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L’evoluzione diacronica dell’alternanza wo ~ Ø

Come osservato, a partire dalla fine del periodo Heian la varietà scritta e quella parlata si differenziarono sempre più, non solo dal punto di vista lessicale, ma anche morfologico, e questo comporta la necessità di analizzare lo sviluppo della particella wo in diacronia distinguendo i due registri.

Per quanto riguarda la varietà scritta, l’ipotesi a cui si fa generalmente riferimento è che wo avrebbe subito un processo di grammaticalizzazione57. Per motivare tale fenomeno, gli

studiosi identificano alcune cause fondamentali. La prima è l’utilizzo obbligatorio di tale particella nella pratica della glossatura di testi in cinese: come visto (cfr. Cap.1), nella pratica del kanbun kundoku wo veniva regolarmente utilizzata per segnalare l’oggetto e tale caratteristica avrebbe prodotto la sua diffusione anche in testi in giapponese.

La seconda causa sarebbe legata alla confluenza tra la base conclusiva del verbo e quella attributiva. Come accennato (cfr. Cap.1 e §2.2), in epoca Nara e Heian vi era la tendenza a utilizzare wo con maggiore frequenza quando il verbo reggente era coniugato alla forma attributiva, mentre l’oggetto di predicati flessi in forma conclusiva era più comunemente segnalato da Ø. La confluenza tra le due forme, a partire dal XII secolo, avrebbe dato un impulso alla diffusione della particella wo sia nelle frasi subordinate che nella principale, poiché la forma attributiva si impose a scapito di quella conclusiva.

Una ulteriore motivazione, proposta in particolare da Shibatani (1990: 347), è legata alla grammaticalizzazione che coinvolse altre particelle come ga e no. La funzione di tali due particelle in giapponese antico sembra in parte sovrapporsi, poiché entrambe esprimono l’agente in frase subordinata: in particolare, ga seguirebbe sostantivi con referente animato, mentre no sembrerebbe marcare sostantivi definiti (sia animati che inanimati); viceversa, Ø segnalerebbe regolarmente gli agenti in frase principale e i sostantivi collocati in basso sia nella scala di animatezza che in quella della definitezza in frase subordinata (in cui si oppone a ga e no)58. Quando la forma attributiva e conclusiva

confluirono, sia ga che no iniziarono a comparire più frequentemente in frase principale e a partire dal periodo Edo (dal XVI secolo) le funzioni delle due particelle iniziarono a distinguersi più nettamente: no assunse la funzione di particella attributiva e ga la funzione

57 Si veda Lehmann (2008; 2015) per una introduzione al problema della grammaticalizzazione.

58 Come accennato in §2.2, anche nell’espressione dell’agente in epoca Nara sembrerebbe osservabile una situazione di marcatura differenziale. Si veda in particolare Wrona (2007), Yanagida, Whitman (2009), Yanagida (2018a; 2018b).

che viene definita “nominativo”, anche se proprio nei testi di epoca Edo inizia a essere utilizzata come marca del focus (si veda oltre).

Tali processi, a parere degli studiosi, avrebbero quindi portato a un utilizzo sempre più frequente della particella wo e alla graduale scomparsa del fenomeno della marcatura differenziale59. Per analizzare tale fenomeno nella varietà scritta, Miyagawa (2012: 235 ss.)

e Sadler (1997; 2002a) confrontano l’utilizzo di wo all’interno di redazioni cronologicamente distanti di un singolo testo: Miyagawa analizza due versioni dello Heike monogatari (平家物語 Storia degli Heike), Sadler esamina invece tre stesure dei primi capitoli del Genji monogatari60.

Per quanto riguarda lo studio di Miyagawa (2012), le due edizioni prese in esame sono il cosiddetto Kakuichibon 覚一本, la versione più antica a noi nota del testo dello Heike, risalente al 1371 e composta dal monaco Kakuichi, e lo Amakusa heike monogatari 天草平 家物語, testo che contiene quasi tutto il racconto dello Heike e che venne ideato da Fabian Fukan (1565-1621) nel 1592 come libro di base per l’insegnamento del giapponese ai missionari. Lo studio di Miyagawa prende le mosse da una precedente analisi effettuata da Suzuki (1973) ed è utile notare che entrambi gli autori scelgono di analizzare lo Amakusa heike poiché ritengono che il linguaggio utilizzato in tale testo sia affine alla varietà parlata dell’epoca. Benché questo possa essere parzialmente corretto, si deve anche notare che la finalità didattica del testo può aver influito sull’utilizzo di elementi grammaticali come le particelle, la cui omissione era percepita come scorretta ed eccessivamente colloquiale (su questo elemento si tornerà nelle pagine seguenti).

Nel loro studio, Suzuki e Miyagawa paragonano le due versioni del testo e identificano almeno 400 casi in cui oggetti diretti non segnalati da wo nel Kakuichibon venivano invece marcati nello Amakusa heike. Un esempio è il seguente (K. sta per Kakuichibon, A. per Amakusa heike):

(33) K. 都にて多くのこつがいにん見しかども

miyako nite ooku no kotugainin mi-shika-domo

capitale LOC molti ATTR mendicante vedere.INF-PAST.PFV-CONC

59 Nella varietà scritta contemporanea, infatti, l’alternanza wo ~ Ø è estremamente rara. Matsuda (1996: 246), ad esempio, riporta una percentuale dello 0.59% di presenza di Ø nell’edizione del 20 giugno 1995 del giornale Asahi Shinbun.

60 Una analisi simile è stata effettuata anche per osservare lo sviluppo in diacronia della marcatura differenziale dell’oggetto in spagnolo: ad esempio, Kaiser, von Heusinger (2007; 2011) analizzano diverse versioni della Bibbia a partire dal XIV secolo fino al XX secolo e dimostrano che la marcatura differenziale effettuata tramite il morfema a si sarebbe diffusa dapprima ai referenti umani definiti e solo successivamente agli indefiniti.

かかる者をばいまだ見ず

kakaru mono wo ba imada mi-zu

questo tipo persone OGG TOP mai vedere.IPFV-NEG.FIN A.都であまたのこつがいにんを見たれども

miyako de amata no kotugainin wo mi-tare-domo

capitale LOC molti ATTR mendicante OGG vedere.INF-PAST.PFV-CONC このやうな者をばまだ見たことがない

kono yōna mono wo ba mi-ta koto ga nai

questo tipo persone OGG TOP vedere.INF-PAST cosa PART non essere ‘benché vedesse tanti mendicanti nella capitale, non aveva mai visto persone di questo tipo’ (Heike monogatari 3).

Come noto, la teoria di Miyagawa circa lo sviluppo della particella wo è legata alla confluenza tra forma attributiva e forma conclusiva del verbo: poiché l’utilizzo di wo sarebbe stato più frequente in presenza di una forma attributiva, quando tale forma si impose su quella conclusiva anche la particella wo si diffuse maggiormente. A tale proposito, Miyagawa spiega che nel Kakuichibon tali due forme verbali sarebbero distinguibili ancora in modo netto, mentre all’epoca della redazione dello Amakusa heike il processo di confluenza sarebbe ben visibile, come testimoniato dall'esempio (33) (il verbo nai a fine frase non è interpretabile né come forma attributiva, né conclusiva).

Un approccio simile è utilizzato da Salder (2002a), che si concentra in modo particolare sul Genji monogatari, di cui analizza tre redazioni differenti: il testo di epoca Heian (inizio XI secolo), una versione di Hanshichi Taga risalente al 1723 e composta dei soli primi due capitoli del testo e una terza versione di Tanizaki Jun’ichirō pubblicata nel 196461. Sadler

distingue correttamente le sezioni di testo narrative da quelle dialogiche (in cui include anche i monologhi), ma sceglie di non occuparsi delle poesie in quanto la particella wo potrebbe essere o meno presente in esse sulla base di questioni metriche – come notato già da Kinsui (1993) e Mondini (1993a). Sia nelle parti narrative sia in quelle dialogiche, Sadler nota un maggiore utilizzo di wo nelle redazioni più tarde del testo, secondo il seguente schema (cfr. Sadler 2002a: 259-60):

61 Si era già detto (§1.2) che Oyama (1958) aveva analizzato il Genji monogatari, giungendo a conclusioni che confermavano lo studio precedente di Matsuo (1938; 1944), secondo cui tutte le occorrenze di wo sarebbero state interpretabili come aventi funzione enfatica. Sadler invece asserisce di non scorgere alcuna occorrenza che abbia valore soltanto interiezionale, ma solo alcune occorrenze a fine frase in cui

Parti narrative Parti dialogiche

wo Ø wo Ø

Genji XI sec. 53 (72.6%) 20 (27.4%) 42 (82.4%) 9 (17.6%) Genji 1723 104 (80.6%) 25 (19.4%) 99 (86.1%) 16 (13.6%) Genji 1964 107 (96.4%) 4 (3.6%) 85 (96.6%) 3 (3.4%)

Tabella 1: Percentuali di utilizzo di wo nel Genji monogatari secondo Sadler (2002a)

Sadler analizza l’alternanza wo ~ Ø in tali testi sulla base di fattori semantici e pragmatici come la referenzialità (referenziale è un costituente che si riferisce a una “specific individual entity”, cfr. Sadler 2002a), l’animatezza e l’opposizione dato/nuovo. Tali parametri fanno riferimento al concetto di discourse manipulability (Hopper, Thompson 1984: 711), secondo cui referenti manipolabili presenterebbero identità costante, importanza nel discorso e identificherebbero un partecipante attivo e coinvolto62.

Per quanto riguarda la referenzialità, la studiosa nota che nel testo di epoca Heian i costituenti referenziali erano segnalati da wo nel 86.3% dei casi, laddove nella versione di Tanizaki il 100% degli oggetti referenziali sono seguiti dalla particella. Per quanto riguarda i costituenti non referenziali con funzione di oggetto diretto, invece, nel testo originale essi erano marcati da wo nel 40.9% dei casi, mentre Tanizaki segnala il 90% di essi tramite wo. Sadler conclude che mentre nel testo del XI secolo la referenzialità avrebbe svolto un ruolo importante nella scelta del parlante fra wo e Ø, nel testo di Tanizaki tale fattore sarebbe divenuto meno importante, così che wo marcherebbe oggetti sia referenziali sia non referenziali.

Il secondo fattore analizzato è l’animatezza. Sadler nota che sia nel testo originale che nella traduzione di Tanizaki gli oggetti con referente umano e quelli che identificano parti del corpo sono sempre segnalati da wo; gli oggetti con referenti inanimati, invece, sono marcati da wo nel 67.2% dei casi nel testo di epoca Heian, nel 78.7% dei casi nel testo del 1723, mentre Tanizaki li segnala nel 95.5% dei casi.

Il terzo fattore analizzato da Sadler è l’opposizione tra dato e nuovo, ma la studiosa non riscontra una differenza apprezzabile nell’utilizzo di wo in connessione con costituenti dati

62 Sadler analizza l’utilizzo di wo anche in connessione con il fattore detto discourse segmentation, legato a fattori fonologici, morfologici e sintattici come la complessità del sintagma (se presenta modificatori, come aggettivi o relative), il numero di more di cui è composto il sostantivo, l’adiacenza tra verbo e oggetto. Sadler conclude che tali fattori sarebbero stati maggiormente utilizzati in epoca classica, ma avrebbero perso importanza in diacronia, mentre quelli legati alla discourse manipulability avrebbero mantenuto una rilevanza fondamentale lungo tutta la storia della lingua giapponese.

o nuovi nelle diverse redazioni del testo analizzate e conclude che l’alternanza wo ~ Ø non sarebbe determinata da tale fattore.

Sadler conclude quindi che, nella varietà scritta a partire dall’epoca Heian ai giorni nostri, wo avrebbe subito un processo di grammaticalizzazione e tale fenomeno sarebbe dimostrato da alcuni fatti ossia: a) la particella inizia a essere utilizzata per segnalare tutti i tipi di costituenti; b) il suo corpo fonico si riduce perdendo il glide iniziale wo > o (mutamento avvenuto in epoca Heian); c) gli utilizzi di tale particella si riducono, eliminando la funzione di congiunzione e quella interiezionale e mantenendo soltanto quella di espressione dell’oggetto diretto.

L’ipotesi della grammaticalizzazione di wo all’interno della varietà scritta sembra quindi essere molto diffusa tra gli studiosi e permetterebbe di rendere conto di alcuni fenomeni importanti come la riduzione delle funzioni di wo in diacronia. Viceversa, la perdita del glide iniziale non sembra essere motivabile tramite tale processo, poiché si tratta di un fenomeno paradigmatico che coinvolse tutte le occorrenze dell’approssimante labiovelare /w/ davanti a vocali alte e medio-alte (si riscontra infatti anche in wi > i; we > e, ma non davanti a /a/).

Inoltre, nella varietà parlata, l’utilizzo di wo non sembra essersi diffuso in maniera così profonda, tanto che nel registro colloquiale odierno la marcatura differenziale è ben osservabile: Fujii, Ono (2000) osservano che nel corpus da loro analizzato soltanto il 30% degli oggetti diretti vengono seguiti da wo, mentre il restante 70% è marcato da Ø; Endo Hudson, Sakakibara, Kondo (2006: 315) notano una situazione simile, in cui soltanto il 37% degli oggetti diretti appare seguito dalla particella; Matsuda (1996: 152) afferma invece che nella zona di Tōkyō il 56% delle occorrenze dell’oggetto sarebbe seguito da Ø63.

63 A tale proposito, faremo riferimento in modo particolare agli studiosi che identificano parametri semantici, pragmatici o informativi volti a motivare l’alternanza. Ulteriori riferimenti sono Maeda (1998: 55 ss.) che nota la possibilità di omissione anche quando wo esprime funzioni concrete come in michi wo

aruku ‘camminare per strada’; Watanabe (1986) che però analizza il parlato di una singola persona

quindi i suoi risultati non sembrano utilizzabili per spiegare un fenomeno così diffuso; Lee (2002) che si concentra sul ruolo di Ø in alternanza con ga, ni, wo. Cfr. anche Himeno (1999); Kariyado (2011); Kurosaki (2003); Minashima (1993; 2001). Si noti altresì che Matsuda (1996) prende in esame numerosissimi criteri, ma come detto limita la sua analisi al dialetto della capitale Tōkyō, quindi le sue conclusioni non possono essere applicate a livello generale. Lo studioso si interessa a fattori sia interni che esterni: ad esempio analizza la posizione dell’oggetto rispetto al verbo (si veda anche Tsutsui 1984: 132) la natura del sostantivo stesso che funge da oggetto (se è un pronome interrogativo Ø sarebbe più frequente rispetto ai casi in cui l’oggetto è espresso da un deittico o da un pronome personale, sui deittici cfr. Fujii, Ono 2000: 11), ma anche fattori legati al parlante come l’estrazione sociale o il sesso.

Le ragioni di tale alternanza nella varietà colloquiale contemporanea sono – anche in questo caso – attribuite a diversi fattori, in particolar modo semantici e pragmatici64. Infatti,

si ritiene generalmente che wo tenderebbe a essere più frequente quando l’oggetto presenta un referente animato, mentre tenderebbe a cadere quando il referente è inanimato (Fry 2001; Matsuda 1996: 92 ss.). Quanto ai fattori pragmatici e informativi, è stato ipotizzato che l’omissione di wo sia dovuta a un processo di defocusing dell’oggetto (Masunaga 1988, ma cfr. anche Yasutake 2012), al veicolare una informazione nota in opposizione a una nuova (Endo Hudson, Sakakibara, Kondo 2006; Mori, Givón 1987: 10; Shimojo 2005: 126 ss.; 2006), all’espressione di un costituente non referenziale e non specifico (Fujii, Ono 2000). Viceversa, l’utilizzo della particella esplicita sarebbe legato all’introduzione di un’informazione nuova o alla volontà di spostare l’attenzione dell’ascoltatore su referenti già presenti nella sua mente, ma che siano poco identificabili (Shimojo 2005), alla necessità di uno sforzo cognitivo per l’identificazione del costituente e alla salienza nel discorso (Fujii, Ono 2000)65: in particolare, a determinare la presenza di wo sarebbero

elementi come la topicalizzazione (il fatto che l’elemento marcato funga da topic nel seguito della conversazione successiva), la cosiddetta newsworthiness (ovvero la capacità di esprimere informazioni fondamentali, senza le quali l’ascoltatore non capirebbe correttamente il messaggio veicolato), il fatto che si voglia indicare una opposizione di un costituente nei confronti di un altro precedentemente menzionato (uso contrastivo), oppure la necessità di correggere una informazione già fornita (la strategia del repair). In generale, quindi, “the more important the information is, the stronger coding expression (the use of o as opposed to the non-use of o) it will receive” (Mori, Givón 1987).

È evidente che i criteri pragmatici e informativi identificati dagli studiosi per motivare la presenza di wo nella varietà colloquiale contemporanea si sovrappongano a quelli riscontrati nei testi di epoca Nara e Heian: parametri riconoscibili nelle diverse fasi diacroniche sono infatti la referenzialità (già citata da Motohashi 1989 per il giapponese

64 Come notato già da Sadler nella sua analisi diacronica, all’alternanza sono stati attribuiti anche fattori legati al criterio detto discourse segmentation, ad esempio la struttura sillabica del sostantivo (i monosillabi tenderebbero a richiedere l'utilizzo della particella, Tsutsui 1984: 98), l’adiacenza del sostantivo al verbo reggente (Tsutsui 1984; Matsuda 1996). Sono stati inoltre notati fattori esterni come la provenienza del parlante (nella zona del Kansai si tenderebbe a utilizzare maggiormente Ø, Martin 1975: 50; Hinds 1982: 163).

65 Fujii, Ono (2000: 28) scrivono infatti che “o-marking is a device to help the listener’s attention activation; it is a device to direct the listener’s attention to important information and facilitate processing of information that may require some cognitive effort on the part of the listener”.

antico e classico), il fattore dato/nuovo (Sadler 1997 in relazione all’epoca Heian) e l’importanza dei referenti (Hiroi 1957; Oyama 1958 nei monogatari Heian, §1.2)66.

A nostro avviso, quindi è possibile ipotizzare che la marcatura differenziale si sia conservata nella varietà colloquiale e che il processo di grammaticalizzazione sia limitato soltanto al registro scritto e formale: è infatti plausibile che l’alternanza wo ~ Ø sia identificabile in tutte le fasi diacroniche del giapponese e che dipenda da fattori semantici e pragmatici.

Per effettuare un’analisi diacronica della varietà colloquiale è quindi necessario selezionare un adeguato corpus di testi, il cui linguaggio sia presumibilmente aderente alla varietà colloquiale contemporanea alla loro stesura. A causa della differenziazione tra le due varietà scritta e parlata, che vede la luce nel periodo Heian, non è però semplice riconoscere le opere adatte per effettuare tale analisi: è infatti possibile ipotizzare in ogni caso un influsso della varietà scritta, che potrebbe aver condizionato la frequenza di utilizzo delle particelle anche in testi il cui linguaggio sia reputato dagli studiosi affine alla varietà colloquiale. Può essere utile allora non limitare l’analisi a tali opere, ma osservare altresì le discussioni circa le caratteristiche della varietà parlata proposte nelle grammatiche prescrittive e descrittive risalenti al periodo medioevale e moderno.

A tale proposito, è solo a partire dal XVII sec., grazie agli studi che i missionari cristiani effettuarono sulla lingua giapponese, che vennero redatti testi in cui si descrivono le caratteristiche del giapponese e che ci hanno trasmesso numerose informazioni non solo circa la fonologia e la morfologia del giapponese a loro contemporaneo, ma anche riguardo alle differenze diamesiche e diastratiche nel periodo medioevale.

Uno dei temi su cui missionari concentrano particolarmente l’attenzione è l’uso delle particelle, delle quali nei loro testi descrivono le singole funzioni (che venivano assimilate

66 Allo stesso modo, nell’ambito del discourse segmentation, la struttura della frase viene presa in analisi circa la lingua classica da Matsuo (1944: 627-8) e Akiba (1978: 108-9), la struttura sillabica del termine che funge da oggetto da Sadler (1997), la posizione rispetto al verbo da Miyagawa (1989) e prima da Hiroi (1957). Può essere inoltre utile notare che l’alternanza wo ~ Ø, limitatamente alla varietà colloquiale contemporanea, è stata messa in parallelo da un lato con l’omissione di altre particelle come

ga (l’utilizzo delle particelle veicolerebbe enfasi sul costituente, Yasutake 2012), dall’altro con ulteriori

possibilità di codifica dei referenti come l’anafora zero e l’utilizzo della particella del topic wa. In particolare, secondo Shimojo (2005) l’anafora zero (ovvero l'omissione del costituente) segnalerebbe elementi già salienti (anaphorically salient information) e che necessitano di essere attivati per la restante parte del discorso (cataphoric focusing), denotando quindi la continuità della presenza del referente; l’utilizzo di ga (seconda possibilità) oppure di wo (terza) servirebbe per codificare informazioni non ancora salienti ma che si prevede sarà necessario tenere attivate (cataphoric focusing); la particella wa avrebbe a che fare con quella che chiama contrastive specification (ovvero il fatto che l’ascoltatore riceverebbe l’informazione di cercare anaforicamente un elemento a cui opporre quello segnalato da wa); Ø segnalerebbe di terminare il legame istituito; lo spostamento in posizione post- verbale indicherebbe anche qui la deattivazione del referente. Sull’attivazione dei referenti si veda Chafe (1984).

all’espressione dei casi del latino, cfr. §5.3.2) e il rispettivo utilizzo nella varietà colloquiale. Testi esemplari per la quantità di informazioni che ci offrono su tale argomento sono l’Arte da lingoa de Iapam (1604), redatta in portoghese dal missionario João Rodriguez (1561-1633) e l’Ars grammaticae Japonicae linguae (1632), scritta in latino da Diego Collado (1589-1638).

Già Rodriguez notava infatti una differenziazione tra varietà scritta e formale e registro colloquiale e informale67. Data la finalità istruttiva del suo testo, Rodriguez consiglia al

discente di studiare opere classiche come il Genji monogatari e lo Ise monogatari e sconsiglia l’uso a scopo didattico dei cosiddetti “Monogatari da pratica” (che Zwartjes 2011: 108, seguendo Moran 1993: 157, chiama “colloquial monogatari”), ossia testi scritti da missionari nella varietà colloquiale, nessuno dei quali sembra essere giunto fino a noi, e dei testi scritti dai “nossos Iapoens” ‘i nostri giapponesi’ (con cui forse identifica i giapponesi cristiani, come Fabian Fukan), ossia il May colloquiale e il Feikemonogatari (lo Amakusa heike di Fabian Fukan)68. Il missionario considera il linguaggio utilizzato nei

monogatari quello più corretto e più vicino alla varietà utilizzata dalla nobiltà (cugues, ossia kuge 公 家 ) della capitale (miyaco, Kyōto): la varietà usata dall’aristocrazia, detta cami (kami ‘上 alto, sopra’), è definita più pura ed elegante ed è utilizzata nella letteratura alta. Tale varietà si differenzia sia a livello diastratico che diatopico da quella delle province, detta ximo (shimo 下 basso, sotto’), ossia la varietà colloquiale usata nelle zone ‘ meridionali come il Kyūshū (Debergh 1982: 28): nelle province, infatti, i parlanti sarebbero soliti esprimersi in modo scorretto, improprio (opposto a quello proprio della