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L’indennità di esproprio e i criteri per la sua

3 La reiterazione dei vincol

4- L’indennità di esproprio e i criteri per la sua

determinazione.

La Costituzione al III comma dell’art. 42 stabilisce, a garanzia del soggetto espropriato, l’obbligo per l’amministrazione di indennizzare la perdita del diritto secondo i criteri stabiliti dalla legge (riserva di legge).

Sulla individuazione di tali criteri si è aperta una lunga diatriba tra potere legislativo, giurisprudenza e dottrina. Infatti il III comma dell’art. 42 Cost. non fornisce alcuna esplicita indicazione in proposito, rinviando al legislatore ordinario il compito di stabilire, nell’ambito dei principi desumibili dalla Costituzione, le regole in base alle quali determinare l’entità dell’indennizzo.

Per quanto riguarda l’evoluzione legislativa in tema di indennizzo il punto di partenza è rappresentato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, dalla quale emerge pienamente la concezione della proprietà tipica dello stato liberale, disponendo che doveva essere liquidato ai privati il giusto prezzo che il bene immobile avrebbe avuto “in una libera contrattazione di compravendita” (criterio del valore venale o del pieno ristoro).

A tale criterio furono poi introdotti alcuni correttivi dalla L. 15 gennaio 1885, n. 2892 (c.d. legge Napoli), finalizzati a temperare il valore di mercato dell’immobile ponendolo in rapporto con i “fitti

coacervati dell’ultimo decennio o con l’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e su fabbricati” ricavandone una media.

Successivamente, la L. 22 ottobre 1971, n. 865, espressione della concezione “sociale” dello stato, determinò un radicale mutamento del criterio d’indennizzo. Infatti venne fissato un valore medio legale, del tutto indipendente dal valore di mercato dell’immobile, ma ricavato dal valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura in atto nella regione agraria in cui ricadeva l’immobile stesso (criterio del valore agricolo).

Tale criterio fu dichiarato illegittimo dalla Consulta con la sent. Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 5112 dalla quale emersero importanti principi.

In particolare, secondo la Consulta, la destinazione economica dei beni immobili non può essere stabilita dai piani urbanistici, essendo connaturata con le caratteristiche oggettive dei beni stessi. Ad esempio un’area posta all’interno di un centro urbano,

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Sent. Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 5, punto 5: “Come è stato sopra rilevato,

perchè l'indennità di espropriazione possa ritenersi conforme al precetto costituzionale, è necessario che la misura di essa sia riferita al valore del bene, determinato dalle sue caratteristiche essenziali e dalla destinazione economica perchè solo in tal modo l'indennità stessa può costituire un serio ristoro per l'espropriato. E' palese la violazione di tale principio ove, per la determinazione dell'indennità, non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso. E proprio quanto avviene nella materia in disamina perchè il criterio del valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regione agraria interessata, adottato per la determinazione dell'indennità di esproprio dall'art. 16 della legge n. 865 del 1971 come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, non facendo specifico riferimento al bene da espropriare ed al valore di esso secondo la sua destinazione economica, introduce un elemento di valutazione del tutto astratto, che porta inevitabilmente, per i terreni destinati ad insediamenti edilizi che non hanno alcuna relazione con le colture praticate nella zona, alla liquidazione di indennizzi sperequati rispetto al valore dell'area da espropriare, con palese violazione del diritto a quell'adeguato ristoro che la norma costituzionale assicura all'espropriato”.

in zone già interessate da intenso sviluppo edilizio, ha di per sé vocazione edificatoria. Il proprietario ha, dunque, un’aspettativa di utilità economica non rapportabile al valore agrario del terreno, né determinabile in astratto attraverso le previsioni dei piani urbanistici, ma alla sua suscettività edificatoria. Ne consegue, evidentemente, che il criterio del valore agricolo è irragionevole e produce situazioni di disuguaglianza fra i proprietari.

In questa pronuncia la Corte ha anche stabilito il principio, diretto al legislatore, secondo cui in tema di indennizzo occorre effettuare un bilanciamento tra l’interesse generale ed il pregiudizio che subisce il privato. Quindi l’indennizzo non può ridursi ad un valore meramente simbolico, ma deve invece tendere a garantire un “serio ristoro” della perdita subita dal proprietario.

