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Il nuovo sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza

Il nuovo sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale

Relatore:

Candidato:

Prof. Gianluca Famiglietti

Dennis Krah

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Ai miei genitori, per aver sempre creduto in me e senza la

cui fiducia tutto questo non sarebbe stato possibile.

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INDICE GENERALE

Presentazione……….... 1

CAPITOLO I: STATUS DI RIFUGIATO E SUA EVOLUZIONE NORMATIVA NEL PANORAMA INTERNAZIONALE 1. Introduzione al concetto di asilo e sua configurazione moderna... 5

1.1. Il migrante ambientale: focus sulla categoria e rilievi interpretativi... 14

2. Diritto di asilo e immigrazione: fonti nazionali e ruolo dell’Unione Europea. L’agenda europea sulla migrazione... 22

3. La crisi del Sistema comune europeo di asilo. Progetti di riforma e possibili scenari applicativi... 47

CAPITOLO II: IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO 1. Premessa. Il decreto legge ‘Minniti-Orlando’... 52

2. La procedura di concessione della protezione internazionale... 57

3. I livelli di protezione internazionale... 72

4. La nuova disciplina in materia di notificazione degli atti... 78

5. L’impugnazione del provvedimento. La nuova fase giurisdizionale... 87

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CAPITOLO III: IL SISTEMA DI INTEGRAZIONE.

ACCOGLIENZA E SOGGIORNO DEGLI STRANIERI IN ITALIA

1. Il modello previsto dalla direttiva accoglienza 2013/33. La tenuta del sistema italiano: il caso Tarakhel... 104

2. La creazione di un sistema: il decreto legislativo 142/2015... 119

3. Il soccorso e la fase di prima accoglienza. L’approccio

hotspot... 128

4. La fase di seconda accoglienza. Il sistema Sprar ... 141

5. Richiedenti asilo e attività di utilità sociale. La protezione

internazionale quale rapporto do ut des... 150

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PRESENTAZIONE

Nel corso degli ultimi dieci anni il fenomeno migratorio nel contesto europeo ha senza dubbio rappresentato un punto di forte dibattito non solo a livello di istituzioni nazionali e sovranazionali, ma anche e forse soprattutto a livello di popolazione civile. Una importante peculiarità della tematica in oggetto consiste infatti nella sua trasversalità, una quasi spontanea propensione ad un interesse generale esplicabile probabilmente in ragione del fatto che quello di cui si riflette concerne l’essere umano in quanto tale, l’uomo preso nella sua forma più pura e primitiva: i diritti personali che vengono in considerazione sono quelli più intimi e apparentemente intoccabili, che una civiltà evoluta vede e valuta in ogni caso come fondamentali e coessenziali alla esistenza stessa. Ed è proprio a causa della criticità e della serietà degli interessi in campo che si assiste ad una variegata cornice di opinioni riguardanti l’accoglienza e la gestione di soggetti stranieri che, una volta entrati all’interno del territorio, chiedono aiuto allo Stato italiano.

Il soggetto richiedente asilo, ormai divenuto parte di una categoria interna al genus immigrazione, ritrae innanzi tutto un essere umano che, come tanti, si trova in una situazione di grave difficoltà: un livello minimo di progresso della società universale dovrebbe prendere tali persone come esempio emblematico di come non si possa in determinati casi andare esenti dal concedere un ausilio, anche quando agli occhi di alcuni ciò appaia ingiusto e discriminatorio verso la ormai forse vetusta categoria del ‘cittadino’.

La situazione attuale a livello europeo e soprattutto interno risulta tuttavia caratterizzata per una preoccupante disorganizzazione e timore nell’affrontare il fenomeno in un’ottica di gestione unitaria e non emergenziale, risentendo ancora probabilmente di un pensiero ancora diffuso fondato sulla cosiddetta ‘paura dell’altro’, del diverso, dello straniero.

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L’incessante proliferare di sbarchi sulle coste italiane sta mettendo il Belpaese di fronte ad una realtà non di certo nuova, ma che a questo punto non è più suscettibile di essere ignorata; un sempre più crescente numero di persone richiedenti protezione internazionale necessita di trovare una accurata accoglienza e una valutazione delle proprie ragioni che sia il più possibile attenta e giusta. Play fair direbbero gli americani, è cioè arrivato il momento di giocare correttamente, mettere in gioco una politica oculata di gestione di ciò che risulta ormai essere una caratteristica strutturale del terzo millennio: una parte consistente della popolazione mondiale è in continuo movimento per cause tutt’altro che volontarie, ed è un fatto che non può più essere trascurato ma che necessita di uno sforzo di comprensione e di essere affrontato.

Ebbene lo Stato Italiano, spinto dai tentativi dell’Unione Europea che a piccoli passi cerca di incentivare a rendere le legislazioni interne ai vari Paesi membri quanto più consone alla gestione del fenomeno migratorio attuale, ha avuto recentemente modo di riformare la propria politica in materia di asilo dello straniero: il decreto legge ‘Minniti-Orlando’ rappresenta il fulcro e il motivo ispiratore della presente trattazione in quanto ha completamente stravolto le condizioni di soggiorno e le modalità di valutazione delle domande dei soggetti che aspirano a ricevere il riconoscimento dello status di rifugiato o altra protezione sussidiaria.

L’obiettivo risiede dunque nel dare una spiegazione alla nuova cornice normativa in cui consta il nuovo sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, rendendo nota delle principali novelle inserite dalla Riforma e dei possibili punti critici riscontrati da gran parte della dottrina. Verrà preliminarmente posta particolare attenzione sull’atteggiamento adottato negli ultimi anni a livello europeo quale dimostrazione di un (seppur minimo) tentativo di superamento delle diseguaglianze nazionali in materia non soltanto di diritto di asilo, bensì anche della condizione giuridica dello straniero in generale; uno dei

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princìpi cardine del diritto statale generale, ovvero la facoltà dell’ente sovrano di controllare i propri confini e decidere autonomamente quali soggetti non cittadini ammettere sul proprio territorio, sta difatti risentendo di una importante tensione derivante dall’azione di coordinamento dell’ente sovranazionale europeo.

Una particolare attenzione sarà posta sui limiti che il disegno normativo sovranazionale in tema di asilo mostra in questi anni: una immigrazione incontrollata e di grandissime dimensioni oltre che i nuovi motivi che spingono allo spostamento un ingente numero di individui suggeriscono forse una rivisitazione di una materia che ormai risente in modo significativo dell’epoca storica in cui è venuta alla luce, in modo da dare maggiore garanzia ai migranti cd. tradizionali e riuscire soprattutto ad accordare una sufficiente protezione alla neonata categoria dei ‘profughi ambientali’ i quali come vedremo si trovano ad oggi in gravi difficoltà nell’affermare le proprie ragioni e trovare una qualche forma di ausilio.

A livello interno, il decreto legge Minniti-Orlando verrà analizzato in costante coordinamento con le altre norme, nazionali ed europee, che disciplinano la materia: si cercherà di delineare un quadro quanto più esaustivo possibile del secondo viaggio che lo straniero richiedente asilo affronta una volta giunto sul territorio dello Stato italiano: in seguito alla traversata marittima inizia infatti un secondo percorso, non privo di ostacoli, riguardante la valutazione della domanda di protezione internazionale presso le autorità amministrative italiane e la contemporanea permanenza all’interno delle strutture statali.

Il lavoro riguardante la normativa interna in tema di asilo verrà quindi scomposto in due parti: la prima volta ad inquadrare il momento del rapporto tra il soggetto straniero richiedente protezione internazionale e gli uffici amministrativi e giudiziari italiani in ordine alla decisione riguardante la possibilità o meno di attribuzione di un determinato status che consenta al richiedente di permanere sul territorio italiano; la

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seconda al contrario verterà sul sistema di accoglienza in senso stretto, descrivendo le varie modalità attraverso le quali lo Stato predispone la permanenza e l’integrazione degli stranieri in attesa della decisione finale in merito alla loro istanza di asilo. Verrà inoltre posta particolare attenzione al primo momento di accoglienza e gestione degli stranieri: in seguito allo sbarco sul territorio italiano si necessita infatti di una prima organizzazione e smistamento dei soggetti, canalizzandosi nel cosiddetto metodo hotspot, il quale rappresenta un tentativo di velocizzazione delle procedure di identificazione degli stranieri ma che esprime delle importanti tensioni a livello di diritti fondamentali degli individui coinvolti nelle procedure.

La speranza è quella di rappresentare il nuovo sistema di accoglienza dei richiedenti asilo nella sua visione statica quanto in una prospettiva maggiormente dinamica al fine di stimolare il lettore orientandolo verso una riflessione che faccia tesoro dei tratti normativi considerandoli in modo critico al fine di ponderare i vari interessi in gioco e riuscire a cogliere non soltanto gli elementi scritti nelle norme giuridiche bensì calarsi nella realtà tangibile di una materia che ha la propria ratio nell’idea stessa di giustizia e nei diritti inviolabili dell’essere umano.

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CAPITOLO I

STATUS DI RIFUGIATO E SUA EVOLUZIONE NORMATIVA NEL PANORAMA INTERNAZIONALE

1. Introduzione al concetto di asilo e sua configurazione moderna

L’intento di realizzare una esposizione quanto più chiara e completa possibile in materia di diritto di asilo non può andare esente da un inquadramento, ancorché sommario, dei passaggi fondamentali in cui consiste tanto l’evoluzione normativa quanto quella concettuale della figura del richiedente protezione internazionale in un’ottica globale ed europea prima ancora che interna.

La storia dell’umanità porta con sé innumerevoli esempi di spostamenti, più o meno massicci, di individui che per le più svariate ragioni tentavano di transitare dal luogo di origine ad un altro: questo porta ad inquadrare il fenomeno migratorio come una fattispecie sempre presente e insita nella natura umana. Nel corso dei secoli singole persone e persino interi popoli sono stati allontanati o hanno cercato asilo. Non è forse casuale che, secondo la Bibbia, la storia dell’uomo inizi con un episodio di esilio: l’allontanamento di Adamo ed Eva dal Paradiso. La considerazione della naturalità quale caratteristica coessenziale del fenomeno migratorio è facilmente comprensibile richiamando come esempio un ragionamento a prima vista banale ma decisamente efficace di cui è stato fatto uso proprio in rifermento al tema del quale si tratta: ‘..basti pensare, in tal senso, ai giochi dei

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bambini che consistono nell'inseguirsi a vicenda: prima di iniziare viene sempre stabilito un luogo in cui la persona inseguita è immune dall'inseguitore, e l'inderogabilità dell'obbligo di rispettare l'intoccabilità di tale luogo non è mai messa in discussione, essendo la regola in questione considerata come un elemento imprescindibile per la stessa esistenza del gioco’1.

Appare dunque opportuno inquadrare la figura di ‘homo migrans’ come corollario di una libertà di autodeterminarsi propria dell’essere umano in quanto tale, tanto più oggi in un mondo industrializzato e immerso in un incessante processo di globalizzazione. Anche il concetto di asilo presenta dunque origini antichissime che nulla hanno a che fare con il diritto internazionale o europeo, designando piuttosto quella particolare condizione non giuridica bensì esistenziale di un soggetto che, preoccupato per la propria incolumità e integrità fisica, chiede un qualche tipo di protezione presso un luogo che possa garantirgli di

trascorrere la propria vita in condizioni maggiormente favorevoli. Il termine asilo deriva dal greco ἄσυλος, parola appartenente alla

tradizione ellenica antica la quale sta a significare letteralmente esente

da violenza, inviolabile2. Questa concisa analisi etimologica risulta

utile in quanto ci conduce a due conclusioni: in primo luogo è una conferma del fatto che l’oggetto della nostra trattazione è un concetto molto risalente nel tempo, che affonda le proprie radici in un lontano passato e quindi non è suscettibile di essere inquadrato come fenomeno puramente transitorio ed emergenziale; in secondo luogo siamo in grado di rilevare una scissione tra il concetto di asilo e il diritto di asilo. Già nel greco antico si distingueva tra l’asilo come luogo sicuro in cui trovare rifugio e il diritto di asilo inteso come condizione a cui conseguivano determinati privilegi e facoltà in capo a persone alleate.

1 Metafora elaborata per descrivere l’asilo da F. Lanzerini in Asilo e Diritti Umani.

L’evoluzione del diritto d’asilo nel diritto internazionale, Giuffrè, Milano 2009, p. 7.

2 Franco Montanari, Vocabolario della Lingua Greca, Loescher seconda edizione p.

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Il concetto di asilo quale protezione nasce dunque come fenomeno religioso e puramente materiale, una concezione religiosa-sociale di un luogo considerato inviolabile ove le persone potevano ottenere un riparo; e chiara dimostrazione di questo forte carattere spirituale dell’asilo è il fatto che per tutto il corso dell’antichità il luogo in cui veniva offerta tale esigenza di protezione e immunità era l’istituzione religiosa per antonomasia, il tempio.

A partire dal secolo XVI fa seguito una profonda rettificazione del concetto di asilo che si trasforma in istituto giuridico vero e proprio; con l’accrescersi del potere della monarchia e la contestuale nascita degli Stati moderni il diritto di concedere una forma di protezione a soggetti provenienti da comunità differenti è divenuta prerogativa quasi assoluta dello Stato, provocando il conseguente declino dell’inviolabilità dell’asilo all’interno dei luoghi sacri (appare emblematico di questo passaggio come il re di Inghilterra Enrico VIII abolì molti santuari religiosi sostituendoli con quelle che vennero chiamate ‘città rifugio’). Nell’epoca contemporanea si è definitivamente iniziato a parlare di un vero e proprio asilo territoriale, ovvero di protezione concessa all’interno del proprio territorio, immagine che si discosta notevolmente dai caratteri della sacralità e della ritualità propri della visione antica del tempio come principale se non unico luogo adibito al rifugio, una nuova idea di protezione fondata sulla sovranità dello Stato e che produce come conseguenza il venire ad esistenza di una serie di facoltà in capo ad un soggetto straniero il quale richiede un aiuto poiché perseguitato dal proprio Stato di origine. Nato dunque come una forma di ospitalità accordata a soggetti che si trovavano impossibilitati a rientrare nella loro terra di provenienza, progredita poi in una istituzione religiosa durante la tradizione cristiana medioevale, e diventato pura prerogativa del sovrano a seguito della nascita degli Stati moderni, il concetto di asilo giunge alla sua configurazione odierna in una prospettiva più vicina all’individuo: un

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istituto giuridico che nel corso del Novecento troverà la sua più completa applicazione in una serie di strumenti, internazionali e interni ai singoli ordinamenti, destinati a creare un vero e proprio diritto soggettivo in capo ad una determinata categoria di persone.

Di questo fondamentale passaggio dall’asilo in senso religioso a vero e proprio istituto giuridico ne è messaggera la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 il cui art. 2 emblematicamente recita

‘Le but de toute association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l'homme. Ces droits sont la liberté, la propriété, la sûreté et la résistance à l'oppression’, concetto ribadito in

seguito da parte della Costituzione del 1793 secondo cui ‘Il popolo francese dà asilo agli stranieri banditi dalla loro patria per la causa della loro libertà’, principio ricalcato nella Costituzione della Repubblica italiana all’art 10 comma 3.

La Révolution française può essere considerata come il primo tassello di un percorso di democratizzazione di cui si faranno portatori la maggior parte degli Stati europei e che condurrà alla stesura di Carte Fondamentali le quali consolidano una nuova idea di asilo quale vero e proprio concetto giuridico per cui possiamo oggi parlare, alla luce del combinato disposto di norme internazionali ed interne, di un vero e proprio diritto di ricevere rifugio presente in capo al soggetto straniero che lamenti pregiudizio alla propria incolumità personale. Proprio gli orrori derivanti dai conflitti mondiali portarono ad un accrescimento del fenomeno migratorio quale ricerca di un rifugio sicuro: fondamentale fu dunque la spinta propulsiva della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la quale, al fine di guidare la politica dei vari Stati in una prospettiva comune che si ponesse in garanzia dei diritti fondamentali delle persone, all’articolo 14 recita ancora oggi ‘Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni’.

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Della nascita di una dimensione giuridica dell’asilo ne ha dato definitiva conferma la Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954, un trattato multilaterale dell’ONU che si fonda proprio sull’art 14 della Dichiarazione ma che a differenza di quest’ultima possiede la caratteristica di vincolare direttamente gli Stati esprimendo una definizione di soggetto rifugiato e rappresentando una protezione maggiormente efficace rispetto ai dettami degli anni precedenti. La Convenzione di Ginevra costituisce la più importante codificazione del diritto dei rifugiati e rappresenta un punto di riferimento per tutti gli Stati nella predisposizione di norme in materia di diritto di asilo. Pur rappresentando lo strumento giuridico internazionale di riferimento per la protezione dei rifugiati, il testo in esame non tratta in modo esplicito la concessione dell’asilo, possedendo comunque la caratteristica di qualificare i destinatari di questo istituto. Essa delinea infatti all’art 1 il proprio ambito di applicazione, stabilendo che il termine rifugiato è riferibile a ‘chiunque... nel fondato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi’. Si tratta dunque di una vera e

propria definizione di soggetto rifugiato, connotata da un intriso carattere generale tale da garantirgli una portata universale. Il requisito fondamentale è tuttavia quello rappresentante il concetto di ‘fondato timore di essere perseguitato’: tale locuzione contiene in primo luogo un elemento soggettivo riguardante la situazione specifica del singolo individuo che chiede di essere riconosciuto come rifugiato in base ad una condizione di paura in cui si è venuto a trovare, ma tale elemento

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soggettivo deve necessariamente essere altresì coadiuvato dalla sussistenza di un presupposto oggettivo riguardante una situazione di fatto la quale deve imprescindibilmente aver luogo ed essere oggettivamente verificabile.

È inoltre interessante notare l’assenza di una definizione precisa del termine persecuzione, dovuta probabilmente allo scopo di rendere il concetto il più indefinito possibile in modo da adattarlo a possibili sviluppi futuri, così come anche i motivi della stessa (religione, razza, cittadinanza ecc.) sono stati adattati alla evoluzione del diritto internazionale riguardante la protezione dei diritti umani: si è ad esempio interpretato, soprattutto con riferimento agli orientamenti sessuali, il concetto di persecuzione come qualsiasi forma di lotta radicale nei confronti di un gruppo sociale, che si attua anche sul piano giuridico prevedendo pene per chi appartiene a tale gruppo, e si è arrivati inoltre a riconoscere lo status di rifugiato anche a soggetti sottoposti ad atti di persecuzione da parte di soggetti non statuali.3

Siffatta interpretazione elastica di cui è stata oggetto la definizione di rifugiato contenuta nell’art 1 della Convenzione di Ginevra ha portato come conseguenza una apertura dell’elemento soggettivo, potendo infatti oggi essere considerate quali persecutorie azioni che non sarebbero tali a rigore di interpretazione letterale del testo.

La Convenzione prevede poi al suo interno un altro importante dogma, caposaldo del diritto internazionale, ovvero il principio del

non-refoulement: l’art 33 dispone infatti che nessun rifugiato può essere

respinto verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero in pericolo sulla base dei motivi della persecuzione disciplinati all’art 1. Tale divieto di rimpatrio forzato è un principio accettato a livello di diritto internazionale generale, di conseguenza è obbligatorio il rispetto dello stesso anche da parte di Stati non aderenti

3 Si veda in particolare l’ordinanza del Tribunale Ordinario di Venezia del 5 novembre

2015, la quale richiama le pronunce 16417/2007 e 15981/12 della Corte di Cassazione richiamate da diversi giudici di merito.

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alla Convenzione e in caso contrario è dunque autorizzato l’intervento dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Nonostante essa sia ancora oggi il testo giuridico di riferimento in tema di rifugiati e protezione internazionale, la Convenzione di Ginevra è il chiaro frutto di un dibattito che vide come causa i conflitti mondiali della prima metà del novecento e le conseguenze che ne derivarono, e come tale è oggi strumento poco adeguato a supportare le differenti modalità in cui si realizza il fenomeno migratorio; essa contiene infatti alcune disposizioni che ne restringono sensibilmente l’efficacia e il proprio ambito di applicazione, rendendola di difficile coesistenza con le condizioni geopolitiche attuali.

La Convenzione non disciplina infatti in modo generalizzato il diritto di asilo e ciò è dipeso dalla volontà di evitare un carico giuridico eccessivo per gli Stati, pertanto non è stato imposto di concedere protezione a chiunque ne avesse fatto richiesta. Una prima limitazione a favore degli Stati la troviamo leggendo l’art 1, secondo cui per richiedere lo status di rifugiato risulta necessario trovarsi al di fuori del Paese di cui si è cittadini; rimangono di conseguenza esclusi i cosiddetti

‘internally displaced persons’ ovvero soggetti costretti a fuggire da

guerre e persecuzioni ma che non hanno attraversato i confini nazionali. Il testo prodotto a Ginevra tace anche riguardo alle modalità di concessione del diritto di asilo, che rimane dunque di esclusiva prerogativa statuale sia nell’an che nel quomodo, e questo ha comportato una considerevole disomogeneità di trattamento tra i vari Stati.

Da ultimo sono state considerate il limite maggiore per l’applicazione della Convenzione le due riserve contenute all’art 1: una riserva temporale per cui la definizione di rifugiato si applica unicamente a coloro che abbiano subito una persecuzione per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951; e una riserva geografica secondo la quale

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vengono presi in considerazione soltanto gli avvenimenti accaduti, sempre anteriormente a quella data, in Europa e non altrove.

Negli anni successivi a causa del progressivo intensificarsi dei flussi migratori si è tentato di porre rimedio a tale insufficienza applicativa eliminando con il Protocollo di New York del 1967 sia il limite geografico sia quello temporale, aprendo dunque anche ai nuovi rifugiati la protezione garantita dalla Convenzione. La limitazione geografica permane invece oggi solo per un numero limitatissimo di Stati contraenti (venne eliminata dall’Italia con legge 39/1990). Tale protocollo non prevede tuttavia alcuna procedura dettagliata con riguardo alle modalità da seguire per la concessione dello status di rifugiato, le quali rimangono di conseguenza disciplinate in modo discrezionale dai singoli Stati.

Da ultimo è necessario precisare come la Convenzione di Ginevra non prospetti un diritto in capo allo straniero di ingresso nel territorio, in altro modo non si spiegherebbe la presenza dell’art 33 (principio di non refoulement): nonostante ciò gli Stati hanno da sempre interpretato questa norma in modo estensivo e di conseguenza, malgrado non incomba sugli stessi un obbligo di ammettere nel proprio territorio un cittadino straniero, una volta che quest’ultimo venga a trovarsi materialmente in uno degli Stati firmatari scattano una serie di obblighi destinati a garantire un trattamento dignitoso per il soggetto in questione, in primis l’obbligo per il Paese ospitante di garantire l’accesso alla procedura per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e di garantire determinati diritti a chi abbia ottenuto tale status giuridico. Tali considerazioni sottostanno alla unica eccezione di cui all’art 32, secondo il quale lo Stato ospitante può avviare la procedura di espulsione, non consentendo dunque al soggetto di permanere sul territorio nazionale e di adire la procedura di riconoscimento, in caso ricorrano motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico.

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Il richiedente lo status di rifugiato si ritrova dunque ad essere titolare di un diritto soggettivo all’ingresso sul territorio dello Stato di accoglienza al fine di far accertare la propria situazione personale alla autorità competente. Il riconoscimento dello status di rifugiato eventualmente attuato al termine della procedura di diritto interno ha dunque natura meramente dichiarativa, e non costitutiva del relativo status; l’obbligo di protezione del richiedente risulta dunque già sussistente nel momento stesso in cui vengono soddisfatti i requisiti di cui all’articolo 1 lettera A della Convenzione. In questo senso si spiega la proposizione secondo cui una persona non diventa rifugiato perché è dichiarata tale, ma è riconosciuta come tale proprio perché è un rifugiato (‘Recognition of

his refugee status does not therefore make him a refugee but declares him to be one. He does not become a refugee because of recognition, but is recognized because he is a refugee’)4.

La Convenzione di Ginevra, lontana dal disciplinare in modo organico l’istituto del diritto di asilo, si mostra dunque in tutta la sua fragilità ed incompletezza, dovuta in particolar modo all’epoca storica nella quale è stata adottata (cui deriva la principale funzione di gestire i movimenti di persone conseguenti al conflitto mondiale) e alle resistenze degli Stati membri, da sempre ostili a privarsi della propria potestas

decidendi in materia di confini e territorio. Essa ha però avuto il merito

di equipaggiare determinati soggetti in stato di pericolo di un vero e proprio diritto: quello di avere la possibilità di accedere ad una procedura, seppur diversa da Stato a Stato, che possa permettere di accertare che sussistano le condizioni per il riconoscimento di uno status determinato, quello di rifugiato, e determinante, in quanto il beneficio della protezione internazionale prevede una serie ulteriore di diritti e garanzie a carico di colui che arriva a beneficiarne.

4 UNHCR, Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di

rifugiato, settembre 1979, Ginevra.

Per la natura dichiarativa dello status di rifugiato si veda anche la sentenza 17 dicembre 1999 n. 907 delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione.

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1.1 Il migrante ambientale: focus sulla categoria e rilievi interpretativi

Un caso rappresentativo della inadeguatezza storica della protezione internazionale per come concepita a livello sovranazionale è rappresentato dalla figura del migrante ambientale, un soggetto che al pari di coloro che subiscono persecuzioni avverte la necessità di allontanarsi dal proprio Paese di origine ma che si differenzia da questi ultimi per i presupposti che fondano la decisione del distanziamento. Lo spostamento di individui causato da mutamenti climatici non è un fenomeno nuovo: nella storia umana le persone hanno sempre avuto l’abitudine di viaggiare in direzione di luoghi che consentissero di trascorrere una vita maggiormente agevole. Il fattore ambientale sta tuttavia aumentando esponenzialmente il proprio impatto sul fenomeno migratorio a causa di un rilevante aumento del numero di disastri naturali che hanno costretto milioni di persone ad abbandonare il proprio Paese spesso in modo definitivo.

La particolarità riscontrata è che tali fenomeni naturali colpiscono in misura maggiore le zone geografiche in cui il tenore di vita è più basso e la popolazione vive in forte condizione di povertà: una gran parte dei disastri è infatti registrata in Africa, dove lo spostamento di popolazione ha raggiunto livelli altissimi a causa delle diffuse inondazioni caratteristiche delle regioni centrali e occidentali quali Niger, Ciad e Nigeria. Alluvioni e frane nello Stato asiatico hanno colpito 41 milioni di persone, di cui 17 milioni di bambini, e causato circa 1.200 vittime5

tra India, Bangladesh e Pakistan. Da ultimi l’uragano Irma che si è abbattuto su Florida, Cuba e Caraibi e soprattutto i recenti terremoti in Messico rendono probabilmente al meglio l’idea dell’effetto devastante che tali eventi sono in grado di avere sulla popolazione che molto spesso non ha altra scelta che quella di abbandonare la propria casa, il proprio lavoro, la vita condotta fino a quel momento.

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La International Organization for Migration ha calcolato che, entro il 2050, una quantità di circa 200 milioni di persone si vedrà costretta a migrare per effetto di cambiamenti climatici quali siccità, inondazioni, ed eventi atmosferici estremi: è come se si svuotasse metà dell’Europa. Una grande varietà di fenomeni ambientali è dunque suscettibile di abbattersi in varie zone del pianeta e i casi di disastri sono destinati ad aumentare notevolmente: la comunità scientifica è concorde nell’affermare che i vari cambiamenti climatici avvenuti sulla Terra negli ultimi centocinquanta anni sono prevalentemente di origine antropica, ovvero scaturenti dall’attività dell’uomo; e sono proprio i cambiamenti climatici ad influire sull’aumento del rischio di disastri naturali.

Il migrante climatico (o profugo ambientale) è la vittima del cosiddetto

climate change, del dinamismo umano incontrollato nei confronti di

una natura non considerata quale patrimonio da proteggere bensì come spazio di sperimentazione e guadagno: l’assenza di salvaguardia e prevenzione da parte dell’uomo porta conseguentemente a situazioni di emergenza in cui la natura diventa sostanzialmente incontrollabile se non a posteriori.

Con il passare degli anni il fattore ambientale ha visto dunque aumentare la propria rilevanza sulla vita una vasta scala popolazione, e le migrazioni causate da degradazione o modificazione della natura sono aumentate esponenzialmente. La difficoltà di comprensione e gestione del fenomeno risiede tuttavia nel fatto che il fattore climatico non rappresenta l’unico elemento determinante la scelta di allontanarsi; vi sono infatti numerosi fattori sociali, economici, politici e culturali oltre che le condizioni personali del singolo individuo quali elementi che vengono influenzati dai cambiamenti ambientali in modo diverso generando incentivi alla partenza di diverso grado di intensità.

Il concetto di cambiamento climatico quale elemento che influenza l’allontanamento attraverso il proprio influsso su fattori di migrazione

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già esistenti viene confermato in un rapporto commissionato dal governo britannico pubblicato nel 2011 e denominato ‘Migration and

global environmental change future challenges and opportunities’;

secondo tale studio la decisione di migrare sarebbe determinata da cinque fattori: un fattore ambientale (pericolo dato da una instabilità del territorio, produttività dei terreni, assenza di cibo, energia o acqua), un fattore economico (opportunità di lavoro, reddito, benessere, prezzi), un fattore politico (discriminazione, persecuzione, libertà, conflitti, insicurezza politica), un fattore sociale (ricerca, famiglia, educazione) e un fattore demografico (densità della popolazione, malattie presenti). Tale report specifica che i cambiamenti climatici condizionano la volontà/necessità di migrazione attraverso la maggiore o minore influenza che riescono a produrre su tali fattori già esistenti. Tale influenza, si sottolinea, è più forte nei confronti del fattore economico e di quello ambientale: ciò conferma il fatto che il principale movente che spinge alla migrazione rimane quello economico ma il cambiamento climatico è suscettibile di influenzarlo modificando ad esempio i prezzi agricoli oppure i salari.

Nonostante la maggior parte degli studiosi del fenomeno sia concorde nell’affermare che i cambiamenti climatici siano una sorta di acceleratore del detrimento delle condizioni sociali ed economiche che spingono un individuo ad abbandonare il luogo in cui vive, risiedono ancora oggi numerosi dubbi in merito all’opportunità di considerare tale categoria di migranti al pari dei rifugiati che fuggono da persecuzioni oppure come una particolare species del genus migrante economico. La distinzione detiene una particolare importanza in quanto in vari Paesi occidentali sta avanzando la prassi di accogliere coloro che integrino lo status di rifugiato, impedendo al contrario l’ingresso ai migranti di tipo esclusivamente economico non soggetti a persecuzione alcuna.

Ha destato scalpore in materia la vicenda di Ioane Teitiota, un uomo proveniente dallo Stato del Kiribati che nel 2007 si era trasferito in

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Nuova Zelanda in cerca di fortuna insieme alla propria famiglia: egli è a tutti gli effetti il primo rifugiato climatico della storia; nel 2011 infatti, in seguito alla scadenza del proprio visto di soggiorno, venne intimato a lasciare il Paese da parte dell’autorità neozelandese ma Teitiota ha fatto richiesta di asilo sostenendo che il proprio Stato (di tipo insulare situato nel pacifico meridionale) secondo le previsioni degli esperti climatici rischia di essere sommerso nei prossimi anni. Nel settembre 2015, nonostante l’esperimento di tutti i ricorsi disponibili, l’uomo e la famiglia sono stati espulsi dalla Nuova Zelanda: la Supreme Court neozelandese ha difatti respinto6 la richiesta di Teitiota in relazione al

fatto che il pericolo non fosse di natura immediata, ma soprattutto perché, pur riconoscendo la situazione degenerativa del piccolo Stato insulare, lo status di rifugiato deriva da una condizione di persecuzione e un cambiamento climatico non potrebbe mai integrare la sussistenza di questa fattispecie essenziale per il riconoscimento della protezione. Sostanzialmente si è negata la protezione a Teitiota e alla propria famiglia per il fatto che la categoria del cosiddetto rifugiato climatico non è prevista da nessun trattato internazionale.

Il riconoscimento di uno status giuridico rappresenta ancora oggi la difficoltà maggiore nell’accordare una forma di protezione a quei soggetti che, nella ricerca di salvaguardare la propria vita, si allontanano dal proprio Paese a causa di ragioni climatico-ambientali. Non esiste infatti una protezione legislativa di tipo internazionale adeguata a proteggere tale categoria di migranti poiché le cause ambientali della migrazione non sono esplicitamente riconosciute. Ma il diritto internazionale avrebbe a disposizione gli strumenti necessari al fine di accordare una protezione, oppure è indispensabile la creazione di uno strumento giuridico ad hoc?

6 Supreme Court of New Zealand SC7/2015, Teitiota vs Chief Executive Ministry of

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Come in precedenza richiamato, la Convenzione di Ginevra delinea in modo piuttosto dettagliato gli elementi che un migrante deve soddisfare per essere qualificato come rifugiato (trovarsi fuori dal proprio Paese di origine e l’impossibilità di ricorrere alla protezione dello stesso, la sussistenza di un fondato timore di persecuzione, l’integrazione dei motivi di persecuzione) e quindi i soggetti che non presentano tali requisiti non beneficiano della relativa tutela giuridica, venendo considerati come semplici migranti volontari. La definizione elaborata nel 1951 è imperniata sulla volontà di proteggere gli individui da forme di protezione in modo da salvaguardare i loro diritti fondamentali umani, ma appare chiaro come essa risenta delle necessità del proprio tempo non essendo adeguata ad approcciarsi a nuove manifestazioni di migrazione forzata.

La categoria del migrante ambientale risulta dunque escluso dall’ambito di applicazione della Convenzione, e di conseguenza non ammesso al beneficio dei diritti ricollegabili allo status di rifugiato. La possibilità di estendere l’attuale nozione di rifugiato fino a comprendere le caratteristiche riconducibili alla categoria del migrante ambientale è probabilmente una soluzione artificiosa in ragione della grande differenza esistente tra i due tipi di soggetti: l’assenza di una persecuzione individuale oltre alla possibilità di rientrare all’interno del territorio del proprio Paese quali caratteri pertinenti alla figura del migrante ambientale rappresentano elementi troppo discordanti rispetto alla configurazione dello status di rifugiato per avallare tale tipo di soluzione che rischierebbe di essere una eccessiva forzatura.

L’eccessivo allargamento del sistema di riconoscimento dello status di rifugiato come operante fino ad oggi risulterebbe inoltre a molti come un indebolimento del sistema stesso in quanto verrebbe aumentata la discrezionalità degli Stati nel concedere il diritto di asilo, con un possibile affievolimento delle pretese dei soggetti richiedenti.

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Mettere mano alla definizione di rifugiato politico stravolgendola rispetto all’obiettivo originario per cui era stata delineata non rappresenta verosimilmente la soluzione migliore. Potrebbe a riguardo essere avviata in parallelo una riflessione di tipo storico: l’età contemporanea si è resa portatrice di una idea dei diritti umani non rappresentanti delle categorie statiche, bensì delle attribuzioni evolutive di tipo dinamico che mutano con il cambiare delle condizioni storiche, politiche e sociali e dipendono dalle pretese di una particolare parte di popolazione; la storicità dei diritti umani risiede nella loro differente rivendicazione a seconda del contesto storico e del progresso a cui la società civile è addivenuta. La classificazione dei diritti umani secondo ‘generazioni’7 mostra la progressiva evoluzione della società e delle

esigenze di cui va portatrice; lungi dall’affermare una scala di importanza, si esprime al contrario l’eguale dignità dei diritti umani differenziandoli unicamente a seconda del periodo di consapevolezza dell’umanità che ha permesso la loro emersione. Seguendo tale linea direttrice, il diritto ad una accettabile qualità della vita dal punto di vista ambientale è giunto con ogni probabilità ad una maturità tale da ottenere pari riconoscimento e tutela rispetto alla condizione di colui che fugge da persecuzioni politiche o religiose.

In ordine di avvalorare la dignità del diritto all’ambiente genericamente inteso, la predisposizione di uno strumento giuridico ad hoc ed uno status autonomo per i rifugiati ambientali sembrerebbe essere la soluzione più opportuna.

A prescindere dal descritto dibattito persistente in sede europea, alcuni Stati avrebbero la possibilità di prevedere una tutela per il migrante ambientale attraverso l’applicazione di norme di protezione umanitaria presenti differentemente nei singoli ordinamenti nazionali quali Italia,

7 Proposta per la prima volta nel 1979 dal giurista ceco Karel Vasak all’Istituto

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Cipro8, Finlandia9 e Svezia10. Tra questi, l’ordinamento italiano

prevede all’interno del Testo Unico sull’immigrazione alcune disposizioni in astratto applicabili ad un soggetto costretto a lasciare il proprio luogo di origine a causa di disastri o eventi naturali: l’articolo 5 comma 6 nega il rifiuto o la revoca di un permesso di soggiorno quando ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o

risultanti da obblighi costituzionali o internazionali; l’articolo 19 vieta

l’espulsione e il respingimento dello straniero in caso di vulnerabilità personale o sociale; infine l’articolo 20 dispone misure straordinarie di accoglienza in caso di rilevanti esigenze umanitarie in occasione di

conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità. Si tratta

di un debole ma confortante primo riconoscimento legislativo generale di cause di migrazione diverse dalla persecuzione individuale in senso stretto, nonostante si tratti di misure rimaste sostanzialmente sulla carta. Per concludere, un caso in cui si è registrata una apertura nei confronti della categoria di migranti impossibilitati al rientro nel proprio Paese a causa di un disastro naturale si è determinato in seguito ai danni provocati dal ciclone Sidr in alcune zone costiere del Bangladesh nel 2007. Il Ministro dell’Interno dopo aver disposto una temporanea sospensione dei provvedimenti di espulsione nei confronti dei cittadini del Bangladesh, si è pronunciato nei mesi successivi11 disponendo che

riguardo alle richieste di asilo presentate dagli stessi, in caso di inesistenza di fondati motivi di persecuzione, non era possibile dispensare la protezione umanitaria: la grave calamità naturale

8 Refugee Law (Cyprus) No.6(I) of 2000, articolo 29 contiene un divieto di espulsione

per i rifugiati o titolari di protezione sussidiaria verso paesi in cui sussiste un rischio, tra gli altri, anche in ragione di una distruzione ambientale.

9 Aliens Act 301/2004, sezione 109(1) consente il rilascio di un permesso di soggiorno

per motivi umanitari allo straniero che non può essere riconosciuto rifugiato o titolare di protezione sussidiaria, ma che non può fare ritorno nel Paese di origine in ragione di una catastrofe ambientale o di una situazione di insicurezza a causa di un conflitto armato.

10 Sezione 2(3) Aliens Act (2005:716) fa riferimento alla impossibilità di ritorno nel

Paese di origine a causa di disastri naturali.

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giustificava dunque la non opportunità delle espulsioni, ma negava ai richiedenti asilo provenienti dagli stessi luoghi di ottenere una tutela secondo princìpi diversi rispetto a quelli caratterizzanti l’acquisto dello status di rifugiato. La situazione più recente ha invece mostrato una inversione di tendenza e, nonostante non si sia giunti alla predisposizione di una specifica normativa diretta alla protezione del migrante ambientale, la posizione del Ministero dell’Interno in materia è radicalmente cambiata: con circolare del luglio 201512 ha indicato

alcuni casi che possano giustificare il riconoscimento di una protezione di tipo umanitario tra cui l’eventualità di gravi calamità naturali o altri gravi fattori locali ostativi ad un rimpatrio in dignità e sicurezza. Sembra quindi considerarsi una apertura verso il riconoscimento della protezione umanitaria a chi è stato costretto a lasciare il proprio Paese per gravi cause ambientali anche in caso di richiesta individuale. Una maggiore apertura alla possibilità di accordare una protezione di tipo umanitario in ragione di un disastro naturale rappresenta un passaggio importante anche e soprattutto in riferimento ad un Paese come il Bangladesh che risulta essere uno dei più esposti al cambiamento climatico, essendo interessato in modo rilevante da alluvioni, inondazioni, innalzamento del livello del mare e grande variabilità delle precipitazioni che determinano massicci spostamenti di popolazione. I cittadini del Bangladesh, nella prima metà del 2017, hanno rappresentato la seconda nazionalità per numero di arrivi e richieste di protezione internazionale presentate: i dati più recenti registrano una lieve diminuzione dei rigetti e un contestuale aumento dei riconoscimenti di protezione umanitaria rispetto agli anni precedenti13.

12 Ministero dell’Interno e Commissione Nazionale per il diritto di asilo, circolare

00003716 del 30 luglio 2015 ‘Ottimizzazione delle procedure relative all’esame delle domande di protezione internazionale. Ipotesi in cui ricorrono i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari’.

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In un quadro di incertezza a livello internazionale ed europeo, il modo più semplice per giungere al riconoscimento di una tutela per i migranti di tipo ambientale sembra consistere quindi nell’utilizzo delle forme complementari di protezione previste dai singoli Stati: il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari rappresenta lo strumento con cui l’ordinamento Italiano estende una serie di diritti anche ai soggetti che fuggono a causa di disastri naturali. I regimi di protezione umanitaria presentano tuttavia il difetto di essere sottoposti alle singole legislazioni nazionali che specificano i requisiti di ammissibilità nonché i diritti e le facoltà accordate ai beneficiari; coloro che migrano per motivi climatici possono dunque aspirare all’ottenimento non tanto di uno status giuridico definito, bensì di un trattamento consistente in un permesso di soggiorno per motivi umanitari sottoposto alla piena discrezionalità dello Stato ospitante, in attesa della predisposizione di uno statuto ad hoc del migrante ambientale a livello internazionale.

2. Diritto di asilo e immigrazione: fonti nazionali e ruolo dell’Unione Europea. L’agenda europea sulla migrazione.

Al contrario di altri paesi europei l’Italia è stata chiamata a misurarsi con il fenomeno migratorio, quantomeno nella sua dimensione moderna, in un’epoca piuttosto recente: i primi arrivi dalle sponde sud-orientali del Mediterraneo risalgono infatti agli anni Settanta. La storia italiana dall’Unità in poi è stata caratterizzata da una fortissima tendenza alla emigrazione (le stime parlano di una cifra che si aggira intorno alle 24 milioni di persone nei cento anni successivi alla

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riunificazione)14, portando gli addetti ai lavori a parlare addirittura di

diaspora italiana. Per tutto questo periodo il fenomeno immigrazione è stato pressappoco inesistente, eccetto alcuni fenomeni episodici dovuti principalmente alle conseguenze della seconda guerra mondiale come il rientro degli italiani dalle ex colonie d’Africa.

La situazione cominciò a mutare proprio nei primi anni settanta in conseguenza del cosiddetto ‘miracolo economico italiano’ che provocò nei decenni immediatamente precedenti una forte crescita e un incessante sviluppo tecnologico i quali favorirono un veloce risanamento della Penisola; un tale rilancio dell’economia promosse in quegli anni quella inversione di rotta che ha portato l’Italia a configurarsi come Paese di immigrazione, con un gran numero di stranieri che iniziarono a fare il loro ingresso grazie anche alle politiche restrittive praticate da altri paesi europei (in Germania il cosiddetto

Anwerbenstop, lo stop agli ingaggi, del 1973 inaugurò la politica

europea di chiusura all’immigrazione a cui presero parte anche gli altri Paesi negli anni immediatamente successivi).

Tuttavia lo Stato italiano mal si è adattato a tale cambiamento di prospettiva, probabilmente essendo stato da sempre principalmente un paese di emigrazione e di conseguenza poco abituato a gestire un così forte ingresso di stranieri nel proprio territorio: non si è riusciti dunque, nel corso di questa prima fase, a sviluppare politiche adeguate volte a governare il fenomeno migratorio. Si è difatti assistito ad un atteggiamento che non solo sottovalutò le necessità e i diritti dei migranti, ma soprattutto contribuì alla rapida trasformazione del fenomeno in una vera e propria emergenza. Un tale approccio emergenziale favorì la sussistenza di vuoti normativi in materia e l’assenza di riforme organiche volte ad una gestione sistematica e di larghe vedute del fenomeno migratorio.

14 Gianfausto Rosoli, Un secolo di emigrazione italiana 1876-1976, Roma, Cser

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Emblematica è la circostanza che l’Italia sia uno dei pochi Paesi europei ad essere privo di una legge organica in materia di asilo; questa è proprio la naturale conseguenza del fatto di aver gestito le grandi ondate di flussi migratori in una logica puramente emergenziale.

Ripercorrendo i passi compiuti dalla normativa interna in materia di protezione internazionale il punto di partenza è senza dubbio la norma costituzionale contenuta nell’articolo 10 comma 3 la quale recita ‘lo

straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge’. La portata precettiva di tale disposizione è tuttavia rimasta

sulla carta fino ai primi anni ‘90 a causa della mancata attuazione legislativa che ha portato ad una interpretazione in senso restrittivo della stessa, valutandola come mera norma programmatica e come tale insuscettibile di trovare una diretta applicazione in assenza di una legge che ne disponga la concretizzazione. La svolta si è avuta grazie alla giurisprudenza di merito che nel leading case 15 del 1964 ha affermato

il riconoscimento immediatamente precettivo della disposizione costituzionale, stabilendo dunque come il diritto di asilo integri un vero e proprio diritto soggettivo invocabile dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, anche a prescindere dalla presenza di una legge applicativa. In base a suddetto orientamento, in seguito confermato dalla Suprema Corte di Cassazione, lo straniero può dunque ottenere il riconoscimento del diritto in questione direttamente in base alla norma costituzionale. L’Italia si era comunque conformata alla normativa internazionale aderendo alla Convenzione di Ginevra del 1951 presentandosi tuttavia

15 Il riferimento è alla sentenza della Corte di Appello di Milano del 27 novembre

1964 in cui si legge chiaramente ‘…la passività del legislatore ordinario che sino ad oggi ha trascurato di provvedere a disciplinare dettagliatamente nei limiti segnati dalla Costituzione il diritto d'asilo non può essere d'ostacolo alla forza cogente della norma di cui al comma 3 dell'art. 10 della Costituzione medesima’.

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tra gli stati apponenti la riserva geografica secondo cui il riconoscimento dello status di rifugiato poteva essere effettuato solamente in favore di soggetti di provenienza europea, oltre alla riserva temporale in base alla quale venivano presi in considerazione unicamente gli avvenimenti precedenti alla data del 1° gennaio 1951. Come precedentemente specificato la limitazione temporale fu eliminata con la ratifica del Protocollo di New York del 1967 avvenuta con legge 95/1970; la riserva geografica è stata invece rimossa solo con il decreto legge 416/1989, convertito poi nella Legge Martelli 39/1990. Non appare superfluo ribadire come, in aggiunta al mancato carattere precettivo della norma costituzionale in materia di asilo, anche l’adesione alla Convenzione in esame non garantiva, principalmente a causa della sussistenza di tali riserve, adeguate forme di protezione nei confronti degli stranieri richiedenti protezione allo Stato italiano. Ed è stato proprio il provvedimento normativo adottato nel 1990 e noto come Legge Martelli ad essere paradigmatico di quella inversione di tendenza per cui l’Italia si era ormai trasformata in un Paese caratterizzato da una forte immigrazione: si è difatti assistito alla prima disciplina organica (seppur inserita nella consueta logica emergenziale) in materia di asilo politico, ingresso e soggiorno degli stranieri con il primo tentativo di programmazione dei flussi di ingresso di migranti. Lo Stato italiano è stato costretto ad intervenire anche a causa di un comune sentire popolare che andava familiarizzandosi con la presenza sul territorio di soggetti di nazionalità diversa, facendo trasparire i primi momenti di solidarietà e comunanza verso coloro che fino a quel momento venivano solitamente visti come ‘altri’; è dell’ottobre 1989 la prima grande manifestazione contro il razzismo e a favore della concessione di un permesso di soggiorno ai rifugiati.16

16 Si noti come l’episodio dell’assassinio del rifugiato sudafricano Jerry Masslo, a

Castel Volturno nell’89, mobilitò sensibilmente l’opinione pubblica italiana e spinse gli organi di informazione prima e la politica poi a prendere coscienza del processo di trasformazione che aveva ormai pervaso lo Stato italiano.

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Tuttavia già leggendo il titolo della legge (‘Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e di soggiorno dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato’) è facilmente comprensibile la portata emergenziale della stessa, ancora lontana da una legislazione sistematica e di ampio respiro in materia. Gli intenti erano comunque apprezzabili, soprattutto in quanto, oltre a far cessare gli effetti della riserva geografica apposta alla Convenzione di Ginevra, la legge Martelli autorizzava il governo ad emanare un disegno di legge organico sul diritto di asilo, disatteso tuttavia per quasi dieci anni. Veniva dettata per la prima volta la disciplina riguardante modalità di accesso alla procedura e la presentazione della domanda di asilo, dispiegandosi però unicamente in termini negativi in quanto l’art 1 comma 4 della legge disciplinava essenzialmente le cause ostative all’ingresso del richiedente protezione internazionale; lo straniero avrebbe dovuto proporre domanda alla polizia di frontiera la quale, in presenza di taluni presupposti, avrebbe potuto negare l’accesso nel territorio italiano.

L’intento della legge era quello di rinviare all’immediato futuro una regolamentazione organica della materia, ma le premesse iniziali furono abbandonate e si dette vita negli anni successivi ad altri interventi di natura settoriale; tale provvedimento normativo fu quindi emblematico di una politica manchevole di qualsivoglia progettualità e che continuerà anche negli anni successivi ad essere imperniata da un approccio prettamente emergenziale. Nonostante tale aspetto, la Legge Martelli ha comunque avuto il merito di dare inizio ad un processo di stabilizzazione dei migranti, attraverso interventi diretti alla integrazione e partecipazione degli stessi alla vita pubblica italiana. Nel corso degli anni Novanta si assistette poi ad una grave emergenza migratoria originata dal crollo del blocco comunista e dalle conseguenti vicende politiche e militari che riguardarono i territori della ex Jugoslavia: lo sbarco in Puglia che portò nell’estate del 1991 circa

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28.000 albanesi fu il primo caso di immigrazione di massa (denominato dai mass media ‘invasione albanese’), e l’Italia si mostrò totalmente inadeguata nella gestione di tale fenomeno; si cercò una soluzione a tali problemi mediante la produzione di svariati accordi bilaterali stipulati principalmente con paesi dell’area mediterranea17. Il problema sul

piano giuridico sussisteva in quanto la Commissione che valutava le singole posizioni riteneva che si trattasse in quei territori di una situazione di conflitto diffuso, venendo dunque a mancare il requisito della persecuzione individuale e ciò comportava di conseguenza l’impossibilità di riconoscere tali soggetti quali rifugiati; il Governo italiano ricorse ancora una volta a provvedimenti specifici guidati da una logica di protezione temporanea di tipo emergenziale di cui erano destinatari i singoli gruppi di sfollati. Tali interventi trovarono una regolamentazione nella legge 390/1992 riguardante ‘Interventi

straordinari di carattere umanitario a favore degli sfollati delle Repubbliche sorte nei territori della ex Jugoslavia, nonché misure urgenti in materia di rapporti internazionali e di italiani all’estero’: si

trattava di misure di protezione di carattere estremamente provvisorio che portavano alla nascita di una figura temporanea di rifugiato, in attesa del ritorno nel proprio paese di origine. Un altro importante provvedimento di carattere settoriale oltre che emergenziale fu il decreto legge 451 datato 30 ottobre 199518 il quale introdusse strumenti

volti a fronteggiare la crisi pugliese nella gestione e accoglienza degli stranieri che giungevano in massa dai Balcani attraversando il Mar Adriatico.

17 Si veda a titolo esemplificativo l’Accordo di cooperazione nella lotta contro il

traffico illecito di stupefacenti e psicotrope e contro la criminalità organizzata tra Italia e Albania firmato il 24 agosto 1991.

18 Decreto legge 30 ottobre 1995 n.451 ‘Disposizioni urgenti per l’ulteriore impiego

del personale delle forze armate in attività di controllo della frontiera marittima nella regione Puglia’.

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La incessante e profonda evoluzione del fenomeno migratorio in Italia ha tuttavia evidenziato la inadeguatezza del frastagliato quadro normativo che si era venuto a caratterizzare, tanto da portare alla presentazione in Parlamento di un disegno di legge autonomo riguardante l’immigrazione: in tempi ristretti viene approvata la legge 40/1998, nota come Turco-Napolitano, poi confluita nel Testo Unico sull’immigrazione ovvero il d.lgs. 25 luglio 1998 n.286 il quale divenne il testo normativo principale in materia di immigrazione e denota un profondo cambiamento nell’approccio del legislatore nei confronti del fenomeno migratorio, in quanto vennero per la prima volta stabilite importanti misure volte alla integrazione degli stranieri nel tessuto della comunità sociale ospitante. Il Testo Unico ebbe il chiaro intento di

realizzare una politica di ingressi limitati, programmati e regolati, contrastare l'immigrazione clandestina e lo sfruttamento criminale dei flussi migratori; avviare realistici ma effettivi percorsi di integrazione per i nuovi immigrati e per quelli già regolarmente soggiornanti in Italia19. La nuova legge non si occupa tuttavia dello status dei rifugiati

né della disciplina del diritto di asilo in modo compiuto e sistematico, in quanto oltre ad abrogare gran parte delle norme contenute nella Legge Martelli si limita a prevedere una serie di sporadiche disposizioni la più importante delle quali sono probabilmente quella contenuta nell’art 10 comma 4, riguardante l’impossibilità di applicare le norme sul respingimento degli stranieri che abbiano fatto domanda di protezione internazionale o che abbiano ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, e l’art 19 secondo il quale ‘in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di

19M. De Marco, Ufficio Immigrazione Caritas Italiana, F. Pittau, Dossier Statistico

Immigrazione Caritas, (a cura di), L'evoluzione storica della normativa sull'immigrazione, Roma, 2013, p. 10.

