• Non ci sono risultati.

L'opinione dissenziente dei giudici costituzionali: problematiche aperte sull'introduzione dell'istituto in Italia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'opinione dissenziente dei giudici costituzionali: problematiche aperte sull'introduzione dell'istituto in Italia"

Copied!
160
0
0

Testo completo

(1)

DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

:

L’opinione dissenziente dei giudici costituzionali:

problematiche aperte sull’introduzione dell’istituto in Italia

Il Candidato Il Relatore

Paola Vacirca Chiar.mo Prof. Roberto Romboli

(2)

Si potrebbe ritenere che il dissent comprometta i valori della certezza del

diritto solo a patto di dimenticare che alla certezza (a quella relativa certezza possibile pei rapporti giuridici) si perviene attraverso assaggi e approssimazioni successive; quegli assaggi e quelle approssimazioni che trovano nelle opinioni dissenzienti un efficace strumento di realizzazione”

(3)

SOMMARIO

Pag.

Introduzione 1

I. L’OPINIONE DISSENZIENTE NELLA TRADIZIONE GIURIDICA EUROPEA

1. Nozioni introduttive 3

2. Precedenti storici 6

3. I presupposti dell’opinione dissenziente 17

4. Alcune questioni trasversali 23

II. L’OPINIONE DISSENZIENTE NEI DIVERSI SISTEMI DI GIUSTIZIA COSTITUZIONALE: COMMON LAW E CIVIL LAW A

CONFRONTO

1. La tradizione di common law 33

1.1 Opinione dissenziente nell’esperienza costituzionale

statunitense 34

1.2 Opinione dissenziente nel Regno Unito 42

1.3 Canada: l’importanza dell’opinione dissenziente dei giudici della

Corte Suprema 44

(4)

2. La tradizione di civil law 47

2.1 L’opinione dissenziente in Germania 48

2.1.1 Il dibattito sull’introduzione dell’opinione dissenziente 50

2.2 Il voto particolar in Spagna 53

2.3 Altre esperienze di civil law 56

2.4 L’opinione dissenziente in Francia 57

3. Corti Europee

3.1 Corte Europea dei diritti dell’uomo 60

3.2 Corte di Giustizia dell’Unione europea 62

4. Osservazioni conclusive sul significato dell’opinione dissenziente

nell’ambito della giustizia costituzionale 64

III. L’OPINIONE DISSENZIENTE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

1. Premessa 67

2. Giurisdizione ordinaria. L’ordinamento giudiziario e i caratteri

dell’attività del giudice 68

2.1 Caratteri della pronuncia giudiziale 71

2.2. Art. 16, legge 13 Aprile 1988 n. 117 e relativa questione di

legittimità costituzionale 73

3. Giurisdizione costituzionale 78

3.1. Il dibattito intorno all’introduzione del dissent: la prima fase 81

(5)

3.3 La terza fase: le proposte più recenti e la scelta di mantenere un

fronte compatto verso l’esterno 93

4. Gli argomenti a favore e contro l’introduzione dell’opinione dissenziente:

i contributi della dottrina 97

IV. CONSEGUENZE CHE DERIVEREBBERO DALL’INTRODUZIONE DELL’OPINIONE DISSENZIENTE

1. La situazione attuale: la prassi del dissenso interno 109

1.1 L’influenza politica presso la Corte costituzionale 113

2. Le conseguenze sul ruolo e sul funzionamento della Corte 117

2.1 I riflessi sul Presidente della Corte 120

2.2 I riflessi sulla Corte come organo complessivamente inteso 126 3. Le conseguenze sulla giurisprudenza costituzionale 129

3.1 I riflessi sugli elementi costitutivi della pronuncia 131

3.2 La motivazione e il dispositivo 133

3.3 Gli aspetti formali della decisione: stile, linguaggio e regime di pubblicità 137

4. I riflessi del dissent sul sistema complessivamente inteso: uno sguardo di insieme 140

Conclusioni 144

(6)

