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La marcatura differenziale dell’oggetto

Per “marcatura differenziale degli argomenti” (differential argument marking, DAM) si intende un fenomeno per il quale un determinato argomento viene segnalato espressamente o meno sulla base di proprietà semantiche (come l’animatezza) o pragmatiche (in particolare, definitezza e specificità)30. La marcatura differenziale può riguardare ciascun

quello del verbo della frase principale. Inoltre, sia la base attributiva che quella perfettiva partecipano al fenomeno detto kakari musubi: si tratta di una regola secondo cui la presenza di una particella pragmatica come zo, ya, ka, namu, koso comporta una modifica nella flessione del verbo reggente, che non viene espresso in forma conclusiva, ma attributiva (con zo, ya, ka, namu) o perfettiva (con koso). Per una spiegazione scolastica delle basi verbali utilizzate in giapponese classico cfr. Shirane (2005).

28 Seguendo la spiegazione in Miyagawa, Ekida (2003: 28-9), alcuni di questi controesempi sono i seguenti. Il primo è l’assenza della particella in connessione con il verbo su ‘fare’, a prescindere dalla forma del verbo in cui occorre: Miyagawa spiega che tale verbo incorporerebbe l’oggetto, che quindi sarebbe espresso senza particella esplicita. In alcuni casi, inoltre, l’assenza di wo sarebbe spiegabile in quanto – in determinate occorrenze – l’oggetto e il verbo si comportano come un composto: la presenza di Ø sarebbe allora spiegabile proprio a causa della natura della costruzione. Ulteriore eccezione è riscontrabile in presenza del suffisso del passato -tari, che curiosamente tenderebbe a richiedere la presenza di wo anche quando occorre in base conclusiva. Molte eccezioni sono poi spiegate da Miyagawa utilizzando un fattore come l’enfasi: un oggetto enfatizzato sarebbe segnalato dalla particella esplicita nonostante il verbo sia in forma conclusiva (Miyagawa, Ekida 2003: 32).

29 Motohashi afferma infatti che nel Man’yōshū wo occorrerebbe 1526 volte, di cui 102 volte con un verbo in forma conclusiva e ugualmente 102 volte con un verbo in forma attributiva. Wrona e Frellesvig invece sostengono che negli editti imperiali wo sarebbe utilizzata 74 volte in presenza di una forma attributiva del verbo e 77 con una forma conclusiva. Viceversa, la forma attributiva sarebbe utilizzata senza particella 62 volte, mentre la forma conclusiva apparirebbe senza wo 57 volte.

30 Si veda Seržant, Witzlack-Makarevich (2018) per una recentissima panoramica su questo fenomeno, alle cui caratteristiche si accennerà in questa sezione, ma si rimanda a questo e altri testi in bibliografia per una discussione più ampia. La definizione generica di DAM di Seržant, Witzlack-Makarevich (2018: 3) è “any kind of situation where an argument of a predicate bearing the same generalized semantic argument

argomento del verbo, infatti si distinguono generalmente – utilizzando categorie grammaticali come il soggetto e l’oggetto – differential subject marking (DSM), differential object marking (DOM, che qui interessa) e differential indirect object marking (DIOM). Alcuni autori, viceversa, preferiscono utilizzare categorie legate ai ruoli semantici, come agente e paziente, sostituendo all’espressione “marcatura differenziale del soggetto” quella di “marcatura differenziale dell’agente” (si veda ad esempio Fauconnier 2011)31. Benché tali espressioni sembrino più corrette, in quanto permettono di eludere

l’implicito riconoscimento di categorie grammaticali anche in lingue in cui esse non siano identificabili, gli studiosi che hanno analizzato il fenomeno della marcatura differenziale in giapponese si richiamano alla tradizione degli studi risalente a Bossong (1983; 1985; 1991), nella quale si utilizzano espressioni legate alle relazioni grammaticali come soggetto e oggetto, che si è deciso qui di mantenere per comodità e chiarezza espositiva.

Come accennato, i due criteri fondamentali sulla base dei quali tradizionalmente viene analizzata la marcatura differenziale sono quello semantico e quello pragmatico, collegati alle gerarchie di animatezza e di definitezza. Tali due criteri erano stati notati sin dai primi studi circa la marcatura differenziale effettuati da Bossong (1983: 8), che sostiene la necessità di prendere in considerazione sia “inherent features which are dependent on the context and which correspond roughly to what is generally called animacy”, sia “referential features which vary as a function of the syntagmatic and pragmatic environment”. Una formulazione nota e molto utilizzata delle due gerarchie è costituita dalle cosiddette “scale di prominenza” (prominence scales) proposte da Aissen (2003: 436 ss.)32, ossia le seguenti (Fig. 1 e Fig. 2):

role may be coded in different ways, depending on factors other than the argument role itself, and which is not licensed by diathesis alternations”.

