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Il rientro in Italia, il ruolo nella nuova Società e la rincorsa al “Corriere della Sera”

Nel documento Mario Borsa: biografia di un giornalista (pagine 64-73)

CAPITOLO II L’ESPERIENZA AL “SECOLO”

2.3 Il rientro in Italia, il ruolo nella nuova Società e la rincorsa al “Corriere della Sera”

Nel contempo era cambiata anche la vita intima e professionale di Borsa. Ne Il castello dei giornalisti, una raccolta dei reportages di viaggio collezionati nell’arco di tutta la carriera, egli ha inserito alcune annotazioni sulla permanenza a Londra che ci permettono di allargare lo sguardo allo stile di vita e alle compagnie frequentate. Il “castello dei giornalisti” era appunto l’appellativo scherzoso con cui i visitatori chiamavano una casetta grigia situata a Grove Park, nella regione londinese del Lee, dove Borsa viveva con Olindo Malagodi, il corrispondete della “Tribuna”291. Nella loro casa – secondo il racconto – si davano appuntamento i colleghi italiani di stanza o di passaggio a Londra, come Luigi Barzini e Pietro Croci del Corriere, o numerosi giornalisti inglesi, con cui si intraprendevano lunghi confronti, che sfociavano a volte in animate discussioni. Il periodo di permanenza nel “castello”, dunque, fu caratterizzato da un’intensa immersione nel lavoro, incentivato dalla vicinanza ad altri professionisti. Grazie al loro aiuto e alla propria costanza, Borsa divenne finalmente un migliore conoscitore della letteratura, della storia e della politica inglese, e poté stringere contatti più diretti col mondo giornalistico in cui si muoveva, arrivando anche ad avere una buona dimestichezza con i più alti ambienti della sfera pubblica anglosassone292. L’unico “passo indietro” fatto in questo lungo periodo di accrescimento professionale, riguardò il menage di scapoli solitamente frequentati e la mondanità dei loro incontri, che furono presto abbandonati per il matrimonio, celebrato nel 1901, con una ragazza italiana, Elide Strazza293. Con lei Borsa si trasferì in una casa intitolata, a memoria della cascina nativa, Regina Fittarezza. La loro prima figlia si sarebbe chiamata Italia. Le gioie della vita privata non lo distolsero, comunque, dal proseguire in un’attività lavorativa sempre più intensa ed impegnativa.

Nella competizione tra Secolo e Corriere si stava perdendo strada: il “Corriere della sera” aveva annunciato ai propri lettori di aver inaugurato una combinazione per ricevere le notizie più importanti direttamente dai giornali esteri, facendo allarmare il Sonzogno, che aveva chiamato Borsa per correre ai ripari. Questi gli aveva spiegato che Albertini poteva contare solo su un accordo col “Temps" di Parigi, nient’altro, ma se avesse voluto migliorare il servizio estero del Secolo si sarebbero dovute apportare alcune innovazioni, prima fra tutte un sicuro collegamento tra Londra–Parigi e Milano. Al momento, essendo stati da poco impiantati i telefoni, i fonogrammi da Londra erano ancora raccolti a Parigi prima di essere ritelefonati in Italia, mentre,

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Mario Borsa, Il Castello dei giornalisti, cit., pp.3–37. 292

Ne sono una testimonianza l’ammissione al Liberal club, il noto circolo liberale londinese per entrare nel quale bisognava essere presentato da un membro iscritto, o la frequentazione degli ambienti intellettuali e politici resa evidente dalle interviste in esclusiva che si possono rintracciare sul giornale con vari esponenti della “Little englander”, dallo Swinburne a Lloyd George.

