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L E VIDEOREGISTRAZIONI NEI LUOGHI DI PRIVATA DIMORA

Sia in giurisprudenza che in dottrina sono assenti indicazioni univoche circa la nozione di domicilio e si discute anche sulla eventuale coincidenza tra gli ambiti di garanzia costituzionale e di tutela penale. In alcune decisioni135 prevale il concetto di domicilio quale luogo utilizzato per lo svolgimento dei vari aspetti della vita privata del singolo, come, ad esempio, i luoghi ove si svolge l’attività professionale, lo studio, lo svago o il riposo e qualsiasi altra attività che leghi un determinato luogo alla persona per una certa durata. Si afferma in queste decisioni che la nozione di domicilio, prevista dall’art. 14 Cost. è diversa e più ampia rispetto a quella prevista dall’art. 614 c.p.. In tal modo la tutela costituzionale si estenderebbe non solo alle dimore private e a quei luoghi che consentono una temporanea ed esclusiva disponibilità di uno spazio, ma anche ai luoghi nei quali è temporaneamente garantito uno spazio di intimità e riservatezza136. Altre pronunce fanno prevalere l’accento sul rapporto di esclusività del luogo riferito alla persona (lo ius

excludendi alios) e sulla difesa della privacy, che deve basarsi su un rapporto

stabile tra il luogo e la persona che se ne serve, con la conseguenza che la temporaneità dell’uso di taluni luoghi fa perdere il carattere di privata dimora 137. Particolarmente interessante in quest’ottica, è stata la decisione138 relativa al caso dell’installazione di telecamere nella toilette di                                                                                                                

135  Cass.  pen.,  16  Marzo  2000,  n.  7063,  Viskovic,  cit.  

136  Del  resto,  ciascuno  di  noi  non  rinuncia  alla  propria  intimità  e  riservatezza,  se    si  reca  

nel   bagno   di   un   esercizio   pubblico,   come   lo   dimostra   il   fatto   che   ci   si   può   opporre   all’ingresso  di  altre  persone  anche  se  per  un  periodo  limitato  di  tempo.  

137  Vedi  Cass.  pen.,  sez.  VI,  10  gennaio  2003,  cit.,  1305.  

un centro di smistamento della corrispondenza che avevano ripreso alcuni dipendenti delle poste mentre aprivano delle buste, ne esaminavano il contenuto e, a volte, se ne appropriavano; la Cassazione affermò che “il luogo in questione, caratterizzato da una frequenza assolutamente

temporanea e condizionata unicamente dalla soddisfazione di un bisogno personale, non può essere assimilato ai luoghi di privata dimora di cui all’art. 614 c.p., che presuppongono una relazione con un minimo grado di stabilità con le persone che li frequentano e un soggiorno che, per quanto breve, abbia comunque una certa durata, tale da far ritenere apprezzabile l’esplicazione di vita privata che vi si svolge”.

È nella stessa sentenza a Sezioni Unite del 2006 che si prende atto di questa divergenza giurisprudenziale e si afferma come le decisioni, fino ad allora emerse, tendevano da un lato ad ampliare il concetto di domicilio, in funzione della tutela penale degli artt. 614 e 615 bis c.p. mentre, dall’altro, tendevano a circoscriverlo quando lo stesso concetto rappresentava un limite allo svolgimento delle indagini. In quest’ottica la sentenza delle S. U. ha preferito individuare il concetto di domicilio nel rapporto che esiste tra la persona ed un luogo, di norma chiuso, in cui la stessa svolge la vita privata, spazio sottratto alle ingerenze esterne e tale da garantirgli la riservatezza. E questo rapporto deve essere tale da giustificare la tutela del luogo anche quando la persona è assente; solo così un luogo si trasforma in un domicilio, nel senso che, rispetto alla persona che ne è titolare, acquista una sua forma di autonomia. Pertanto, perché un luogo diventi domicilio, cioè un luogo che escluda violazioni

intrusive, è necessario che esso sia connotato dalla personalità del titolare, indipendentemente dalla sua presenza o meno 139.

