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I livelli di protezione internazionale

CAPITOLO II: IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

3. I livelli di protezione internazionale

Al termine dell’esame di una specifica domanda di protezione internazionale la Commissione territoriale deve pervenire ad una decisione che presenta natura di definitività in quanto va a chiudere la vicenda riconoscendo una delle misure predisposte dall’ordinamento italiano oppure, in caso gli elementi di prova a disposizione non integrino le condizioni necessarie per la concessione delle stesse, rigettando l’istanza del soggetto richiedente. La deliberazione della Commissione determina in tal modo la conclusione della fase amministrativa, con l’istante che ottiene la ricezione di un provvedimento definitivo avverso il quale può unicamente proporre impugnazione aprendo la seconda fase del procedimento di concessione della protezione internazionale, ovvero la fase giurisdizionale connotata dal requisito della eventualità in quanto verrà avviata da parte del richiedente soccombente destinatario di un provvedimento di rigetto da parte della Commissione territoriale.

Il sistema normativo interno non risulta più come in passato improntato sulla predisposizione di un unico status di rifugiato quale garantito dalla Convenzione di Ginevra, prevedendo attualmente un numero di tre misure di protezione internazionale alle quali vi possono accedere i soggetti richiedenti asilo politico. Accanto allo status di rifugiato si è difatti aggiunta, a seguito di interventi europei, la figura giuridica del beneficiario di protezione sussidiaria52 e accanto a queste che sono le

due principali forme di protezione internazionale che il nostro ordinamento può assegnare è presente anche un terzo e meno

52 Tale figura giuridica ha fatto ingresso nel nostro ordinamento mediante il decreto

garantistico ‘livello’ riguardante la concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari.

Andando in concreto a valutare l’operato delle Commissioni, le stesse sono chiamate ad accertare in primo luogo la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale e la conseguente concessione dello status di rifugiato politico: ai sensi della Convenzione di Ginevra i requisiti necessari per il riconoscimento di suddetto status sono l’allontanamento del soggetto dal proprio Paese d’origine, la presenza di elementi sufficienti a ritenere che ci sia un fondato rischio di persecuzione, l’impossibilità di poter ricorrere alla protezione del proprio Paese d’origine (il richiedente deve trovarsi nella condizione di non volere o non potere rivolgersi alle autorità del proprio Stato poiché il cosiddetto agente di persecuzione può essere direttamente il governo del paese, i partiti o altre organizzazioni che lo controllano, oppure un altro soggetto non statale), e infine l’esistenza di specifici motivi di persecuzione53. Tale ultimo importante requisito

denota che il pregiudizio, temuto oppure subito, deve essere operato in ragione di uno dei motivi indicati dalla Convenzione stessa ovvero per razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche; la persecuzione deve in concreto consistere in minacce alla vita o alla libertà, o comunque in atti sufficientemente gravi da costituire violazione di diritti umani fondamentali.

In caso la decisione della Commissione sia favorevole ad un provvedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, quindi il livello più alto di protezione possibile, il soggetto beneficiario dello stesso si vede rilasciato un permesso di soggiorno della durata di 5 anni, un titolo di viaggio per potersi recare all’estero, il diritto di richiedere cittadinanza per naturalizzazione dopo soli cinque anni, il diritto di ricongiungimento familiare senza dimostrare alloggio e reddito oltre ad

altre facilitazioni in merito, l’accesso all’occupazione, all’istruzione e all’assistenza sanitaria e sociale a parità con i cittadini italiani.