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per il buon funzionamento del sistema, Borsa raccomandava di assumere degli stenografi professionisti, in grado di rendere le trascrizioni velocemente e con accuratezza. Intraprese a tal fine una lunga discussione a distanza col Romussi, il quale chiedeva che le telefonate continuassero ad essere raccolte dal corrispondente parigino Giovanni Eandi, con evidente disappunto di Borsa che replicava sottolineando quanto l’Eandi fosse di una lentezza disarmante e per di più incline ad inviare puntualmente mutilate le sue corrispondenze, a danno suo e del giornale. Potendo contare su uno stenografo a Parigi ed uno a Milano, invece, si sarebbe avuto un servizio più ampio, più diretto e vivo dalla capitali europee, mantenendo uno stile intonato al carattere politico dei lettori del Secolo294. Qualche anno più tardi, nel 1904, il problema di cercare un accordo per potersi avvalere di più ampi contributi dall’estero si ripresentò, tornando nelle discussioni tra il corrispondente ed il suo direttore. La difficoltà di allacciare una collaborazione risiedeva, evidentemente, nel trovare un foglio che fosse il più vicino possibile al colore politico del Secolo, perché la condizione delle combinazioni era di pubblicare oggettivamente e fedelmente i pezzi acquistati dalle altre testate. Dunque Borsa prese a cercare un giornale che si accordasse bene col foglio di via Pasquirolo. Il primo legame che egli suggerì, fu quello stretto nel 1905 con lo “Standard”295. La testata era molto stimata, ma poco diffusa, perciò venne sostituita nel 1907 con un giornale di grandi aspettative, appena fondato, “The Tribune”. Essendo amico del capo servizio per la parte estera, Borsa vi entrò anche come redattore per le questioni italiane e balcaniche, e da lì passò in breve – portandosi dietro “Il Secolo” e la combinazione giornalistica – al ruolo di redattore per la parte estera del “Daily News”, il grande giornale radicale diretto dal Gardiner. Ebbe così modo di studiare di persona la fattura di un giornale inglese, non mancando di inviare in Italia numerosi suggerimenti che gli nascevano dal confronto costante con la prassi in uso nelle redazioni britanniche296.

Alcune importanti correzioni, ad esempio, vennero apportare su suo consiglio alla pagina degli Esteri: vanno ricollegate a lui le intuizioni di stampare le notizie in un corpo più piccolo per guadagnare spazio o di abbreviare i titoli in modo da migliore l’aspetto visivo dei vari blocchi297, nonché gli accorgimenti di porre limiti precisi alla lunghezza dei telegrammi e di allargare le

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ARCHROM, Sez.VI, Relazioni con enti pubblici e soggetti privati, fasc.5 Corrispondenza e documentazione su personaggi e singoli, doc.2866 lettera di Mario Borsa a Carlo Romussi datata 4 agosto 1899.

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Il nuovo servizio telefonico del Secolo. La combinazione unica e diretta del Secolo con due grandi giornali

londinesi, in «Il Secolo» 13 luglio 1905; Il nuovo servizio di informazioni del Secolo, in «Il Secolo» 14 luglio 1905. 296

Mario Borsa, Memorie di un redivivo, cit., pp.312–313. Esito di questo studio “sul campo” fu la pubblicazione del volume intitolato “Il Giornalismo inglese”, un vero e proprio manuale sulla stampa d’Oltremanica a cui diede il massimo delle cure perché era il condensato del lavoro e delle riflessioni di oltre dieci anni passati all’estero. In merito alla stesura di questo volume CGB, Corrispondenza Borsa, lettera datata 1923. Sull’importanza e la competenza che Borsa andava acquisendo all’estero si veda anche Fondazione Istituto Gramsci, Roma, Fondo Sibilla Aleramo, Corrispondenza, lettere a Mario Borsa datate 1909 in cui si chiedevano informazioni sul giornalismo femminile inglese.

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ARCHROM, Sez.VI Relazioni con enti pubblici e soggetti privati, fasc.5 Corrispondenza e documentazione su personaggi e singoli, doc.2905 lettera di Mario Borsa a Carlo Romussi datata 1904.

colonne in cui erano presentati. Sempre lui si preoccupava del controllo del funzionamento del servizio di “telegrafia e telefonia dall’estero” e raccomandava di affiancare all’ormai anziano Eandi un altro collaboratore più giovane, il Goldbacher. Appare evidente, in sostanza, come Borsa iniziasse ad intervenire sugli aspetti tecnici della realizzazione del giornale, in cui, effettivamente, si riscontrano nei primi anni del ‘900 modifiche anche vistose. La pagina organizzata meglio offriva più chiaramente i contenuti, gli spazi, aumentati, impedivano l’accavallarsi delle colonne e la leggibilità del giornale sembrava, nel complesso, guadagnarne. Si può dire che mediante questi suoi primi interventi, “Il Secolo” offrì una presentazione più razionale delle notizie consentendo una lettura migliore. Se molti consigli vennero accolti però, altri, come l’adozione di una maggiore foliazione e il ricorso a collaboratori più giovani e competenti per coprire argomenti di più ampio respiro, furono sospesi o rinviati. Dell'impegno tecnico di Borsa comunque, risentirono i contributi scritti, diminuiti relativamente, ma cadenzati nella rubrica fissa intitolata “Cronache londinesi”. Gli articoli a sua firma apparsi in questi anni furono commenti a tutto campo sulla vita sociale e politica inglese, a cui venne riservata, solitamente due volte alla settimana, la spalla del giornale, mentre – eccettuate le corrispondenze telefoniche – gli scritti di politica si fecero più rari, rimanendo riservati esclusivamente al commento di eventi internazionali di grande portata298, come gli interventi scritti a seguito della conferenza di Algeciras, nell’ennesima missione da inviato speciale, riservata ormai al più esperto delle faccende internazionali299. Dopo oltre dieci anni passati all’estero, si avvicinava evidentemente per lui il momento di rientrare in Italia, per mettere a frutto la grande esperienza accumulata.

