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L’indeducibilità dei costi sostenuti verso paradisi fiscali

5. Gli strumenti di contrasto all’elusione internazionale

5.3. L’indeducibilità dei costi sostenuti verso paradisi fiscali

L’art. 110, commi 10 e seguenti del Tuir regola il regime fiscale dei

componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e imprese domiciliate fiscalmente nei c.d. paradisi fiscali, individuati nel

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MARINO T., La Corte di Giustizia censura l’applicazione della legislazione inglese sulle CFC

per violazione della liberà di stabilimento, in GT, Riv. giur. Trib., n. 1/2007 pag. 24.

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ROLLE G., Modifiche alla <CFC legislation> dopo la conversione del decreto <anticrisi>, in

op. cit., pag. 2808; LUPI R., Illegittimità delle regole CFC se rivolte a Paesi comunitari: punti fermi e sollecitazioni sulla sentenza Cadbury Schweppes, in Dialoghi di dir. trib., 2006, 12, pag.

1591; fa invece riferimento ad “esigenze di effettivo radicamento sul territorio”, BEGHIN M., Il

malleabile principio della libertà di stabilimento, in Rass. Trib., 2007, pag. 991

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ROLLE G., Modifiche alla <CFC legislation> dopo la conversione del decreto <anticrisi>, in

medesimo modo in cui avviene per l’applicazione delle CFC rules, con espressa esclusione degli Stati membri dell’Unione Europea610.

La norma dispone che i componenti negativi di reddito derivanti dalle suddette operazioni sono fiscalmente indeducibili in capo all’impresa residente. Pertanto, da un punto di vista economico, la merce acquistata in un paradiso fiscale avrà un costo maggiore e l’imponibile dell’impresa residente sarà più alto.

La ratio legis è quella di contrastare lo spostamento di materia imponibile verso Paesi a bassa fiscalità presupponendo la fittizietà, totale o parziale, delle operazioni poste in essere611.

Inizialmente la norma era stata concepita solo per le operazioni intercorrenti con imprese localizzate in paradisi fiscali, con il D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 (convertito in legge 24 novembre 2006, n. 286) la sua applicazione è stata estesa anche alle prestazioni di servizi rese dai professionisti domiciliati in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati (art. 110, comma 12 bis, del Tuir). In questo modo le operazioni rilevanti possono essere realizzate anche con privati o lavoratori autonomi612.

La disposizione oggetto di esame si fonda sulla presunzione che le imprese situate in paradisi fiscali siano state create dal contribuente italiano per spostare materia imponibile. Detta presunzione può essere superata dal contribuente fornendo la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva613, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad

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Art. 110, comma 10 del Tuir, stabilisce infatti che “Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell'articolo 168-bis. Tale deduzione è ammessa per le operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Stati dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto”.

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IANNACONE A., La dimostrazione della “prima circostanza esimente” per disapplicare la

normativa CFC e l’art. 110, comma 10 del Tuir: è giustificata un assimilazione delle due norme e quale importanza hanno le interrelazioni dei soggetti non residenti con il “mercato locale” del Paese estero?, in Riv. dir. trib., 2009, 7/8, pag. 128.

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TOSI L. – BAGGIO R., Lineamenti di diritto tributario internazionale, op. cit., pagg. 57 ss.. 613

“Mentre l’art. 167, comma 5, lett. a) del Tuir richiede lo svolgimento di un’effettiva attività

industriale o commerciale nello Stato o nel territorio nel quale ha sede” osserva IANNACONE A., La dimostrazione della “prima circostanza esimente” per disapplicare la normativa CFC e l’art.

un effettivo ed apprezzabile interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.

Le due condizioni sono alternative, sicché è sufficiente che il contribuente dimostri al sussistenza di una sola di esse, per poter dedurre il costo sostenuto614.

L'Amministrazione, prima di procedere all'emissione dell'avviso di accertamento d'imposta o di maggiore imposta, deve notificare all'interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette615.

Qualora l’amministrazione non le ritenga sufficienti dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento. In tal caso si configura una tipica ipotesi di contraddittorio anticipato.

Inizialmente, inoltre, la possibilità di dedurre le spese e gli altri componenti di redditi era subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi importi dedotti. In questo modo l’Amministrazione finanziaria era in grado di individuare in maniera immediata i contribuenti che intrattenevano rapporti con soggetti domiciliati in paradisi fiscali.

Con la legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) tale previsione è stata modificata. E’ stato mantenuto l’obbligo di indicare separatamente, ma il mancato adempimento non è più sanzionato con l’automatica indeducibilità del costo, ma, ai sensi dell’art. 8, comma 3°, del D.lgs. n. 471/1997

110, comma 10 del Tuir: è giustificata un assimilazione delle due norme e quale importanza hanno le interrelazioni dei soggetti non residenti con il “mercato locale” del Paese estero?, in Riv. dir. trib., 2009, 7/8, pag. 121, inoltre l’Autore rileva che, contrariamente a quanto più volte affermato

dall’Amministrazione finanziaria nelle Circolari del 29 gennaio 2009, n. 1/E e del 23 maggio 2003, n. 29/E, le espressioni usate negli artt. 167 e 110 non coincidono. “In primo luogo è differente il

dato letterale. La prima circostanza esimente dell’art. 110, comma 11 del Tuir è infatti soddisfatta allorché l’impresa estera svolga “prevalentemente un’attività commerciale effettiva”. La disposizione si riferisce esclusivamente ad un’attività commerciale, concetto che in dottrina è giudicato più ampio rispetto alla locuzione “industriale o commerciale”, tale da abbracciare non solo ogni attività inclusa nell’art. 2195 c.c. e considerata dal nostro ordinamento come commerciale, ma anche ogni attività che ha ad oggetto l’esercizio di un’impresa commerciale così come definita dall’art. 55 del Tuir” (pagg. 126-127).

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TOSI L. – BAGGIO R., Lineamenti di diritto tributario internazionale, op. cit., pag. 58. 615

l’omissione o l’inesattezza dell’indicazione delle spese e degli altri componenti comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa “pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati” in dichiarazione “con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000”.

Infine, l’art. 110, al comma 12, espressamente esclude l’applicabilità della medesima nei confronti di operazioni intercorse con soggetti non residenti cui risultino applicabili gli artt. 167 e 168 del Tuir.