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2. Le conseguenze sul ruolo e sul funzionamento della Corte

2.1 I riflessi sul Presidente della Corte

Accanto ai riflessi sui singoli giudici, è importante considerare il rapporto che può venirsi a creare tra opinione dissenziente e la principale articolazione interna al collegio rappresentata dalla figura del Presidente della Corte. La previsione del dissent avrebbe senz’altro dei riflessi sulle

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C.P.Banks, The Supreme Court and precedent: an analysis of natural courts and reversal trends, 75 Judicature, 262 (1992)

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sue principali attribuzioni, ma la questione forse più interessante riguarda la possibilità di far uso, lui stesso, delle facoltà riconosciute a ciascun membro dall’eventuale introduzione della pubblicità delle opinioni dissenzienti.

Una delle attribuzioni presidenziali più significative è la nomina del giudice relatore, che contribuisce ad un primo, importante inquadramento delle varie questioni da affrontare, potendo condizionare non soltanto il momento della discussione, ma anche quello della deliberazione da parte del collegio. Il giudice relatore ha il compito di esporre le questioni della causa ed esprime per primo il voto, una volta conclusa la discussione; il vecchio testo delle Norme Integrative, a questo punto, prevedeva che la Corte nominasse il giudice per la redazione dell’ordinanza o della sentenza, il cui testo veniva in definitiva approvato dal collegio in camera di consiglio. Tuttavia nella prassi, le due articolazioni interne del giudice relatore e del giudice redattore finivano, normalmente, per coincidere nella stessa persona, anche quando il relatore fosse rimasto in minoranza nella deliberazione ed anzi, i casi in cui non vi era coincidenza venivano solitamente considerati sintomatici di <<un’impropria dissenting opinion>>195. Le nuove Norme Integrative196

prevedono invece che <<la redazione delle sentenze e delle ordinanze è affidata al relatore, salvo che, per indisponibilità o per altro motivo, sia affidata dal Presidente ad altro o a più giudici>> (art. 17, quarto comma). È stato quindi sancito normativamente l’automatismo relatore – redattore. In questo meccanismo, l’introduzione dell’istituto dell’opinione dissenziente, non pare porre problemi in ordine alla nomina presidenziale del giudice relatore, ai compiti ad esso affidati in sede di discussione della causa e alla disposizione che lo vede primo tra i giudici

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E. Rossi, Relatore, redattore e collegio nel processo costituzionale, in P. Costanzo,

L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, Atti del convegno, Imperia, 12-13 Maggio 1995, Torino, 1996, 349

196

Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, Gazzetta Ufficiale 7 novembre 2008, n. 261

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ad esprimere il proprio voto; con riguardo, invece, al compito di redigere il provvedimento definitivo, sembra necessaria un’ armonizzazione delle regole procedurali con l’eventuale innovazione. Non a caso, già nella prassi il fenomeno della dissociazione tra relatore e redattore, di cui sopra, ha assunto una dimensione non trascurabile. La dissociazione, sebbene non possa essere tecnicamente considerata un’opinione dissenziente, mancando un’ opportuna argomentazione, rappresenta pur sempre l’ espressione di un “dissenso” considerato nella sua essenza, vale a dire la manifestazione, da parte di un componente del collegio, di una valutazione divergente rispetto all’atto imputabile all’intero organo. Una delle principali caratteristiche del dissent, d’altronde, è quella di essere in grado di ribaltare l’originaria posizione assunta dalla maggioranza della Corte. Se questo è vero e, quindi, la formalizzazione e la circolazione tra i membri del collegio di un progetto di opinione dissenziente, può condurre a rivedere le posizioni iniziali, sembra opportuno affidare il compito di redigere il provvedimento finale ad un giudice diverso da quello nominato come relatore. Allo stesso modo, se l’introduzione dell’opinione dissenziente può contribuire ad un miglioramento in ordine alla linearità e alla compiutezza della motivazione del provvedimento emanato dal Giudice costituzionale, lasciare affidato al giudice relatore il compito di giustificare e argomentare il dispositivo finirebbe verosimilmente per ridurre simili vantaggi. Eppure, in alcuni ordinamenti stranieri, ad esempio quello tedesco, è il giudice relatore che deve redigere il provvedimento, anche laddove egli non concordi con la maggioranza del collegio. Ma su un piano logico e di opportunità rimane comunque preferibile che il compito di redattore della sentenza o dell’ordinanza sia affidato ad uno dei componenti della corte che hanno espresso voto conforme alla decisione. In questo senso era anche orientata la proposta di introduzione dell’art. 18-bis delle Norme Integrative avanzata da Mortati.

