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Parva naturalia tra Napoli e Pisa

Nel documento Simone Porzio (pagine 64-103)

Una convinta militanza aristotelica filtrata attraverso l’esegesi antica di Alessandro, il conseguente rifiuto di elementi esterni al paradigma peripatetico per quanto dotati dell’appeal da argomento alla moda, un interesse per il dato positivo e particolare ed infine una minuziosa attenzione filologica alle parole sono le linee direttive che è dato cogliere da queste opere senza dubbio minori, ma che permettono di cogliere l’ossatura e i confini tutti terreni della fisica e della psicologia di Porzio. La ricomposizione dei diversi aspetti avviene nelle grandi opere come il De mente humana e il De rerum

naturalium principiis: qui importa però sottolineare la vastità delle competenze

del filosofo napoletano, capace di dedicare – come si vedrà – affondi monografici alla medicina, alla filologia e anche alla biologia.

Due libelli dalla storia lunga

Opere come l'epistola De conflagratione agri puteolani (1539) e il trattatello De

puella germanica (1542) possono essere incasellate all'interno di più generi a

causa delle loro vicende editoriali. Esse nascono come brevi relazioni di carattere scientifico, l'una a proposito di un terribile stravolgimento sismico d’origine vulcanica avvenuto a Pozzuoli nel 1538 pochi mesi prima della pubblicazione del libello, l'altra su di un caso di inedia ai limiti del miracoloso che aveva interessato molti dei più importanti medici europei intorno al 1542. Entrambe si pongono dunque sotto il segno dell'attualità, come risposte immediate agli interrogativi suscitati da quegli eventi stupefacenti. La loro ripubblicazione circa dieci-dodici anni più tardi sposta il fulcro dell’interesse, lasciando ovviamente cadere l'aspetto legato alle contingenze temporali. Se nel 1551 sia il De conflagratione, sia il De puella vengono ristampati da Torrentino, ciò accade perché ormai i due libelli hanno trovato un esclusivo inserimento nella letteratura sui monstra, i mirabilia, i miranda, le raritates così cara alle corti e che in quegli anni tanta fortuna incontrava in particolare sul

versante medico dei consilia individuali181. Nate insomma come instant books,

le due opere perdono con la ristampa il loro carattere più caduco configurandosi unicamente come descrizioni di eccezionali fenomeni naturali singoli che il filosofo riesce tuttavia a ricondurre all'interno della regolarità delle leggi fisiche182.

Le soluzioni che l'epistola e il trattatello portano per spiegare rispettivamente la distruzione di Pozzuoli e il prolungato digiuno della fanciulla di Spira non sono tuttavia da leggere come applicazioni a casi particolari di un generale paradigma direttamente ancorato al De incantationibus, per quanto la suggestione non manchi di una certa efficacia183. L’intenzione di giustificare

eventi apparentemente prodigiosi rimanendo in puris naturalibus accomuna infatti Pomponazzi e Porzio, entrambi interessati a salvaguardare il peripatetico concetto unitario di natura quale sola scaturigine delle proprietà del mondo sublunare, ma il primo non esita nel farlo a ricorrere ad armi spurie, come l’astrologia e le teorie dell'immaginazione, mentre il secondo compie la stessa operazione facendo appello ad un versante puramente fisico: cerca le ragioni dell'asitia nella tradizionale fisiologia della teoria degli umori, così come spiega i terremoti più violenti parafrasando in modo fedele la

181 Sulla fortuna della letteratura medica sui miranda e i casi individuali a meta del XVI secolo cfr. L. Deer Richardson, The generation of disease: occult causes and diseases of the total substance, in The medical renaissance of the sixteenth century, ed. by A. Wear, R. K. French e I. M. Lonie, Cambridge 1985, pp. 175-194; N. Siraisi, Medicine and the Italian University 1250-1600, Leiden, 2001, pp. 226-227.

182 Nel caso dell’epistola si perdeva anche la dimensione napoletana della narrazione, in quanto nell’edizione fiorentina Porzio specifica alcuni aspetti toponomastici e lascia cadere altri particolari incomprensibili per un cittadino non partenopeo.

183 Questo accostamento dei libelli De conflagratione e De puella con il De incantationibus di Pomponazzi sorge infatti abbastanza ovviamente e costituisce un luogo comune della loro interpretazione a partire da Saitta, L’aristotelico Simone Porzio, cit.. A quanto risulta dal volgarizzamento dell’epistola De conflagratione curato da Rizzuti, (Porzio, Trattato del fuoco, cit., p. 7), il filosofo avrebbe composto un trattato più ampio sui prodigi, ma poiché il riscontro con l’originale latino non conferma la notizia, si potrebbe piuttosto ipotizzare che il presunto De portentiis altro non sia che l’accademico commento alle Meteore che lo stesso Porzio cita più volte nel corso del libello.