Una volta individuata e descritta la qualifica di domicilio, la stessa sentenza ha confermato l’orientamento della Corte Costituzionale del 2002 confermando che, sulla base delle normativa vigente, e quindi in assenza di una espressa previsione legislativa dei casi e dei modi di intrusione, le videoriprese di mere immagini sono da considerarsi vietate e di conseguenza i loro risultati inutilizzabili. Nel giungere a tale conclusione, le S. U. hanno, tuttavia, dato una motivazione diversa rispetto al dibattito scaturito dai precedenti orientamenti giurisprudenziali e dottrinari, relativo agli effetti che la violazione di norme costituzionali di garanzia può avere sulla materia probatoria prevista dal codice di rito, e precisamente sul tema se la sanzione dell’inutilizzabilità riguardi solo la violazione di divieti sanciti dalla legge processuale o anche da norme costituzionali 140 . Infatti, la soluzione adottata parte direttamente dall’interpretazione dell’art. 189 c.p.p., in quanto il tema della inutilizzabilità, come sanzione processuale per la violazione di regole costituzionali, riguarda, in linea di principio, le prove tipiche e non quelle atipiche, perché le prove atipiche, prima dell’ammissione, non sono prove; per cui, se sorge un problema sulla legittimità delle attività compiute per acquisire il materiale probatorio ci si deve interrogare, non                                                                                                                

139  È   chiaro   che   in   quest’ottica,   facendo   riferimento   al   caso   già   citato,   una   toilette  

pubblica  non  può  essere  considerata  un  domicilio  neppure  nel  tempo  in  cui  è  occupata   da  una  persona.  Del  resto  è  anche  vero  che  ognuno  può  entrare  in  una  toilette  pubblica   quando   è   libera   potendone   prendere   visione   anche   la   polizia   giudiziaria   indipendentemente  dall’esistenza  di  una  legittima  attività  ispettiva.  

140  Sull’argomento   si   rinvia   a   quanto   già   riportato   nella   parte   relativa   ai   limiti  

sulla loro utilizzabilità bensì sulla loro ammissibilità; e applicando correttamente l’art 189 c.p.p. sono da considerarsi inammissibili le videoregistrazioni acquisite in violazione dell’art 14 Cost..

In effetti l’art 189 c.p.p., coerentemente con l’art 190, comma 1, c.p.p. che obbliga il giudice ad escludere le prove “vietate dalla legge”, ha come presupposto logico una formazione lecita della prova, rendendo quest’ultima ammissibile solo in questo caso. Del resto, è evidente che l’espressione “prova non disciplinata dalla legge” fa riferimento all’assenza di una disciplina processuale riguardante la prova da assumere, ma ciò non vuol dire che con la stessa dizione s’intenda anche la prova basata su una attività che la legge vieta, come nella ipotesi delle riprese visive di comportamenti non comunicativi in ambito domiciliare. Da qui la conclusione che tali riprese non possono essere acquisite come prova atipica.

L’importanza della decisione della Suprema Corte del 2006 rende obbligatorio dare atto anche di un’autorevole dottrina141 che, pur approvando le conclusioni cui giunge la sentenza in questione, sostiene che si sarebbe potuto pervenire alla esclusione della prova, senza ricorrere ad una diretta operatività del divieto costituzionale, ma prospettando una interpretazione adeguatrice dell’art 189 c.p.p.. Se infatti, da un lato, questa norma ammette le prove atipiche, ma non determina i casi e i modi con i quali tali prove possono ledere i diritti fondamentali, dall’altro la Costituzione consente una limitazione di tali                                                                                                                

141  C.  CONTI,   Le   video-­‐riprese   tra   prova   atipica   e   prova   incostituzionale:   le   Sezioni   Unite  

diritti soltanto se la legge ne predispone una regolamentazione dettagliata.

