviene tramite internet.

                                                                                                               

178  È  la  stessa  cosa  che  potrebbe  fare  il  derubato  quando  ritrova  fisicamente  l’oggetto  a  

lui  rubato  ed  è  autorizzato  a  reimpossessarsene.    

179  Dal  punto  di  vista  penale  non  si  configura  il  reato  di  cui  all’art  615  bis  c.p.  in  quanto  

non  si  configurerebbe  il  presupposto  materiale  della  condotta,  cioè  l’intromissione  in  un   ambiente  che  si  vuole  mantenere  riservato.    

Ciò nonostante è chiaro che, in questa situazione, le suddette cautele si possono creare solo attraverso un’importante conoscenza delle potenzialità tecniche del computer e dei suoi programmi software. Quindi, a chi usa illecitamente i beni di altri è richiesta una diligenza particolare perché possa tutelare la sua posizione soggettiva da tutte le attività che la persona offesa può ancora legittimamente compiere su quanto a lei sottratto. Queste affermazioni non devono comunque far pensare che qualsiasi intromissione, nel caso di specie, sia ammissibile e quindi lecita. Per la liceità di questa intromissione è necessario che il proprietario del computer rubato, nell’accedere alla sua macchina, una volta individuata sul web, non incontri barriere informatiche. Per cui, se la rete è protetta da una password, il superamento di questa barriera per mezzo di espedienti tecnici comporta il reato di accesso abusivo in un sistema informatico altrui previsto dall’art. 615 ter c.p.. Sostanzialmente l’aver predisposto una chiave di accesso riservata da parte del titolare della fornitura internet rende chiara la sua volontà di impedire a chiunque l’accesso al suo domicilio sia esso fisico o informatico; con l’ulteriore conseguenza che i dati così captati non sarebbero utilizzabili nel processo poiché si rientrerebbe in attività vietate originariamente dall’art. 14 Cost., sia se inquadrabili come captazione di meri comportamenti nel domicilio sia se costituenti un’intercettazione realizzata fuori da casi previsti dalla legge (art. 271 c.p.p.). Inoltre, chi può compiere legittimamente l’intrusione è solo colui nei cui confronti può operare la rinuncia alla protezione del proprio domicilio, cioè il proprietario del mezzo, poiché la rinuncia alla

riservatezza non può valere per chiunque operi sulla rete internet e approfitti del libero accesso a quella webcam. Con ciò si vuole confermare che, per la polizia giudiziaria quel domicilio mantiene la caratteristica di ambiente riservato per cui chi ha necessità di investigare dovrà comportarsi seguendo le regole processuali che disciplinano l’osservazione occulta del domicilio, arrivando talvolta a vietarla.

Altro aspetto rilevante è la qualificazione probatoria da dare alla registrazione prodotta dalla persona offesa, nell’ipotesi in cui, non essendoci barriere alla riservatezza, il materiale è sicuramente utilizzabile nel processo. Secondo la giurisprudenza questo tipo di videoripresa deve annoverarsi tra le prove documentali poiché l’oggetto della rappresentazione sono, come recita l’art. 234 c.p.p. “ fatti persone o cose

mediante la cinematografia”. Si sostiene inoltre, che se il privato agisce di sua

iniziativa e senza alcun preventivo suggerimento da parte degli inquirenti si ritiene che il suo comportamento sia estraneo all’indagine, così da integrare l’elemento proprio del documento rispetto all’atto probatorio181.

Ma in dottrina182, si contesta l’inquadramento della fattispecie come prova documentale, sostenendo che il requisito dell’estraneità del documento all’iter processuale penale viene valutato, in giurisprudenza, esclusivamente rispetto agli atti dell’ indagine preliminare, e quindi agli atti del P.m., della polizia giudiziaria e del difensore; secondo questa                                                                                                                

181  Cass.  Pen.,  Sez.  Un.,  28  maggio  2003,  Torcasio,  cit;  Cass.  pen,  Sez.  Un.,  28  luglio  2006,  

cit.,  1347.  

182  F.  MORELLI,  Videoriprese  mediante  la  webcam  di  un  computer  illecitamente  sottratto  e  

visione giurisprudenziale sembrerebbe sufficiente che esso non sia derivato dall’attività di questi soggetti per catalogarlo estraneo al procedimento183.

Al contrario il privato, se svolge quest’attività, è nell’intenzione di cercare e produrre materiale utile alla decisione penale, quindi con i medesimi obiettivi degli investigatori.

Sulla base di questi rilevi sembra preferibile inquadrare la fattispecie in esame in categorie di prove diverse, come ad esempio accade nei casi in cui un soggetto privato assume autonomamente informazioni sul reato di cui ritiene di essere vittima, seppur nei ristretti limiti delle sue facoltà. Pertanto appare preferibile individuare la videoripresa effettuata dal privato mediante la webcam come un mezzo di prova atipico. La stessa precedente dottrina184 evidenzia come elemento positivo di una simile conclusione il non dover forzare alcuna categoria concettuale, come accadrebbe qualificando tali dati come documenti. Inoltre altro vantaggio di questo inquadramento deriverebbe dal fatto di costringere il giudice a vagliarne la potenzialità dimostrativa e la non lesione della libertà morale della persona, fin dal momento dell’ammissione, secondo quanto stabilito dall’art. 189 c.p.p..