Meteorologia aristotelica. Questo non implica – ben inteso – nessun giudizio

sulla maggiore o minore modernità di Porzio nei confronti di Pomponazzi, in quanto la vera differenza che semmai è dato cogliere nei loro approcci è l'assoluta adesione del napoletano all'ortodossia del testo aristotelico in opposizione ad una maggiore indipendenza speculativa del Peretto, manifesta a partire dalle forzature che egli opera all'interno del cosmo aristotelico con l’enfasi che conferisce alla magia, all'astrologia e all'imaginatio. Anche senza avventurarsi in rischiose confutazioni dell'esistenza dei demoni o evocare altre categorie estranee all’aristotelismo tradizionale, Porzio afferma con disinvoltura l'autosufficienza dei fenomeni della natura: i suoi

miranda – accidentalmente connessi a particolari avvenimenti umani –

vogliono solo essere integrati all'interno della razionalità delle leggi fisiche, restando slegati da ogni vicenda cosmico-astrologica complessiva che possa divenire una compiuta sorta di filosofia della storia184. E’ dunque altrettanto

evidente che una categoria seppur vasta come quella di “magia naturale” appaia impropria per definire il contenuto di libelli come il De conflagratione e il De puella germanica, tutti incentrati a riaffermare la regolarità del corso del mondo indipendentemente da ogni intervento esterno, divino o umano che sia. Il prodigio per Porzio è solo un evento naturale raro di fronte al quale il filosofo ha il dovere di impiegare le armi della ragione per disinnescare le paure del volgo ignorante, e sfruttando dichiaratamente alla lettera i principi del corpus aristotelicum può astenersi da ogni confronto mistificatorio verso i miracoli cristiani: i domini della sua filosofia non si spingono così oltre185.

L’epistola De conflagratione conobbe un immediato successo prima ancora di essere stampata: esemplari manoscritti dell’opera, qualche volta volgarizzati,

184 Cfr. E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, Firenze, 1935, p. 170. 185 Non concordo pertanto con quanto affermato da P. Zambelli, L’ambigua natura della magia, cit., p. 279, che definisce i due libelli opere come descrizioni di casi singoli di magia naturale. Sia il De conflagratione, sia il De puella sono – come si vedrà – nient’altro che applicazioni a singoli casi di dottrine naturali di Aristotele, che nulla hanno quindi a che vedere la magia naturale.

sono infatti molto diffusi186. Il libello – stampato per la prima volta nel 1539 e

poi nel 1551 – ebbe tuttavia anche una versione in volgare “ufficiale” realizzata da Ortensio Rizzuti sempre nel 1539, nonché numerosi epigoni187.

Il pregio principale dell’epistola porziana dovette risiedere nella prontezza con la quale comparve subito a ridosso dell’evento che descriveva: il terribile terremoto che nel settembre 1538 squassò la zona di Pozzuoli per giorni e giorni, distruggendo le celebrate terme di acque solforose e provocando il sorgere repentino di un monte che prese per questo l’appellativo di Nuovo. L’opera si apre proprio sottolineando la natura eccezionale dell’evento, che si prestava pertanto ad essere frainteso e addirittura proiettato in una dimensione ultraterrena:

Multa sunt, quae etsi naturali ratione eveniant, quia tunc raro contingunt, portenta hominibus atque iis maxime, qui rumore potius ea quam visu percipiunt, videri solent. […] Quae natura raro fiunt, non una ratione oriuntur, cum eorum quaedam certis careant definitisque causis, cuiusmodi sunt, quae temere et casu fiunt, alia vero non sine certis causis tametsi ea quoque raro eveniat. Huius generis sunt luminarium defectus, ignae exhalationes, terraemotus188.

Nonostante la tendenza dei rudiores ad associare la rarità di un fenomeno a concetti come caso o prodigio, il carattere di eccezione di un avvenimento non pregiudica la possibilità di spiegarlo razionalmente poiché ad esempio di

186 Mi risultano almeno 4 esemplari manoscritti del De conflagratione, il ms. 26 A, University Library, Manchester; il ms. Phill. 12844, Harry Ransom Humanities Research Center, Austin; il ms. V A 46, Biblioteca Nazionale, Napoli; e infine un volgarizzamento coevo dell’epistola conservato nel ms. D 129 inf., Biblioteca Ambrosiana, Milano.

