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L’errore di Alessandro

Nel documento Simone Porzio (pagine 103-126)

Si è già visto quanto il De mente humana abbia segnato la postuma sfortuna critica di Porzio, ma a parere di Fabroni, livido nei confronti di quel professore napoletano giunto a Pisa per strappare onori ai pur meritevoli autoctoni, l’opera avrebbe addirittura causato anche la sua rovina presso Cosimo costringendolo così ad un repentino e travagliato ritorno in Campania:

Omnia, quae adversus Pomponatium minus recta de animae immortalitatae sentientem agitata fuere, in Portium erupere, et cum ipse intellexisset haec offendere animum Cosmi, tum fortasse deserendae Etruriae consilium cepit. Ad id jactabatur creditorum querelis, et in aes alienum eumdem incidisse ex litteris Laelii Taurelli conjici potest288.

Difficile credergli tuttavia in base all’amichevole carteggio che Porzio e il Duca continuarono a scambiarsi fino alla morte del filosofo, ma anche considerando che mentre l’opera era stata stampata all’inizio del 1551 il professore avrebbe lasciato la Toscana solo alla fine dell’anno seguente. La rancorosa ricostruzione di Fabroni a proposito delle vicissitudini del De mente

humana si fonda del resto unicamente su di una lettera di Paolo Giovio, nella

quale lo storico informava Porzio che il suo trattato sarebbe incorso assieme al De dolore «in Cucullatorum praesertim voculas». L’abate forzava tuttavia le parole di Giovio, poiché in un contesto comunque scherzoso, lo storico anzitutto non parla di accuse contro il De dolore e pare in realtà limitarsi ad una battuta spiritosa peraltro incentrata sulle preoccupazioni di gesuiti o teatini («preti riformati») non a proposito dei contenuti, bensì solo sul titolo dell’opera mentre questa era ancora in stampa:

Quanto alla stampa, avemo nuove: la prima è che essendove capitato un poeta nuovo [...] e vedendo il libro vostro De dolore Simonis Portii, domandò semplicemente al signor Varchi se forse gli era morto qualche figliuolo, che causasse questo dolore. La seconda è che preti riformati si sono scandalizzati, per non dire ammutinati, del titolo del vostro libro, dicendo

che non vuol dir altro in effetto che De libero animi arbitrio; per il che è stato arenato, e poco mancò che non abbi dato a traverso, come le galee del duca Orazio289.

Senza dubbio è possibile porre in relazione la successiva e bizzarra vicenda editoriale della Forma orandi ad un tentativo di correggere l’impostazione troppo marcatamente materialista del De mente humana, così come del resto è un fatto che in quegli stessi anni la politica culturale di Cosimo si andasse riaggiustando in direzione di una piena ortodossia ed obbedienza nei confronti del papato, ma in base alla documentazione della quale finora disponiamo è verosimile affermare che lo scandalo di quel trattato mortalista non esplose in coincidenza con la sua pubblicazione, ma a distanza di qualche tempo: gli avversari che ebbe, come Bernardi e Marta, furono d’altronde tutti postumi290.

Non era del resto segreta alla corte medicea la predilezione di Porzio nei confronti dell’esegesi alessandrista, e quindi mortalista, di Aristotele291. Anzi,

a dispetto del magistero di Nifo – che oscillava appunto tra una “trasgressiva” attrazione verso Averroè e un’ostentata militanza sincretica – addirittura fin dagli anni del suo primo insegnamento napoletano e nonostante il rigido controllo che Toledo esercitava sull’università, Porzio aveva già manifestato la sua convinta adesione alla lettura dell’Afrodisio. In un corso sul secondo libro dell’Anima tenuto nel 1542 la sua posizione è infatti definita e anticipa i nuclei del trattato della maturità:

Dicimus animam non esse sine corpore quia est finis et perfectio et sic non potest esse forma sine materia, hec verbe sunt ex quibus colligebat Alexander quod anima est corruptibilis si

289 P. Giovio a S. Porzio, 20 maggio 1551 in P. Giovio, Lettere, II, a cura di G. G. Ferrero, Roma, 1958, p. 196. L’identificazione dei preti riformati nei gesuiti e teatini è stata fata da Vasoli, Tra Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Juan de Valdés, cit., p. 591.