Nel 1909 erano ormai conclamate le difficoltà che attanagliavano la società Sonzogno: “Il Secolo”, in forte calo, era sceso sulle 70.000 copie di tiratura, attirando le critiche degli azionisti, che avevano creduto opportuno affidare ad una apposita Commissione l’incarico di studiare delle riforme “istituzionali” per risollevarlo. La Commissione aveva proposto soluzioni drastiche, a cominciare dalla sostituzione del direttore Carlo Romussi – che si diceva non fosse affatto disposto a lasciare – e del gerente e amministratore responsabile, Riccardo Sonzogno, nipote di Edoardo. Prima ancora che si mettessero in pratica misure concrete però, intervenne Luigi Della Torre, noto socialista, presidente dell’Umanitaria e banchiere sovventore dei periodici come l’”Avanti!” e il “Tempo”, che fece presentare dall’Ing. Pontremoli – suo socio e abile uomo

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Ad esempio il commento sulla pace di Portsmouth del 2 settembre 1905, o l’articolo sul Re di Norvegia del 16 novembre 1905.

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Il Secolo ad Algeciras, in «Il Secolo» 10 gennaio 1906. Lo stesso annuncio dell’invio di Borsa si presentava ben diverso dalla pur lusinghiera presentazione fattane sette anni prima in occasione della missione all’Aja: “L’importanza della Conferenza che si inaugurerà il 16 corrente ad Algesiras, dalla quale può dipendere la pace o la guerra in Europa è tale che il Secolo ha deciso di farsi rappresentare da un suo speciale corrispondente. Oggi stesso è partito da Londra per Algesiras il nostro Mario Borsa che i lettori conoscono da lungo pezzo come letterato di valore e sagace politico”. Sulla conferenza si veda anche ne Il castello dei giornalisti, il saggio intitolato “Alle porte del Mediterraneo”.

d’affari – una proposta di cessione che fu subito accolta300. Bisogna sottolineare tuttavia, come, prima di decidersi ad un simile passo, a con cui generalmente viene fatto risalire il declino del Secolo, che sostanzialmente non si arresterà più fino all’avvento del fascismo301, il Sonzogno avesse fatto un altro tentativo tutto interno al giornale. Ad agosto dello stesso anno Borsa era stato chiamato ad Ostenda dal vecchio proprietario e da lui era messo a conoscenza del fatto che la Commissione aveva mosso molte delle sue stesse critiche alla fattura del giornale e ne aveva constatata la pessima conduzione direttoriale e finanziaria. Soprattutto Borsa scoprì che il Sonzogno, dopo averlo a lungo difeso, si era convinto ad abbandonare Romussi, che avrebbe dovuto lasciare entro ottobre o al più tardi in novembre. Diversi nomi gli erano già stati proposti per sostituirlo alla direzione; tra di essi anche quello di Olindo Malagodi302 (il conquilino di Borsa!), ma Sonzogno non lo conosceva ed era orientato piuttosto a fare spazio alla terza generazione di “secolisti” cresciuti al giornale in pieno accordo con lo sue linee di indirizzo e maturati professionalmente all’estero. Alcuni nuovi collaboratori erano già stati assunti, come Raffaele Gianderi, Aristide Pollastri, Lorenzo d’Adda, mentre stavano sparendo firme storiche del foglio quali Giovanni Bovio o Menotti Garibaldi. Tra tutti, per ristabilire una guida autorevole, Sonzogno aveva scelto di rivolgersi a Guglielmo Ferrero e Mario Borsa. Per questo Borsa fu convocato ad Ostenda: in quell’occasione gli fu offerto di assumere la carica di redattore capo accanto al Ferrero in veste di direttore. Sonzongo pensava così, da una parte, di far leva su un nome prestigioso, che fosse già noto presso il pubblico e dall’altra, di affiancargli una figura stimata nell’ambiente giornalistico, perché riconosciuta tecnicamente molto competente. Tale manovra avrebbe dovuto garantire al Secolo una “resurrezione eclatante”303. Dati la grande voglia che ormai aveva di rientrare in Italia304, i sentimenti di amicizia che lo legavano a Ferrero e la fiducia nella buona riuscita della soluzione prospettata, Borsa come Sonzogno immaginava che “dal giorno della successione [di Ferrero, “Il Secolo”] avrebbe ripreso subito una linea ascendente e sarebbe divenuto una vera forza in Italia con grande e benefica influenza sulle sorti del nostro