187 Della traduzione di Rizzuti, di estrema rarità, è stato finora possibile rinvenire un solo esemplare purtroppo mutilo presso la Biblioteca Eustachio Rogadeo di Bitonto. Sarebbe auspicabile colmare la lacuna – che riguarda la parte centrale dell’epistola – in quanto pare contenere alcune significative varianti rispetto all’originale latino, come il già ricordato riferimento all’altrimenti sconosciuta opera De li portenti, ma anche l’inserimento di passi della Meteorologia omessi da Porzio (ad esempio il richiamo ai mugiti gettati dalla terra che è attinto da Meteorologia, 368a 20-26).

eclissi e terremoti è possibile rinvenire le cause certe e definite. Anzi, la ricerca di queste cause naturali dei fatti sarà «philosophi proprium munus» e dopo un sommario riepilogo dei fatti accaduti nella zona di Pozzuoli, Porzio inizia la sua indagine sui terremoti.

L’azione del sole sulla terra umida e porosa produce dei vapori negli antri e nelle caverne. Se questi vapori riescono ad uscire si limitano a generare venti, ma qualora vengano impediti dalla solidità della terra o dall’eventuale vicinanza al mare («quod suo tum frigore tum fluctu, fumos illos in terrae viscera repellit») squassano la terra con il loro moto velocissimo dopo essersi incontrati con i fuochi sotterranei. L’intensità del terremoto sarà così proporzionata alla quantità di soffio che uscirà dalla terra. E’ a questo punto chiaro che Porzio sta parafrasando il secondo libro della Metereologia, in particolare la sezione che Aristotele dedica proprio ai terremoti. La stessa associazione del terremoto alle eclissi e agli stellarum conventus tipici dei solstizi di primavera e autunno ricalca quasi alla lettera le osservazioni dello Stagirita, il quale non aveva peraltro mancato di segnalare la natura tendenzialmente sismica della zona flegrea. Per questo Porzio, dopo aver mostrato in generale le cause efficienti dei terremoti, si dedica a rilevarne la presenza nel caso della conflagrazione di Pozzuoli. E in effetti

Locus vero, qui maxime terraemotibus quatitur, has natura ipsa sortitus est conditiones ut sit mari finitimus, eiusque terra velut spongia sit poris affluens et cavernis, quibus omnibus Puteolanus ager obnoxius, frequentes patitur terraemotus189.

Del resto la natura calda delle acque termali che un tempo sgorgavano a Pozzuoli dimostra a sufficienza l’esistenza di fuochi sotterranei nella regione, che a seguito del terremoto avevano preso ad incendiare il bitume provocando per giorni l’eruzione di ceneri e pomici infiammate dal sottosuolo. In base a questa considerazione risulta pressoché impossibile a Porzio fare previsioni sulla durata del fenomeno conflagratorio:

Verum qui Vesevi incendia huic nostro comparaverit, facile intelliget, non minori tempore duraturum hoc quam illud, cum magnum terrae spatium, imo totus ager Puteolanus, sulfureo bitumine plenus sit, unde habeat ignis ille aptam, et non cito defecturam materiam190.

Come si era visto in precedenza, Porzio attribuisce all’astrologia le osservazioni corrette sul legame fra terremoti, eclissi e solstizi che recupera come gli altri argomenti da Aristotele. E’ tuttavia alla rilevazione della concomitanza di queste circostanze che il filosofo limita il valore delle speculazioni astrologiche. Se Porzio trova utile l’associazione causale tra fenomeni naturali celesti e terreni, considera invece dannosi e falsi i tentativi di giustificare come conseguenze dirette dei moti stellari gli eventi umani. Infatti un terremoto, legato alle eclissi e solstizi, non annuncia niente «praeter siccitatem» la quale provoca solitamente carestie ed epidemie. Tutto ciò mira senza dubbio a relativizzare le posizioni di chi rende più drammatico questo contesto, individuando ulteriori conseguenze: infatti «Astrologi intestina bella sequutura predicant, corpora namque arserunt, ut animus ad iram pronior fuerit»191. Il rapporto individuato dagli astrologi fra terremoti, siccità

e guerre civili viene però facilmente liquidato da Porzio col porlo sotto il debole segno dell’accidentalità192. A prescindere dalla possibile opzione

politica sottesa all’argomento – prospettare l’effettiva possibilità di tumulti popolari non avrebbe certo fatto piacere al viceré Toledo, destinatario dell’epistola – non può sfuggire l’insofferenza del pensatore napoletano nei confronti dell’astrologia, un’insofferenza che in altre opere si trasformerà in un’assenza molto significativa del tema piuttosto che in un violento attacco come quello che chiude il libello, teso completamente a ribadire l’irriducibile