La seconda misura di protezione internazionale, introdotta su impulso del diritto europeo, rappresenta un livello di protezione a carattere secondario ed integrativo rispetto a quello dell’asilo politico. A norma dell’articolo 2 del d.lgs. 251/2007 è da considerarsi beneficiario di protezione sussidiaria il ‘cittadino di un paese terzo o apolide che non

possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine (o nel paese di domicilio se apolide), correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno’. Il concetto di grave danno è

fondamentale e rappresenta requisito indispensabile per beneficiare della protezione sussidiaria ed è costituito da una condanna a morte o esecuzione della pena di morte, tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante, minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale. La possibilità della emanazione di un provvedimento di riconoscimento di tale misura sussidiaria ha ampliato la sfera dei beneficiari di una protezione da parte dello Stato italiano in quanto, rispetto allo status di rifugiato politico, in questo caso il nesso tra il danno grave e la situazione individuale del soggetto può essere maggiormente attenuato e di conseguenza la concessione di questo tipo di protezione riguarda situazioni in cui sono presenti ambienti in cui sussistono dei fattori di danno grave senza essere presente un elemento di persecuzione individuale. Si è quindi risolto questo vulnus rappresentante tutto quell’insieme di numerose situazioni nelle quali determinati soggetti chiedevano di beneficiare di una forma di protezione senza vedersela riconosciuta a causa dell’assenza di una minaccia o persecuzione diretta alla loro persona pur in un contesto di pericolo di violazione dei diritti umani fondamentali.

A titolo dimostrativo è possibile citare come esempio una recente pronuncia del Tribunale di Bari 54 che, ribaltando la precedente

decisione dell’autorità amministrativa, ha concesso al ricorrente, di orientamento omosessuale, di beneficiare della misura della protezione sussidiaria in ragione del fatto che in caso di rimpatrio nel suo Paese di origine, la Nigeria, egli si sarebbe trovato in pericolo di vita in quanto l’omosessualità in tale Stato viene pesantemente punita. L’autorità giurisdizionale ha ritenuto dunque che la legislazione nigeriana in materia avversasse le unioni omosessuali in modo talmente pesante da non consentire di conseguenza la libera esplicazione dell’identità sessuale della persona umana55; per queste ragioni il richiedente è stato

ammesso al beneficio della protezione sussidiaria in ragione del pericolo di grave danno alla propria persona non direttamente riferito ma derivante da un contesto generalizzato.

Per quanto riguarda i diritti riconosciuti come conseguenza della concessione di questa misura, negli ultimi anni vi è stata una pressoché totale equiparazione alle facoltà previste per lo status di rifugiato elencate precedentemente.

Qualora la Commissione territoriale non ravvisasse la presenza dei presupposti legittimanti il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria dovrebbe adottare un provvedimento di rigetto della domanda. Vi è tuttavia la presenza di un già citato terzo livello di protezione a cui è possibile aspirare una volta entrati nel territorio italiano: ‘seri motivi, in particolare di carattere umanitario o

risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano56 determinano l’impossibilità di rifiuto o revoca di un permesso

di soggiorno ad un soggetto straniero. Per quanto maggiormente

54 Il riferimento è all’ordinanza del 29 agosto 2017.

55 Il ‘Same sex marriage prohibition act’ approvato nel maggio 2014 prevede dai 10

ai 14 anni di carcere per chi contrae matrimonio tra persone dello stesso sesso o per chi si lega con un contratto di unione civile. È inoltre vietato mostrare in pubblico il fatto di avere una relazione omosessuale.

interessa la presente trattazione, il permesso di soggiorno per motivi umanitari è suscettibile di essere concesso ad uno straniero nell’ambito della procedura di valutazione di una domanda di protezione internazionale in caso del negato riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria nonostante una chiara presenza di motivi di carattere umanitario che giustifichino una forma di ausilio da parte dello Stato. Le gravi ragioni umanitarie riscontrate sono infatti suscettibili di indurre la Commissione a trasferire gli atti al Questore competente al fine di un rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari57 della durata variabile dai

sei mesi ai due anni, sul quale non vi residua alcuna discrezionalità dovendo tale autorità semplicemente dare attuazione alla deliberazione collegiale della Commissione.

