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L’esautorazione di Borsa e il crollo del Secolo

Nel documento Mario Borsa: biografia di un giornalista (pagine 131-142)

CAPITOLO III NELLA TORMENTA

3.5 Uno straniero in Patria: esautorazione, opposizione e internamento

3.5.1 L’esautorazione di Borsa e il crollo del Secolo

Non sarebbe possibile spiegare le parole con cui Albertini appoggiò la neo–assunzione di Borsa al Times se non supponendo una sincera stima personale e professionale maturata molto probabilmente negli anni della guerra e sancita da un orizzonte politico comune, specie in politica estera. Rivolgendosi ad Emanuel in una lettera del 5 ottobre 1918 Albertini scriveva:

“Il Times ha seguito malissimo la polemica per la politica estera che era tutta imperniata su Milano. Ciò per il fatto che la signora Waterman, non so per quale ragione non ha telegrafato, e quel poco che ha telegrafato lo ha telegrafato male, mentre il corrispondente da Roma riferiva più gli argomenti avversari che quelli favorevoli alla nostra tesi. A dirla fra di noi entrambi questi corrispondenti (milanese e romano) sono un mezzo disastro, ma non è il caso di riferire questo a Steed. A Steed invece lei dovrebbe dire che se il posto di Milano, come sembra diventa vacante,

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Guglielmo Ferrero, Commiato, in «Il Secolo» 18 luglio 1923, riportato in Lorella Cedroni, La vecchia e la nuova

Italia, cit., pp.228–231.

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Se ne avvide chiaramente Ferrero, il quale scrivendo ad Albertini nel 1923 diceva: “seguo con interesse la sua forte campagna, ma la lotta sarà lunga e dura; e credo che per condurla bisognerà uscire un po’ dalle vecchie trincee del liberalismo tradizionale. Intanto il Secolo, fortezza un po’ invecchiata, ma non ancora smantellata sta per arrendersi!”. Luigi Albertini, Epistolario, lettera di Guglielmo Ferrero a Luigi Albertini datata 22 giugno 1923. Cfr. infra par. 3.5.

nessuno corrispondente in questo momento il Times troverebbe meglio di Mario Borsa. Ho visto che ora, mentre ha incarico temporaneo, fa il servizio benissimo. Se lo facesse con criteri partigiani (ma non lo credo capace) io non avrei difficoltà a farglielo osservare. Ad ogni modo Borsa ha un senso politico ed ha la passione di rendere molto bene in Inghilterra il pensiero italiano. Conosce gli uomini e le questioni e può da Milano riparare a molte deficienze dello stesso servizio romano”565.

Conoscendo il rigore e la severità di giudizio di Albertini nelle questioni giornalistiche, si tratta di una raffigurazione quantomeno lusinghiera dell’uomo che sarebbe andato a sostituirlo nel ‘45. Con il suo avallo e soprattutto grazie all’impegno profuso all’estero negli anni precedenti, che lo avevano portato a lavorare a stretto contatto con il gruppo facente capo a Wickham Steed566, Borsa ottenne l’incarico di corrispondente da Milano del prestigioso giornale londinese. Ciminciò a scrivere per la testata più autorevole d’Europa nel 1919 e vi rimase fino al 1939, quando lo scoppio della seconda guerra mondiale lo costrinse ad interrompere la collaborazione. Grossomodo per i Vent’anni in cui l’Italia fu sottomessa alla dittatura fascista, quindi, nonostante venne esutorato e perseguitato in Patria, gli fu possibile continuare ad esercitare la professione giornalistica, in qualità di Corrispondente di un giornale estero; mantenne perciò un’importante possibilità di espressione, per quanto mai del tutto libera e di certo non corrispondente all’autonomia decisonale e di giudizio dei ruoli a cui era abituato. Al Secolo Borsa venne progressivamente emarginato567 in concomitanza con l’ingresso di nuovi gruppi nella proprietà della testata. Per comprendere la sua preponderante attività per il quotidiano inglese conviene ripercorrere brevemente la storia interna del giornale di Corso Porta Nuova.

