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CAPITOLO 3: GLI EFFETTI DEL PREZZO DEL PETROLIO NEL MERCATO DEL LAVORO

3.1. L’EVOLUZIONE STORICA DEL MERCATO DEL LAVORO

Il mercato del lavoro, così come lo si intende oggi, non è sempre esistito. Esso è il frutto di una serie di conquiste (29) dettate dallo spirito dei lavoratori. Analizzando la storia, si può

certamente notare come, nel XVI e XVII secolo, le attività produttive locali furono, per la maggior parte, composte da artigiani. Non esistette, all’epoca, la figura del lavoratore subordinato ma piuttosto la figura dell’apprendista. Quest’ultimo, come dice il nome stesso, assunse l’onere di lavorare apprendendo il mestiere da un lavoratore più esperto, qualificato con il titolo di maestro. Con la Rivoluzione Industriale, nel XVIII secolo, la produzione aumentò notevolmente e nacquero le prime industrie. La figura dell’apprendista venne, a questo punto, sostituita dalla figura del lavoratore dipendente. Si può affermare, quindi, che il mercato del lavoro sia nato in seguito alla Rivoluzione Industriale del 1700. In questo periodo, si formarono due classi sociali ben distinte: i capitalisti, da un lato, ed i proletari, dall’altro. L’incontro delle esigenze di entrambi gli attori portò alla nascita del mercato del lavoro. I capitalisti, o datori di lavoro, erano quei soggetti che possedevano grandi disponibilità di capitale, tali da poterle investire nelle industrie, al fine di generare nuove attività economiche. Al contrario, i proletari erano quei soggetti, appartenenti al basso ceto sociale, che prestavano la propria forza lavoro, al fine di percepire un salario di sussistenza per sé e per il mantenimento della famiglia. La contrattazione veniva decisa dai capitalisti a discapito, molto spesso, dei lavoratori e delle loro famiglie. Le condizioni di lavoro erano precarie ed i salari molto bassi, in quanto la situazione economica vigente manifestava un eccesso della forza lavoro rispetto la richiesta derivante dalle fabbriche.

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Ciò che non spinse i lavoratori a cambiare lo scenario, fino ad allora, risiedeva nella convinzione che i lavoratori stessi non potevano manifestare i loro malcontenti nell’ambito del lavoro, in quanto tenuti esclusivamente all’obbedienza degli ordini impartiti dal datore di lavoro. Le cose cambiarono nel momento in cui il lavoratore capì di non essere un unico individuo a richiedere condizioni di lavoro differenti, ma di far parte di un gruppo di lavoratori che richiedeva a gran voce maggiori diritti, come ad esempio il diritto ad una retribuzione equa alle ore lavorate ed il diritto alla sicurezza nel luogo di lavoro. I proletari, allora, decisero di intimorire le sicurezze dei datori di lavoro. Si organizzarono in masse popolari, guidate dai primi sindacati, al fine di richiedere un cambiamento importante all’interno dei luoghi di lavoro. I sindacati, per la prima volta nella storia, cominciarono il loro operato a favore dei diritti del lavoratore. Solo alla fine del 1800 venne raggiunta la prima vittoria riguardante la tutela dei lavoratori durante l’orario di lavoro. In Italia, a seguito di molteplici vicissitudini, con l’avvento della Costituzione nel 1948, vennero riconosciuti i sindacati dinnanzi alla Legge. Dopo circa un decennio, negli anni ’60, in Italia furono emanate le prime norme dando una regolamentazione al mercato del lavoro. Durante il periodo compreso tra gli anni sessanta e settanta, si perfezionò un modello di “garantismo forte” (30) nei confronti del lavoratore

dipendente.