L’istituto in discussione rappresenta una clausola di salvaguardia posta a chiusura del sistema di ingresso e soggiorno degli stranieri nel territorio italiano ed ha la finalità di tutelare fattispecie concrete nelle quali ricorrano situazioni meritevoli di tutela le quali in astratto non verrebbero salvaguardate alla luce delle disposizioni presenti nel Testo Unico sull’Immigrazione: rappresenta infatti una possibilità di deroga alla disciplina ordinaria del rifiuto o della revoca del permesso di soggiorno in ragione della specificità di taluni casi i quali giustificherebbero, alla luce della loro valutazione in concreto, la possibilità di un soggiorno nel territorio dello Stato. La misura in esame ha avuto una ampia diffusione a partire dalla cosiddetta ‘Primavera Araba’ a partire dal biennio 2010-2011, una situazione di instabilità e di sommosse riguardanti Nord Africa e Medio Oriente che provocò un esodo di massa verso il territorio europeo e in particolare italiano. Questi soggetti non si trovavano in concreto ad

57 Articolo 32 comma 2 d.lgs. 25/2008. L’art. 33 dello stesso decreto specifica inoltre

come tale dovere di rinvio degli atti al Questore in presenza di gravi motivi di carattere umanitario sussista anche in capo alla Commissione Nazionale nei casi di cessazione o revoca degli status di protezione internazionale.

essere destinatari di una persecuzione di tipo individuale bensì scappavano da una situazione di conflitto interno e minaccia generalizzata ai diritti fondamentali umani: si trattava quindi della necessità di ricorrere a strumenti di carattere umanitario che consentissero di rendere questi soggetti beneficiari di una protezione nel nostro Paese.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rinnovabile fino a quando è in corso la situazione che ne ha motivato il rilascio e consente di svolgere attività lavorativa, di accedere al Servizio Sanitario Nazionale, alle misure di assistenza sociale previste per le persone titolari di protezione internazionale; non consente invece il ricongiungimento familiare.

Un ultimo tipo di protezione di cui può essere beneficiario uno straniero che ne faccia richiesta in territorio italiano è rappresentato della cosiddetta protezione temporanea. Essa consiste in una procedura di carattere eccezionale stabilita dalla direttiva 55/2001 che garantisce, in caso di afflusso massiccio ed imminente di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea e impossibilitati al rientro nel proprio Paese di origine, una tutela immediata e temporanea. Tale misura di protezione è volta ad evitare il collasso del sistema di asilo in situazioni di particolare emergenza ed è stata disciplinata a livello interno con il decreto legislativo 85/2003, il quale stabilisce dettagliatamente le condizioni e le modalità di concessione della stessa. L’articolo 3 del decreto attuativo rimanda esplicitamente ad una norma del Testo Unico sull’immigrazione dedicata a misure straordinarie di accoglienza in caso di eventi eccezionali: l’articolo 20 dispone infatti la facoltà rimessa in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri di determinare con proprio decreto le misure di protezione temporanea necessarie per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti,

disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea.

La durata della protezione temporanea è fissata dalla direttiva europea nel termine di un anno, con possibilità di proroga automatica di sei mesi in sei mesi per un periodo massimo di un anno a meno che non cessi per effetto di una decisione adottata dal Consiglio dell’Unione Europea. Si specifica inoltre come la presenza di un massiccio flusso di sfollati debba essere accertata con una decisione del Consiglio adottata a maggioranza qualificata su proposta della Commissione: la decisione determina dunque l’applicazione in tutti gli Stati membri della protezione temporanea delineando gli specifici gruppi di persone alle quali si riferisce nel caso concreto. Ne conseguirebbe dunque, a norma della direttiva, la possibilità per il Governo di attivare la procedura di concessione della protezione temporanea a seguito della verifica e della constatazione da parte delle istituzioni europee dell’esistenza di un flusso massiccio di sfollati.

Nondimeno le istituzioni europee non si sono mai avvalse di tale strumento di coordinamento che fisserebbe un vero e proprio obbligo di accoglienza nei confronti degli Stati membri, consentendo l’ingresso di un notevole numero di migranti nel territorio europeo. La prassi ha di conseguenza mostrato una preferenza nel lasciare maggiore discrezionalità in capo agli Stati membri di servirsi delle proprie misure di protezione umanitaria disciplinate a livello interno al fine di affrontare anche arrivi massicci di soggetti da Paesi terzi.