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Altra importante attribuzione del Presidente che verrebbe ad essere condizionata dall’introduzione dell’opinione dissenziente è la rappresentanza formale del collegio (art. 22 Reg. gen.) o, più precisamente, quel <<potere di rappresentazione generale degli indirizzi della Corte e di precisazione su singoli aspetti della giurisprudenza>>197 che, per prassi, si è andato sviluppando negli anni. La connessione tra questo profilo e l’opinione dissenziente, si può racchiudere nel seguente quesito: il Presidente, quale rappresentante dell’intero organo, può esprimere critiche o dissensi rispetto alle decisioni assunte dalla maggioranza, ma contrarie alla sua opinione? Il rilievo della funzione di rappresentanza attribuita al Presidente è rapidamente cresciuto, anche sulla scia di più generali dinamiche istituzionali, ed è venuta rafforzandosi, accanto alla funzione di legittimazione democratica dell’operato della Corte, la sua utilizzabilità come strumento di potenziamento degli effetti delle pronunce e, indirettamente, di condizionamento dell’operato degli altri organi costituzionali198. In un simile contesto, l’introduzione dell’opinione dissenziente è stata valutata positivamente ai fini di una considerazione più dialettica dell’esercizio del potere di esternazione. Peraltro, va ricordato, un particolare momento, nel corso della storia della Corte, in cui il mancato riconoscimento della possibilità per i giudici di esprimere le proprie opinioni, determinò una sorta di dissent “di fatto”, con alcuni componenti del collegio che finirono per rendere pubbliche le posizioni da essi assunte su specifiche questioni in modo informale e al di fuori dell’attività della Corte, nel corso di convegni e conferenze, mediante note e articoli, o anche in sede giornalistica199. Il fenomeno non ebbe lunga durata e, anzi, venne a consolidarsi tutt’altra prassi, che affidava al Presidente, in via pressoché

197

G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 87

198

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 231

199

A. Pizzorusso, Intervento, in N. Occhiocupo, La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale, Bologna, il Mulino, 1978, 132 ss

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esclusiva, il potere di esternazione per conto della Corte, a ciò aggiungendosi la maggiore discrezione da parte dei giudici e il loro sempre più marcato riserbo con riguardo alle posizioni da essi assunte sia sulle singole questioni, che sull’attività in generale dell’organo. La prassi del profondo riserbo che si è instaurata con il tempo, non sembra dover subire significativi cambiamenti, laddove ai singoli giudici fosse attribuita la facoltà di manifestare le proprie opinioni dissenzienti. Non parrebbe infatti auspicabile lo sviluppo, in capo ad ogni singolo componente del collegio, di un autonomo potere di esternazione e, a fortiori, di un autonomo potere di rappresentanza (per la stessa natura collegiale dell’organo e per la naturale spettanza di esso al suo Presidente). Diverso si presenta invece il discorso per quanto riguarda la figura del Presidente della Corte. In quanto membro del collegio, infatti, il Presidente potrà dare piena voce alle tesi e alle posizioni da lui sostenute nelle varie questioni attraverso la formalizzazione di proprie opinioni concorrenti o dissenzienti, al pari degli altri giudici; ma in quanto rappresentante dell’organo e, quindi, nell’esercizio delle funzioni di rappresentanza, di indirizzo e di organizzazione dei lavori, si impone un più accentuato distacco dalle opinioni personali e, per quanto possibile, assoluta imparzialità di valutazione. Proprio la presenza e la conoscibilità delle opinioni dissenzienti, con la possibilità, per il Presidente, di dar conto della volontà del collegio così come si è effettivamente manifestata, favorirebbe l’imparzialità e l’obiettività del Presidente nell’esercizio delle sue funzioni di rappresentanza.

Se si esaminano le esperienze straniere, sebbene in astratto il presidente del collegio goda della facoltà di esprimere il proprio dissenso, al pari degli altri componenti del collegio, la concreta utilizzazione dell’istituto appare decisamente scarsa. Alla base di questa tendenza, probabilmente, si colloca la consapevolezza, da parte dei diversi presidenti, del ruolo di guida e di equilibrio che caratterizzano la propria posizione.

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Un ulteriore profilo delle attribuzioni presidenziali, che necessiterebbe di una rivisitazione laddove fosse introdotto l’istituto dell’opinione dissenziente, è rappresentato dalla regola della prevalenza del voto presidenziale in caso di parità di voto tra i giudici. La scelta operata circa la prevalenza del voto presidenziale, è stata da più parti criticata, arrivandosi a formulare esplicite riserve sulla sua stessa costituzionalità. Essa rappresenterebbe una deviazione dai principi accolti nel sistema, introducendo un’alterazione sul piano formale dello status dei membri del collegio. In concreto, forse, è difficile che si realizzino i presupposti per l’effettiva applicazione della regola e, in ogni caso, la segretezza della camera di consiglio non consente di conoscere la portata del problema nella prassi. Per quel che qui interessa, bisogna esaminare la compatibilità del dissent con la regola della prevalenza del voto presidenziale. Correlate all’accettazione dell’opinione dissenziente, infatti, si ritrovano l’uguaglianza giuridica e la pari efficacia di tutte le opinioni avanzate. Nel caso di parità di voti e conseguente impossibilità di formare una valida deliberazione, la permanenza di un criterio qualitativo (qual è quello della prevalenza del voto presidenziale), altererebbe la parità di poteri tra i vari componenti e la stessa equivalenza delle opinioni e delle manifestazioni200. Tuttavia, l’alterazione della parità tra i componenti non pare imputabile alla prevalenza del voto presidenziale, bensì alla sfasatura temporale nel voto dei vari giudici e alla conoscibilità, per l’ultimo membro che si esprime, dei voti espressi dagli altri componenti. Quanto alla diversa efficacia tra le opinioni, posto che per una valida deliberazione è necessario il raggiungimento di una maggioranza assoluta, è inevitabile che l’attribuzione di un qualsiasi significato giuridico alla parità dei voti (che non sia la pura e semplice necessità di una nuova deliberazione), comporti una modificazione nella

200

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 237

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equivalenza degli effetti delle due opinioni contrapposte,

indipendentemente da come esse si siano determinate e da chi le abbia sostenute. È dunque da escludersi che l’attuale previsione della prevalenza del voto presidenziale sia incompatibile con l’eventuale introduzione dell’istituto dell’opinione dissenziente.