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L’opposizione legalitaria e la difesa della libertà di stampa

Nel documento Mario Borsa: biografia di un giornalista (pagine 142-155)

CAPITOLO III NELLA TORMENTA

3.5 Uno straniero in Patria: esautorazione, opposizione e internamento

3.5.2 L’opposizione legalitaria e la difesa della libertà di stampa

Dal 1923 in poi, Borsa, ormai orfano della tribuna da cui aveva parlato per tutta la lunga carriera, colse ogni occasione ritenuta valida per avversare il governo al potere in un’opposizione negativa e costruttiva insieme, in grado, appunto, di ostacolare il fascismo e favorire la contemporanea ripresa degli ideali democratici.

In qualità di membro del Comitato centrale del Controllo democratico si impegnò molto ad organizzare la prima forma di movimento unitario tra le opposizioni costituzionali alla vigilia delle elezioni generali del 1924. Il consesso era sorto per coordinare le azioni di tutti i partiti in difesa degli ordinamenti giuridici della democrazia: aveva lo scopo di suscitare un primo coagulo di forze unite dall’avversione e dall’indignazione morale per le violenze fasciste e di raccogliere, attraverso la diffusione di opuscoli, volantini e la strutturazione di comitati di riferimento nelle varie regioni, la massima adesione popolare sui principi statutari violati. Il Controllo doveva in pratica costituire un centro di raccordo politico delle opposizioni da dove iniziare a svolgere opera di rieducazione civile e politica delle masse, anche in previsione delle imminenti elezioni611. Ne

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Mario Borsa, Memorie di un redivivo, cit., p.423. 609

Si veda per queste opinioni Mario Borsa, Un esempio inglese, in Che cos’è l’Inghilterra, Torino, Piero Gobetti editore, 1924, pp.23–28. Cfr. anche le stesse parole della risposta all’aggressione nazionalista: “La tradizione democratica italiana (che noi seguiamo) da Cavallotti a Bissolati ha dato esempi troppo illustri di devozione alla Patria e alla causa nazionale perché noi non sentiamo il dovere di protestare tutte le volte che la nostra libertà venga manomessa e sviato il nostro alto intendimento. La causa della Patria non può essere da noi identificata con una politica conservatrice, che è in antitesi con le idealità della Democrazia, la quale aspira alla grandezza della Nazione attraverso la realizzazione di un vasto programma di libertà e di riforme atto ad assicurare al paese pace e progresso ordinato”, Una irruzione di nazionalisti allo stabilimento del Secolo, in «Il Secolo», 30 ottobre 1922.

610 Arcangelo Ghisleri (a cura di), Dove va il mondo? Inchiesta tra gli scrittori italiani, , p.18.

611 Simona Colarizi, I democratici all’opposizione, cit., pp.27–30; CGF, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 29 marzo 1924: “L’Assemblea del Controllo Democratico del cui Consiglio Nazionale tu pure fai parte, svilupperà in questo modo la sua attività: opuscoli, conferenze, referendum ecc. Naturalmente il suo

facevano parte liberali, socialisti, repubblicani e cattolici; il Comitato milanese, ad esempio, era composto da uomini come Turati, Caldara, Ferrero, Rigola, D’Aragona, Ricchieri, Vercesi, Fabio Luzzatto. L’iniziativa in realtà, non riuscì a tradursi in un mezzo utile a giungere ad un blocco unico delle opposizioni alle elezioni, ma fu una delle primissime forme di organizzazione dell’antifascismo612. La vittoria elettorale del Listone fascista del resto, fu resa inevitabile dal meccanismo elettorale e dalle violenze, le intimidazioni, i brogli e in generale il clima minaccioso sotto cui le votazioni si svolsero. Il Controllo, comunque, rimase attivo e rappresentò un punto di passaggio all’interno del più vasto tentativo politico portato avanti da Giovanni Amendola di gettare le basi di un nuovo partito liberale–democratico di ispirazione risorgimentale, che doveva sorgere da una rinnovazione dei ceti medi, pienamente consci dei principi democratici e capaci di varare in futuro un’alleanza con le forze del mondo del lavoro. Borsa vi aderì con grande slancio insieme a molti altri giornalisti ed intellettuali fra i quali Einaudi, Janni, Ferrero, Carlo Sforza e Alberto Albertini613.

