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1. La situazione attuale: la prassi del dissenso interno

1.1 L’influenza politica presso la Corte costituzionale

Si è osservato come la Consulta abbia negli ultimi anni preferito creare una <<rete protettiva>> che impedisce la conoscenza all’esterno del disaccordo interno. Preme chiedersi, a questo punto, se i rapporti tra la Corte costituzionale e il sistema politico siano tali da scoraggiare l’introduzione del dissent o se invece quest’istituto possa fare ingresso in futuro anche nel nostro ordinamento186. Il problema che preme maggiormente, in questo particolare momento storico caratterizzato da un sistema politico estremamente in crisi, è dato dalla preoccupazione che la pubblicità delle opinioni dissenzienti costituisca un fattore di aggravamento delle tensioni tra le diverse forze politiche. Le opinioni dissenzienti, cioè, svelando la natura profondamente politica di alcune questioni, finirebbero per alimentare gli scontri tra la Corte costituzionale e la maggioranza di governo. Ma, posto che le forze politiche minoritarie possano servirsi delle opinioni dissenzienti per riconoscersi nelle posizioni espresse dai componenti della corte, ciò non significa che i giudici debbano ritenersi dei meri portavoce dei partiti. Da questo punto di vista, non stupisce che un giudice come Ugo Spagnoli, eletto sulla base della convenzione che assegnava un giudice costituzionale al partito comunista, sia stato protagonista di uno dei primi episodi di discrepanza

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A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 503

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tra relatore e redattore e che egli sia stato convintamente favorevole all’introduzione del dissent187.

Si può certo pensare che una società ed una sfera partitica altamente frammentate come quelle italiane, siano inclini a riversare le rispettive divisioni sulla sfera istituzionale, e che la Corte costituzionale non ne sarebbe immune. Cassese, nel suo Diario delinea alcune linee di frattura: accanto alla contrapposizione tra giudici vicini al centro-destra e giudici vicini al centro-sinistra, forse ancor più rilevanti sembrano le contrapposizioni tra cattolici e laici, tra progressisti e conservatori, tra sovranisti ed europeisti. E, tuttavia, divaricazioni siffatte non sono sovrapponibili le une con le altre e sarebbe sbagliato immaginare che nella Corte italiana esistano blocchi di giudici e di voti precostituiti188. Di fronte ad un ambiente politico fortemente conflittuale, in cui si sono registrati scontri anche tra una parte politica e la Corte, la finzione dell’unanimità della decisione è stata considerata la migliore precauzione che si potesse adottare contro la temuta delegittimazione che deriverebbe dalla pubblicazione delle opinioni dissenzienti. È tuttavia da constatare che, più di una volta, siano comunque circolate, attraverso i giornali, notizie circa spaccature interne alla Corte e generiche allusioni al comportamento dei singoli giudici. Per fare un esempio, in occasione della dichiarazione di incostituzionalità di due leggi, note come lodo Schifani e lodo Alfano, i quotidiani hanno pubblicato indiscrezioni in merito ai rapporti di voto all’interno della Corte (10:5 e 9:6) e l’allora maggioranza al governo, si servì di queste informazioni per attaccare pubblicamente la Consulta. In questi casi, sarebbe forse stato un punto a favore della Corte la pubblicazione di quelle posizioni divergenti dalla volontà della maggioranza. La tutela dell’integrità del processo

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A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 505

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Cassese, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, Bologna, il Mulino 2015, 55, 58, 139,144

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decisionale, più che dal rifiuto di rendere pubbliche le opinioni dissenzienti, potrebbe meglio essere assicurata dagli istituti dell’astensione e della ricusazione e da un loro uso accorto189. Inoltre, bisogna tenere presente che l’oggetto e il modo di esprimere i dissensi, sono suscettibili di graduazioni: l’esperienza degli altri ordinamenti dimostra che, nell’ambito di un gruppo di giudici dissenzienti, solo pochi si pongono su posizioni estreme o coincidenti perfettamente con quelle dei partiti che li hanno designati, mentre l’insieme delle altre opinioni produce un effetto complessivo di temperamento. D’altronde, la cultura democratica e pluralistica della società non si esaurisce nei rapporti di forza tra i partiti e, anzi, riguarda inevitabilmente anche la Corte costituzionale che, tuttavia, gode di particolari garanzie di indipendenza. Il <<ruolo di notevole rilevanza politica>> svolto, nel corso della sua storia, dalla Corte costituzionale, non può certamente essere negato. Ciò non significa, però, che essa sia <<entrata a far parte del sistema politico>>, avendo al contrario costantemente <<evitato di schierarsi nel gioco delle forze politiche>>. Ciò le è stato possibile proprio attraverso le garanzie costituzionali di indipendenza e l’autocomprensione dei giudici nel senso di un rafforzamento di tali garanzie, la cui importanza è evidente190.

Ora, sebbene l’uso delle opinioni dissenzienti possa richiamare l’attenzione, specie in alcune controversie più sensibili, sul rapporto dei giudici con il sistema politico-partitico, non si possono trarre, dalla struttura di quest’ultimo, argomenti univoci nel senso di spingere a rimuovere o a vietare il dissent, sulla base di un effetto delegittimante che ne deriverebbe per la Corte costituzionale. La conferma in tal senso si può rinvenire nelle esperienze degli Stati Uniti e della Spagna, dove, pur

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essendo alta la conflittualità tra partiti, le opinioni dissenzienti non sembrano avere creato problemi strutturali.

Inoltre, nulla esclude che, in casi avvertiti come particolarmente delicati dal punto di vista politico, siano gli stessi giudici costituzionali a ricercare il massimo consenso per rafforzare la posizione della Corte, a fronte di possibili attacchi da parte di determinate forze politiche o delle istituzioni maggioritarie. Anche Calamandrei, sostenitore del dissent, aveva caldeggiato una soluzione di questo tipo <<in certe controversie politicamente difficili in cui si tratta di andare contro il potere esecutivo o contro gli interessi del partito dominante>> poiché un esito unanime avrebbe accresciuto il <<coraggio>> dei singoli giudici (e del collegio nel suo insieme) nel <<sottrarsi alla pesante autorità del conformismo>>191. Calamandrei parlava con la mente rivolta al regime fascista, ribadendo riflessioni che aveva portato avanti negli anni trenta. E, tuttavia, la sua proposta complessiva, che contempla la pubblicità dell’opinione dissenziente, insieme ad un rafforzamento eventuale e spontaneo del consenso, nei casi politicamente più controversi, offre ancora oggi significativi spunti di riflessione. Se un giurista come lui, che aveva vissuto durante un regime autoritario, auspicava nel dopoguerra la pubblicità del dissenso giudiziale, le sue parole meritano di essere considerate a maggior ragione nel contesto attuale che, per quanto instabile, fragile e frammentato, resta pur sempre democratico.

Sembra comunque poco probabile che, nell’immediato futuro, l’introduzione del dissent possa avvenire, soprattutto tramite una decisione della maggioranza dei giudici costituzionali, alla luce dei più recenti rifiuti della Corte di introdurlo a livello regolamentare e della costante riaffermazione, da parte dei suoi Presidenti, dell’equivalenza tra collegialità e unanimità.

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