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La Corte costituzionale, con la sentenza 29 maggio 1968, n. 55 ha dichiarato incostituzionali i nn. 2, 3 e 4 dell’art. 7 e l’art. 40 della legge urbanistica del ’42, in quanto comportanti il primo la costituzione di vincoli di in edificabilità a tempo indeterminato (quale è la durata dei piani regolatori) con conseguenze sostanziali pari all’espropriazione del diritto di edificare, e il secondo la non indennizzabilità dei vincoli stessi.

Tale pronuncia spinse il legislatore ad emanare la l. 19 novembre 1968, n. 1187 (c.d. legge “tampone”)89 che stabiliva all’art. 2 che le “prescrizioni di piano regolatore generale, nella

parte in cui incidono su determinati beni, assoggettando i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione o a vincoli che comportino l’inedificabilità perdono efficacia qualora, entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale, non siano approvati i relativi piani particolareggiati o autorizzati i piani di lottizzazione convenzionata.

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Tale legge fu denominata “tappo”o “tampone” proprio perchè doveva avere

carattere transitorio in attesa di una nuova legge urbanistica che non fu mai emanata. Tuttavia ebbe modo di introdurre il principio della temporaneità dei vincoli come alternativa all’obbligo della corresponsione dell’indennizzo.

L’efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione”90.

Sulla base di tale norma, e preso atto che i piani particolareggiati di attuazione hanno una durata di dieci anni, i vincoli in questione, e in particolare quelli procedimentali, potevano arrivare ad avere un’efficacia massima di quindici anni.

Successivamente alla legge 1187 seguirono altri interventi normativi finalizzati a prorogare la durata dei vincoli (L. 30 novembre 1973, n. 756, il D.L. 29 novembre 1975, n. 562 ed il D.L. 26 novembre 1976, n. 781) fino a giungere all’emanazione della L. 28 gennaio 1977, n. 10 (c.d. legge Bucalossi) che aveva come intento quello di mutare il regime dei suoli scorporando il diritto di edificare dal diritto di proprietà per poi trasferirlo in capo alle amministrazioni, eliminando il problema della durata e dell’indennizzo (ciò avrebbe comportato la legittimità di vincoli a tempo indeterminato senza indennizzo). Però tale impostazione fu dichiarata incostituzionale dalla Consulta in più sentenze (sent. 30 gennaio 1980, n. 5; sent. 12 maggio 1982, n. 92) che di fatto attribuirono nuovamente vigenza alla legge 1187 e quindi alla durata quinquennale dei vincoli.

L’art. 2 della legge 1187 del 1968 è stato poi abrogato dal T.U. Espropri (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) che attualmente all’art.

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9, comma II afferma che “il vincolo preordinato all’esproprio ha la

durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera”91.

Dunque, a differenza della disciplina previgente, la scadenza del vincolo non è più subordinata alla mancata approvazione del piano particolareggiato o del piano di lottizzazione convenzionato entro i cinque anni di durata del vincolo stesso, ciò che adesso assume rilievo è la dichiarazione di pubblica utilità92 dell’opera.

Inoltre si può notare che tale articolo cita espressamente soltanto i vincoli localizzativi, ciò ha ingenerato dei dubbi sull’applicabilità del termine quinquennale anche ai vincoli sostanzialmente espropriativi. Tuttavia la dottrina è concorde nel ritenere che la norma deve essere estesa anche a quest’ultima categoria di vincoli in quanto il successivo art. 39 richiama espressamente anche la categoria dei vincoli sostanzialmente espropriativi.

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Art. 9, comma II, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.

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L’art. 12, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 stabilisce che la dichiarazione di pubblica utilità può derivare dall'approvazione del progetto definitivo di un'opera pubblica, dell'approvazione del piano particolareggiato, del piano di lottizzazione, del piano di recupero, del piano di ricostruzione, del piano della zona. Ove, poi, l'approvazione dell'atto che comporti la dichiarazione di pubblica utilità non si fondi su un precedente vincolo preordinato all'espropriazione, esso diverrà efficace dal momento in cui acquisterà efficacia il vincolo con l'approvazione del relativo strumento urbanistico. La dichiarazione di pubblica utilità costituisce un subprocedimento nell'ambito del procedimento di espropriazione ed è autonomamente impugnabile in quanto produce un immediato effetto lesivo.

Quindi il T.U. Espropri riafferma il principio della temporaneità dei vincoli. Tale principio evita che il bene del privato venga a trovarsi in una situazione di incertezza, in quanto garantisce la certezza dei termini dello svolgimento della procedura espropriativa. Inoltre questo principio è in linea con quanto affermato dalla Consulta nella sentenza n. 179 del 1999 nella quale viene stabilito che non è dovuto alcun indennizzo per quelle prescrizioni che abbiano una ragionevole durata tale da rientrare nella c.d. “normale tollerabilità”.

Pertanto dal T.U. Espropri si ricava che i vincoli localizzativi hanno normalmente durata quinquennale, però se la P.A. provvede all’approvazione del piano attuativo l’efficacia del vincolo può estendersi, senza l’obbligo d’indennizzo, fino a quindici anni.

Infatti, si possono distinguere tre casi:

- Se il vincolo è previsto da una prescrizione di PRG il periodo di franchigia è di cinque anni.

- Se il vincolo è previsto da un piano attuativo il periodo di franchigia è di dieci anni (perché i piani attuativi hanno durata decennale).