1

INTRODUZIONE

Il presente lavoro ha ad oggetto l’istituto dell’opinione dissenziente, con particolare riferimento al suo utilizzo nell’ambito della giustizia costituzionale. Sebbene le sue origini si collochino negli ordinamenti appartenenti alla tradizione di common law, l’istituto trova oggi un’ampia diffusione anche nei paesi tradizionalmente di civil law, nella prospettiva di una valorizzazione delle dinamiche pluralistiche e conflittuali delle democrazie contemporanee. Dall’ esame, svolto all’interno di una cornice comparativa, dei presupposti e dell’evoluzione storica dell’opinione dissenziente, emergerà il carattere trasversale che assume il dibattito circa la presenza o l’assenza dell’istituto nei diversi ordinamenti. Si tratta, infatti, di consentire al componente di un organo giurisdizionale di natura collegiale, di manifestare, in modo formale e conoscibile, il proprio dissenso rispetto alla decisione finale imputabile al collegio. È chiaro, allora, come la scelta presupponga una riflessione su altre importanti questioni teoriche, quali la concezione del ruolo del giudice ed in particolare di quello costituzionale, le diverse teorie dell’interpretazione, il significato e gli effetti attribuiti alla sentenza.

Il dibattito su cui maggiormente si concentrerà l’attenzione è quello che ha riguardato e riguarda l’Italia. L’eventualità di introdurre l’opinione dissenziente a livello di giustizia costituzionale si è di tanto in tanto affacciata, nel nostro Paese, ed è sempre stata accompagnata dall’interessante discussione sugli aspetti positivi o negativi che ne sarebbero derivati. Molti sono stati gli incoraggiamenti da parte della dottrina, a partire già dagli anni sessanta, quando Costantino Mortati si chiedeva se alla migliore funzionalità degli istituti del controllo di costituzionalità non potesse giovare l'adozione del principio della pubblicità, sia del voto dei componenti il collegio giudicante, sia delle motivazioni addotte a sostegno del voto medesimo da quelli fra essi i

(7)

2

quali dissentano dalle opinioni della maggioranza, in ordine o al dispositivo o ai motivi da questa fatti valere.

Dalla approfondita analisi delle proposte di introduzione che si sono susseguite nel corso del tempo e delle diverse posizioni assunte all’interno della dottrina, si cercherà, da un lato, di comprendere le ragioni delle scelte fino a questo momento effettuate circa l’adozione o meno dell’istituto e, dall’altro, di considerare l’attualità di tali ragioni, alla luce del diverso contesto che oggi caratterizza il nostro ordinamento.

(8)

3

CAPITOLO PRIMO

L’OPINIONE DISSENZIENTE NELLA TRADIZIONE

GIURIDICA EUROPEA

1. Nozioni introduttive

L’opinione dissenziente o semplicemente dissent è quell’istituto che consente a ciascun giudice, in disaccordo con la decisione o con l’argomentazione adottata dalla maggioranza del collegio, di redigere una propria opinione separata, dissenziente o concorrente (dissenting o

concurring opinion), la quale si accompagna alla opinion of the Court.

Come già la terminologia utilizzata suggerisce, l’origine dell’istituto si colloca nell’ambito degli ordinamenti di common law ed in particolare risale alle vicende della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo. L’istituto si è progressivamente diffuso in molti altri paesi, anche appartenenti alla tradizione giuridica di

civil law e poche sono ormai le realtà che continuano, come l’Italia, a

prevedere l’osservanza del più assoluto riserbo sulla deliberazione assunta nella camera di consiglio.1

L’opinione dissenziente nella pronuncia giudiziale e la sua previsione come istituto di diritto positivo rappresentano un tema sul quale si è lungamente dibattuto. Negli ordinamenti di stampo continentale, in particolare, la discussione si è sviluppata soprattutto nel corso del XX

1

Malfatti - Panizza - Romboli, Giustizia Costituzionale, Giappichelli editore- Torino 2016, 76

2

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 15

3

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 25

(9)

4

secolo, riguardando, in maniera principale, le corti e i tribunali costituzionali, ampiamente diffusisi a partire dal secondo dopoguerra.2 Appare preliminarmente necessario, ai fini dello studio dell’istituto dell’opinione dissenziente, soffermarsi sul significato del termine dissenso e sui possibili usi dello stesso.

L’ambito semantico del sostantivo “dissenso” risulta, già ad un primo sguardo, estremamente vasto. Etimologicamente esso rinvia all’ assenza di un idem sentire, cioè alla disapprovazione rispetto ad un’altra posizione, ad una situazione di disaccordo, di divergenza di opinioni. Così inteso, è evidente come di dissenso possa parlarsi con riferimento a qualunque campo di esperienza3.

Occorre pertanto delimitare i confini del campo di esperienza che qui interessa.