Sono troppo note le difficoltà programmatiche entro cui si dibattevano le forze demo– sociali e radicali negli anni 1920–1922 per riassumerle in questa sede. Del disorientamento politico che colpì i democratici fu uno specchio implacabile l’atteggiamento del giornale, che è altrettanto conosciuto, essendo stato approfonditamente analizzato sia nel lavoro più volte citato di Laura Barile, sia in quello di Giorgio Rumi, nell’ambito dello studio curato da Brunello Vigezzi sul comportamento dei maggiori organi di opinione italiani negli anni del dopoguerra568. Ci limiteremo perciò a ricordare sommariamente le posizioni del Secolo solo in relazione allo

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Luigi Albertini, Epistolario, vol. 3, Il dopoguerra, Mondadori, Milano, 1968, lettera di Luigi Albertini a Guglielmo Emanuel datata 5 ottobre 1918, p.996. Tra i contemporanei un giusto accostamento tra i due uomini è stato fatto da Enzo Bettiza in Via Solferino (1964–1974), Rizzoli, Milano, 1982.

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In questo impegno e nel modo in cui Borsa si espose in prima persona all’estero per l’intesa italo–jugoslava risiederebbe, ad una prima analisi, la maggiore ragione di apprezzamento del suo operato negli ambienti prima di New Europe e in seguito del Times. Andrebbero vagliati, per confermare tale intuizione, i carteggi intercorsi tra Borsa e Whickam Steed nel 1919 conservati presso l’archivio del Times.

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Mario Borsa, Memorie di un redivivo, cit., p.422. Borsa scrive chiaramente: “Ormai non contavo più niente al giornale”.

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Laura Barile, Il Secolo, cit. In particolare capitolo VII Dopoguerra e fascismo, pp.343–375; Giorgio Rumi, Il

Secolo (1919–1923), in Brunelli Vigezzi (a cura di), 1919–1925: Dopoguerra e fascismo, Laterza, Bari, 1965,

svolgimento delle dinamiche interne al giornale. L’esperienza personale di Borsa, infatti, può aggiungere a questi contributi una valutazione interna che finora è stata poco evidenziata.

Uscito dal giornale l’ing. Pontremoli nel febbraio 1920, si ebbe per circa un anno la direzione di Alfredo Bertesi569. Socialista, anch’egli scissionista e tra i fondatori del Partito Riformista Italiano, più volte deputato e nominato senatore nel 1920, Bertesi era entrato nell’attivismo politico attraverso le società operaie ed era stato tra gli esponenti della corrente moderata del socialismo modenese per la maggior parte della sua carriera politica570. Si può ritenere che la sua direzione rappresentasse una scelta di continuità rispetto alla guida di Bissolati, a fianco del quale era rimasto dopo l’allontanamento di Bonomi. A detta di Borsa, tuttavia, egli non aveva la minima conoscenza della prassi redazionale: “Girava per la redazione guardandosi intorno con occhi meravigliati e indignati. Vedeva i redattori che leggevano i giornali o discorrevano fra di loro e gli pareva che mangiassero il pane a tradimento”571. Sotto la sua guida, per quanto fosse affiancato dal navigato Schinetti in qualità di capo redattore572, Il Secolo stentò a trovare una linea d’azione efficace: approntò il commento degli anni 1920 e 1921 cercando costantemente di ristabilire un equilibrio tra le parti sociali; auspicando un’alleanza tra ceti medi e classe popolare da cui veder sorgere il rinnovamento della società italiana basato sul produttivismo collaborativo, che non si distaccava molto dai canoni di ragionamento degli anni romussiani. In realtà la guerra avrebbe dovuto portare per il giornale ad un rinnovamento radicale: i combattenti avrebbero dovuto assumersi un peso notevole nel determinare le trasformazioni future che si sarebbero dovute ottenere mediante riforme fiscali, agricole, ed industriali, ma senza grossi scossoni, sempre nell’ambito dell’ordine costituzionale573. Le forze “estreme” dei socialisti bolscevichi non avevano spazio nella nuova Italia immaginata dal Secolo. E la classe lavoratrice era invitata a non lasciarsi contagiare dalle dottrine leniniste, venendo spesse volte richiamata all’ordine e alla ragionevolezza con appelli che dice la Barile “svuotavano le richieste proletarie”574. Il Secolo proponeva pertanto la consueta allenza alle forze riformiste che fossero intenzionate ad affrontare la situazione del dopoguera in modo legalitario, anche se, davanti agli scioperi e le agitazioni del mondo del lavoro, esitava a volte nelle sue intenzioni, stentando ad