290 Cfr. supra, cap. II.

291 Alla 19° lezione del corso su Anima III del 1545 partecipa anche lo stesso Cosimo («interfuit eximius dux Florentiae»), come annota l’anonimo reportator. Cfr. ms. Bywater 7, Bodleian Library, Oxford, f. 35v.

anima non potest separari a corpore, ergo anima est corruptibilis dicit Aristoteles et propter hoc bene opinantur antiqui, quod anima non sit corpus, nec quod possit esse sine corpore292.

Era pertanto la stessa definizione di anima fornita da Aristotele, quella di perfezione del corpo, che portava Alessandro ad affermarne l’inseparabilità e quindi la mortalità. L’esegesi dell’Afrodisio confermava così quanto era stato sostenuto pure dagli antichi, vale a dire che l’anima non fosse corpo, ma non potesse neanche essere senza corpo: il mortalismo assumeva così il carattere di una verità filosofica originaria che Aristotele aveva sancito ed Alessandro esplicato. L’altro argomento che invece Porzio presentava qui a favore dell’interpretazione mortalista era sostanzialmente affine a quello che reggeva il De immortalitate animae di Pomponazzi, e si fondava su quanto detto dallo stesso Aristotele in apertura del trattato sull’anima:

Tunc licet intellectus non dat esse (respice quod est vera opinio mea, quod omnes greci dicunt quod intellectus non dat esse) quia nullius corporis est actus, tunc non potest esse sine corpore quantum ad opus ipsum, et sic vult quod numquam separetur a corpore in quantum ad operationes, quia non potest intelligere sine fantasmata, sic separabile est cum corpore quantum ad operationem, quia in omni sua operatione indiget corpore et sic bene dictum est de omni anima quod non possit esse sine corpore, et de intellectu sequiretur quod esset mortalis, quia non potest esse sine corpore, concedo quantum ad operationes, quia non dat esse. Hec est intentio Aristotelis, laudando ipsos antiquos qui dixerunt animas non posse esse sine corpore, sed quando Aristoteles dixit quod illi qui dixerunt animam non posse esse sine corpore bene dixerunt [...]293.

Il primo passaggio era così quello di ridimensionare l’intelletto da anima che

dat esse a semplice parte di essa, in secondo luogo si dimostrava che la

dipendenza conoscitiva dell’anima dai phantasmata del corpo impediva all’intelletto di potersi astrarre absolute dalla materia anche per eseguire la propria operazione. Era in base a questa stretta interazione di materia e forma, di corpo e anima, che Porzio era in grado di cassare le pretese

292 Anima II, ms. 153 inf., Biblioteca Ambrosiana, Milano, f. 164r. 293 Ivi, f. 164r-v.

filosofiche della posizione di Filopono, pronto addirittura a recuperare Pitagora e la metempsicosi per garantire una piattaforma speculativa alla dottrina cristiana dell’immortalità:

Pythagora, ut Philoponus dixit, voluit quod anima possit esse sine corpore, et sic daret resurrectio mortuorum et dicebat quod animam non determinat sibi corpus poterat esse in corpore asinino, humano. Similiter Christianus debet credere quod Deus potest ponere animam et spiritum in omni corpore, como sapite voi nelli Evangelii che Christo fece transire lo demonio alli porci et che li porci andorno al mar et si annegherno, secundum philosophos non, quia forma determinat materiam294.

Contenuto non diverso ebbero le lezioni sul terzo libro dell’Anima che Porzio tenne appena giunto a Pisa tra il 1545 e il 1546. La methodica brevitas che contraddistingue le esposizioni di Aristotele – accentuata nel caso del De

anima forse anche per il timore di irritare gli ateniesi – non favorisce il

compito dell’esegeta, ma Porzio stabilisce subito che questa sull’anima sarà una ricerca in chiave di filosofia naturale in quanto se è lecito alla fisica trattare del primo motore, a fortiori le sarà altrettanto consentito affrontare lo studio di una parte dell’uomo295. L’analisi procede rigorosa e per certi aspetti

in modo quasi tradizionale seguendo la scia di Alessandro, il quale «interpretatus est verba Aristotelis non pervertendo sensus», e si accentra in particolare intorno alla quaestio centrale de aeternitate animi296. La struttura

della quaestio è di enorme interesse, in quanto costituisce l’ossatura di quello che pochi anni dopo diventerà il De mente humana. Nonostante sia divisa esplicitamente in due parti, una secundum rationem naturalem, l’altra secundum

fidem, non per questo si deve attribuire alla prima tutto il peso speculativo:

anche la trattazione sull’anima fondata pressoché esclusivamente sulla Bibbia presenta infatti temi, come quello del libero arbitrio e del fato, che si