Agli Albertini poi, Borsa si avvicinò molto: fin dall’autunno del 1923, Il Corriere aveva chiamato a collaborare Magrini ed altri fuoriusciti del Secolo614; Borsa li avrebbe raggiunti nel 1925, dopo aver tentato invano di far uscire un nuovo periodico indipendente insieme a Facchinetti615.

Superato l’equivoco di poter utilizzare il fascismo per tutelare l’ordine messo in discussione dal movimento operaio, dal 1923, il giornale di via Solferino aveva preso a manifestare il proprio dissenso al governo mussoliniano intensificando gli articoli di politica lavoro più efficace – se come spero i riuscirà – sarà quello di creare una vasta organizzazione in tutta Italia destinata diventare il collegamento dei partiti e il centro direttivo delle opposizioni. L’opposizione soffre per il suo slegamento e per il suo disorientamento: occorre un nesso che la tenga unita e un solo direttivo che la orienti […] Ti dicevo però che dobbiamo fare anche opera di rieducazione civile e politica”. Sullo stesso argomento anche la lettera del 18 aprile 1924. Borsa, oltre ad interessarsi delle pubblicazioni a cura dell’associazione, collaborò nel reclutamento degli aderenti, invitando ad esempio Giovanni Bertacchi ad iscriversi. CGB, Corrispondenza Borsa, lettera datata 7 marzo 1924: “Ti accludo una scheda di ammissione alla Associazione per il Controllo democratico e ti prego di rimandarmela firmata al più presto. Siamo uomini di tutti i partiti e di tutte le fedi, dai liberali ai socialisti, dai popolari ai repubblicani. Non si domanda né si da alcuna tessera. Si vuole solo che i migliori, sia pure anche colla sola adesione, aiutino un movimento che volgiamo fare in vari modi nel campo intellettuale per fare argine alla scemenza dilagante. C’è Ferrero, c’è Labriola, c’è Bracco, ci sono studiosi, uomini politici, giovani. Faremo opuscoli, conferenze riviste e forse finiremo per costituire il nucleo di quella Lega per la libertà, nella quale dovranno pur darsi convegno tutti i galantuomini che ancora restano in Italia. Una larga parte dei nostri soci è pure data dai combattenti e mutilati con a capo il Facchinetti. Tu non puoi e non devi mancare”. Sullo stesso argomento anche la lettera datata 13 marzo 1924. Sulla distinzione tra Controllo democratico e Unione Nazionale vedere il Carteggio Turati–Kuliscioff, vol IV, Il delitto Matteotti e l’Aventino (1923–1925), Torino, Einaudi, 1977, pp.242–243.

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La tattica delle opposizioni discussa al Controllo democratico di Milano, in «Corriere delle Sera» 24 febbraio 1925. Ancora nel febbraio del 1925 le discussioni all’interno del Controllo Democratico vertevano sulle difficoltà di una partecipazione unitaria alle elezioni e se rinunciare o meno alla tattica astensionista dell’Aventino.

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L’elenco è in Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. IX, cit., p.88. 614

CGF, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 5 ottobre 1923. Della stessa manovra di acquisizione del Secolo si era parlato a Milano come di “una manovra del governo per creare un forte contro–altare al Corriere, o almeno isolarlo”.

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L’iniziativa abortì a causa delle molte difficoltà tecniche ed economiche poste dall’impresa e anche per la mancanza di giornalisti disposti ad andare incontro alle prevedibili ripercussioni. CGF, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 5 ottobre 1923.

estera ed economica ed astenendosi, per protesta, dal commentare i fatti interni; mantenendo così un contegno di silenzioso contrasto, di “riserbo critico” – come è stato definito dal Melograni616 – dettato più che altro dalle preoccupazione di preservare la propria voce viva e indipendente in un panorama giornalistico già decimato. Ciò avvenne fino a quando le proteste per l’andamento delle elezioni e la sparizione di Giacomo Matteotti non lo indussero a mettere da parte anche le ultime riserve. L’esposizione contro l’esecutivo al potere divenne allora diretta. Tra le parole più dure pronunciate all’indomani delle elezioni ci furono quelle di Luigi Albertini al Senato617, cui Borsa non mancò di esprimere la propria solidarietà scrivendo: “Perfetto e coraggioso. Sincere congratulazioni”618. Come si sa, non furono solo i discorsi pubblici, ma soprattutto le aspre polemiche sostenute attraverso le maggiori testate giornalistiche a rappresentare da quel momento la principale, se non l’unica arma a disposizione delle opposizioni619, che si ritirarono in un’alta protesta morale dai lavori parlamentari, nella secessione detta dell’Aventino. Oltre agli organi dei partiti socialista, comunista e repubblicano, i fogli più esposti nella battaglia antifascista divennero La Stampa di Frassati e Salvatorelli, Il Corriere della Sera degli Albertini ed Il Mondo guidato da Amendola e Cianca. Costoro mossero una dura campagna contro il governo sollevando verso i suoi metodi di gestione del potere una “questione morale”, che riuscì a metterne in serio pericolo l’esistenza620. Per rispondere alla ripresa di consenso registrata dai giornali e dai partiti dell’opposizione621, Mussolini intervenne a limitare fortemente la possibilità di espressione. L‘8

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Valerio Castonovo, Nicola Tranfaglia, Storia della stampa italiana, vol. IV, La stampa italiana nell’età fascista, cit., pp.10–14: “Viene il momento – si comunicava ai lettori il 14 luglio 1923 – in cui gli spiriti più indipendenti preferiscono riservare a tempi liberi i giudizi e i commenti, riducendosi intanto al dovere di informatori e lasciando a ciascuno le proprie responsabilità, piuttosto che dipendere dall’incognita di controlli paralizzanti e sottostare all’ansia e al commento di minacce umilianti e incostituzionali. Ed è ciò che noi intendiamo fare finche non avremo l’impressione di poter contare su quel minimo di libertà che riteniamo indispensabile per il nostro ufficio”.

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Ottavio Bariè, Luigi Albertini, cit., p.501. Anche se dopo questo passo Albertini evitò di partecipare in prima persona alle azioni collettive di opposizione non approvando l’Aventino e non aderendo all’Unione nazionale delle forze liberali e democratiche di Amendola, di cui aveva discusso a lungo il programma, raccolse molte adesioni e sovvenzionò diverse iniziative antifasciste. Si vedano ad esempio i fondi stanziati per riunioni e conferenze (conf. Bencivenga, conf. Ferrero, convegno Opposizioni Alta Italia, Comizio per Libertà di stampa). Ottavio Bariè (a cura di), Luigi Albertini, Epistolario, vol. 3 Il dopoguerra, cit., p.1883, lettera di Giovanni Mira a Luigi Albertini datata 20 maggio 1925.

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ACS, Luigi Albertini, sc.4, telegramma di Mario Borsa datato 9 giugno 1925. 619

Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. IX Il fascismo e le sue guerre, Milano, Feltrinelli, 1986, p.72. Luigi Salvatorelli, Giovanni Mira, Storia dell’Italia nel periodo fascista, Einaudi, Torino, 1956, pp.306 sgg. In particolare si ricorda in questo testo il severo commento fatto all’estero sul regime di violenza fascista e l’assassinio Matteotti dai giornali, anche conservatori di Francia e Inghilterra, a cominciare dal Times.