Dal punto di vista soggettivo, l’analisi riguarda il dissenso che sorge tra i componenti di un organo giurisdizionale di natura collegiale allorché questi siano chiamati a risolvere una controversia portata al loro esame. Dissenso, dunque, come opinione divergente, formalizzata e (in qualche modo o, a determinate condizioni) conoscibile, di un componente dell’organo giurisdizionale di natura collegiale rispetto all’atto imputabile all’intero collegio.

Dal punto di vista oggettivo, si prende in considerazione il dissenso rispetto alla pronuncia giudiziale resa da organi giurisdizionali di natura collegiale.

Parlando di opinione dissenziente possono manifestarsi delle incertezze terminologiche e concettuali. Quella che, nella lingua italiana, chiamiamo opinione dissenziente, in Francia chiamano “opinion paré”, in Spagna

(10)

5

“voto particular” e in Germania “Sondervotum”, deriva dall’espressione inglese “dissenting opinion”. Con “opinion”, gli inglesi fanno riferimento al giudizio o alla motivazione di un giudizio resa da una Corte. Il dissenso può riferirsi alla decisione o alla motivazione; può riguardare tutta la motivazione o decisione oppure essere parziale; può essere individuale, cioè di un solo giudice, oppure collettiva, cioè di più giudici. Il dissenso può inoltre essere scritto, ed è questo il più noto, ma anche orale (detto anche “dissent from the bench”), che è più raro4. Occorre, infine, tracciare la difficile linea di distinzione tra “dissenting opinion”, “concurring opinion” e “plurality opinion”. Con la prima si fa riferimento all'opinione di uno (o più) dei componenti il collegio in disaccordo con la decisione della maggioranza; con la seconda all'opinione di uno (o più) dei componenti il collegio, il quale è d'accordo con la decisione della maggioranza, ma in base ad un ragionamento (od in base all'adozione di un principio giuridico) diverso da quello della maggioranza; con la terza si fa riferimento all’opinione di una maggioranza relativa laddove non si sia registrata una maggioranza per la decisione (cosa che può avvenire nel diritto anglosassone).

In sintesi, nel presente lavoro, l’espressione “opinione dissenziente” sarà riservata, generalmente, a quella presa di posizione minoritaria, manifestata come tale al termine della deliberazione in cui viene adottata la decisione, che indichi una divergenza rispetto ad altra prospettazione che sia risultata condivisa dalla maggioranza dei componenti del collegio5.

Il rapporto di stretta correlazione tra opinione dissenziente e pronuncia giudiziale, impone di soffermarsi su alcuni momenti dell’evoluzione di quest’ultima così da cogliere il significato che la previsione (o l’assenza) di

4

S. Cassese, Lezione sulla cosiddetta opinione dissenziente, Versione ampliata della introduzione ad un seminario della Corte Costituzionale (22 giugno 2009)

5

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 32

(11)

6

un istituto quale l’opinione dissenziente può avere avuto in diversi contesti storici.

La concezione del ruolo del giudice, il grado ed i confini della sua responsabilità, il significato e gli effetti attribuiti alla sentenza, i caratteri stabiliti per essa, sono infatti tutti elementi che incidono, insieme ad altri ancora, sulla previsione della facoltà, o in taluni casi persino dell’obbligo, per ciascun componente, di rendere noti i motivi del suo dissenso.

2. Precedenti storici

Se si esaminano alcune esperienze del passato si ricava che il processo decisionale caratterizzante l’esperienza romana, prevedeva che per i collegi giudicanti fosse necessaria la presenza di tutti i componenti, i quali esprimevano oralmente la propria sententia; erano poi fissate alcune regole particolari per l’ipotesi di parità di voti, e soprattutto si stabiliva che la sentenza non fosse accompagnata da alcuna motivazione6. Il controllo dei cittadini sull’amministrazione e sull’operato dei magistrati era assicurato dalla pubblicità che caratterizzava il giudizio, il quale si svolgeva all’aperto, in comitio aut in foro. Tuttavia, entrambe le fasi del procedimento erano presiedute da giudici monocratici e ciò rendeva sostanzialmente irrilevante il problema del dissenso.

Si è potuto osservare che, al contrario, nell’antica Grecia vi era una sorta di vocazione per il dissenso nelle deliberazioni collegiali, che corrispondeva ad un ideale dialettico, da un lato, e al principio di responsabilità dei soggetti giudicanti, dall’altro.