31 Cfr. Kittilä (2011), che definisce il DIOM (differential indirect object marking) come DRM (differential

recipient marking), ma afferma espressamente di riferirsi all’oggetto indiretto come relazione

grammaticale e non al ruolo semantico del ricevente.

32 Simili scale sono ideate anche da altri studiosi, si veda ad esempio Dixon (1979; 1994), la cui proposta è basata sulla scala di Silverstein, ma cfr. Seržant, Witzlack-Makarevich (2018: 5) per ulteriori esempi.

La marcatura esplicita di un sintagma nominale dipenderebbe dalle caratteristiche del suo referente e dalla corrispondenza fra tali caratteristiche e i tratti che generalmente contraddistinguono la categoria a cui appartiene il referente. Aissen spiega infatti che esisterebbe una associazione precisa a livello prototipico fra relazioni grammaticali e fattori semantici e pragmatici come animatezza o definitezza: il soggetto (agente) si posizionerebbe prototipicamente nella parte superiore della scala di animatezza e definitezza (è umano e definito), mentre l’oggetto (paziente) si situerebbe prototipicamente nella parte inferiore (e sarebbe quindi inanimato, non specifico e indefinito)33. La

marcatura differenziale di un argomento si attuerebbe nei casi in cui il suo referente presenta proprietà differenti rispetto a quelle prototipiche, al fine di evitare una possibile confusione con un diverso argomento. Si prenda ad esempio l’oggetto diretto (paziente). Poiché il suo referente prototipico è inanimato e indefinito, nel caso in cui esso presenti proprietà semantico-pragmatiche opposte, tipiche del soggetto (animato, specifico e definito), si avrà una maggiore probabilità che l’argomento sia sottoposto a marcatura esplicita proprio per differenziarlo dal soggetto; viceversa, se il referente presenta proprietà tipiche della sua categoria (inanimato, indefinito), la marcatura esplicita sarebbe meno probabile (Dalrymple, Nikolaeva 2011: 3)34.

Spesso nelle lingue si seleziona come determinante una singola proprietà: ad esempio, in malayalam si segnalano esplicitamente solo gli oggetti animati, mentre in turco solo gli oggetti specifici e in ebraico quelli definiti. È altresì possibile che la marcatura differenziale si realizzi in connessione a entrambe le proprietà: in romeno, ad esempio, l’oggetto viene segnalato se animato e specifico, mentre in hindi si marcano sempre gli

33 Ad esempio, Croft (1988: 169) nota che nelle gerarchie il paziente sarebbe basso nella scala di animatezza e definitezza, ma alto in quella del coinvolgimento. Sul coinvolgimento del paziente nell'azione si vedano anche le pagine seguenti.

34 Si noti in realtà che tale criterio, secondo cui più un referente rispecchia le caratteristiche prototipiche e meno sarebbe probabile che esso venga sottoposto a marcatura differenziale, sembra essere generalmente adottato per quanto riguarda l’oggetto, ma non nella marcatura differenziale del soggetto. Se l’oggetto è marcato quando animato e definito, il soggetto viceversa dovrebbe essere marcato quando inanimato e indefinito, ma in molte lingue accade che il soggetto sia sottoposto a marcatura differenziale quando si posiziona nella parte superiore delle scale di prominenza. Si veda Malchukov (2008: 206-11).

oggetti animati (sia definiti che indefiniti), mentre gli inanimati possono essere segnalati esplicitamente solo se definiti35.

Si ritiene generalmente che le diverse dimensioni che possono partecipare al fenomeno della marcatura differenziale siano correlate (cfr. Seržant, Witzlack-Makarevich 2018: 5 ss.): i pronomi personali, ad esempio, non presenterebbero soltanto un referente animato, ma sarebbero anche definiti e accessibili, cosa che li collocherebbe nella parte superiore di una ipotetica gerarchia che comprenda sia la scala dell’animatezza che quella della definitezza. Inoltre, benché tali due scale siano tra le più note, è possibile riconoscere ulteriori parametri che contribuiscono a determinare l’utilizzo della marcatura esplicita. Ad esempio, come proprietà semantiche inerenti, vengono identificate non solo l’animatezza (umano, animato, inanimato), ma anche la discretezza (numerabile, non numerabile, già in Bossong 1991) o il numero (singolare, plurale); ulteriori fattori analizzati dagli studiosi sono altresì la struttura informativa (topicalità, focalità, cfr. Dalrymple, Nikolaeva 2011), il coinvolgimento (il concetto di affectedness, cfr. Naess 2004) e così via36. Sembra quindi

opportuno identificare numerose dimensioni – appartenenti a livelli di analisi differenti ma collegati fra loro – che includano parametri semantici, pragmatici, informativi e che contribuiscano a formare complesse gerarchie tramite le quali è possibile analizzare il fenomeno della marcatura differenziale37.

