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L’impugnazione del provvedimento La nuova fase

CAPITOLO II: IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

5. L’impugnazione del provvedimento La nuova fase

Con la già citata legge 46/2017 il legislatore italiano ha inteso semplificare e accelerare tanto le procedure amministrative, come visto, quanto i procedimenti giurisdizionali in materia di immigrazione. Tale esigenza era fortemente avvertita a causa del massiccio incremento dei giudizi pendenti dinanzi all’autorità giurisdizionale nell’ambito del riconoscimento della protezione internazionale. Come ricordato nei paragrafi precedenti, il significativo aumento del fenomeno migratorio che ha coinvolto e sta tuttora investendo il continente europeo, e in

primis l’Italia, ha dato luogo ad una forte crescita del numero di

di provvedimenti di diniego rilasciati dalle Commissioni con il prolificare dei contenziosi in sede giudiziaria. L’incremento delle istanze pervenute ha perciò generato un importante rallentamento nella valutazione delle singole domande e della situazione giuridica dello straniero richiedente asilo, portando ad un allungamento dei tempi di definizione dei relativi procedimenti giudiziari e dello status dei soggetti interessati e protagonisti di tali vicende. Secondo le informazioni fornite dal Ministero della Giustizia infatti la durata media del procedimento giurisdizionale di merito in tema di protezione internazionale è pari a circa 2 anni e mezzo, cifra che si alza mediamente di oltre un anno se consideriamo i procedimenti nelle sole regioni dell’Italia meridionale62.

In ossequio alla necessità di maggiore rispetto del principio di effettività della risposta giurisdizionale nonostante il rapido ampliamento della domanda di giustizia in materia, gli articoli 1-4 della legge 46/2017 hanno previsto l’istituzione di apposite sezioni specializzate ‘in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea’. Presso tutti i tribunali ordinari del luogo nel quale hanno sede le Corti d’appello sono cioè state istituite 26 sezioni specializzate composte da magistrati dotati di specifiche competenze (riprendendo il fenomeno della specializzazione del giudice ordinario già sperimentato con buoni risultati nelle materie del diritto del lavoro, di minorenni e più di recente in materia di proprietà intellettuale) quali spiccate abilità linguistiche63 e l’aver già maturato

esperienza nel settore dell’immigrazione. La legge prevede inoltre che siano organizzati specifici corsi di formazione da parte della Scuola superiore della magistratura, in collaborazione con l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) e all’Alto commissariato delle Nazioni

62 Dati ripresi dall’analisi tecnico-normativa contenuta nel Dossier del Servizio Studi

del Senato relativi al d.l. 13/2017.

63 Il testo della legge fa riferimento in particolar modo alla lingua inglese e alla lingua

unite per i rifugiati, corsi ai quali i magistrati hanno l’obbligo di partecipare almeno una volta l’anno per i primi tre anni successivi alla assegnazione ad una sezione specializzata.

La creazione di sezioni specializzate in materia di protezione internazionale rappresenta tra l’altro un avvicinamento dell’ordinamento italiano verso vari Stati europei che già da tempo sono articolati tramite un sistema di giustizia specializzata in questo specifico campo (tra gli altri Olanda, Francia, Belgio e Regno Unito). La nuova disciplina consiste dunque in una modifica all’organizzazione giudiziaria destinata a consentire una maggiore competenza ed abitudinarietà nei giudizi per i giudici che si trovano a decidere di controversie in materia di immigrazione e protezione internazionale; a tal riguardo la novella legislativa prevede che per l’attuazione delle nuove sezioni si provvede nell’ambito delle risorse umane e finanziarie disponibili a legislazione vigente, non assumendo quindi nuovi giudici ma dislocando i soggetti maggiormente idonei nelle nuove sezioni e prevedendo inoltre continui corsi di aggiornamento in materia immigrazione al fine di una formazione continuativa in progress. Per fronteggiare l’emergenza della mancanza di efficienza della fase giurisdizionale in materia di protezione internazionale il metodo predisposto è stato dunque quello dello spostamento di magistrati da una sede all’altra (spostamento che può ovviamente essere rifiutato, in quanto nessun magistrato può essere obbligato a lasciare la propria sede ordinaria) in cambio di incentivi finanziari quali l’incremento dell’indennità di trasferta ed un punteggio di anzianità aggiuntivo. Il compito di organizzare le nuove sezioni spetta al Consiglio Superiore della Magistratura.

Le competenze attribuite alle nuove sezioni specializzate sono definite dagli articoli 3 e 4 del decreto legge in esame, delineando rispettivamente ipotesi di competenza per materia e ipotesi di competenza per territorio. Riguardo alla competenza per materia la

norma predispone un elenco puntuale dei procedimenti che vi rientrano: oltre a ciò che maggiormente concerne la presente trattazione e cioè le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale sottostanno alla competenza delle sezioni specializzate anche le controversie riguardanti il mancato riconoscimento del diritto di soggiorno ai cittadini UE e ai loro familiari e le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti di allontanamento a loro riferiti, la convalida dei provvedimenti del questore di trattenimento o proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale, le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria, le controversie in materia di diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, le controversie inerenti l’accertamento dello stato di apolidia e cittadinanza, i procedimenti aventi ad oggetto l’impugnazione di provvedimenti adottati dall’Unità Dublino in determinazione dello Stato competente ad analizzare una domanda di protezione internazionale e infine si fa riferimento a tutte quelle cause e procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelle precedentemente indicate.

Per quanto riguarda invece la competenza per territorio si prevede che sia generalmente competente la sezione specializzata nella cui circoscrizione ha sede l’autorità che ha emanato il provvedimento impugnato; per le controversie in materia di protezione internazionale tale l’autorità è sempre una Commissione territoriale o la sua sezione, ne consegue che sarà competente territorialmente la sezione specializzata nella cui circoscrizione ha sede la Commissione territoriale. Nel caso in cui il ricorrente sia invece trattenuto in un centro oppure accolto in una struttura di accoglienza si dispone che sia competente territorialmente la sezione specializzata in cui ha sede la struttura o il centro.

Nel corso dei lavori parlamentari concernenti la conversione del decreto legge Minniti-Orlando è stata improntata ampia attenzione sulla composizione collegiale o monocratica delle istituende sezioni specializzate, anche perché, allo scopo di dar seguito alla ratio che imperniava la riforma di semplificare e velocizzare l’organizzazione dell’amministrazione della giustizia, il testo originario aveva predisposto che tutti i procedimenti devoluti alla competenza delle nuove sezioni fossero decisi in composizione monocratica. I dubbi emersero però precocemente e con riguardo soprattutto al giudizio di impugnazione delle decisioni di rigetto della protezione internazionale assunte dalla Commissione territoriale, per il quale l’assunzione della decisione in sede monocratica sembrava rappresentare un eccessivo vulnus al corredo di garanzie processuali dei soggetti interessati, i quali come vedremo hanno dovuto già subire la contestatissima eliminazione di un grado di giudizio di merito. Al fine di non comprimere in modo esagerato i diritti dei richiedenti asilo e garantire inoltre una maggiore affidabilità delle decisioni assunte, il legislatore ha dunque disposto la previsione della sede collegiale per le controversie inerenti il riconoscimento della protezione internazionale; tale decisione maggiormente garantista implica tuttavia un appesantimento della procedura in quanto l’esito di un ricorso avverso un provvedimento della Commissione territoriale sarà sempre adottato dall’intero collegio, mentre in precedenza competente a decidere la questione era un giudice in composizione monocratica.

Occorre da ultimo richiamare anche i dubbi di discriminazione che l’istituzione delle sezioni specializzate ha suscitato in ordine al rispetto dell’articolo 102 della Costituzione, secondo cui norma del comma 2

‘Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali’.

Nonostante il fattore certamente positivo di una progressiva specializzazione dei magistrati in una materia tanto importante e complessa quale quella dell’immigrazione, si potrebbe infatti ritenere

di trovarsi di fronte a veri e propri giudici speciali. Alle sezioni specializzate non è stata infatti attribuita una competenza tout court nella materia dell’immigrazione, permanendo in capo ad altri giudici la trattazione di molte controversie estremamente collegate a quelle attribuite alle nuove sezioni: si pensi ad esempio ai provvedimenti di espulsione disposti dal prefetto la cui impugnazione rimane di competenza del giudice di pace o ai ricorsi contro le espulsioni ministeriali per motivi di ordine pubblico e sicurezza che sono di competenza del giudice amministrativo.

Rilevanti competenze inerenti l’ingresso e il soggiorno dello straniero restano dunque estranee alla cognizione delle sezioni specializzate e la sussistenza di un giudice speciale riferito unicamente alla categoria dei richiedenti asilo, al di là del dettato normativo che ovviamente ha evitato l’utilizzo di questa terminologia, rappresentata un forte dubbio di incostituzionalità e di grande portata discriminatoria; il legislatore ha probabilmente mancato una ottima occasione per ridisegnare in modo sistematico e razionale la giurisdizione concernente il diritto degli stranieri nel suo complesso.

Completata la breve disamina sull’istituzione delle nuove sezioni specializzate in tema di procedimenti riguardanti l’impugnazione del provvedimento di diniego del riconoscimento della protezione internazionale, è il momento di esaminare il riassetto della giurisdizione operato dalla Riforma in relazione al processo vero e proprio che si va ad instaurare dinanzi ai magistrati delle nuove sezioni. È proprio ponendo attenzione sul momento oggettivo della fase giurisdizionale che gli operatori giuridici (e non solo) hanno constatato una palese riduzione delle garanzie per i richiedenti asilo: è stato infatti predisposto un nuovo rito per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale ed è stata eliminata la possibilità del giudizio di appello per questi procedimenti, ciò rappresentando una violazione palese in quanto determinata per una unica categoria di persone che è

quella dei migranti, sempre sotto lo scudo protettivo della necessità di semplificazione e celerità per fronteggiare l’emergenza degli sbarchi. Veniamo quindi ad analizzare come è stato modificato in concreto il sistema delle impugnazioni e quindi l’intero procedimento giurisdizionale in materia di protezione internazionale. Come presupposto per esaminare l’intero nuovo procedimento è utile ricordare come, anche nella fase giurisdizionale, la luce che ha guidato il legislatore nazionale è stata quella di un tentativo di riduzione dell’eccessivo carico di lavoro dei tribunali conseguentemente all’aumento del numero di domande di protezione internazionale e all’aumento dei ricorsi avverso i dinieghi alle stesse; vi è una necessità di addivenire in tempi più rapidi e conformi agli standard europei ad una definizione certa dello status giuridico di un soggetto migrante che richiede la protezione internazionale.

Il modello processuale applicabile al giudizio dinanzi al Tribunale sul ricorso per l’impugnazione di un provvedimento di diniego, totale o anche parziale, adottato da una Commissione territoriale era rappresentato inizialmente dal procedimento camerale per come previsto dall’art. 35 del decreto legislativo 25/2008; ai sensi del decreto legislativo 150/2011 si era invece passati ad un procedimento attuato con rito sommario di cognizione in composizione monocratica.

Ebbene la Riforma Minniti-Orlando, disponendo un nuovo rito per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, ha introdotto l’articolo 35bis nel Decreto procedure il quale delinea un sostanziale ritorno al procedimento di tipo camerale. Il ripristino del procedimento in camera di consiglio (per come disciplinato dall’articolo 737 c.p.c.) rappresenta dunque un ritorno alle origini, giustificato nella logica di una maggiore flessibilità e velocità di tale modello processuale. Le novità apportate dalla Riforma non si limitano tuttavia a riportare la materia del riconoscimento della protezione internazionale al rito camerale, prevedendo diversamente

significative novità quali il nuovo utilizzo delle videoregistrazioni e soprattutto l’eliminazione del doppio grado di merito: ciò che si è venuto a creare è stato dunque un particolare modello processuale completamente sconosciuto al sistema italiano in tema di status delle persone e particolarmente vulnerante i diritti del soggetto ricorrente rispetto allo stesso modello camerale previsto nel 2008.

Il nuovo rito previsto per l’impugnazione del provvedimento sfavorevole adottato da una Commissione territoriale ed introdotto dalla legge 46/2017 all’articolo 35bis del Decreto procedure si basa come detto sul rito camerale connotato da una udienza eventuale e conseguentemente da un contraddittorio di tipo cartolare; ed è opportuno evidenziare come il sistema camerale non sia caratterizzato dalla predisposizione di regole precise ma si affidi essenzialmente al potere discrezionale del giudice in ordine alla modalità di esercizio ed alla stessa formazione della prova.

Il passaggio dal rito sommario di cognizione al rito camerale non è da considerarsi illegittimo in quanto la Corte Costituzionale ha affermato la possibilità di utilizzare il modello camerale anche in materia di diritti soggettivi, osservando tuttavia una serie di accorgimenti in ordine di evitare violazioni del diritto alla difesa e tutelando il principio del giusto come previsto dall’art. 111 della carta costituzionale: si richiama la necessità di tutelare il più possibile il principio del contraddittorio, lo svolgimento di una adeguata attività probatoria, la possibilità di avvalersi della difesa tecnica, la pubblicità dell’udienza e la possibilità di impugnazione di merito e legittimità64. Risulta opportuno specificare

come i requisiti indicati debbano necessariamente tutti coesistere.

64 Corte Costituzionale 29.05.2009 n.170, conformemente alla precedente ordinanza

n.19 del 2010. Peraltro, già in pronunce risalenti, la Suprema Corte aveva avuto modo di specificare come la predisposizione del rito camerale non era suscettibile di dimidiare il diritto di difesa dei soggetti protagonisti in quanto quest’ultimo poteva essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti, assicurandone lo scopo e la funzione.

Nonostante la relazione illustrativa presentata dal Governo al Senato per la conversione del provvedimento affermi che il nuovo giudizio sia assolutamente conforme ai principi costituzionali ed all’articolo 6 CEDU, i dubbi riguardanti la costituzionalità e il rispetto dei diritti fondamentali del soggetto da parte della novella legislativa sono molteplici.

L’atto introduttivo del procedimento è il deposito del ricorso, il quale deve essere proposto a pena di inammissibilità entro e non oltre 30 giorni dalla notifica del provvedimento che si intende impugnare, ovvero 60 giorni se il ricorrente risiede all’estero. I termini appena ricordati sono suscettibili di una riduzione della metà qualora il ricorrente sia trattenuto in un centro ovvero in caso si ricada in una delle c.d. procedure accelerate65. Dal momento della presentazione del

ricorso al tribunale decorre un termine di venti giorni entro il quale il Ministero dell’Interno può depositare una nota difensiva e nello stesso termine sussiste in capo alla Commissione territoriale un onere di deposito di una serie di documentazioni quali la copia della domanda di protezione, la registrazione del colloquio, il verbale di trascrizione della videoregistrazione, l’intera documentazione acquisita e la documentazione relativa alla situazione socio-economica del Paese di origine utilizzata per la decisione66. Nei successivi venti giorni il

richiedente asilo o il suo avvocato potranno depositare una ulteriore nota difensiva sempre in quella logica processuale di ‘ping pong’ nel quale si lascia comunque l’ultima parola alla parte privata soccombente in sede amministrativa.

Arrivati a tal punto il giudice nominato dal Presidente della sezione specializzata potrebbe ravvisare la non necessità di ulteriore attività e

65 Ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 142/2015 le procedure anzidette

riguardano: una domanda manifestamente infondata, una domanda reiterata senza addurre nuovi elementi e una domanda presentata dopo essere stato fermato per avere tentato di eludere i controlli alle frontiere o fermato in condizioni di soggiorno illegale.