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Nonostante la condanna unanime del crimine e il riconoscimento che esso era nato all’interno dell’ambiente fascista, tra i due gruppi – sottolinea Murialdi – ci fu un atteggiamento diverso: gli organi di partito si batterono per le dimissioni di Mussolini, i fogli liberali cercarono di far leva sulla monarchia come garante dello Statuto. Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p.134.

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Piero Melograni (a cura di), Corriere della Sera (1919–1943), Bologna, Cappelli, 1965, p. XLVIII; Antonio Sarubbi, Il Mondo di Amendola e Cianca e il crollo delle istituzioni liberali, Milano, Franco Angeli, 1998, pp.206 sgg. Anche Borsa rilevava il successo di tirature del Corriere e il crollo nelle vendite del Secolo nei mesi successivi alla fascistizzazione: “Un indice del tormento dell’opinione pubblica: la campagna di abbonamento per il Corriere è andata trionfalmente. Il Secolo ha mandato in giro 20.000 copie […] come offerta di abbonamento: so che praticamente gli furono tutti rimandati sdegnosamente. Anche dei vecchi abbonati i più se ne sono andati”. CGF, Correspondance with Mario Borsa, Folder 3, lettera di Mario Borsa datata 9 gennaio 1924. In Sarubbi la citazione di

luglio 1924 convertì in legge il decreto restrittivo delle libertà di stampa, che era già stato approvato e contestato nel luglio del 1923. Il testo venne ripreso con la motivazione che le polemiche intemperanti e la pubblicazione di notizie tendenziose avevano contribuito a far perdurare uno stato di eccitazione intollerabile nello spirito pubblico, dando prova dell’irresponsabilità degli addetti al settore622; la misura, invece, non era altro che l’adempimento di una minaccia avanzata alla categoria giornalistica dall’anno precedente, portata a termine nel momento più opportuno per la sopravvivenza del regime623. Tramite il decreto, non solo si modificò un principio riconosciuto dall’Editto Albertino con un semplice atto governativo, ma lo si snaturò completamente: si diede ai Prefetti la possibilità di diffidare, ammonire e dichiarare decaduto il gerente di un giornale per una serie amplissima di reati, mettendo in pratica l’esercizio della professione giornalistica nelle mani del potere esecutivo. Sia gli scopi che l’incostituzionalità dell’atto furono da subito palesi624. Le proteste del mondo giornalistico per chiedere la revoca del provvedimento–capestro furono numerosissime e pressoché unanimi. Borsa decise allora di esporsi personalmente per la difesa della libertà di stampa, quella che egli considerava come la condizione necessaria, il principio indispensabile per l’esercizio di tutte le altre libertà fondamentali625. Passò quindi giorni frenetici, vissuti nella speranza che fosse ancora possibile riportare alla democraticità il Paese con una vibrante reazione morale.

un articolo del Popolo d’Italia chiarificatore delle intenzioni del capo del governo di interrompere questo processo: “In fondo che cosa fanno le opposizioni? Fanno degli scioperi generali o parziali? Delle manifestazioni di piazza? Tentativi di rivolta armata? Niente di tutto ciò. Le opposizioni svolgono un’attività puramente di polemica giornalistica. Non possono fare altro. Per evitare che anche la semplice polemica possa turbare gli animi con le ripercussioni sull’ordine pubblico non c’è bisogno di ondate sproporzionate allo scopo. Bastano i decreti sulla stampa”, in «Il Popolo d’Italia» 23 luglio 1924; Armando Gavagni, Il giornalismo dell’opposizione dal 1922 al 1926, Milano, Insmli, 1952, p.30.