Ciò vuol dire che un’interpretazione in linea con i dettami costituzionali obbliga a ritenere che l’art. 189 c.p.p. vieti l’ingresso nel processo di prove atipiche lesive dei diritti fondamentali proprio perché lo stesso non prevede né casi né modalità di tali limitazioni; così facendo il risultato della prova atipica verrebbe acquisito in violazione di un divieto probatorio implicito, incorrendo nella sanzione della inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191, comma 1, c.p.p.. Questa interpretazione dimostra che il sistema delle norme di rito è autosufficiente per escludere le prove contrarie ai diritti fondamentali costituzionali, senza essere costretti a ritenere necessaria la diretta operatività della Costituzione stessa142. Altra importante pronuncia della Cassazione143 ha successivamente stabilito un ulteriore interessante principio in materia di videoregistrazioni, stabilendo che “le videoregistrazioni di immagini non

comunicative, mere condotte, disposte dalla polizia nel corso delle indagini in luoghi non fruenti di particolare protezione, pubblici, aperti o esposti al pubblico, devono essere qualificate come documentazione dell’attività investigativa, che non richiede un provvedimento dell’autorità giudiziaria e sono utilizzabili come prove atipiche

                                                                                                               

142  Non  va  dimenticata,  comunque,  che  altro  orientamento  della  dottrina,  nel  concetto  di  

legge  contenuto  nell’espressione  “divieti  stabiliti  dalla  legge”  prevista  all’art.  191,  comma   1,   c.p.p.   fa   rientrare   anche   la   Costituzione,   nel   presupposto   che   la   Costituzione,   riconoscendo   come   inviolabili   alcuni   diritti   dell’uomo   fissa   altrettanti   divieti   probatori   nel   momento   in   cui   consente   limitazioni   a   tali   diritti   solo   nei   casi   e   modi   stabiliti   dal   legislatore   ordinario.   Così   L.  P.  COMOGLIO,  Perquisizione   illegittima   ed   inutilizzabilità   derivata  delle  prove  acquisite  con  il  susseguente  sequestro,  cit.,   1548;   L.  FILIPPI,  Ascolto  e   trascrizione  di  telefonate  all’inquisito:  sommarie  informazioni  o  prova  incostituzionale?,  in   Dir.  pen  e  proc,  2001,  p.  1395;  A.  CAMON,  Le  riprese  visive  come  mezzo  d’indagine:  spunti  per   una  riflessione  sulle  prove  incostituzionali,  cit,  p.1211.  

disciplinate dall’art. 189 c.p.p.”. Il caso di specie riguardava la videoripresa

d’immagini comunicative, chiaramente inutilizzabili per mancanza del necessario provvedimento autorizzativo e immagini non comunicative, raccolte in un appartamento adibito a studio professionale, dove si svolgevano manifestazioni di vita privata e quindi ricompreso nell’ambito della nozione di domicilio. La particolarità del caso s’incentra, inoltre, sul fatto che le riprese erano state effettuate da persona che era anche protagonista dell’episodio, per il quale il suo interlocutore non aveva il cosiddetto “ius excludendi”, poiché quest’ultimo si trovava nel suo ambiente di lavoro abituale che costituiva il suo domicilio per un periodo della giornata, periodo durante il quale venivano commessi i fatti. Pertanto la ripresa visiva fatta non aveva leso l’intangibilità del domicilio né la riservatezza dell’attività e la Cassazione riconoscendo che non era “configurabile alcuna intrusione nell’altrui domicilio, la videoripresa, almeno per

quanto concerne la fissazione degli atti non comunicativi, è da considerarsi prova atipica”.

La rilevanza di questa pronuncia è data da tre aspetti particolari. In primo luogo le videoregistrazioni riguardano comportamenti non comunicativi; in secondo luogo la captazione è stata fatta, d’intesa con la polizia giudiziaria, da un partecipante al fatto e che riveste anche la qualità di persona offesa dal reato; in terzo luogo le riprese sono state eseguite all’interno di un luogo identificabile come domicilio, non solo della persona oggetto di captazione ma anche della persona captante. Sulla base di queste tre peculiarità i giudici hanno riconosciuto applicabile la

norma di cui all’art. 189 c.p.p. con riferimento agli atti non comunicativi poiché, durante le ore lavorative della giornata il medesimo luogo era domicilio sia del lavoratore che del datore di lavoro e pertanto al titolare, non godendo dello ius exludendi alios non si applicavano le tutele previste dall’art. 14 Cost.. Ma parte della dottrina144 ha ritenuto che questa nuova qualificazione delle videoregistrazioni in termini di prova atipica ha comportato una violazione dei diritti inviolabili dell’individuo coinvolto nella vicenda. È stato, infatti, evidenziato come l’aspetto rivoluzionario di questa sentenza si basa su un errata visione garantistica delle disposizioni costituzionali poiché “da un lato, aggira la tutela apprestata al domicilio dall’art.

14 Cost., dall’altro, viola il diritto alla riservatezza riconducibile all’art.2 Cost.”145. Questa critica trova la sua ragione negli insegnamenti della Consulta, la quale ha precisato che, ove si tratti di luoghi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 2 Cost., per la riservatezza degli atti che si compiono, “le

registrazioni possono essere eseguite dalla polizia giudiziaria, ma solo con un livello minimo di garanzie, rappresentato da un provvedimento motivato dell’Autorità giudiziaria”146.

È da rilevare inoltre la carenza, in questa decisione, di valutazioni approfondite circa la violazione del diritto alla riservatezza dell’imputato. Infatti non si può legittimare l’invasione della sfera privata mediante videoriprese per il solo fatto che la persona offesa è legata da rapporto di lavoro subordinato con il titolare, autore del reato. E ciò, perché una                                                                                                                

144  A.  SPINELLI,  Videoregistrazioni:  tra  prove  atipiche  e  deficit  di  tutela  della  Cassazione,  in  

Dir.  pen.  e  proc.,  2011,  p.  1127.  

145  A.  SPINELLI,  Videoregistrazioni:  tra  prove  atipiche  e  deficit  di  tutela  della  Cassazione,  cit.,  

p.  1131.  

siffatta conclusione potrebbe verosimilmente portare ad una prassi degenerata consistente in una ininterrotta esecuzione di videoregistrazioni ad opera della persona offesa della quale la polizia giudiziaria potrebbe avvalersi coscientemente col fine di sottrarsi all’obbligo di richiedere l’autorizzazione all’ Autorità giudiziaria, e, come sostiene la dottrina di cui sopra, “laddove manchi tale controllo giudiziario vi

sarebbe un pericoloso annacquamento delle garanzie previste dall’ordinamento per lo svolgimento delle indagini preliminari, in favore di un inauspicato ritorno a sistemi indagatori di stampo prettamente inquisitorio”147.

Non appare neppure sufficiente, per la legalità della ripresa, la previsione del contradditorio tra le parti circa la modalità di assunzione del mezzo istruttorio, come previsto dall’art 189 c.p.p., poiché questo confronto non si può considerare come una riparazione sufficiente alla procurata lesione alle libertà individuali durante l’espletamento delle operazioni investigative. Di qui la necessità che la legalità costituisca un presupposto imprescindibile.

6. LE VIDEOREGISTRAZIONI NEI LUOGHI “RISERVATI”.

Da quanto esposto nei paragrafi precedenti appare evidente che alcuni luoghi quali le toilettes, i privès e similari sono luoghi che, non presentando i requisiti richiesti, non possono qualificarsi come un “domicilio”,

                                                                                                               