Tra le principali riforme ricordiamo l’incentivo alla stipulazione di contratti a tempo indeterminato ed i vincoli per la stipulazione di quello a tempo determinato, la limitazione del licenziamento possibile esclusivamente per giusta causa o giustificato motivo e l’elaborazione del “principio del favor” al lavoratore. Altra importante conquista, nel 1970, venne riconosciuta con lo Statuto dei Diritti del Lavoratore. Lo Statuto dei Lavoratori, o Legge n. 300 del 20 maggio 1970, ha riconosciuto nell’ambito del lavoro importanti modifiche nel rapporto tra il datore di lavoro ed il lavoratore, nonché la tutela di quest’ultimi attraverso l’operato delle associazioni sindacali. E’ una delle principali fonti utilizzate nella regolamentazione del diritto di lavoro.

Per concludere possiamo affermare che il mercato del lavoro è stato un tema che ha subito numerosi trasformazioni nel tempo. Dalla seconda metà del 1900 fino agli anni ‘70 circa, si assistette ad un sistema produttivo basato sulla teoria del taylorismo e del fordismo.

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Tale corrente stava a significare come nelle fabbriche l’organizzazione produttiva veniva basata su una catena di montaggio, un sistema nel quale l’attività veniva suddivisa in tante piccole mansioni spettanti a ciascun lavoratore. Il lavoratore era responsabile di un’unica mansione e si specializzava in quello di cui si occupava tutti i giorni. In tal senso l’organizzazione veniva improntata sul massimo dell’efficacia e dell’efficienza, cercando di evitare sprechi di tempo durante l’impiego dei lavoratori nelle ore di lavoro e cercando di incentivare i lavoratori ad aumentare la produttività mediante un proporzionale incremento dello stipendio.

Il cambiamento al sistema organizzativo arrivò nel momento in cui si verificarono, negli anni ’70, le crisi petrolifere. Si cominciò a pensare ad un modello organizzativo molto più flessibile (31). Il sistema produttivo cominciò ad approcciare con le attività “just in time” e

“lean production”. Questo ha comportato un cambiamento all’organizzazione delle imprese, le quali cominciarono ad avere un’attività snella, flessibile basata su una produzione successiva alla richiesta da parte dei consumatori, così da incorrere in minori rischi finanziari. Altri concetti di flessibilità, sorti in questo periodo, furono legati all’automazione, ai nuovi sistemi di comunicazione nonché alla globalizzazione. L’avvento della digitalizzazione ha comportato, come conseguenza, la richiesta di competenze adeguate ai mezzi informatici di cui dispone l’impresa. I lavoratori in forza, attualmente, possiedono delle competenze basilari, ma non eccelse in merito ai sistemi informatizzati, in quanto le attività originarie, a cui essi erano stati preparati, erano di tipo manuale e quindi totalmente divergenti dalle attività digitalizzate esistenti oggi. Dagli anni ’80, le imprese cominciarono ad orientarsi verso i Paesi nei quali i costi della manodopera e delle materie prime risultavano inferiori rispetto ai costi sostenuti nell’ambito nazionale. Nacque, così, il fenomeno della delocalizzazione delle filiere produttive, alimentando ancor di più il tasso della disoccupazione nazionale.

Ad oggi, siamo in una situazione dove l’offerta di lavoro eccede la domanda ed i lavoratori sono costretti ad accontentarsi dell’occupazione che trovano, anche se non connessa alle proprie aspirazioni o al proprio percorso di formazione. La disoccupazione esistente, ai giorni nostri, riguarda soprattutto donne e ragazzi di età compresa dai 14 ai 25 anni.

(31) Andrea Filippetti, “Work in progress. L’evoluzione del lavoro negli ultimi decenni”, Istituto delle ricerche

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Il problema della disoccupazione è un fattore da non sottovalutare e preoccupante ai fini dello sviluppo di un Paese in termini economici.

Lo Stato ha cercato, dall’avvento della Costituzione fino ai giorni nostri, di intervenire con nuove normative, o con l’adattamento di quelle esistenti, al fine di combattere il fenomeno della disoccupazione ed incentivare lo sviluppo economico del Paese attraverso il lavoro.