294 Ivi, f. 164v.

295 Porzio, Anima III, cit., f. 5r.

296 Disponiamo di due versioni della quaestio: una è appunto quella oxoniense (ff. 82v-98r) cui facciamo riferimento, l’altra invece è conservata nel ms. Mellon 32, Beinecke Library, Yale, ff. 42r-53v.

presteranno facilmente ad una trasposizione nel campo della filosofia naturale come si vedrà nel trattato del 1551.

Nel modo in cui è ovvio attendersi, la quaestio porziana si conclude dimostrando la mortalità filosofica e l’eternità teologica dell’anima: una soluzione inevitabile anche perché nessuna scienza rigorosamente speculativa avrebbe gli strumenti adatti per rendere conto di una forma immortale:

Secundo dato quod anima esset separata qua scientia cognosceremus eam? Cui pertinet? Non libro animae, quia operationes faciunt cognoscere potentiam et substantiam, forma et nulla est operatio naturalis ex qua ducamur ad aeternitatem nec sensus nec intellectus nec vegetatio, nec operatio quam in nobis experiamur quia non experimur in nobis quod sit aliqua potentia qua attus sit aeternus.

Dices a methaphisico probabitur methaphisicus non potest quia secundum Averroem xii met considerat entia quae sunt principia entis in quantum ens, et ens in quantum ens quae scilicet conveniunt omnibus predicamentis non Deo et creaturis ut dicit Averroes anima nostra aliquid est istorum? Est ne ens in quantum ens? Non quia in quantum ens comune trascendens non principium entis in quantum ens quia principia entis sunt universalia est vero anima principium hominis tantum ergo non potest cognosci a methaphisico, quoniam non est ens per essentiam, nec principium entis confirmatur methaphisicus considerat quidditatem universalem quidditas animae est particularis qui est haec natura et non indifferens ergo his rationibus methaphisicus non potest cognoscere animam separatam. Moralis etiam scientia non habet medium quia aut cognoscitur medio quod est virtus animae quae vel est practica vel theorica, non est virtus practica quoniam sunt hae operationes moralis virtutis cuius non est anima similiter ut est speculativa vel theorica nihil cognoscitur nisi quod habetur xii met quia ultima perfectio est cognoscere substantias separatas non est intellectus adeptus ut dicit Averroes, si anima ut separata non potest cognosci ab ulla scientia restat quod a theologia patet ergo quod philosophus nec ullus potest cognoscere animam et separatam sub isto predicato scilicet separatum297.

Alla soluzione mortalista il napoletano giunge attraverso la riproposizione di motivi già sfruttati nel corso delle lezioni napoletane, ma soprattutto dopo aver accumulato un grande numero di argomenti spesso per absurdum. Se talora Porzio insiste sulle altrimenti inspiegabili omissioni di Aristotele, in passi dove avrebbe potuto comodamente sostenere con chiarezza la tesi

dell’immortalità («si enim quod est in nobis est mole parvum est virtute magnum, scilicet intellectus quid hic de immortalitate o Aristoteles non ne erat hic locus immortalitatis scilicet declarandi quod eramus immortales?»)298,

altrove dimostra come ammettere l’incorruttibilità dell’anima capovolgerebbe in modo radicale i principi del filosofare aristotelico, intersecandosi necessariamente con il problema dell’ eternità del mondo:

Data ista positione quod anima sit aeterna sequitur inconveniens illa positio est magis consona philosopho quae consonat omnibus dictis philosophi quam ea quae dissonat omnibus, sed posita corruptibilitate intellectus possibilis ponimus omnia principia Aristotelis potius quam posita aeternitatem, ergo ponenda est haec minor patet discurre per omnes libros Aristotelis, incipe a physica toti illi libro et de generatione et de caelo repugnat probo. Probat Aristoteles ex nihilo nihil fieri primo phisica, at posita anima aeterna tu habes ponere creationem; secundo contradicit secundo libro natura est principium motus eius in quo est data aeternitate animae non esset iam quia non est intellectus principium rei et est cum esse et non est cum non esse. Amplius contradicit tertio libro physicae, dicit ibi quod non datur infinitum in attu, et si ponis animas aeternas et multiplicatas ponis infinitum in attu et quarto libro locus est mensura locati quia omne quod est mensuratur loco et anima esset, corpus et in loco et non coniungeretur loco quia est indivisibilis et locus divisibilis similiter capite de tempore si anima esset separata, aeterna et creata, esset sub caelo ergo sub luna ergo sub tempore, ergo mensuratur tempore et marcesceret in tempore299.

Per converso è proprio l’opposto motivo della creazione che contribuisce a sostenere la posizione teologico-fideistica, ponendo così l’anima al riparo dal nesso generabile/corruttibile stabilito da Aristotele nel De caelo. Se per dimostrare la mortalità dell’anima secondo i principi peripatetici Porzio insiste molto sull’analisi delle definizioni chiave come entelechia e forma

corporis, per argomentare l’opposta tesi si fonda su di alcuni passi biblici.

Un’esposizione completa della storia dell’umanità dal peccato di Adamo alla redenzione di Cristo è utile non solo per riconfermare il beneficio della fede, ma anche per fissare quattro punti fondamentali:

298 Ivi, f. 91v. Analogo argomento è quello presentato da P. Pomponazzi, De immortalitate

animae, IX, 29.

Data ista positione quid credendum de anima? Quatuor, primo esse immediate a Deo, secundo esse aeternam auctoritatem Dei ideo Scotus dicit postquam eius aeternitatem a priori et a posteriori probare non possum quantum debemus, Christus qui fecit nos certos fide? Esse in nobis caritatem et animam eternam debes. Tertio tenere quod anima sit una et non plures ut dicit Philoponus, et forma hominis quia dicit fecisti me domine sed etiam in concilio viennensi et in clementina titulo de summa trinitate et fide catholica dicitur qui dicat animam rationalem non esse formam corporis est anathema. Quarto quod anima non sit de substantia Dei hoc determinatum est in conclio bracanense, qui dicit animam esse de substantia Dei est anathema, sic anima nostra est forma immortalis, forma substantialis nostra et non de substantia Dei sequitur etiam aliud quod est error et non heresis an scilicet anima sit facta ex nihilo et simul cum corpore300.

Scoto e Filopono, fino a quel momento sconfitti dall’implacabile argomentare

in puris naturalibus di Alessandro, vengono quindi recuperati come auctoritates

di riferimento, mentre Porzio sfrutta il nuovo approdo fideistico per dare forza alla conclusiva esegesi biblica che attesti l’eternità dell’anima:

Ad pleniorem doctrinam ideo veniendum est ad Christum qui venit ad hoc declarandum, scilicet aeternitatem animae et secundo finem nostrum quod sit alias finis quam naturalis ut gentibus declaravit contra iudaeos qui negabant resurrexionem ut in Mathaeo, dicebat ipsi si datur resurrexio ego sum docturus, illa uxorem alias quam prius habui. Respondet Christus vos ignoratis virtutem Dei et respondet ad formam non nubent, sed erunt sicut angeli in celo, non c’è nè maschio nè femina et addit non ne audistis quod dictum est ego Deus Abraam Deus Isaac Deus Iacob? Modo Deus est Deus mortuorum vel viventium? Certe viventium, arguit eos in scriptura, ergo quando dico Abraam et Isaac mortui sunt, non sunt mortui secundum animam, sed secundum corpus unde patet animam esse immortalem similiter in Mathaeo, non timeatis ab his qui possunt occidere corpus, animam autem occidere non possunt sed eum qui occidit animam, idest potest mittere in gehennam et in Luca etiam ubi scribitur id quod Gregorius et Crisostomus dicit quod erat vera historia de Lazaro, illo divite et epulone et de illo qui moriebatur fame ambo devenerunt ad mortem pauper visus fuit quod eius anima fuit ablata in celum, illa vero divitis in infernum et alloquebantur se ad invicem, ecce animae aeternitatem a Christo et Isaias dicit non est inventus dolus in ore eius

nec peccatum ut Petrus in sua canonica si ergo huic non creditis cui credetis? Preterea habes ite malediciti in ignem aeternum ad quid ignis aeternus si anima corruptibilis301?