147  A.  SPINELLI,  Videoregistrazioni:  tra  prove  atipiche  e  deficit  di  tutela  della  Cassazione,  cit.,  

neppure nel periodo di tempo in cui sono utilizzati da un soggetto, stante la transitorietà e la non esclusività del rapporto tra luogo e persona. È merito della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite148 di aver individuato una categoria che si pone in posizione intermedia tra il domicilio e i luoghi pubblici o aperti al pubblico, identificandola con quella dei “luoghi riservati”, bilanciando così da una parte le esigenze investigative e dall’altra la necessità di tutelare la riservatezza che caratterizza tali luoghi. Appare infatti evidente che taluni luoghi non possono essere trattati alla stregua di un qualsiasi luogo pubblico o esposto al pubblico, ma non giustificando una loro equiparazione al concetto di domicilio, non sembra corretto che ciò che vi avviene possa rimanere esposto a qualsiasi genere di intrusione. Una dottrina in particolare ha posto l’accento sulle ragioni di carattere processuale che sono alla base di questa pronuncia, e precisamente l’individuazione di un “tertium genus tra i luoghi pubblici o aperti al pubblico ed i luoghi di privata

dimora, coniando la categoria dei luoghi riservati, così da rendere ammissibili le riprese visive al loro interno nonostante la mancanza di una disciplina specifica”149. Si deve comunque precisare che la giurisprudenza successiva a questa decisione è rimasta oscillante. Infatti, a breve distanza l’una dall’altra sono state emesse due sentenze di cui, una150 conforme a quanto detto dalle Sezioni Unite, ed un'altra151 di segno opposto.

                                                                                                               

148  Cass.  pen.,  Sez.  Un.,  28  luglio  2006,  cit.,  1349.  

149  G.  PESTELLI,  Il  delitto  di  “indiscrezione  domiciliare”  ex  art.  615  bis  c.p.  alla  luce  della  più   recente  elaborazione  giurisprudenziale,  in  Dir.pen.proc.,  2013,  p.  717.  

150  Cass.  pen.,  sez  V,  3  marzo  2009,  Fabbro,  in  C.E.D  Cass.,  n°  244199,  che  ha  negato  che  

costituisse   un   interferenza   illecita   nella   vita   privata   altrui,   riconoscendo   integrati,   per   contro,  i  soli  estremi  della  violenza  privata  ,  la  condotta  di  colui  che  aveva  introdotto  una  

Resta comunque il fatto che il diritto alla riservatezza e al rispetto della vita privata trova il suo riconoscimento costituzionale nell’art. 2 Cost., al quale si aggiungono norme ancora più precise quali, l’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e l’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici152. Ma la tutela che la Costituzione appresta con l’art.14 Cost. per il domicilio non è la stessa prevista per il diritto alla riservatezza; è, per tale motivo, che in assenza di una disciplina specifica le videoriprese in contrasto con tale diritto possono essere consentite ed utilizzate dal punto di vista probatorio a norma dell’art. 189 c.p.p..

Pertanto, considerato che la violazione dell’intimità, effettuata attraverso una captazione di immagini in luoghi “riservati”, è meno grave rispetto a quella che si verifica attraverso le videoriprese effettuate nel domicilio, si determina in questa fattispecie la necessità di prevedere l’esistenza di

                                                                                                                                                                                                                                                                     

telecamera   sotto   la   porta   di   una   toilette   pubblica   per   captare   le   immagini   di   chi   vi   si   trovasse  all’interno,  negando  che  la  stessa  possa  essere  considerata  un  luogo  di  privata   dimora  ,  anche  nel  tempo  in  cui  sia  occupata  da  una  persona.  

151  Cass.   pen.,   sez   V,   11   giugno   2008,   Mistraletti,   in   C.E.D.   Cass.,   n°   241587,   che   ha  

ritenuto  configurato  il  delitto  di  cui  all’art.  615  bis  c.p.  nel  caso  di  un  soggetto  che  tramite   una  macchina  fotografica  si  era  procurato  indebitamente  le  immagini  di  alcune  ragazze   partecipanti   al   concorso   di   “Miss   Italia”   ritratte   nude   o   seminude   nel   camerino,   sulla   scorta   dell’osservazione   secondo   cui   detto   camerino   rientra   nel   concetto   di   luogo   di   privata   dimora,   inteso   come   luogo   che   consente   una   sia   pur   temporanea   esclusiva   disponibilità   dello   spazio   e   perciò   garantisce   un   area   d’intimità   e   riservatezza   chi   lo   occupi.  