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“Annuario della stampa italiana”, 1926 cit., p.144; CFG, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 17 febbraio 1920: “Ieri il Pontremoli ha firmato il concordato per la sua uscita. Ora è qui il Bertesi. Pontremoli rimarrà ancora al suo posto per un mese o due per istradarlo. Mi pare che Bertesi sia una soluzione provvisoria. Io credo che Schinetti così potrà fare molto”.

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Franca Contini Somenzi, Alfredo Bertesi, in Dizionario Biografico degli italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1961, ad nomen.

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Mario Borsa, Memorie di un redivivo, cit., p.423. 572

“Annuario della stampa italiana”, 1926, cit., p.144; CGF, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 17 febbraio 1920.

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Pietro Nenni, I combattenti, in «Il Secolo» 25 ottobre 1919. 574

Laura Barile, Il Secolo, cit., p.346; Romolo Murri, Le aspirazioni italiane e i problemi, in «Il Secolo» 3 marzo 1919.

accettare l’idea che il proletariato fosse davvero pronto ad assumersi la responsabilità di guida della Nazione575. Sia la Barile che il Rumi hanno rilevato come il giornale mancasse in tal modo di realismo e propendesse nelle maggior parte dei casi per un giudizio incerto, che toglieva credibilità e profondità alla sua aspirazione al rinnovamento. In concreto, alle elezioni del 1919 Il Secolo appoggiò il blocco di sinistra promosso dall’Associazione Combattenti e dall’Unione Mobilitati organizzato dalla democrazia radicale, ottenendo i risultati modesti che sono stati detti. Si può ritenere che Borsa condividesse l’idea di interpretare il ruolo democratico nel dopoguerra in senso di un nuovo riformismo, dal momento che egli manteneva rapporti anche personali con il repubblicano ed ex–combattente Cipriano Facchinetti e si esprimeva con Ferrero mostrando di accettare l’indirizzo dato dal Bertesi, a cui però avrebbe verosimilmente impresso una maggiore accentuazione: “Il giornale dovrebbe sorreggere quotidianamente un programma ricostruttivo scriveva prenderne un proprio piano per riforme immediate e larghe, ma non mi pare che finora si sia fatto o che si farà”576. L’estrema cautela del foglio come è stato giustamente rilevato si esprimeva anche nella mancanza di formule precise: il Secolo era favorevole ad un’imposta progressiva, così come appoggiava una partecipazione degli operai agli utili delle imprese, ma ad esempio non portava fino in fondo le accuse mosse contro gli speculatori di guerra, per ottenere una perequazione economica tra le classi, essendo ormai direttamente legato ai trust interessati a proteggersi dalle accuse di sovra–profitti577. I contrasti di Borsa in redazione iniziarono proprio a causa del preponderante potere che assunsero nel Consiglio di amministrazione le forze capitalistiche emerse dalla guerra. All’inizio del 1921 Borsa annunciava a Ferrero il ritiro dello Schinetti e l’intenzione della proprietà di effettuare un nuovo cambio al vertice. Il Senatore Della Torre, preoccupato perché la Banca Commerciale intendeva fare un nuovo giornale a Milano aveva permesso che entrasse con forti capitali nel Secolo e la Commerciale aveva accettato a condizione che fosse stato designato a dirigerlo una sua creatura, Mario Missiroli già direttore del Resto del Carlino. Borsa sottolineava quindi preoccupato all’amico: “Missiroli sarebbe [stato] la