quindi portare direttamente la controversia in camera di consiglio per l’adozione della decisione: è chiaro dunque che siamo di fronte ad una udienza che è del tutto eventuale e soprattutto rimessa all’esercizio di un potere discrezionale del giudice che valuta la necessità o meno dello svolgimento della stessa (la quale peraltro non necessariamente sarà finalizzata all’ascolto del richiedente protezione internazionale) qualora ricorrano le ipotesi previste dall’articolo 35bis che si suddividono in ipotesi facoltative, che presuppongono quindi maggiore discrezionalità da parte del magistrato, e ipotesi obbligatorie. Vi è una mera possibilità di fissazione dell’udienza nelle seguenti situazioni: se il giudice ritiene necessaria l’audizione dopo avere visto la videoregistrazione, se ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti, se dispone consulenza tecnica o l’assunzione di mezzi di prova, se il ricorrente ne fa motivata richiesta nel ricorso introduttivo e il giudice ritiene la trattazione in udienza essenziale ai fini della decisione; al contrario le uniche ipotesi di fissazione obbligatoria dell’udienza in capo al giudice rimangono il caso in cui la videoregistrazione non sia disponibile e quando l’impugnazione si fonda su elementi di fatto non dedotti nel corso della procedura amministrativa. Si nota dunque una grandissima discrezionalità in capo al giudice, che solo in due ipotesi si vede obbligato a fissare una udienza di comparizione; nelle restanti circostanze è lui che discrezionalmente sceglie e in caso ritenga di poter addivenire a una decisione sulla base degli elementi già presenti a propria disposizione lo può fare senza limitazione alcuna. Risulta facile constatare come l’ipotesi di decisione in camera di consiglio senza lo svolgimento di una udienza di comparizione, e dunque unicamente sulla base delle risultanze determinatesi nella fase amministrativa, possa spesso portare ad un esito confermativo del provvedimento di diniego della protezione internazionale adottato dalla Commissione territoriale, vanificando in tal modo il diritto dei migranti richiedenti asilo a vedere giudicata la

propria posizione in modo completo dinanzi all’autorità giurisdizionale e costituendo dunque un grave vulnus al diritto di impugnazione visto non solo nel suo contenuto formale bensì nella prospettiva sostanziale. In secondo luogo è opportuno prendere nota del fatto che la stessa discrezionalità del magistrato nel decidere riguardo alla necessità dello svolgimento dell’udienza comporterà una forte disparità di applicazione della norma sul territorio ma anche all’interno della stessa sezione specializzata, con alcune persone che avranno la possibilità di essere ascoltati mentre altre, provenienti magari dallo stesso Paese di origine e soggetti alle stesse condizioni, non otterranno tale importantissimo beneficio.

La fase decisoria trattata in Camera di Consiglio ha peraltro suscitato talune perplessità in merito alla facoltà in capo al giudice di utilizzare le informazioni riguardanti il Paese di origine (Country origin

information) come aggiornate dalla Commissione nazionale asilo che

deve metterle a disposizione: si dibatte sulla possibilità di uso di tali informazioni che sono in concreto estranee al dibattito processuale in senso stretto in quanto non utilizzate dalla Commissione che ha adottato il provvedimento e non note alle parti. Le informazioni aggiornate sul Paese di origine rappresentano a tutti gli effetti degli elementi di prova e in quanto tali insuscettibili di essere acquisiti dal giudice senza essere sottoposti al contraddittorio delle parti.

Una autorevole dottrina ritiene che in queste situazioni il giudice debba fissare una udienza nel corso della quale evidenzia alle parti le nuove informazioni in suo possesso che ritiene di utilizzare per la decisione finale, attivando così un pieno contraddittorio67.

67 Si riporta un intervento del consigliere della Corte di Cassazione Carlo de Chiara:

‘La necessità di sottoporre al contraddittorio le C.O.I. acquisite d’ufficio dal giudice era, a mio parere, un principio preesistente alla novella di cui al d.l. 13/2107, ma che fino ad ora era rimasto sotto traccia, coperto dal doppio grado di giurisdizione di merito: le C.O.I. eventualmente utilizzate di ufficio dal Tribunale erano sottoposte al contraddittorio in appello e il giudice di secondo grado poteva tenerne conto grazie ai suoi poteri sostitutivi del giudice di prima istanza. Con la soppressione del secondo grado di giurisdizione di merito, invece, la violazione del contraddittorio in primo

Il difetto principale riscontrato nello svolgimento del nuovo rito in materia di riconoscimento della protezione internazionale riguarda il fatto che viene utilizzata la videoregistrazione in funzione completamente sostitutiva dell’udienza, cosa che non sarebbe ammissibile per esigenza del rispetto del fondamentale principio del contraddittorio soprattutto in una materia in cui spesso le dichiarazioni soggettive del richiedente costituiscono la prova principale e il fatto di