190 Ivi, p. 7. 191 Ivi, p. 8.

192 Analoga posizione sarà tenuta quasi cinquanta anni dopo da un allievo di Porzio, G. B. Longo, nella sua De cometis disputatio, Neapoli, 1578, ugualmente fondata sulla Meteorologia. Longo sostiene infatti che le comete nulla indicano se non «siccitas ac ventorum copia, bella autem seditiones, novaeque sectae nimis accidentaliter ac remote a Cometis causari dicuntur» (f. 24r).

conflitto del philosophus naturalis contro quegli «Harioli, somniorumque interpretes, ac vulgares Astrologi» che «alio trahunt, quae natura duce proveniunt»193. A questa astrologia mistificatrice si oppone senza dubbio

un’astrologia utile, quella osservativa, che per il filosofo Porzio non è in ogni caso niente di più che un utile strumento di seconda mano. Non c’è tuttavia da stupirsi di una concessione così limitante, se ben si considera anche quanto la concezione alessandrista di cielo come causa universale – sottesa all’intera produzione di Porzio – lasci poco margine operativo agli strumenti dell’astrologia194.

La polemica antiastrologica di Porzio fu pienamente colta ed accettata da Pietro Giacomo Toleto, scienziato di origine spagnola il quale compose a sua volta nel 1539 un Ragionamento del terremoto. L’opera in volgare di Toleto è in sostanza una ripetizione in forma più diffusa dell’epistola porziana, dalla quale recupera in toto i presupposti fisici aristotelici per la spiegazione della conflagrazione di Pozzuoli. E’ costruita però come un dialogo, dove uno degli interlocutori è un discepolo del da poco defunto Nifo: nonostante l’appellativo di Sessano, è possibile scorgere dietro questo personaggio

193 Porzio, De conflagratione, cit., p. 8.

194 In un’opera probabilmente coeva come il De fato, Ms. Ambrosiano P 197 sup., f. 79r, dopo aver bollato come «non digna filosophis» la posizione degli astrologi sul pervasivo potere delle influenze astrali, Porzio affronta largamente il problema dei limiti logici e fisici dell’azione dell’universale causalità celeste: «nullus effectus est perfectior totali causa, modo ad omnem effectum istorum inferiorum concurrit causa universalis caelum, et particularis, quae cum agat per qualitates activas et passivas non est tanta simpliciter necessaria, ergo istud aggregatum ex universali, et particulari causa non simpliciter necessarium, et tamen effectus qui sequitur ex istis causis est simpliciter necessarius, ergo esset perfectior causa totali. Amplius isti effectus sunt impedibiles, ergo non necessarij. Item corpora inferiora sunt materia superiorum, tunc arguitur sic quae sunt penes esse variabilia, sunt penes operari, sed ista corpora sunt variabilia secundum esse, quoniam generantur et corrumpuntur, ergo et difformiter operantur, et sic caelum in istis inferioribus non potest effectum causare nisi difformem, et non necessarium […]».

proprio il napoletano Porzio195. Sebbene Toleto infiltri in modo non sempre

coerente elementi alieni ad una trattazione rigorosa di filosofia naturale – l’imprescindibile consenso di Dio al verificarsi dei fenomeni sismici – non esita in conclusione ad affermare che «il terremoto è cosa naturale e non significa alcuna disgrazia, non può significare altro che le cause sue [...] e gl’effetti suoi». Proprio come Porzio il Toleto insiste sul legame accidentale che sussiste fra terremoti e guerre, con una denuncia di sapore prebayliano:

Ma il geno umano è ingrato al suo fattore non sapendo ritrovar le cause de gli effetti naturali si confonde e veggendo questi mali alcuna volta venire unitamente con li terremoti giudica che la terra consapevole delle sceleranze di lui tremi quasi spaventata da gli flagelli del’ira di Iddio li quali lor soprastanno, ma scioccho lui, che ti so dir che se di questo la terra havesse cognicione che per ciò tremar dovesse non mai si quieterebbe per continuamente essorno li peccati sopra la faccia de la terra, e così horribili come sono196.

E’ piuttosto dall’eterna battaglia degli elementi e sulla loro reciproca alternanza che si deve partire per spiegare i fenomeni terrestri in puris

naturalibus, tenendo presente che questa continua guerra andrà sempre a

danno dell’uomo.