Porzio ha chiaramente presente l’insufficienza razionale di simili argomenti, e pur cercando ancoraggi al dogma presentando le delibere di vari concili, non manca di evidenziare che diversi punti cruciali sono lasciati in sospeso dalla dottrina della Chiesa. Ad esempio, la scrittura e i teologi non riescono a stabilire quale rapporto sia da porre fra creazione dell’anima e creazione del corpo:

Sequitur etiam aliud quod est error et non heresis an scilicet anima sit facta ex nihilo et simul cum corpore. Vel primo creata esset anima et secundo informetur corpus ambiguum est et est error non heresis quia omnis ecclesia tenuit hoc sed hoc non invenitur in scriptura adeo dicit Scotus quod est ex nihilo in primo instanti et dicit et iste est error Appolinaris et non adducit scripturam in fine ut solet et non dixit quod est contra determinata scripturae quia heresis non erat et Divus Augustinus in epistola ad Hieronimum dicit si hoc sit vel non, non habetur locus in scriptura sed tenemus ex fide quod ex nihilo fecit animam similiter ad orosia et fides cogit ad hoc non habetur locus in scriptura et Eucherius supra Genesim ibi quomodo de costa fecit mulierem dicit an anima fuerit ex anima viri ut corpus ex corpore non est determinatum. Scotus dicit anima an sit primo creata post corpus vel animatio et creatio simul non est determinatum, patet ergo quod iste est error et non heresis tenere oppositum et quod non determinatum est ab ecclesia utrum anima sit facta ex nihilo302.

Insomma, se le Scritture non forniscono elementi, non si potrà parlare di eresia ma solo di errore per chi non sostiene la tesi ufficialmente accettata dalla Chiesa. Ben altre certezze è in grado di garantire l’opposto – in tutti i sensi – campo della filosofia, e Porzio riproporrà lo stesso corso su Anima III nel 1548. Di queste lezioni conosciamo tuttavia solo l’entusiasmo che suscitarono in Pompeo Della Barba, in quanto non ce ne è giunta alcuna

reportatio sia pure parziale303.

301 Ivi, ff. 97v-98r. 302 Ivi, f. 96r.

Sebbene relegati all’interno di una produzione minore, non vanno dimenticati due corollari del mortalismo di Porzio, come il rifiuto tutto antisimpliciano del senso agente – al quale il filosofo dedica un trattatello in volgare e una

quaestio in latino – nonché la tenace opposizione alla realtà delle species

intelligibili, entrambi mirati a non riconoscere uno statuto di immaterialità ai modi della conoscenza umana, perennemente legata e debitrice ai fantasmi che le vengono forniti dai sensi304. Eloquente è uno degli argomenti che

Porzio ritiene abbiano guidato Scoto ad ammettere le species intelligibili, pure a costo di forzare Aristotele, vale a dire proprio la necessità di svincolare l’anima dai phantasma per salvarne la natura separata:

Si intellectus intellexit universale ut relucet in fantasmate, ergo intellectus non est separabilis quia non potest intellectus intelligere universale in fantasmate nisi fantasmate sint, sed ista sunt quando intellectus est unitus corpori ergo semper intellectus debet esse coniunctus corpori si vult intelligere quia oportet ut sit ubi sunt fantasmata, necesse est intelligente fantasmata speculari et istud est argumentum fortissimum non contra nos, quia iam est verum apud nos quod non potest intellectus intelligere nisi fantasia fantasietur, ut dixit Aristoteles primo de anima, aut est fantasia, aut non sine fantasia, sed bene est magnum contra illos sentientes quod anima separatur a corpore305.

Insomma, il De mente humana non rappresenta altro che il bilancio conclusivo e sistematico di un mortalismo alessandrista che per Porzio era stato una

Nel documento Simone Porzio (pagine 103-126)

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