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ARCHROM, Sez.IX Il Secolo, fasc.1 Il giornale – la storia, doc.3364 Articoli su la cessione de “Il Secolo”. In particolare: Novità giornalistiche a Milano, in «Il Giornale d’Italia» 11 settembre 1909; La trasformazione del Secolo, in «Il Giornale d’Italia» 12 settembre 1909; Giornalismo Milanese, in «Gazzetta di Parma» 22 settembre 1909. 301

Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., pp.108–109. 302

Malagodi sarebbe poi andato a dirigere la Tribuna acquistata appositamente da Giolitti per controbilanciare le testate contrarie al suo operato come il “Corriere della Sera” di Albertini a Milano e il “Giornale d’Italia” diretto da Alberto Bergamini a Roma.

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CGF, Correspondence with Borsa Mario, Folder 2, lettera di Mario Borsa datata 1 agosto 1909. Sulla vicenda anche le successive lettere datate 9 agosto e 29 agosto 1909.

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In diversi carteggi egli esprime la volontà di rimpatriare; nella citata lettera al Ferrero, ad esempio dice: “Il mio desiderio è quello di rimpatriare. Io andrei anche a Parigi, ma penso che se vado a Parigi ora vuol dire rimanervi altri dieci anni. E allora come farei a rimpatriare più tardi, dopo 22 anni di vita all’estero? Non troverei il mio posto, ti pare? D’altronde il momento di ritornare per me è proprio questo: per la mia età, per l’educazione di bambini e tutto”. Sullo stesso argomento anche CGB, Corrispondenza Borsa, lettera datata 1909.

Paese”305. Egli caldeggiò pertanto con parole emozionate l’ipotesi di una direzione congiunta all’amico. Tuttavia dal carteggio intercorso tra i due, si intuisce che il suo entusiasmo non trovò pieno accoglimento presso il Ferrero. Solo in seguito al ripiegamento di questa ipotesi, probabilmente dovuto al fatto che Ferrero, molto preso dagli studi, non fu pienamente disponibile ad assumersi un ruolo tanto impegnativo306 e poichè nel frattempo il nipote del Sonzogno, Riccardo, era già entrato in negoziati con Della Torre, Edoardo Sonzogno decise, di cogliere l’opportunità di cedere interamente il giornale ad un’altra società, piuttosto che investire in un rilancio307. “Il Secolo” fi venduto e le altre parti della storica società di famiglia, La Casa editrice Sonzogno, vennero allora divise tra una Società editoriale, affidata ad Alberto Matarelli, ed una musicale, la sola che il fondatore continuò a seguire di persona308.

A fine anno, il 15 novembre 1909, venne dato sul giornale il laconico annuncio del passaggio della proprietà della testata alla “Società editrice del Secolo”, dopo il voto favorevole in Consiglio direttivo del 9. Nei giorni precedenti si era parlato molto negli ambienti giornalistici di un eventuale cambio di indirizzo del Secolo dovuto alla preponderanza che vi avrebbero assunto gli elementi socialisti con l’ingresso del Pontremoli e Della Torre a scapito di radicali e repubblicani309. Il Sonzogno era riuscito, tuttavia, a far accettare ai nuovi contraenti, come condizione essenziale della compravendita, il rispetto della formula politica dettata da Cavallotti in occasione della fondazione della società. Dando mestamente notizia del suo abbandono ai lettori, egli poteva perciò rassicurare: “Separandomi da questo giornale da me fondato 23 anni or sono […] ho la soddisfazione di affidarlo ad una società la quale ne assicura, per il nome dei suoi componenti e per quello di Edoardo Pantano, di saper perpetrare la tradizione gloriosa del giornale”310. Il neo assunto direttore, Pantano, garibaldino e mazziniano, dal 1886 deputato tra i

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CGF, Correspondence with Borsa Mario, Folder 2, lettera di Mario Borsa datata 1 agosto 1909. 306

Borsa nelle Memorie non menziona Ferrero quando accenna alla trattativa, probabilmente per rispetto verso l’amico. L’omissione sembrerebbe confermare un suo rifiuto, che del resto, oltre ad apparire evidente dai carteggi, è confermato dalla successiva nomina di Pantano nel ruolo di direttore.

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La prima proposta avanzata da Luigi Della Torre consisteva nel costituire una nuova società avente per capitale 1.800.000 lire delle quali: 1.000.000 avrebbe portato lui, 250.000 Edoardo Sonzogno e 550.000 si sarebbero offerte in azioni mediante carature di 25.000 alla parte democratica. L’affare si concluse invece con l’acquisto da parte della sua società di tutto il giornale per circa 1.250.0000 di lire. ARCHROM, Sez.IX Il Secolo, fasc.1 Il giornale – la storia, doc.3364 Articoli su la cessione de “Il Secolo”, in particolare Dagli amici mi guardi… Carlo Marx!!!, in «La Sera» 10 settembre 1909.

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Il giornale passava in proprietà di una società in accomandita semplice di cui l’Ing. Pontremoli era gerente; la parte libraria si costituiva in società separata di cui facevano parte Riccardo Sonzogno e Alberto Matarelli e la Casa Musicale rimaneva l’unica nelle mani di Edoardo Sonzogno. Casa editrice Sonzogno, Sonzogno 150 anni di editoria, cit.

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ARCHROM, Sez.IX Il Secolo, fasc.1 Il giornale – la storia, doc.3364 Articoli su la cessione de “Il Secolo”. In particolare La trasformazione del Secolo, in «Il Giornale d’Italia» 12 settembre 1909 con il racconto della riunione del Comitato di vigilanza e la Commissione riformatrice sul passaggio di proprietà nel quale si rileva l’avversità del Goldmann alla transizione appunto per i motivi di supposta predominanza socialista.

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Nota apparsa in apertura al giornale il 16 novembre 1909, seguita da una breve risposta della nuova Società che afferma: “Con la ferma consapevolezza della grande responsabilità che affrontiamo verso il Paese e la Democrazia italiana e decisi a non risparmiare sacrifici per risponderci degnamente, annunciano di avere da oggi assunta la proprietà e la gestione del giornale il Secolo”. Due giorni prima era apparso il Commiato di Carlo Romussi, non privo

principali rappresentanti della democrazia radicale, messosi in evidenza negli anni per il ruolo di primo piano svolto nell’ostruzionismo parlamentare di fine secolo e per gli studi di politica e legislazione sociale, che ne avevano tante volte ispirato l’opera parlamentare, doveva essergli apparso sufficientemente capace e noto da non incrinare il prestigio del giornale. Sonzogno, e quanti in Consiglio di controllo avevano accettato la nuova combinazione, infatti, se desideravano che si mantenesse inalterato il tradizionale indirizzo, accettavano nuovi capitali e nuove energie perché volevano si disegnasse un valido progetto di rinnovamento della testata. Si era stabilito perciò nella riunione che aveva sancito il passaggio di consegne dal vecchio al nuovo gruppo, che occorreva in ogni modo far sorgere dalla riforma un nuovo organo vitale, in grado di contrapporsi per influenza e per fattura all’egemonia che il Corriere della Sera andava acquisendo311. Così Borsa, su cui gli elementi interni non avevano mai trovato da ridire, constatando anzi come egli non fosse a sufficienza impiegato all’estero, fu ugualmente richiamato in Italia dopo qualche mese, rientrando ufficialmente dal 1° gennaio 1911 in qualità di capo redattore con funzioni direttoriali per la realizzazione del giornale312; ovvero con il compito di rinnovarne l’aspetto, la tecnica e di prendersi la responsabilità dell’andamento generale dei servizi e della loro presentazione. In sostanza perché ricoprisse il ruolo di un “direttore editoriale” inglese, col preciso compito di ringiovanire e modernizzare il quotidiano sulla base del modello britannico, seguito anche dal foglio albertiniano313.

Nel periodo in cui svolse formalmente questo incarico, dal 1911 al 1919, e più intensamente negli anni che precedettero la Grande guerra, Borsa si preoccupò essenzialmente di migliorare l’efficienza tecnica del giornale, di dotarlo di una veste editoriale più accattivante e soprattutto di organizzarlo perché potesse contare su un solido gruppo di giornalisti, corrispondenti e collaboratori, in grado di rispecchiare precisi intendimenti politici, oltre che le di un certo risentimento, che pare confermare la sensazione di una certa repentinità nella decisione data anche dalla risoluzione della gestione Borsa–Ferrero. Tutt’altro che rassegnato, il direttore, in diretta risposta al Sonzogno, affermava: “ora compiono quasi quarant’anni dal mio ingresso, ero allora ammalato della febbre dell’entusiasmo che non mi ha ancora abbandonato: e abbiamo sempre lavorato e lottato insieme nel pieno accordo dei principi che fecero

Nel documento Mario Borsa: biografia di un giornalista (pagine 64-73)