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A LTRI ACCENNI DI LOCUS AMOENUS NEL F ABLEL DOU D IEU D ’A MORS

I L F ABLEL DOU D IEU D ’A MORS

2. L’ INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO

2.4 A LTRI ACCENNI DI LOCUS AMOENUS NEL F ABLEL DOU D IEU D ’A MORS

Come è stato detto in precedenza, il Fablel dou Dieu d’amors è disseminato da riferimenti al locus amoenus, il vergier e il palazzo d’amore sono i due esempi più evidenti, ma in altri due casi il luogo ameno fa capolino nel testo.

Il primo esempio riguarda le strofe 99-103 del componimento. Queste riportano la rotrüenge (v. 409 e ss.) che il poeta deve interpretare davanti ai cortigiani del Dio d’Amore come pedaggio per la sua presenza.

I primi versi della canzone introducono l’ambientazione primaverile tipica della poesia amorosa, costituendo una sorta di mise en abîme188:

185 cfr. GRAF 1965;

186 vedi IL FABLEL..., par. 2.3 187 JUNG 1971, p. 140; 188 vedi IL FABLEL..., par. 5.2

El mois de mai, qant la rose est florie, Chantent oysiel; l’ore est douce et serie;

(vv. 393-4)

Poco più avanti (str. 110), il poeta, mano nella mano con la fanciulla che lo accompagna nella camera del Dio d’Amore, entra in un giardino, diverso da quello esterno al castello così descritto:

Illuec trovames, et ne gaires lointain, I pré herbu, estendu en j plain. Emmi cel pré ot un arbre mult biel. De maintes guisses i cantoient oysiel; Au pié de l’arbre, par dessous j tuiel, Ot une tombe d’un gentil damoisiel. Oysiaus i ot. Por l’ame del signor, Qui la gisoit, cantent de vrai amors. Qant il ont fain, cascuns baise une flor Ja puis n’aront ne fain ne soif, le jor.

(vv. 439-448)

Di nuovo ci sono fiori e gli uccelli “de maintes guisses” che cantano “de vrai amors”, quasi un déjà vu per il poeta che lo ha già visto nel primo sogno:

Des oyseles i ot plus de mil cens. Cascuns cantoit d'amors selonc son sens.

(vv. 75-76) […]

Desous une ente ki mult fait a loër. Elle est en l’an, III fois de tel nature: Elle flourist, espanist et meure; De tous mehains garist qui li honeure,

Fors de la mort vers cui riens n'asegure.

(vv. 84-88)

È interesssante notare come nel primo sogno il poeta si sieda sotto l’albero che “de tous mehains garist” e dice: “de joie fu si mes coeurs raemplis” e che gli sembra di essere in paradiso, mentre il “damoisel” di cui racconta la fanciulla vi riposi in una tomba perché l’albero guarisce da tutti i mali “fors de la mort vers cui riens n’asegure”.

2.5I VILLANI

Da un confronto dei testi presi in esame, risulta evidente che i villani – “cil qui mesdient d’amors a escient” (Fablel, v. 107) – non sono graditi all’interno del palazzo d’amore. Questo perché la dimora del Dio è dignus amore loci e i villani non sono in grado di amare. Nel Fablel dou Dieu d’amors è il meccanismo magico del ponte levatoio che impedisce ai villani di passare, sollevandosi:

Ains ne fust eure se vilains i venist Et ce fust cose que ens entrer volsist, Oustre son gré, qant sor le pont venist, Levans li pons, et li porte closist. Tout ensi fust de soi k’il s’en ralast, Car ne voloient que vilains i entrast; Et ausi tost que il s’en retornast, Ouvriste li porte, et li pons ravalast.

(vv. 57-64)

Più avanti è la Fenice grazie al suo indovinello che riesce a distinguere chi “sa amare” (v. 316) e che acconsente a far entrare il poeta.

Nel Jugement d’amour già ai vv. 9-10 si dice che non si deve parlare d’amore ai villani:

Ne doit on pas conter d’amors

(vv. 9-10)

E più avanti nel testo verrà detto che l’ingresso al palazzo di Amore è interdetto ai villani poiché non è possibile che essi portino il sigillo d’Amore, lasciapassare per il castello:

Et bien sachiez tout entresait, Que ja postiz n’i avra clos, Ni ja vilains n’en ert tant os Que le postiz past ne la porte Se le seel d’amors n’aporte

(vv. 208-212) [E ben sappiate di certo,/ che mai ci sarà porticina chiusa,/ né villano sarà tanto ardito, che superi la porticina o il portone, se non porta il sigillo d’Amore]

Nel testo anglo-normanno Le geste de Blancheflour et Florance il testo recita più o meno nello stesso modo del Jugement:

Mès d’une chose soiez certein, Qe chascon fiz de vilein A l’entree sera destourbee, Kar n’i ad ja taunt vaillaunt Qe par la porte passat avaunt Si par Amours ne soit maundee.