                                                                                                               

183  Così  Cass.  Sez.  Un.,  28  luglio  2006,  Prisco,  cit,  1348.  

184  F.  MORELLI,  Videoriprese  mediante  la  webcam  di  un  computer  illecitamente  sottratto  e  

tutela  del  domicilio,  cit.,  486.  

SEZIONE II

L’ASCOLTO OCCULTO DELLE CONVERSAZIONI TRA PRESENTI.

1. I CARATTERI DISTINTIVI.

L’ascolto occulto delle conversazioni fra presenti, volendone cercare l’inquadramento in uno degli istituti giuridici noti, può essere ricondotto al medesimo ambito di riferimento delle intercettazioni, ma si differenzia da queste per l’assenza di alcuni caratteri tipici delle stesse, e precisamente, la clandestinità e la terzietà di chi opera la captazione185 . Così, esempio classico, è quello di chi ascolta e registra la conversazione che si svolge tra egli stesso e un altro soggetto, ovvero la conversazione che avviene tra altri soggetti, ma nei confronti dei quali la sua presenza non è nascosta. L’argomento è stato ed è, tuttora, oggetto di vivace discussione dottrinaria e giurisprudenziale, in ordine a tre temi centrali: i diritti compressi, la disciplina della prova applicabile ed, infine, l’utilizzabilità processuale dei risultati dell’attività di registrazione.

A seconda delle svariate ipotesi, il risultato di questo mezzo di ricerca della prova è stato accostato ora alle intercettazioni, ora alla prova documentale, ora ad una prova atipica. Sin dal codice del 1930, una parte minoritaria della dottrina186 assimilava questo tipo di registrazione ad una intercettazione, mentre la giurisprudenza187 e la maggior parte della

                                                                                                               

185  P.  TONINI.,  Manuale  di  procedura  penale,  Giuffrè,  Milano,  2012,  p.385.  

186  S.  ERCOLI,  Registrazioni  di  colloqui  tra  detenuti  e  uso  processuale,  in  Quest.  Giust.,  1987,  

p.552.  

187  Cass.,  Sez  III.  8  novembre  1991,  n.193,  Urai,  in  Riv.  pen.,  1992,  p.462;  Cass.,  Sez.  II,  16  

dottrina188 richiamavano il concetto di prova innominata, assimilabile alla prova documentale. Ma sullo sfondo rimaneva l’illiceità ed inutilizzabilità della medesima attività se svolta su iniziativa della polizia giudiziaria189. Con l’entrata in vigore della riforma codicistica del 1988, il problema è stato ulteriormente dibattuto, sulla spinta di una prassi che, con il progresso dei mezzi tecnologici, fa sempre più ricorso a questo mezzo di captazione. Il tutto con l’intento di motivare la legittimità e l’utilizzabilità di quest’attività190 anche attraverso il citato art. 189 c.p.p. e soprattutto a seguito d’importanti indagini giudiziarie che ebbero grande risonanza sulla stampa nazionale191.

Comunque, se si considerano le casistiche giurisprudenziali e le varie soluzioni prospettate, non si può prescindere dal distinguere queste registrazioni a seconda del soggetto che le opera e delle modalità utilizzate, poiché la risposta preferibile, circa il loro inquadramento, non può essere unica e valida in tutte le ipotesi. Così bisogna individuare se l’esecutore materiale della registrazione sia un membro della polizia giudiziaria oppure un privato cittadino; ed ancora, se quest’ultimo agisca                                                                                                                

188  G.  L.  FABBRI,  Uso  processuale  della  registrazione  di  colloqui  tra  presenti,  in  Foro  it.,  1987,  

II,   c.127;   E.  M.  DELL’  ANDRO,   Colloqui   registrati   e   uso   probatorio,   in   Riv.it.   dir.   proc.   pen,  

1984,  p.118.  

189  Secondo   Cass.,   Sez.   II,   18   maggio   1989,   n.3666,   Calabrò,   in   Riv.pen.,p.   90,   non  

potevano  ritenersi  leciti  ed  utilizzabili  a  fini  probatori  le  registrazioni  di  conversazioni   effettuate,  all’insaputa  degli  altri,  da  uno  degli  interlocutori  su  iniziativa  della  polizia,  con   registratore  e  bobine  da  questa  forniti,  per  consentire  alla  polizia  stessa  la  captazione  di   conversazioni   in   danno   di   ignari   interlocutori,   così   da   ottenere   notizie   ed   ammissioni   compromettenti  per  sé  od  altri.        

190  F.  R.  DINACCI,  L’irrilevanza   processuale   delle   registrazioni   di   colloqui   tra   presenti,   in  

Giur.  it.,  1994,  II,  c.65  ss.  

191  Vedi  Cass.,  Sez.  VI,  16  aprile  1996,  n.  1616,  Squillante,  in  Foro  it.,  1996,  II,  c.401;  in  cui  

si   tratta   del   noto   caso   del   “   Bar   Mandara”   ,   nel   quale   due   ispettori   della   Polizia,   pedinando  un  indagato,  si  erano  infiltrati  in  un  locale  pubblico,  e  avevano  intercettato  i   colloqui   tra   alcuni   indagati   dapprima   con   un   miniregistratore,   poi   con   una   microspia.   Visto  il  malfunzionamento  delle  apparecchiature  collegate  con  la  loro  auto  tramite  uno  

scanner,   le   frasi   salienti   erano   state   appuntate   su   foglietti   che   avevano   in   tasca   e   su  

di propria iniziativa, prescindendo da un procedimento penale, oppure su invito degli organi inquirenti; ed in quest’ultima ipotesi bisognerà ulteriormente verificare se l’intervento di questi organi sia stato un mero “suggerimento” oppure se gli inquirenti abbiano gestito l’operazione, fornendo l’attrezzatura ed impartendo indicazioni relative agli argomenti da trattare nel dialogo oggetto di captazione.

2. LA CAPTAZIONE DI CONVERSAZIONI EFFETTUATE DAL PRIVATO

MOTU PROPRIO”.

L’ipotesi ivi descritta si realizza allorché un privato, che partecipa alla conversazione, ne effettua la registrazione per iniziativa propria, dando luogo ad una semplice memorizzazione del colloquio avuto con l’interlocutore. Secondo parte della giurisprudenza192, il supporto che contiene la registrazione della conversazione rientrerebbe nella categoria delle prove documentali disciplinate dall’art. 234 c.p.p., il quale consente l’acquisizione di documenti che siano rappresentativi di “fatti, persone o cose mediante la fonografia” e, quindi, acquisibile al processo ai sensi dell’art. 495 c.p.p..

Del resto, non si può ritenere applicabile la disciplina sulle intercettazioni, in quanto in giurisprudenza è stato specificato che tale disciplina si applica, nei casi previsti, quando la captazione della conversazione avviene in forma occulta da un soggetto che sia estraneo                                                                                                                

192  Cass.,  sez  I,  22  gennaio  2013,  in  C.E.D.  Cass  .,  n.  254814;  Cass.,  sez  VI,  16  marzo  2011,  

alla stessa193. E la fattispecie non rappresenta neppure un’ipotesi del reato previsto dagli art. 617 e 617 bis c.p., con il quale si punisce l’apprensione fraudolenta di una conversazione tra altre persone o di colloqui cui non partecipi il soggetto captante194. Esiste, infine, una teoria195 che pur non ritenendo che l’ipotesi rientri nella categoria delle intercettazioni, non accetta la soluzione che la riconduce semplicemente ad una prova documentale e predilige invece inquadrarla nella categoria delle prove atipiche, con la conseguente necessità per il giudice di ammettere i risultati purché sia verificata la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 189 c.p.p. E per tale verifica, cioè che la registrazione sia avvenuta senza ledere la libertà morale del soggetto ed in modo da assicurare la genuinità della registrazione e sulla riconducibilità della voce all’interlocutore, potrebbero essere risolte attraverso una perizia trascrittiva e fonica.

                                                                                                               

193  Cass,   sez   un.,   28   maggio   2003,   cit.,   p,2094.   Con   tale   decisione   la   Suprema   Corte   ha  

definito  l’intercettazione  come  la  captazione  occulta  di  una  conversazione  tra  due  o  più   soggetti   che   agiscano   con   l’intenzione   di   escludere   gli   altri   attuata   da   un   soggetto   estraneo  alla  stessa  con  l’ausilio  di  strumenti  tecnici  idonei  ad  eludere  le  cautele  adottate   dagli  interlocutori.  

194  Non   sembrano   condivisibili,   in   questo   senso,   i   rilievi   di   autorevole   dottrina  

sull’applicabilità  di  tali  ipotesi  di  reato  al  soggetto  privato  che  registri  in  via  occulta  una   conversazione.   C.  MARINELLI,   Intercettazioni   processuali   e   nuovi   mezzi   di   ricerca   della   prova,  cit.,  p.29.  Ai  fini  della  configurabilità  delle  citate  fattispecie  di  reato  manca  infatti  il  

richiesto  requisito  di  estraneità  alla  conversazione  da  parte  del  soggetto  captante.  

195  E.  AMODIO,  Libero   convincimento   e   tassatività   dei   mezzi   di   prova:   un   approccio   comparativo,   in   Riv.   it.   Dir.   proc.   pen.,   1999,   p.   7,   è   l’autore   che   propone   la   perizia  

trascrittiva  e  fonica  per  risolvere  il  problema  circa  la  necessità  di  dimostrare,  prima  della   sua   acquisizione,   che   la   registrazione   sia   avvenuta   senza   ledere   la   libertà   morale   del   soggetto,   con   modalità   tali   da   assicurare   la   genuinità   della   registrazione   e   sua   riconducibilità  alla  voce  dell’interlocutore.