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Giancarlo Carcano, Il fascismo e la stampa: 1922–1925, L’ultima battaglia della Federazione Nazionale della

Stampa Italiana contro il regime, Milano, Guanda, 1984, p.44. 623

Il Corriere della Sera il 9 luglio 1924 titola significativamente: “Mantenimento di promesse”. 624

Giorgio Lazzaro, La libertà di stampa in Italia, cit., pp.101 sgg. Il Decreto precisava la disciplina della gerenza allo scopo di individuare precisamente il responsabile di un giornale stabilendo che il gerente doveva essere il direttore o uno dei redattori principali della testata a dispetto della prassi di nominare in tale ruolo un Senatore, un deputato o un prestanome qualsiasi disposto a scontare per i reati commessi dal foglio. Il gerente doveva ottenere il riconoscimento del Prefetto della provincia in cui il giornale si pubblicava; nella norma si dava inoltre facoltà al Prefetto di diffidare il gerente in caso di pubblicazione di una notizia: falsa, tendenziosa, di intralcio all’azione diplomatica, lesiva del credito nazionale o causa di ingiustificato allarme o eccitazione e disobbedienza nella popolazione, nonché oltraggiosa per la Patria e le Istituzioni e i poteri dello Stato. In più il testo affidava ai Prefetti la facoltà di giudicare sulla sussistenza di tali reati e quella di ammonire i gerenti o revocare loro la nomina se fossero in seguito a due ammonizioni. Con tale ampiezza di reati e tanto potere nelle mani dei Prefetti (al decreto faceva seguito un decreto sulle norme di attuazione che permetteva di procedere al sequestro anche a prescindere dalla diffida, perché ne sussistessero i presupposti), in pratica la stampa veniva lasciata all’arbitrio del potere esecutivo. L’unica aggiunta rispetto al testo originale stilato nel 1923 era l’obbligo della presenza dei giornalisti nelle Commissioni che dovevano pronunciarsi sull’eventuale di diffida prefettizia.

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Mario Borsa, La libertà di stampa (1943), cit., p.13: “La libertà di stampa è tutto: è inutile parlare di libertà di coscienza, di libertà di riunione, di guarantigie costituzionali, di istituzioni parlamentari, di indipendenza della magistratura, di purezza dell’amministrazione pubblica se non si mette a base di tutto ciò la libertà di stampa, cioè la libertà di pensare, di scrivere, di controllare, di criticare, di correggere, di consigliare e occorrendo di denunciare. Se il pubblico italiano non fosse stato politicamente quello che è, lo dovremmo vedere scendere nelle piazze a protestare insieme coi giornalisti e più dei giornalisti, contro questi attentati alla libertà di stampa”.

Il Consiglio generale della Federazione Nazionale della Stampa italiana (Fnsi) aveva invitato il governo a sospendere immediatamente la misura e chiesto alle associazioni federate di esprimersi sulla partecipazione dei giornalisti alle Commissioni di diffida, che erano l’unica novità introdotta nel nuovo testo normativo, essendo già nota da più di un anno la contrarietà di tutta la categoria alla norma in sé626. L’11 luglio fu convocata l’Assemblea generale dell’Associazione Lombarda dei giornalisti (Agl). Il responso sulla partecipazione alle Commissioni fu presto deciso: assolutamente negativo627. In previsione del Congresso federale delle Fnsi, che si sarebbe dovuto tenere a breve, si discusse ancora delle disposizioni. Dal dibattito, al quale parteciparono alcuni dei nomi più importanti del giornalismo milanese Janni, Russo, Nenni e persino Turati, emerse la viva preoccupazione per il provvedimento. Borsa, senza entrare nel merito di quanto si dibatteva, avanzò direttamente una sua proposta di delibera strettamente collegata al principio di inaccettabilità storica e legale della norma. Dopo una breve discussione il testo venne approvato con due soli voti contrari. Eccolo:

“I soci dell’Associazione Lombarda del Giornalisti in assemblea straordinaria allo scopo di discutere in merito al decreto sulla stampa e alla sua immediata esecuzione; considerando 1) che una secolare e non mai smentita esperienza storica insegna come tutti i provvedimenti eccezionali, coercitivi e restrittivi della libertà di stampa si siano sempre e dovunque mostrati inefficaci a raggiungere gli effetti voluti quando non li abbiano anche più allontanati; 2) che per i mali lamentati e per cui si è creduto di dover esercitare misura eccezionali bastano ampiamente le sanzioni dell’ordine vigente; 3) che l’aver sottratto la stampa alla legge per sottoporla al potere esecutivo costituisce la più grave e pericolosa limitazione e deformazione del suo ufficio. Protestano contro il decreto in parola; fanno voti per la sua sollecita abrogazione; invitano la Federazione nazionale della stampa a prendere iniziative atte a dichiarare la incostituzionalità del decreto stesso; e frattanto invitano il Consiglio Direttivo a esprimere parere assolutamente contrario alla partecipazione dei soci delle Associazioni alle Commissioni Consultive contemplate dal regolamento”628.

Si trattava, come ha scritto Carcano, di una linea molto vicina a quella del gruppo dirigente della Fnsi629; l’Agl era infatti, dopo l’Associazione romana, la rappresentanza più grande all’interno della Federazione Nazionale e si mosse in stretto rapporto coi suoi dirigenti, sia romani che nazionali. Si può ritenere che Borsa fosse personalmente molto vicino a uomini come Giuseppe Meoni, il repubblicano, massone ed interventista democratico a capo della Fnsi o Roberto

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La Federazione Nazionale della Stampa aveva pronunciato la propria contrarietà anche nel 1923 inviando una delegazione al capo del governo perché sospendesse il provvedimento. Per una visone d’insieme sull’atteggiamento della Federazione Nazionale (comprendente anche i molti appelli e i documenti di condanna alle violenze subite dai giornalisti dal 1919 in poi, oltre al citato Carcano si veda Giancarlo Tartaglia, Un secolo di giornalismo italiano:

storia della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Milano, Mondadori, 2008, in particolare il capitolo 7 “la

Federazione della stampa contro il fascismo”. 627

Associazione dei Giornalisti Lombardi (da ora AGL), Assemblee generali, 11 luglio 1924. 628

AGL, Assemblee generali, verbale seduta 11 luglio 1924. 629

La linea dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, rimase “ferma nel sostegno al gruppo dirigente della Federstampa, soprattutto per il ruolo svolto da Ettore Janni, Cesare Cabibbe e Mario Borsa. p.39. Il giudizio è riferito al 1923, ma si può estendere in linea generale all’atteggiamento tenuto contro il provvedimento e quindi anche all’applicazione del ‘24.

Bencivenga il democratico membro dell’Unione Amendoliana eletto a guida dell’Associazione romana nel 1924630.

Non a caso Borsa fu vice–presidente del Congresso federale che si tenne a Palermo tra il 25 e 28 settembre del 1924 e redattore anche in quell’occasione dell’ordine del giorno principale631, presentato da Luigi Ambrosini, ma recante le firme di Borsa, Facchinetti, Bonfigli e Sofia, che venne approvato a grandissima maggioranza come documento finale dall’Assemblea, dopo essere stato integrato da un altro testo che, senza modificarne il contenuto, ne accentuò semplicemente il tono di indignazione. Il deliberato recitava:

“L’ottavo congresso della stampa italiana adunato a Palermo, terra sacra delle prime rivendicazioni della libertà, riaffermando al di sopra di ogni sentimento il principio della libertà di stampa, conquista iniziale della nuova storia d’Italia e condizione necessaria alla vita di ogni popolo civile; convinto che gli attuali decreti sottraendo la stampa alla legge comune per sottoporla agli arbitri del potere esecutivo, offendano la coscienza del giornalismo, sottovalutandone la funzione, chiede siano revocate; e dichiarano che la legislazione con la quale,

Nel documento Mario Borsa: biografia di un giornalista (pagine 142-155)