152  Si   tratta   della   Convenzione   internazionale   tra   gli   stati   membri   delle   Nazioni   Unite,  

nato   dall’esperienza   della   “Dichiarazione   universale   dei   diritti   dell’uomo”   adottato   nel   1966   ed   entrato   in   vigore   il   23   marzo   1976,   al   cui   art.   17   prevede   che:   “nessuno   può  

essere   sottoposto   ad   interferenze   arbitrarie   o   illegittime   nella   sua   vita   privata,   nella   sua   famiglia,  nella  sua  casa  o  nella  sua  corrispondenza,  né  a  illegittime  offese  al  suo  onore  e   alla   sua   reputazione.   Ogni   individuo   ha   diritto   ad   essere   tutelato   dalla   legge   contro   tali   interferenze  o  offese”.  

alcune garanzie minime quali il rilascio di un atto motivato dell’ Autorità giudiziaria153.

Questa soluzione, adottata dalle Sezioni Unite, in tema di videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi effettuati in luoghi riservati, ricalca la soluzione che fu accolta in passato circa l’acquisizione dei tabulati telefonici, prima che la materia fosse disciplinata espressamente all’interno del T.U. sulla privacy154. Infatti, la stessa Corte

Costituzionale155 aveva affermato, in tema di tabulati telefonici, che l’acquisizione dei medesimi comprimeva il bene giuridico costituito dalla “segretezza dei dati esterni” della comunicazione, bene tutelato dall’art. 15 Cost., ma che richiedeva una protezione inferiore rispetto alla segretezza dei contenuti delle comunicazioni. Così la Consulta ritenne non necessaria l’applicazione della disciplina delle intercettazioni, ma che fosse sufficiente l’esistenza di un decreto motivato dell’Autorità giudiziaria, richiamando la normativa prevista per il sequestro di documenti coperti da segreto prevista all’art. 256 c.p.p..

È appena il caso di ricordare che il provvedimento dell’Autorità giudiziaria, sia essa il pubblico ministero o il giudice, dovrà ben precisare nella motivazione quali siano gli elementi probatori che, attraverso l’atto intrusivo, si ritiene che possano essere utilmente acquisiti. In                                                                                                                

153  C.  CONTI,   Le   video-­‐riprese   tra   prova   atipica   e   prova   incostituzionale:   le   Sezioni   Unite  

elaborano  la  categoria  dei  luoghi  “riservati”,  cit.,  1347,  dà  atto  alla  Corte  di  aver  effettuato  

la   migliore   mediazione   possibile   tra   le   esigenze   del   sistema   e   quelle   della   prassi,   contemperando   la   ragione   pratica   nascente   dall’utilità   dell’atto,   fonte   di   certezze   processuali,   e   dall’impossibilità   di   attendere   una   regolamentazione   legislativa   e   la   contemporanea  necessità  di  non  ledere  diritti  inviolabili.    

154  Art.132,   d.lgs.   30   giugno   2003,   n°   196,   modificato   dal   D.L.   27   luglio   2005,   n°   144,  

convertito  con  modificazioni  dalla  l.  31  luglio  2005,  n  155.    

conclusione, sia la mancanza del provvedimento autorizzativo sia “l’incongruità” della motivazione contenuta nello stesso porterà a concludere che la prova atipica, costituita dalle videoregistrazioni effettuate, si presenti carente di un presupposto per la sua ammissibilità. L’utilità della creazione del concetto di “luogo riservato” appare chiara se consideriamo talune ipotesi particolari che prima di detta sentenza non trovavano una risposta soddisfacente. In particolare ci si vuol riferire al problema spinoso della collocazione sistematica del luogo rappresentato dall’abitacolo dell’autovettura. La maggior parte della giurisprudenza156, infatti, ha sempre escluso l’autovettura dal concetto di domicilio e dal concetto di luogo di privata dimora, sul rilievo che la funzione tipica del mezzo è quella di trasferire da un luogo ad un altro persone o cose, ed il