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L’ ESPERIENZA ONIRICA NEL F ABLEL DOU D IEU D ’ AMORS

I L F ABLEL DOU D IEU D ’A MORS

7. L’ ESPERIENZA ONIRICA NEL F ABLEL DOU D IEU D ’ AMORS

È stato detto più volte che il Fablel dou Dieu d’amors è il racconto di un sogno e, tra i testi citati finora, risulta essere l’unico in lingua francese (in provenzale c’è En Guillem de Saint Deslier, vostra semblanza) che presenta questo espediente narrativo. In effetti, sebbene nessuno dei suoi commentatori lo abbia definito così, il Fablel dou Dieu d’amors è un poema onirico.

«Le premier constat qui s’impose, c’est que la représentation du rêve médiéval ne se signale pas par une problématisation de la narration. […] La matière onirique n’offre apparemment aucune résistance à la saisie narrative; le rêve se laisse représenter et communiquer sans difficultés particulière»264.

Ma il fatto che il sogno si presti senza perdite alla restituzione narrativa non significa che la sua manifestazione sia perfettamente comprensibile: è, infatti, sul piano del significato che esiste un problema.

Conter vos voel la moie avision. Ne sai a dire se chou est voirs u non.

(vv. 7-8)

L’autore già dai primi versi fa intendere che non si tratta di un sogno rivelatore perché egli stesso non sa se ciò che ha visto è vero o no. Il termine avision ha un’accezione vagamente ambigua e viene usato solamente una volta nel testo265;

songe compare sei volte (vv. 12, 147, 359, 467, explicit) e altre due volte il verbo songer (songai v. 12, 147)266.

264 Jean-Daniel Gollut, Songe de la littérature épique et romanesque, in CORBELLARI E TILLIETTE 2007, p. 38

265 Macrobio inserisce la visio tra i tipi di sogni che dicono il vero.

266 AVISION, visione, sogno (<VISIO; a.fr. avision, “perception d’une réalité surnaturelle”, cfr. FEW, XIV, 526; GD I, 532: avision, visione, sogno; GDC VIII, 258: avision, “vision, ce qu’on voit pendant le sommeil”)

Nel Fablel non accade, come invece succede spesso nell’epica medievale, che “la signification du songe est en principe livrée par le texte”267; né il poeta né altri personaggi interpretano i sogni. Questo non avviene perché racconto e sogno coincidono, la narrazione inizia quando il poeta si addormenta, e il narratore consegna al lettore, o all’ascoltatore, un contenuto ambiguo, che non trova la sua comprensione all’interno del testo stesso:

«L’introduction du songe dans l’espace textuel va de pair avec une gestion neuve de la parole, de la voix. Voire, elle conduit à un processus de multiples différenciations du moi, permet une distanciation du narrateur par rapport à son moi»268.

Ma questa “distanza” non rende in alcun modo il narratore in grado di spiegare il significato del sogno. Nel Fablel, attraverso il racconto onirico, si spezza la “stabilité du dire qu’opère l’infraction par rapport à la toutepuissance de la voix sentencieuse dans les prologues de roman”269. D’altra parte, se è vero che il Fablel

dou Dieu d’amors non è la narrazione di una rivelazione e non veicola nessun

messaggio divino, non si può dire che sia privo di senso.

L’artificio narrativo del sogno riesce ad armonizzare i due racconti autonomi che in questo modo risultano scaturire entrambi dallo stato d’animo del poeta, che si addormenta meditando pensieri d’amore:

Par un matin me gisoie en mon lit, D’amors pensoie n’avoie autre delit.

(vv. 9-10)

SONGE, sonno, sogno (<SOMNIUM, cfr. FEW XII, 90; GD VII, 474: songe, sonno; GDC X, 688:

songe, “opérations irrationelles des facultés intellectuelles en partie évéillées chez une personne qui dort”; DÉCT: songe, sogno, illusione)

267 Jean-Daniel Gollut, Songe de la littérature épique et romanesque, in CORBELLAR E TILLETTE 2007, p. 46

268 Virginie Minet-Mahy, De la mort de l’auteur à la naissance du lecteur, in CORBELLARI E TILLIETTE 2007, p. 196

La teoria medievale del sogno si muove tra due poli opposti: da una parte si riteneva che l’esperienza onirica fosse strettamente connessa alla sfera del divino e che i sogni fossero una finestra sulla realtà trascendente e spirituale e presagissero il futuro, dall’altra si pensava che il sogno fosse un fenomeno causato dall’interno, un turbamento fisiologico o psicologico. Ovviamente il sogno ispirato da Dio è portatore di verità, mentre l’altro è fallace e illusorio.

Kruger (1996), ripercorrendo la storia della teoria del sogno a partire dalla Bibbia e da Platone, individua la tendenza di molti autori a concentrarsi, piuttosto che su uno dei due poli opposti, su una posizione intermedia, in cui si annida la minaccia della fallacità del sogno rivelatorio o s’insinua il sospetto della rivelazione nel sogno somatico.