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Ivi, p.348; Problemi di maturità, in «Il Secolo» 3 marzo 1919; I socialisti al governo, in «Il Secolo» 28 febbraio 1920. Questo atteggiamento fu determinato anche dall’esito del Congresso di Bologna, dove i massimalisti eliminarono del tutto l’opposizione riformista, mentre un orientamento più deciso verso le forze turatiane si ebbe quando queste si costituirono in movimento indipendente in seguito alla scissione del partito a Livorno nel 1921. 576

CFG, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 16 novembre 1918. Riguardo all’occupazione delle fabbriche Borsa afferma nelle Memorie: “con un po’ di vigoria e decisione da parte del governo, con un maggior senso di responsabilità da parte degli uomini che capeggiavano i partiti, il disordine, né grave né profondo in sé, avrebbe potuto essere contenuto. Già al principio del 1922 si notavano i segni di un graduale rinsavimento e non vi è dubbio che saremmo rinsaviti del tutto ove non fosse stato per la malattia che, qui e altrove, aveva preso da poco le classi borghesi e doveva avere negli anni effetti così disastrosi”. Id., Memorie di un redivivo, cit., p.417.

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Laura Barile, Il Secolo, cit., p.349. Si noti, in aggiunta, che l’on. Bevione fu tra i principali responsabili dell’insabbiamento della proposta del socialista Modigliani di introdurre controlli pubblici sui flussi finanziari dei giornali per fare chiarezza sulle loro fonti di sostentamento, ovvero l’unica iniziativa concreta avanzata nel dopoguerra per tentare di arginare l’enorme problema delle concentrazioni editoriali nelle mani dei grandi trust industriali e finanziari.

lunga mano di Filippo Naldi e della Commerciale! Dove andremo a cadere!”578. Ex giornalista del Secolo e dal 1913, direttore generale della Società che a Bologna pubblicava Il Resto del Carlino, Filippo Naldi aveva sostenuto la svolta interventista di Mussolini fornendogli – com’è noto – i primi capitali e l’appoggio necessario alle operazioni tecniche per impiantare il Popolo d’Italia, divenendo noto per essere al centro di una fitta trama di interessi affaristici. I suoi orientamenti ed il sostegno che riceveva dagli industriali ed i gruppi bancari erano conosciuti negli ambienti giornalistici specie in Corso Porta Nuova, poiché Pontremoli era entrato in polemica proprio con lui al momento della cessione del Messaggero avvenuta nel 1917579. La diffusione della notizia produsse pertanto una forte protesta all’interno del giornale. Francesco Perotti, che aveva intanto preso il posto di Schinetti, capitanò per qualche mese una protesta redazionale presso il Della Torre per evitare che la designazione andasse a buon fine. In un certo momento era sembrato che il proprietario volesse dar ragione al pronunciamento redazionale e lasciare la guida del giornale al “Comitato Responsabile per l’opposizione” che si era formato tra i giornalisti, ma nel settembre del 1921 era tornato all’idea iniziale ed aveva favorito l’insediamento di Missiroli580. Perotti rimase, comunque, al suo fianco, (a tutela probabilmente della linea auspicata internamente) fino a quando non si uccise in situazione poco chiara, nel maggio 1922581.

Il nuovo direttore fece il suo ingresso ufficiale al giornale nel settembre 1921. Missiroli, filonittiano, aveva impostato la linea del Resto del Carlino su una via di concertazione tra le parti sociali e subìto gli attacchi verbali e le aggressioni fisiche dei fascisti bolognesi per le aperture al riformismo. Al Secolo non rinunciò al suo socialismo, né alla critica verso il movimento mussoliniano. Si dovette a lui il rifiuto, da parte del giornale, della tattica dei Blocchi nazionali, nelle elezioni del 1921, dietro cui si vedevano le forze più retrive della produzione industriale ed agraria ed il sostegno ad una possibile alleanza con i socialisti, (che tuttavia non venne concretizzata)582. Eppure, nonostante ciò, nell’anno in cui fu più forte la reazione ai sommovimenti ormai in diminuzione della classe proletaria, il giudizio sulle violenze fasciste fu in qualche modo sospeso tra le colonne del Secolo, sviato sulle responsabilità dello Stato e sull’incapacità delle istituzioni di bloccare la spinta eversiva sia dei comunisti che dei fascisti583. La funzione antisocialista del fascismo venne messa in discussione e tuttavia sottesamente accettata in quanto alla cronaca delle violenze fu dato poco spazio e contemporaneamente venne

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CFG, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 14 aprile 1921. 579

Franco Nasi, Il peso della carta, Edizioni Alfa, Bologna, 1966, pp.156–157. Valerio Castronovo, La stampa

italiana dall’Unità al fascismo, Laterza, Roma–Bari, 1984, pp.238–243.

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CFG, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 5 settembre 1921. 581

“Annuario della stampa italiana”, 1926, cit., p.145. 582

Laura Barile, Il Secolo, cit., p.359. Secondo Giorgio Rumi il giornale tenne in quell’occasione un atteggiamento di equidistanza dalla parte, la Barile sottolinea invece una condanna dei blocchi nazionali inequivocabile.

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riconosciuto al fenomeno fascista la capacità di rappresentare il radicale rinnovamento delle classi medie sorto dalla guerra. In modo più originale e al passo coi tempi rispetto al Bertesi, Mario Missiroli584 cercò così di rispondere alla crisi post–bellica conciliando il liberalismo col socialismo585. Secondo Alfonso Botti, che ha curato i carteggi di Missiroli con Prezzolini, introducendoli da quella che rimane ad oggi la nota biografica più adeguata del giornalista: “[Missiroli] prevedeva che dall’alleanza tra fascisti e socialisti [potesse rinascere] la democrazia, una democrazia nuova, ispirata ai principi del socialismo e nello stesso tempo al concetto di nazione”. Il giornale, per quanto estremamente variegato nelle prese di posizione in quegli anni, rappresentava il pensiero del direttore586 e quello di quanti ammettevano che il rinnovamento auspicato potesse passare anche tramite l’apporto del fascismo.

Pertanto la nuova linea di conduzione suscitò non pochi sospetti di filo–fascismo negli esponenti della democrazia “vecchio stampo” del giornale, che già non dovevano avere una buona predisposizione verso il direttore. Antipositivista, vicino alle posizioni del sindacalismo soreliano, con trascorsi neutralisti e con simpatie per il nazionalismo Missiroli non dovette godere della cordiale “simpatia” di uomini come Murri, Ambrosini e Salvemini587, le cui firme infatti non si trovarono più sul foglio, né probabilmente di quella di Borsa, con cui ci fu reciproca incomprensione fin dai primi tempi, tanto che egli venne usato nel biennio 1921–1922 in maniera del tutto sporadica. Spiegando il dissidio interno a Ferrero, Borsa si giustificava con l’amico, che probabilmente gli rimproverava eccessiva durezza di giudizio nei confronti di Missiroli dicendo: “No caro Ferrero, il dissidio non è stato, né per la cronaca e nemmeno per l’indirizzo del giornale588. È per la mentalità politica sua e nostra: c’è di mezzo un abisso. Vedi per esempio in che consiste il suo anti–imperialismo, lo ha detto molto chiaramente nell’articolo di stamane! ‘Due Chiacchiere’ Sta nel lavorare per una lega fra popoli proletari allo scopo di attaccare un giorno Francia e Inghilterra e l’Impero! Questa è la sua democrazia: guerra, nazionalismo, imperialismo […tutte cose che mi fanno inorridire perché hanno sempre finito col portare] alla rovina, perché hanno sempre costituito un ostacolo alla democrazia, perché perpetuano la diffidenza, la prepotenza, la lotta internazionale. […Per Missiroli] se l’Italia fosse un po’ più ricca e forte, allora si potrebbe fare del nazionalismo e dell’imperialismo. E come gli è venuta alla mente la sua nostalgia triplicista!”589

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“Annuario della stampa italiana”, 1926, cit., p.144. 585

Gaetano Afeltra, Missiroli e i suoi tempi, Milano, Bompiani, 1985, p.16. 586

Ivi, pp.9–11. 587

Alfonso Botti, Missiroli Mario. Carteggio 1906–1954, Milano, Botti, 1990, pp. XI– XXI. 588

Nel dopoguerra Borsa denuncerà proprio questo aspetto, dichiarando che il pubblico aveva avuto solo una vaga idea di ciò che era avvenuto nel 1921 e 1922, delle “purghe di olio di ricino, le randellate, spedizioni punitive, i bandi, le distruzioni e gli incendi delle cooperative, delle camere del lavoro delle società operaie [che] si consumavano nell’ombra, talora con la connivenza delle autorità e trovavano appena cenni fuggevoli, attenuati, deformati, nella cronaca dei nostri maggiori giornali”. Mario Borsa, Libertà di stampa, Milano, Scheiwiller, 2005 (1945). Questa edizione racchiude due versioni del libro, quella originale, uscita nel 1925 per le edizioni Corbaccio e la seconda, pubblicata con Dall’Oglio nel 1945. Per distinguere i testi aggiungeremo la notazione (1925) o (1945) alle citazioni. 589

CFG, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 18 marzo 1923. L’articolo citato è Mario Missiroli, Due chiacchiere, in «Il Secolo» 18 maggio 1923.

Borsa era da sempre contrario a dare alla politica estera una qualsiasi intonazione nazionalistica, come riteneva arbitraria, all’interno, l’identificazione della “causa nazionale” con l’ordine e con la pace sociale assicurate dal fascismo590. Per sua stessa ammissione egli dichiarava di non capire i “tempi nuovi” e la distorsione dell’idea di Nazione che essi comportavano591. Si può dire che Borsa fosse in tal senso “aprioristicamente” contrario al fascismo. Molto probabilmente a causa di queste sue nette convinzioni nel 1921 egli firmò tre soli editoriali592; l’anno successivo i suoi interventi salirono ad una ventina circa, ma furono tutti incentrati sulle conferenze internazionali di Cannes e di Genova. Nessuno scritto pubblicato sul giornale a firma di Borsa toccò neanche incidentalmente argomenti di politica interna593; si suppone va detto per inciso che il mancato apporto dato al giornale italiano sia stato compensato da un notevole impegno teso ad illustrare le cause e le caratteristiche del movimento mussoliniano ai responsabili del quotidiano di inglese, in particolare il capo redattore per gli esteri Steed e il suo braccio destro Williams594. Per quanto riguarda il Secolo, sentendosi molto vicino alle idee elaborate in quello stesso periodo da Meuccio Ruini e Giovanni Amendola595, egli avrebbe voluto forse che si schierasse a sostegno di un’azione comune tra popolari e socialriformisti. Ma con piena sicurezza si può solo dire che Borsa ed altri colleghi del Secolo avrebbero voluto contrastare il sovversivismo squadrista con una maggiore intransigenza. Non ci fu in costoro la fiducia in una normalizzazione del

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Mario Borsa, Libertà di stampa: “Si confondeva lo Stato con la Nazione e anche più bestialmente il partito con la Nazione”, (1925), p.18.

Nel documento Mario Borsa: biografia di un giornalista (pagine 131-142)