Dopo un periodo di vuoto normativo causato dalla sent. 5/1980 venne promulgata la legge 8 agosto 1992, n. 359 che all’art. 5 bis stabiliva che ai fini dell’indennizzo per l’espropriazione di aree “urbane” dovevano essere prese in considerazione “le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio”. Inoltre veniva fissato un nuovo criterio di computo dell’indennizzo per le aree edificabili, pari all’importo, diviso per due e ridotto nella misura del quaranta per cento, pari alla somma del valore venale del bene e del reddito dominicale netto, rivalutato ai sensi degli artt. 24 e ss. del

Dlgs 22 dicembre 1986, n. 917 (imposte sui redditi delle persone fisiche), e moltiplicato per dieci113.

La disciplina prevista all’art. 5 bis suscitò subito forti dubbi di costituzionalità sull’inadeguatezza del nuovo criterio indennitario, estremamente restrittivo per i privati espropriati. Infatti venne sottoposta ad un primo vaglio di legittimità della Consulta, sulla base della presunta violazione dell’art. 42 Cost. Tuttavia, in questa prima occasione, il giudice delle leggi con la sent. Corte cost. 16 giugno 1993, n. 283 ritenne infondata la questione, sia in ragione della temporaneità e contingenza della normativa censurata, sia perché il criterio di calcolo dell’indennizzo considerava comunque come parametro di riferimento il valore venale del bene, salva poi l’applicazione di coefficienti atti a ridurre anche notevolmente il risultato finale.

Diversa è la posizione via via maturata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ebbe modo di pronunciarsi più volte su questioni inerenti l’espropriazione per pubblica utilità, delineando una nozione di proprietà autonoma rispetto agli ordinamenti nazionali, ed utilizzando come parametro di riferimento l’art. 1 del Primo protocollo addizionale114 alla Convenzione Europea dei Diritti

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Invece per le aree agricole e per quelle non classificabili come edificabili veniva

confermato il criterio del valore agricolo medio ex art. 16 della legge n. 865/1971.

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Art. 1, Protocollo addizionale alla CEDU: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano

dell’Uomo (CEDU), che inserisce il diritto di proprietà tra i diritti fondamentali.

Peraltro la Corte di Strasburgo ha condannato più volte l’Italia proprio per l’incongruità degli indennizzi espropriativi previsti dalla legge n. 359/1992, come nella nota decisione del 29 luglio 2004 “caso Scordino” nella quale i giudici comunitari riscontrarono una violazione della CEDU relativamente all’esiguità del criterio di indennizzo introdotto dall’art 5 bis. Infatti tale criterio indennitario risultava pari ad un valore notevolmente inferiore a quello di mercato del bene espropriato compromettendo, perciò, il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, con violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU115.

Pertanto, anche in assenza di una specifica disposizione dell’obbligo di indennizzo nell’articolato della CEDU, la CorteEDU è giunta ad affermare il principio della necessità di un rapporto ragionevole tra indennità di esproprio e valore venale dei beni espropriati.

Successivamente, l’orientamento della CorteEDU viene accolto anche dalla Consulta, infatti con la sent. Corte Cost. 24

pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.

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BENTAZZO. Indennità di espropriazione, edificabilità legale e vincoli urbanistici, nella giurisprudenza comunitaria e nazionale, in rivista giuridica di urbanistica 2011, 363

giugno 2007, n. 348 è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 5 bis della L. 359/1992 in relazione all’art. 117 Cost. che prevede l’obbligo per la legislazione statale e regionale del rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, tra cui rilevano in questo caso le disposizioni CEDU sulla tutela della proprietà come diritto fondamentale (Art. 1, Protocollo addizionale alla CEDU)116.

In forza della posizione espressa dalla Corte di Strasburgo la Consulta ha, quindi, dichiarato l’illegittimità della suddetta disposizione, perché garantiva un indennizzo che nella realtà, si attestava tra il cinquanta ed il trenta percento del valore di mercato del bene espropriato, e dunque incongruente con il rapporto di

“ragionevole legame” con il valore venale, prescritto dalla giurisprudenza CorteEDU, e del “serio ristoro” richiesto dalla giurisprudenza della Consulta.