Se esistono esempi letterari di sogni puramente divini – basti pensare ai padri della Chiesa o al Somnium Scipionis di Cicerone – dall’intento didattico, all’estremo opposto si collocano racconti di esperienze oniriche che si rivolgono all’interno e più che istruire, indagano la psiche del sognatore270; Kruger fa risalire questa tradizione a Ovidio, Amores III.5271: “Nox erat, et somnus lassos submisit

ocellos;/ terruerunt animum talia visa meum”272. Infine, in determinate visioni oniriche, il rapporto tra gli aspetti più mondani e quelli spirituali sembra trovare un equilibrio, tali sono le visioni intermedie:

«La visione intermedia appartiene al genere visione onirica per tutto il corso del Medioevo, ma diventa particolarmente importante nella letteratura tardo-medievale. Un’opera influente come il Roman de la rose impiega la forma del sogno per compiere un percorso costantemente intermedio tra un coinvolgimento totale nell’amore terreno e un distacco dalla passione fisica. Le opere oniriche di Chaucer […] sono visioni

270 Yasmina Foehr-Janssens analizza alcuni sogni raccontati in fabliaux: “Seul les genres littéraires qui tirent de bourdes, de bagatelles ou de vétilles l’essentiel de leurs effets poétiques, peuvent se montrer suffisamment inconséquents pour s’attarder sur le récit d’un rêve indigne”, in CORBELLARI E TILLIETTE 2007, p. 112. Nel saggio Songes creux et insomnies dans les récits des rêves médiévaux, individua racconti di sogni scaturiti da desideri sessuali, dall’ubriachezza, dalla “réplétion”.

271 KRUGER 1996, p. 208: “Il contrasto tra il poema erotico ovidiano e il Somnium Scipionis di Cicerone sintetizza quella spaccatura che percorre tutta la storia della visione onirica”.

272 “Era notte, e il sonno aveva avuto ragione dei miei occhi stanchi; ed ecco che questi sogni riempirono di paura il mio cuore”.

intermedie, che evocano la possibilità di una rivelazione pur mettendo cautamente in discussione la loro stessa attendibilità.»273

La laicizzazione e la riscoperta di Ovidio del XII secolo274 intervengono anche nella produzione letteraria di visioni oniriche: i sogni raccontati sono sempre meno premonitori e diventano invece vero e proprio luogo della narrazione. In questa narrazione si crea un legame inscindibile e imprescindibile tra il sogno e la personalità del sognatore:

«La narrazione del sogno diviene dunque racconto di un racconto, narrazione di ciò che la fantasia, libera dal peso dei sensi, ha già narrato al dormiente.»275

Anche i sogni del poeta nel Fablel si sviluppano attraverso una tensione tra terreno e divino, ma al posto del Dio cristiano è il Dio d’Amore il re della realtà cui ha accesso il poeta attraverso l’esperienza onirica. Se il sogno nasce dallo stato d’animo dell’autore e indaga i suoi sentimenti e il suo rapporto con l’amore, gli trasmette anche delle verità e lo accompagna lungo un percorso di conoscenza, tant’è che egli deciderà di raccontare ciò che ha sognato davanti a un pubblico che “di amore vuol far uso con intelligenza”:

Qui d’amors velt selonc son sens user, Au commenchier se doit si bien garder

(vv. 1-2)

Chi coglierà con ironia l’incertezza sulla provenienza e dunque sulla veridicità del sogno è, un secolo dopo, Geoffrey Chaucer che in The House of Fame scrive:

For hyt is wonder, be the roode, To my wyt, what causeth swevenes Eyther on morwes or on evenes,

273 KRUGER 1996, p. 216 274 Cfr. INTRODUZIONE, par. 1.1

And why th’effect folweth of somme, And of somme hit shal never come; Why that is an avision

And why this a revelacion,

Why this a drem, why that a sweven, And noght to every man lyche even;

(vv. 2-10) [Ma m’intriga, per la croce,/ saper donde viene il sogno/ sia di sera che al mattino,/ che poi spesso anche si avvera/ o non capita un bel niente;/ io mi chiedo s’è visione,/ o se è rivelazione,/ vero sogno, o dormiveglia,/ non per tutti è uguale cosa;]

Il Fablel dou Dieu d’amors termina con il risveglio definitivo del poeta, il quale si rende immediatamente conto che ciò che ha visto in sogno non è vero, “que songes me menti” (v. 567), e che la gioia provata al ritrovare la sua amica e a saperla salva, è stata solamente un’illusione. Il finale è dunque amaro e contrasta in parte con l’ambiguità iniziale del narratore, che aveva affermato di non sapere se il sogno fosse vero oppure no. Ciò che rimane è il monito conclusivo del poeta: “Coi que ce soit”, sia quel che sia, veritiero o fallace, “a bien soit averti”276, sia rivolto al bene, sia utile ad agire in maniera corretta.

276 È interessante notare il significato ambiguo del verbo avertir, che significa “rivolgersi verso”, in senso proprio e figurato, ma anche “realizzarsi”, riferito a un sogno.

AVERTIR, rivolgere/rivolgersi verso, avvertire (<ADVERTERE, cfr. FEW XXIV, 199; GD I, 522,

GDC VIII, 255: avertir; T.-L.: avertir2)

AVERTIR (sin. averir), region. (Nord) realizzarsi (<VERITAS, cfr. FEW XIV, 288; T.-L.: