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La particella wo nella classificazione di Yamada Yoshio

3.4 Osservazioni conclusive

Come si è evidenziato nel corso del presente capitolo, Yamada pone come base della sua classificazione delle particelle la relazione espressa da tali morfemi, mentre sostiene di aver tralasciato fattori formali come l’accordo con il predicato e il contesto sintattico. Nonostante la veridicità di tale affermazione sia a volte messa in discussione da alcuni fattori nel quadro di riferimento di Yamada (ad esempio il fatto che le particelle finali siano definite proprio sulla base della posizione e per questo differenziate dalle particelle

pragmatiche), l’importanza che Yamada accorda al livello semantico è evidente nella sua descrizione di ciascuna particella.

Tale criterio influenza quindi l’inserimento, da parte di Yamada, di ciascuna occorrenza della particella di volta in volta analizzata nella opportuna classe funzionale. L’esempio della descrizione di wo è paradigmatico, ma la medesima situazione è riscontrabile nell’analisi yamadiana di particelle come ya o ga, che vengono inserite in più di una classe funzionale a causa dei numerosi valori espressi da tali morfemi. Per esempio, la particella ga, nel Bunpō-ron (1908), è definita come particella di relazione, di congiunzione e finale. Sebbene vi siano alcune differenze distribuzionali (ad esempio quando funge da particella di relazione può seguire sostantivi e come particella finale segue spesso la particella mo), in ciascuna di tali tre funzioni essa può seguire forme attributive del verbo e ciò rende più complessa l’identificazione del valore attribuibile a ciascuna occorrenza.

Allo stesso modo, nel caso di wo Yamada sottolinea in più occasioni i contesti sintagmatici in cui tale particella potrebbe comparire. Ciò è valido in particolare per quanto riguarda la funzione di congiunzione e interiezionale, mentre circa la funzione di particella di relazione Yamada non sembra identificare in modo esplicito fattori formali, che possono però essere desunti dalla spiegazione stessa dello studioso. Come particella di relazione, wo segue principalmente nominali (sostantivi, pronomi, koto come nominalizzatore); come congiunzione essa segue forme attributive del verbo, ma può anche seguire nominali; come interiezione può trovarsi in contesti più ampi e segue nominali, forme attributive, espressioni di comando o desiderio (imperativi, ausiliare congetturale), forme infinitive o gerundie (basi infinitive, morfemi del gerundio come -te), particelle di relazione (ni, to, l’allativo e < we < pe in epoca Heian) e avverbiali (bakari in epoca Heian)118.

Come evidente, tali contesti si sovrappongono: nella teoria yamadiana wo può sempre seguire nominali a prescindere dalla funzione a essa attribuibile e può seguire forme attributive del verbo quando ha funzione di congiunzione o di interiezione.

118 Come visto, i contesti in cui a wo sarebbe attribuibile il valore di interiezione non sono del tutto chiari e non sembrano coerenti nei diversi testi yamadiani. Per questo motivo, si è optato qui per citare i contesti di cui lo studioso offre esempi (tralasciando quindi quei contesti solo menzionati ma non esemplificati, ad esempio il caso in cui wo precede particelle di relazione).

Funz. relazionale Funz. di congiunz. Funz. interiezionale sost + wo ● ● ● ADN + wo ● ● ni / to / e + wovolontà/comando + woINF (-te) + wobakari + wo

Tabella 7: Distribuzione di wo in Yamada

Tale sovrapposizione riscontrabile nei testi yamadiani sembra aver influenzato gli studiosi successivi.

Da un lato, come visto (cfr. Cap.1), gli studiosi tradizionali giapponesi ipotizzano che nei testi di epoca Nara e Heian sarebbe riconoscibile soltanto la funzione interiezionale, ammessa già da Yamada in tutti i contesti in cui wo può occorrere. Tale posizione da parte degli studiosi è inoltre condizionata dal fatto che nella prima metà del secolo scorso non era ancora stata formulata una ipotesi organica circa la marcatura differenziale (come detto, i primi studi a tale proposito risalgono a Bossong 1983) e per questo non si riusciva a motivare in modo plausibile l’oscillazione wo ~ Ø nell’espressione dell’oggetto diretto. Non disponendo di criteri precisi per identificare le occorrenze in cui wo avrebbe avuto funzione interiezionale né di un quadro di riferimento teorico che giustificasse l’assenza di wo nel marcare l’oggetto, gli studiosi giapponesi conclusero che la presenza di wo fosse opzionale e pertanto la funzione di tale particella non poteva essere quella relazionale, ma necessariamente quella interiezionale.

Dall’altro lato, alcuni studiosi hanno definito in modo più netto i contesti all’interno di cui ciascuna funzione di wo sarebbe identificabile. Come detto, l’esempio più evidente di tale approccio si trova in Kondō (1980), ma anche in Vovin (2005; 2009b). Applicando con più rigore criteri formali e sintattici, il primo identifica soltanto 13 occorrenze di wo in funzione interiezionale in tutti i testi di epoca Nara, il secondo soltanto 4 nell’intero Man’yōshū. I criteri sintattici consentirebbero per di più di attribuire una funzione di particella di relazione alle occorrenze di wo nella costruzione in -mi (in contrasto con quanto sostenuto tra gli altri da Hashimoto 1969: 113; Iwai 1974a: 590-2; Kōji 1988: 865, secondo i quali wo in questo costrutto avrebbe una funzione interiezionale).

Viceversa, il database dello ONCOJ riconosce 37 occorrenze in cui wo avrebbe valore interiezionale nei testi di epoca Nara, ma esse non sembrano essere identificate su basi

sintattiche: l’utilizzo interiezionale è infatti riscontrato sia quando wo segue altre particelle (come to o ni), sia quando segue nominali (sostantivi e pronomi), forme imperative e attributive di verbi, forme di gerundio (con il morfema -te). Le glosse offerte dallo ONCOJ sembrano quindi uniformarsi all’ipotesi yamadiana, secondo cui sarebbero molto ampi i contesti in cui wo in funzione interiezionale sarebbe rintracciabile.

Una tale oscillazione nelle interpretazioni degli studiosi successivi è sicuramente imputabile alla poca chiarezza della classificazione yamadiana delle particelle, che è stata accolta dalla maggior parte di essi. È tale approccio che ha consentito già allo stesso Yamada – come osservato – una certa libertà di interpretazione, tanto da attribuire a singole occorrenze molteplici valori (come accaduto, ad esempio, nella poesia (55), in cui wo è interpretata dapprima come congiunzione e poi come interiezione). L’assenza di chiarezza nella definizione di criteri formali nella descrizione delle funzioni di wo è, in realtà, riscontrabile anche in numerosi studi precedenti rispetto a Yamada e sembra avere origine in un momento ben preciso della storia del pensiero linguistico giapponese, ossia negli ultimi anni del XVIII secolo, con gli studi di Motoori Norinaga. Il successivo capitolo è dedicato quindi allo sviluppo della discussione che interessò la particella wo a partire dai trattati poetici risalenti al medioevo giapponese, passando per l’innovazione riscontrabile nell’opera di Norinaga, fino a giungere alle trattazioni appena precedenti a Yamada, per osservare quali furono gli influssi culturali dei quali ha risentito lo stesso Yamada.

Capitolo 4