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sesso, di lingua, di cittadinanza di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione’; inoltre l’art 2 comma 7 contiene un divieto per le autorità italiane di informare il Paese di provenienza del soggetto titolare dello status di rifugiato o richiedente asilo.

Il testo in esame contiene soprattutto importanti norme in materia di protezione umanitaria e temporanea: si prevede infatti la possibilità di rilasciare allo straniero un permesso di soggiorno per motivi umanitari qualora ricorrano ‘seri motivi in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali’. Il riferimento agli ‘obblighi costituzionali’ può pacificamente essere interpretato in relazione all’art. 10 comma 3 della Costituzione, dando un generico rilievo all’asilo costituzionale il quale, come precedentemente ribadito, è rimasto puramente sulla carta senza aver avuto rilievo nella pratica. Il Testo Unico sull’immigrazione ha certamente rappresentato il tentativo maggiormente compiuto di composizione sistematica della materia attinente alla condizione giuridica dello straniero peccando probabilmente di una eccesiva sporadicità nell’inserimento delle norme riguardanti il diritto di asilo e lo status di rifugiato in particolare. Viene in seguito approvato, nel settembre del 2002, un importante intervento legislativo di modifica della normativa in tema di immigrazione che contiene al suo interno disposizioni riguardanti il diritto di asilo.

La legge Bossi-Fini n. 189/2002 ha difatti simboleggiato un vero e proprio aggravio della condizione giuridica dello straniero inasprendo le sanzioni avverso il favoreggiamento della immigrazione clandestina, aumentando il divieto di reingresso per lo straniero espulso portandolo da 5 a 10 anni, confermando la centralità dello strumento della espulsione che come regola generale divenne una esecuzione da parte del questore mediante accompagnamento coatto alla frontiera, ma

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soprattutto legando il permesso di soggiorno alla titolarità di un lavoro tramite l’istituzione del cosiddetto ‘Contratto di soggiorno’ ed eliminando l’istituto dello Sponsor il quale stabiliva che un cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante potessero presentare alla Questura una richiesta di ingresso di un soggetto straniero impegnandosi a garantire allo stesso un alloggio e il sostentamento al fine di garantirgli di cercare un lavoro nello Stato italiano20.

La legge Bossi-Fini sancisce l’inizio di quella fase di attrazione alla sfera penale della materia immigrazione, seguita e completata dai cosiddetti ‘Pacchetti Sicurezza’21 venuti alla luce ancora sotto l’egida

del governo di centro-destra negli anni immediatamente successivi; l’intento è stato certamente quello di contrastare ogni possibile presenza sul suolo italiano di individui di nazionalità straniera non impegnati in una attività lavorativa considerandoli un peso per lo Stato italiano e un pericolo per l’ordine pubblico. In questo periodo grazie a queste politiche repressive si è differenziata totalmente la condizione degli stranieri regolari da quelli irregolari (nel senso di peggiorare la posizione dei secondi) seguendo un obiettivo di chiara natura repressiva, tanto che in una sentenza della Corte di Cassazione si legge che ‘...hanno capovolto la visione solidaristica (della legge

Turco-Napolitano) in una esclusivamente repressiva’22.

Tra le novità in materia di asilo, la legge 189/2002 attua un processo di decentralizzazione della procedura istituendo una serie di commissioni territoriali ‘al fine di ridurre i tempi di esame delle istanze di asilo sostituendo ad un unico organo centrale competente una articolazione di organi a livello provinciale’ (art. 1 quater). L’intervento

20 Il riferimento è all’originario art 23 del d.lgs. 286/1998 il quale prevedeva a tali

condizioni la concessione di un permesso di soggiorno annuale ai fini di inserimento nel mercato del lavoro.

21 Si vedano la legge 125/2008 che tra l’altro inserisce l’aggravante di clandestinità

‘avendo il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale’, la legge 94/2009 che configura il reato di immigrazione clandestina, e infine la legge 129/2011.

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probabilmente più significativo è tuttavia quello contenuto all’interno dell’art. 32 della legge, riguardante la istituzione di un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) a livello nazionale: il sistema di protezione si rivolgeva ai soggetti richiedenti asilo, rifugiati e stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria ed era un progetto ideato in continuità con i sistemi realizzati negli anni precedenti a livello locale quali il Programma Nazionale Asilo. L’obiettivo era quello di riuscire a garantire non soltanto la prima accoglienza, ma anche mantenere l’inserimento nel tessuto socio-economico del richiedente e titolare protezione internazionale. Allo scopo di dare attuazione a tale Sistema è stato istituito un Fondo presso il Ministero dell’Interno adibito al finanziamento dei servizi di asilo e un servizio centrale di ‘informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali’ la cui gestione sarà in seguito affidata all’ANCI.

La normativa riguardante il diritto di asilo in Italia giunge quindi agli anni Duemila caratterizzandosi per tutta la sua frammentarietà e disorganicità; è soprattutto il modello emergenziale di gestione del fenomeno migratorio a fare da sfondo a tutti gli interventi normativi adottati in materia. La peculiarità degli anni successivi all’adozione del Testo Unico sull’immigrazione (come modificato dalla legge 189/2002) è tuttavia quella di un progressivo interessamento e di una azione sempre più rilevante da parte delle istituzioni europee nella materia in questione. La descrizione dello scenario normativo interno in materia di asilo non può dunque svincolarsi da un esame riguardante il ruolo e le politiche adottate in merito dall’Unione Europea.

L’Italia a partire dalla seconda metà degli anni ’80 ha partecipato ai primi trattati intraeuropei incidenti in parte anche sul tema della protezione internazionale. L’adesione all’Accordo di Schengen nel 1985 fu senza dubbio di primaria importanza in quanto concernente la libertà di movimento delle persone e la graduale eliminazione dei

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controlli alle frontiere interne degli Stati firmatari: il fatto che all’interno dello Spazio Schengen i cittadini dell’Unione europea e quelli di paesi terzi possano spostarsi liberamente senza essere sottoposti a controlli alle frontiere ha comportato come naturale conseguenza un rafforzamento delle frontiere esterne di suddetto Spazio, dunque gli Stati membri di confine hanno la responsabilità di effettuare controlli rigorosi nella assegnazione dei visti di ingresso. Con l’entrata in vigore della Convenzione di ratifica dell’accordo nel 1995 si ebbe la creazione di una unica frontiera esterna dove i controlli sui flussi migratori avrebbero avuto luogo in base a regole comuni riguardanti i visti di ingresso, i controlli alle frontiere e le richieste di asilo. In relazione a tale ultimo aspetto l’Accordo poneva dunque le basi per determinazione dello Stato competente a valutare la domanda di asilo presentata all’interno dell’area Schengen. Il tema sarà in seguito ripreso con precisione nella Convenzione di Dublino firmata il 15 giugno 1990 ed entrata in vigore nel 1997: essa ha come obiettivo quello di ottenere una soluzione a due fenomeni i quali erano una indiretta conseguenza del sistema creato dagli accordi di Schengen. Il primo, divulgato con il nome di asylum shopping, consisteva nella propensione propria dei richiedenti protezione internazionale di cercare lo Stato membro che offriva condizioni maggiormente vantaggiose e permissive in relazione al conferimento dello status richiesto; il secondo riguardava il problema dei rifugiati in orbita ovvero persone rinviate da un Paese ad un altro senza vedere mai esaminata la propria domanda, imponendo dunque un obbligo in capo ad un determinato Stato membro di esaminare una domanda di asilo onde evitare quel continuo svuotamento di responsabilità.

Convenzione di Schengen e Convenzione di Dublino rappresentano dunque i primissimi provvedimenti volti alla creazione di un sistema di gestione dell’immigrazione e nello specifico riguardante le modalità di accesso e il contenuto del diritto di asilo nella Unione Europea. Tale

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