Tale pronuncia di illegittimità costituzionale determinò una lacuna normativa che ha spinto il legislatore, con l’art. 2 della L. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), a fissare un nuovo criterio di indennizzo per l’esproprio di aree edificabili, in

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Sent. Corte Cost. 24 giugno 2007, n. 348, punto 4: “La questione, così come

proposta dal giudice rimettente, si incentra sul presunto contrasto tra la norma censurata e l'art. 1 del primo Protocollo della CEDU, quale interpretato dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, in quanto i criteri di calcolo per determinare l'indennizzo dovuto ai proprietari di aree edificabili espropriate per motivi di pubblico interesse condurrebbero alla corresponsione di somme non congruamente proporzionate al valore dei beni oggetto di ablazione(…)L'art. 117, primo comma, Cost. condiziona l'esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla Convenzione europea per i diritti dell'uomo”.

linea con l’orientamento comunitario, commisurato al valore venale del bene, salvo se l’espropriazione sia finalizzata ad attuare interveti di riforma economico sociale ed allora l’indennità è ridotta del 25%. Tale indennità è aumentata del 10% quando sia stato concluso un accordo di cessione, ovvero qualora tale accordo non sia stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato, oppure ancora perché il valore attualizzato dell’indennità offerta sia inferiore agli otto decimi di quella definitiva117.

Altro problema che concerne la determinazione dell’obbligazione indennitaria e che interseca il problema dei vincoli urbanistici è quello della valutazione dell’edificabilità del terreno per l’applicazione dei criteri previsti dall’ art. 37, comma III-VII del T.U. Espropri.

Il problema è stabilire quando un terreno possa considerarsi edificabile, a tal fine sono stati elaborati due criteri interpretativi: quello della c.d. edificabilità di fatto, in base al quale sono edificabili quelle aree effettivamente inserite in un contesto urbanizzato, indipendentemente dalle previsioni degli strumenti urbanistici; quello della c.d. edificabilità legale dove, invece, assume rilievo solamente la destinazione impressa dagli strumenti urbanistici (attraverso la zonizzazione) a prescindere dalle caratteristiche oggettive dell’area.

Ad esempio, in virtù del criterio dell’edificabilità legale, un terreno situato al centro di una città, ma per cui il piano regolatore

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disponga l’inedificabilità dovrebbe essere considerato, ai fini del criterio indennitario, terreno agricolo. Invece, adottando l’opposto criterio dell’edificabilità di fatto, che prende in considerazione le caratteristiche oggettive dell’area, lo stesso terreno dovrebbe essere indennizzato come terreno edificabile in quanto collocato in una zona urbanizzata.

Fino all’introduzione dell’art. 5 bis della L. 359/1992 la Corte Costituzionale propendeva per l’applicazione del criterio dell’edificabilità di fatto118 che aveva come vantaggio quello di attenuare le forti sperequazioni frutto delle scelte discrezionali delle amministrazioni, sottraendo a quest’ultima la quantificazione dell’indennizzo, in quanto a tal fine dovevano essere tenute in considerazione solamente le caratteristiche oggettive dell’area e non le previsioni di piano.

Con l’entrata in vigore dell’art. 5 bis della L. 359/1992 (oggi sostanzialmente trasfuso nell’art. 37, comma III del T.U. Espropri)