Per quanto riguarda l’oggetto diretto, in conclusione, tale fenomeno si applicherebbe in presenza di caratteristiche atipiche a livello semantico, pragmatico e informativo (ad esempio con referente animato o definito, o quando l’oggetto funge da topic) e

35 Aissen (2002; 2003), cui si rimanda per numerosi esempi, definisce questi sistemi “two-dimensional DOM”. Si veda de Swart, de Hoop (2007: 599-604) su malayalam e hindi, si veda Enç (1991) sul turco. 36 Come si vedrà (§2.1), molti di questi parametri erano già stati utilizzati da Hopper, Thompson (1980) per

identificare il livello di individuabilità dell'oggetto, ossia uno dei criteri che definiscono la transitività di una frase. Tali criteri sarebbero infatti stati ripresi da Motohashi (1989) nella definizione delle ragioni secondo le quali wo alternerebbe con Ø nel giapponese di epoca Nara.

37 Può essere utile notare infatti che numerosi studiosi hanno identificato un nesso tra i diversi livelli di analisi. Ad esempio, Lambrecht (1994: 165-171) collega fattori legati alla struttura informativa come il

topic a parametri come l'identificabilità e la definitezza: lo studioso propone una “topic accessibility

scale”, in cui le espressioni reputate più accettabili per fungere da topic sarebbero quelle i cui referenti sono maggiormente attivati nel discorso (e che corrisponderebbero a pronomi, spesso sottintesi), seguiti da referenti identificabili dagli interlocutori (definiti), seguiti a loro volta da referenti inattivi e, per ultimi, da referenti nuovi (cfr. Chafe 1984: 22 ss. circa la distinzione tra elementi attivi – ossia presenti alla coscienza del parlante o focally active –, semi attivi o accessibili – ossia presenti nella coscienza periferica o peripherally active – e inattivi – ossia presenti alla memoria a lungo termine ma né attivi né semi attivi). Allo stesso modo, Naess (2004) ipotizza che il concetto di affectedness sia collegabile all'animatezza, alla definitezza e alla salienza, così che azioni in cui l'oggetto ha referente animato sarebbero più salienti di quelle con referente inanimato (per cui il verbo 'uccidere (qualcuno)' prevederebbe più coinvolgimento rispetto a 'rompere (qualcosa)'). Il concetto di affectedness sembra essere importante in spagnolo, cfr. Kaiser, von Heusinger (2011). Si veda anche Kaiser, von Heusinger (2007) sulla definizione dei diversi fattori coinvolti nel DOM in spagnolo.

permetterebbe di distinguere l’oggetto dal soggetto della frase, a cui prototipicamente appartengono tali proprietà.

Il fenomeno della marcatura differenziale dell’oggetto è stato attribuito a diverse fasi diacroniche della lingua giapponese e gli studiosi hanno identificato prevalentemente parametri pragmatici e legati alla struttura informativa del discorso, volti a motivare la presenza della particella wo. In particolare, limitatamente ai testi di epoca Nara (VIII sec.) gli studiosi hanno recentemente individuato come parametro cruciale quello della specificità (§2.2), che non sembra però essere applicabile anche all’utilizzo di wo in epoca Heian (IX-XII sec., §2.3). L’alternanza basata su fattori pragmatici e informativi come la contrastività, la referenzialità e così via sembra riscontrabile nella varietà colloquiale odierna (§2.4), mentre nei registri più formali e nella varietà scritta l’utilizzo della particella wo è oggi obbligatorio. Mentre la presenza obbligatoria di wo nella varietà scritta sembra essere esito di grammaticalizzazione, è invece possibile ipotizzare che l’alternanza si sia conservata all’interno della varietà colloquiale lungo tutte le fasi diacroniche. La presenza di wo dipenderebbe da fattori pragmatici differenti in ogni periodo, ma legati a ciò che Sadler (2002a, facendo seguito agli studi di Hopper, Thompson 1984: 711, cfr §2.4) avrebbe definito discourse manipulability: referenti manipolabili sarebbero quelli che presentano identità costante e importanza nel discorso e sarebbero legati alla referenzialità, all’animatezza e al coinvolgimento nell’azione.