(vv. 283-288) [Ma di una cosa siate certi/ che ciascun figlio di villano/ all’ingresso sarà disturbato,/ perché non c’è chi è tanto valente/ che oltrepassi la porta/ se da Amore non è comandato]

Come nel Jugement d’Amours189, la redazione franco-italiana presenta una particolarità: infatti, nei versi introduttivi (vv. 1-22) il narratore annuncia al suo pubblico l’argomento del quale andrà a trattare e specifica che non parlerà di fronte a uomo malvagio o a villano190, “es decir, especifica una estética de la recepción medieval”191. Ai vv. 369-70, l’usignolo e il rigogolo192 che accompagnano Florença e Blancheflor al cospetto del Dio d’Amore “dient en lor latin” (v. 363) che mai si deve amare un villano o una malalingua!

Già in alcune reverdies si trova l’avversione ai “vilain”, in quanto incapaci di recepire o comporre parole d’amore:

Volez vos que je vos chant Un son d’amors avenant? Vilain ne fist mie. Ainz le fist un chevalier, Soz l’ombre d’un olivier, Entre les bras s’amie193.

189 Escluso il ms. D

190 v. 9: “ni a villain, ne a garçon”, ed. FARAL 1913; Faral propone di correggere garçon con vanteor. Lisa Feletto nella sua traduzione mantiene garçon e traduce con garzone, pp. 36-37; vanteors è lo stesso termine usato nel Jugement d’Amour (v. 9), ed. OULMONT 1911

191 CARMONA 1997, pp. 71-83; 192 Lisa Feletto traduce oriolo.

193 “Volez vos que je vos chant”, di troviere anonimo del XIII secolo, riportata da GROSSEL 1995 e P. Bec, La lyrique, vol. 2, p. 60, str. 1. Tutta la reverdie ha tratti in comune con i testi presi in analisi fino a ora:

Chemisete avoit de lin En blanc peliçon hermin Et bliaut de soie, Chauces ot de jaglobai Et sollers de flors de mai, Estroitement chauçade. Cainturete avoit de fueille Qui verdist quant li tens mueille; D'or hert boutonade.

L'aumosniere estoit d'amor; Li pendant furent de flor, Par amors fut donade. Si chevauchoit une mule; D'argent ert la ferreure, La sele ert dorade; Seur la crope par derrier

[Volete che vi canti/ una composizione d’amore piacevole?/ Non la compose un villano./ Ma la compose un cavaliere,/ all’ombra di un ulivo,/ tra le braccia della sua amica]

Anche nella canzone allegorica Celeis cui am de cor e de saber, Guiraut de Calanso afferma che villani, maleducati e sleali non possono entrare nel palazzo:

«Les premiers, los fals, manquent de coeur fidèle; les derniers, li vilains et li mal apres, manquent de savoir»194.

L’autore del Chastel d’Amors avverte che nel castello non è ammessa nessuna donna che ami un uomo indegno (vv. 31-33) e che “no gés com vilana pa[t]z” (v. 70), perché chi riesce ad attraversare il portone e a entrare nel palazzo, si ritrova senza difese, e se non è in grado di proseguire è perché non s’intende molto “d’amar” (v.78).

Il castello che il poeta costruisce sestina dopo sestina è meraviglioso poiché è visibile solamente attraverso le parole o con il pensiero (vv. 37-42), è dunque comprensibile che un villano, ovvero un ignorante in questioni amorose o un maldicente, non sia in grado di capire o immaginare ciò che il componimento vuole rappresentare.

L’allegoria d’amore occitana nasce tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII, con En Guillem de Saint Deslier, vostra semblanza (IX; 234,12) di Guillem de Saint-Didier195 e l’opera di Guiraut de Calanso.

La conoscenza, lo saber, diventa un elemento essenziale nelle “cose d’amore”, il sentimento, la passione e il desiderio irrazionale non bastano più.

Avoit planté trois rosiers Por fere li honbrage.

(vv. 7-24) […]

Li rossignous est mon pere Qui chante seur la ramee El plus haut boscage;

(vv. 31-33)

194 JONES 1986, p. 82;

Fare parte della società cortese implicava la conoscenza e il rispetto di norme di comportamento, rituali e leggi, soprattutto in ambito amoroso, i quali potevano essere appresi solamente attraverso lo studio e l’applicazione dell’intelletto. Nella novella allegorica, Peire Guilhem quando incontra il Dio d’amore, lo sommerge di domande perché vuole sapere.

Non è forse anche la conoscenza – perlomeno alle origini della tradizione – il punto di forza del chierico nel Débat du clerc et du chevalier?

Nella prima quartina del Fablel dou Dieu d’amors, insieme alla parola amors si trovano sens e rason; nel Jugement d’amour, è Blancheflour a rispondere alla domanda del Dio d’amore poiché “bien fu aprise” (v. 229).

Nei dibattiti antico-francesi l’uomo di cultura si oppone all’uomo d’onore, il cavaliere, e ovviamente anche al villano, e fatta eccezione per La geste di

Blancheflour et Florance in cui è il cavaliere ad avere la meglio196, il chierico ne esce sempre vincitore.