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Sent. Corte cost. 30 luglio 1984, n. 231, punto 3: “La questione è appunto

prospettata, in riferimento ai parametri invocati, e sulla traccia di un orientamento giurisprudenziale sancito anche da questa Corte, nel presupposto che il terreno espropriato ha potenzialità edificatoria indipendentemente dalle determinazioni degli strumenti urbanistici: e in base ad un complesso di elementi certi ed obiettivi, relativi all'ubicazione del terreno stesso, alla sua accessibilità, alla presenza di infrastrutture che attestano una concreta attitudine del suolo all'utilizzazione edilizia. Del resto, l'edificabilità, così intesa, può essere desunta, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, oltre che dall'ubicazione dell'area nel centro abitato, dall'esistenza di strade pubbliche, nelle immediate adiacenze, di collegamento con il nucleo urbano, dall'edificazione già iniziata nella zona, dalla presenza di servizi pubblici necessari alla vita cittadina, e da altri analoghi e puntuali elementi di valutazione (…)Questa Corte ha dal canto suo statuito, nella pronunzia n. 5 del 1980, che per le aree destinate all'edificazione, in quanto poste in zone già interessate dallo sviluppo edilizio, deve ritenersi essenziale tale destinazione e di essa occorre tener conto nella determinazione della misura dell'indennità di espropriazione, da rapportare al valore del bene”.

viene prevista ai fini dell’applicazione del corretto criterio indennitario la rigida distinzione fra suoli edificabili e non edificabili, stabilendo che per la valutazione dell’edificabilità delle aree si devono considerare “le possibilità legali ed effettive di

edificazione” (che devono sussistere al momento dell’emanazione del

decreto di esproprio o dell’accordo di cessione).

Tale ambigua espressione suscitò l’affermazione di alcuni diversi orientamenti interpretativi sul suo corretto significato.

In particolare la disputa consisteva nel stabilire se il criterio dell’edificabilità legale e quello dell’edificabilità di fatto dovessero intendersi in senso alternativo o cumulativo, oppure se vi fosse una relazione gerarchica fra di essi.

Le sezioni unite della Cassazione hanno aderito a quest’ultimo orientamento, affermando la prevalenza del criterio dell’edificabilità legale rispetto a quello dell’edificabilità di fatto, ritenendo quest’ultimo un criterio destinato ad operare in via meramente suppletiva e residuale nel caso di assenza di disciplina urbanistica dell’area (ad esempio per mancata adozione del p.r.g o in caso di decadenza di vincoli di inedificabilità) oppure in via complementare integrativa per determinarne l’effettivo valore di mercato incidente sul calcolo dell’indennizzo119.

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Sent. Cass. sez. un. 23 aprile 2001, n. 173. “L’art. 5 bis della L. 359/1992 - il

quale, nell’introdurre nuovi criteri di stima dell’indennizzo espropriativo per le «aree edificabili», ferma lasciando la disciplina liquidatoria della indennità di esproprio delle «aree agricole» già sub lege 1971 n. 865 (artt. 16 ss.), prevede, al comma terzo, al fine della «valutazione della edificabilità delle aree» a tali effetti

Dunque, se gli strumenti urbanistici attribuiscono destinazione edificatoria al fondo, l’indennizzo corrisponde al maggior valore indicato dal mercato immobiliare in conseguenza della possibile utilizzazione edilizia, che naturalmente si incrementa e tiene conto delle costruzioni (non autonome e strumentali) che su di esso insistono.

Se invece il fondo non è considerato legalmente edificabile, l’indennità, nella disciplina previgente andava determinata in base al valore agricolo medio del terreno calcolato con riferimento ai tipi di coltura effettivamente praticati, sia per i suoli agricoli ma anche per quelli non edificabili. Oggi, invece, la Corte costituzionale con la sent. 10 giugno 2011, n. 181 ha stabilito che anche i fondi agricoli o non edificabili devono essere indennizzati con il loro valore di mercato.

Dal T.U. Espropri che, come già accennato recepisce la nozione di edificabilità dell’art. 5 bis, emergono alcuni principi fissati dagli artt. 32 e 37:

rilevante, che «si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento della apposizione del vincolo preordinato all’esproprio» - va interpretato nel senso che un’area va ritenuta «edificabile» quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata (al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo) dagli strumenti urbanistici (nell’«ambito della zonizzazione» del territorio), secondo un criterio di prevalenza od autosufficienza ed edificabilità legale. La c.d. edificabilità «di fatto» rileva, invece, in via suppletiva – in carenza di una regolamentazione legale dell’assetto urbanistico, per mancata adozione, ad esempio, di P.R.G. o per decadenza di vincoli di inedificabilità – ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo”.