Nuovamente dipendente nei contenuti e nello schema compositivo dall’epistola di Porzio è il trattato Dell’incendio di Pozzuolo del gentiluomo Marcantonio Falconi197. In particolare Falconi non si limita – dopo aver

spiegato i fenomeni sismici attraverso la teoria dei soffi sotterranei – a rifiutare le drammatiche predizioni degli astrologi, ma anzi le capovolge convertendole sotto il segno del trionfo della fede: il fuoco eruttato durante la conflagrazione di Pozzuoli non sarebbe altro che segno di allegrezza e della vittoria della repubblica cristiana.

195 Anche se non va dimenticato che lo stesso Nifo aveva pubblicato (Venetiis, 1531) un commento ai libri delle Meteore, nel quale distingueva otto tipi di terremoto sulla scorta di Alberto Magno.

196 P. G. Toleto, Ragionamento del terremoto, del nuovo monte, del aprimento di terra in Pozuolo nel

anno 1538 e della significatione d’essi, In Napoli, 1539, s. i. p.

Nel suo poemetto Incendium ad Avernum lacum, sempre del 1539, il poeta Girolamo Borgia sceglieva invece di interpretare la conflagrazione di Pozzuoli come segno dell’ira divina, respingendo come insufficiente la spiegazione naturale cui pure accennava in apertura del componimento («Ignem/excitat inclusi specubus vis arida venti»)198. Nonostante conferisse

dunque maggior valore all’individuazione delle cause ultraterrene – e poiché indirizzava il poemetto a Paolo III, ciò era decisamente ovvio – Borgia sentiva però il bisogno di giustificarsi di fronte a chi aveva splendidamente illustrato quanto accaduto a Pozzuoli unicamente in base ad elementi fisici, vale a dire Simone Porzio:

Nunc ego, ni verear, dum conor seria cultis admiscere iocis, fastidia gignere nando longa per oceanum, canerem miracula versu plurima veridico, verum memoranda relinquam ista viro quem nunc audit studiosa iuventus et dextra et lingua naturae abstrusa docentem, cuius ab ore fluit culto sapientia cantu.

Porcius haec apte doceat meus omnia pubem Hesperiam, sed nos divina oracula multo scrutati melius verumque per astra per altum aethera quaerentes causis ad iusta secundis supplicia et sceptro naturae novimus uti saepe Deum et toto penitus nihil orbe moveri illius iniussu, nam quis mortalia nescit diluvio peccata Deum mersisse tremendo199?

Versi questi che, pur se non memorabili, rappresentano un’ulteriore testimonianza della fortuna dell’insegnamento napoletano di Porzio non solo presso i soli studenti, ma anche presso gli intellettuali napoletani.

198 G. Borgia, Incendium ad Avernum lacum horribile pridie cal. Octob. MDXXXVIII nocte in

tempesta exortum, s. i. l. d., f. 4r.

La ristampa fiorentina dimostrò che l’opera sul terremoto di Pozzuoli poteva interessare il pubblico anche ad un decennio dalla sua originaria composizione in un contesto che non era più quello napoletano, così legato ai luoghi dell’evento narrato ed interpretato. Ancora nel Dialogo del terremoto (1571), scritto in occasione del sisma che aveva colpito Ferrara, Giacomo Buoni inseriva per bocca del noto aristotelico Benedetto Mansoli una traduzione integrale dell’epistola, che riteneva uno dei riferimenti imprescindibili per la trattazione del tema:

Questa è una bella epistola, stando ne i termini puri naturali, et degna d’un philosopho di tanto nome, et molto a proposito di quello che noi trattiamo. Non è maraviglia che Monsignor Manzuolo sia riuscito così gran philosopho, havendo havuto così gran maestro200.

Proprio in base agli argomenti presentati dall’opera porziana Buoni – che pure molto concedeva alle forze divine ed ultraterrene – era infatti costretto a riconoscere il valore e la sostenibilità di una spiegazione dei terremoti in puris

naturalibus:

Dirò pur quello che m’avanza a dire. Egli è vero che senza astrologia con i principi naturali pigliati da Monsignor Manzuolo dello spirito, o vento, della essalation della terra e del sito vario di quella, si può rendere ragione delle apparenze et effetti del terremoto201.

Il De conflagratione avrebbe però svelato i suoi limiti una volta iniziato lo sgretolamento della fortezza aristotelica sulla quale reggeva, come dimostra il modo col quale nel 1609 Giovan Battista Della Porta, il quale in gioventù era

Nel documento Simone Porzio (pagine 64-103)

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