- Se il vincolo deriva da una prescrizione di PRG in seguito attuata con un piano attuativo il periodo di franchigia si estende fino a quindici anni.

Per quanto riguarda gli effetti che derivano dalla scadenza del vincolo, si ritiene che si verifichi un vero e proprio vuoto nella disciplina urbanistica, infatti la scadenza del vincolo produce effetti ex nunc e non ex tunc, perciò la disciplina previgente non può essere ripristinata.

Ciò ingenerò dei dubbi in dottrina e in giurisprudenza, perché non era chiaro se da tale momento le aree interessate dovevano essere considerate a libera edificabilità oppure assoggettate alla disciplina prevista dall’art. 4 comma VIII, L. 28 gennaio 1977, n. 10 (oggi sostituita dall’art. art. 9, comma IV, T.U. Edilizia) per i comuni sprovvisti di piano regolatore o programma di fabbricazione.

Prevalse il secondo orientamento, infatti, l’attuale art. 9 comma III, T.U. Espropri93 prevede che in caso di inutile decorso del termine quinquennale del vincolo si applica la disciplina delle c.d. “zone bianche” (cioè quelle aree prive di pianificazione) prevista all’art. 9, comma IV, T.U. Edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n.380).

Tale norma prevede i c.d. “standards ope legis” che regolano l’attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica, consentendo limitate facoltà edificatorie, che le regioni peraltro possono anche eventualmente ridurre:

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Art. 9 comma III, T.U. Espropri: “Se non è tempestivamente dichiarata la

pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’articolo 9 del testo unico in materia edilizia”.

a) Fuori dal perimetro dei centri abitati, oltre agli interventi conservativi, è riconosciuta una facoltà edificatoria minima non superiore a 0,03 mc per mq.

b) Dentro i centri abitati sono consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria e straordinaria.

c) Le superfici coperte degli edifici o dei complessi produttivi, non possono superare un decimo dell’area di proprietà.

Inoltre in seguito alla decadenza del vincolo, sorge uno specifico obbligo per il Comune di colmare il vuoto di pianificazione venutosi a creare disciplinando nuovamente l’utilizzo urbanistico- edilizio delle aree rimaste prive di disciplina (c.d. ritipizzazione); l’amministrazione può adempiere tale obbligo attraverso una diversa regolamentazione dell’area mediante l’approvazione di una variante generale o specifica allo strumento urbanistico94.

In questi casi, in capo al privato, si configura un vero e proprio interesse legittimo pretensivo alla riqualificazione dell’area, infatti, in mancanza dell’adempimento a tale obbligo il privato può promuovere l’intervento sostitutivo regionale oppure agire in via giurisdizionale secondo il procedimento del silenzio rifiuto95.

94

La scelta del tipo destinazione da attribuire a quella zona spetta alla P.A. in

quanto è frutto di una scelta discrezionale.

95

Queste facoltà sono state ribadite anche dal Consiglio di Stato. Sent. Cons.

Stato, sez IV, 28 gennaio 2002, n. 456: “In caso di inerzia del comune(…) il privato che vi abbia interesse, può promuovere gli interventi sostitutivi della

Per di più la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “il

semplice avvio del procedimento non costituisce adempimento da parte del Comune dell’obbligo di attribuire la riqualificazione urbanistica della zona rimasta priva di specifica disciplina a seguito di decadenza del vincolo di destinazione su di essa gravante; l’adempimento esatto e non elusivo di tale obbligo può essere dato soltanto dallo specifico ed immediato completamento del piano regolatore generale per quella zona”96.

Altra costatazione rilevante sostenuta dalla giurisprudenza è che non vi sia totale equiparazione tra l’ipotesi in cui siano decaduti i vincoli urbanistici e quella in cui il Comune non abbia provveduto a pianificare parte del proprio territorio: difatti è stata ammessa la possibilità di proporre un piano di lottizzazione delle aree con vincoli decaduti sul quale il consiglio comunale ha l’obbligo di esprimersi.

Il Consiglio di Stato ha infatti evidenziato che, sebbene la decadenza del vincolo comporti una situazione del tutto peculiare di area edificabile nei limiti di cui all’art. 9, comma IV, T.U. Edilizia (propri dei comuni privi di strumento urbanistico generale), tale situazione “non risulta equiparabile ad un’area localizzata in un

Comune privo di uno strumento urbanistico generale, essendo

regione oppure agire in via giurisdizionale, seguendo il procedimento del silenzio- rifiuto”.

Inoltre la Cassazione nella sent. 22 luglio 1999, n. 500 ha riconosciuto al privato la possibilità di chiedere anche il risarcimento del danno che gli sia derivato dal ritardo del comune nel provvedere alla riqualificazione dell’area (vedi CASU, “Decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio e danno da ritardo: reiterazioni e riflessi”, in rivista giuridica di urbanistica, 2007, pag 205).

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situata in un area in cui le aree circostanti sono pianificate”; da ciò

si desume la “non applicabilità alle aree in questione del divieto

assoluto di lottizzazione che sussiste invece per i comuni privi di strumento urbanistico e la conseguente possibilità per il Comune di approvare un piano di lottizzazione convenzionata che assuma un carattere di raccordo con le circostanti pianificazioni generali ed attuative”97.

97

Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 1995 in CASU, Decadenza dei vincoli

preordinati all’esproprio e danno da ritardo: reiterazioni e riflessi, in rivista giuridica di urbanistica, 2007, pag 181.

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