- L’edificabilità del fondo ed il suo valore di mercato del bene devono essere valutati al “momento dell’emanazione del

decreto di esproprio o dell’accordo di cessione” (art. 32,

comma I e art. 37, comma III).

- Ai fini della determinazione dell’edificabilità del fondo e del suo valore di mercato non assumono rilevanza i vincoli preordinati all’esproprio (art. 32, comma I).

- L’art. 37, comma IV esclude la natura edificatoria quando “l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta

in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio (esclusi i vincoli preordinati all’esproprio), ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata”.

- L’art. 37, comma III precisa che “in ogni caso si esclude il

Quindi il T.U. Espropri non fa altro che prendere atto dell’orientamento della giurisprudenza affermando che prevalgono le possibilità legali su quelle effettive, e dunque l’edificabilità o meno di un fondo è correlata alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed in particolare alla distinzione fra vincoli conformativi ed espropriativi.

Tuttavia, è possibile notare, che ai fini indennitari, la distinzione fra aree edificabili e non edificabili non assume più la rilevanza che aveva in passato. Infatti l'indennità di espropriazione, dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 348/2007 (relativa ai terreni edificabili) e 181/2011 (relativa ai terreni agricoli o comunque insuscettibili di classificazione edificatoria), deve commisurarsi al valore di mercato, e sulla formazione di tale valore incide fortemente anche la semplice "vocazione edificatoria" determinata dalle obiettive caratteristiche geomorfologiche e posizionali dei terreni (giacitura, vicinanza al centro urbano, presenza dei servizi pubblici e delle infrastrutture essenziali quali reti stradali, idriche, fognarie, elettriche, ecc.), a prescindere dalle scelte urbanistiche del momento120.

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TRAINA, Lo jus aedificandi può ancora ritenersi connaturale al diritto

Conclusioni

Concludendo si rileva che il tradizionale modello pianificatorio basato sulla zonizzazione e localizzazione, caratterizzato da un’eccessiva discrezionalità della pubblica amministrazione e dalla tendenza della giurisprudenza amministrativa ed ordinaria a restringere l’ambito dei vincoli espropriativi indennizzabili, genera inevitabilmente delle disuguaglianze dando luogo ad “un’ingiustizia fondiaria” fra coloro le cui proprietà sono destinate a rimanere inedificate, e coloro a cui il piano attribuisce le possibilità di costruire, influenzando considerevolmente il valore dei suoli. Inoltre, per quanto riguarda il sistema di realizzazione infrastrutturale di opere pubbliche comunali, da tempo è entrato in crisi il modello che prevede in sequenza la seguente dinamica: Previsione di opera pubblica con relativo vincolo; realizzazione dell’esproprio con indennizzo della proprietà; gara di appalto; affidamento dei lavori e realizzazione dell’opera pubblica. Questo in relazione al fatto che tale dinamica grava fortemente in termini economici sull’erario pubblico, sempre più carente di risorse, per le alte indennità di esproprio a valore venale e per i costi di indennizzo nella reiterazione dei vincoli.

Queste problematiche hanno spinto gli urbanisti ad elaborare nuove tecniche di perequazione e compensazione in grado di garantire l’imparzialità delle scelte pianificatorie, la parità di

trattamento dei proprietari, il coinvolgimento dei privati nelle decisioni di assetto del territorio.

La perequazione può definirsi come una tecnica pianificatoria nella quale si realizza l’equa distribuzione dei vantaggi e dei costi prodotti dalla pianificazione. Trattasi, in sostanza, dell’affermazione del principio di rendere paritario il valore dei vari terreni rispetto al potere pianificatorio e si traduce nella ricerca di meccanismi in grado di contrastare la sostanziale ingiustizia esistente nella diversità di valore fra terreni edificabili e terreni aventi le stesse condizioni ma soggetti a vincoli di inedificabilità perché destinati a fini pubblici mediante esproprio.

La compensazione, invece, costituisce un’alternativa al pagamento monetario dell’indennizzo e consiste nella tecnica pianificatoria che individua la controprestazione dovuta al privato per la cessione di terreni in beni diversi, attraverso la cessione di

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