Nell’esperienza italiana medioevale, almeno fino alla metà del XIII secolo, la procedura pareva in genere restia ad accettare il principio della

6

M. Molé, Sentenza, cit., 1085, il quale aggiunge che, secondo un’autorevole opinione, nei giudizi collegiali la sentenza sarebbe stata decisa dal collegio e pronunciata dal magistrato ad esso preposto.

(12)

7

segretezza nella deliberazione dei giudizi collegiali, mentre era dato riscontrare una latente vocazione non solo per la motivazione della sentenza, ma anche per il dissenso dei giudici, responsabili talora di fronte alla pubblica opinione, oltre che di fronte alle parti. La pubblicità caratterizzava il processo, che normalmente si svolgeva all’aria aperta e in luoghi che potessero contenere il popolo che vi partecipava. Pubbliche erano anche la deliberazione, la votazione e l’esecuzione della condanna. In questo contesto, il rilievo del dissenso giudiziale del singolo partecipante era per lo più indiretto, rappresentando esso un frammento della discussione e della deliberazione dell’assemblea. Nel corso dei successivi secoli, si assiste ad una progressiva scomparsa della procedura orale e pubblica, sostituita da quella scritta e segreta. Tra le cause di questo mutamento, l’affermazione dei tribunali territoriali, guidati dai prìncipi e dalla rispettiva burocrazia, la riduzione della componente laica dei giudicanti a vantaggio di quella professionale, la recezione del diritto romano e, con esso, della procedura romano-canonica7. Quest’ultima si diffuse negli ordinamenti continentali durante il Basso Medioevo. Si trattava di un procedimento caratterizzato da una concezione molto rigorosa del principio della scrittura: “quod non est in actis non est de hoc

mundo” così recitava una decretale di Innocenzo III del 1216.

L’allontanamento dalla procedura orale e pubblica è avvento gradualmente. In questa fase di passaggio si rinvengono due esempi di dissenso giudiziale riportati dagli autori Giuliani e Picardi. La prima testimonianza risale ad una norma dello statuto veneziano del 1194-1195, la quale prevedeva che il contenuto della sentenza fosse stabilito dal <<consenso della maggioranza>> del collegio. Qualora però i giudici fossero stati divisi in maniera eguale al proprio interno, ciascuna delle due parti avrebbe dovuto pronunciare il proprio <<parere>> dinanzi al

7

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 16

(13)

8

doge che, approvando l’uno o l’altro, avrebbe determinato il contenuto della sentenza. Il secondo esempio è costituito da una norma delle

Constitutiones Patriae Foriulii del 1366. In essa si fa obbligo alle parti e

agli avvocati di stare in silenzio <<con spirito tranquillo>>, al fine di ascoltare le sententiae degli astanti e di permettere a questi ultimi di esprimere liberamente le loro opinioni8. Modesto è il rilievo del dissenso nei due contesti appena richiamati ed è altresì da notare la sua indipendenza rispetto alla estrinsecazione dei motivi della decisione. Il diritto medioevale infatti non conosceva l’obbligo di motivazione, escluso prima dalla prassi, poi dai testi normativi e dalla dottrina. La communis

opinio riteneva che il giudice non fosse tenuto a motivare e scoraggiava

l’inserzione dei motivi perché una motivazione insufficiente o erronea avrebbe potuto alimentare il rischio di impugnazioni indesiderate e di una

retractatio della sentenza. Tuttavia numerosi civilisti e canonisti del

tempo, che colsero i limiti di cui soffriva tale principio, elaborarono una serie di circostanze in cui l’expressio causae in sententiam era ritenuta necessaria. Riscontrabili nella prassi, infatti, documenti di decisioni che contengono chiari riferimenti ai motivi.

Le osservazioni fin qui sviluppate consentono di affermare che il dissenso giudiziale, almeno fino alla metà del XIII secolo, sarebbe stato in profonda sintonia con la cultura dialettico-controversale caratterizzante l’esperienza giuridica medievale. In essa la sentenza non rifletteva esclusivamente i criteri del sillogismo deduttivo, bensì appariva come la giustificazione di una decisione pratica, dovuta alla contrapposizione, nel corso del processo, di tesi diverse.

Numerose sono le testimonianze del dissenso giudiziale nella giurisprudenza dei grandi tribunali durante il rinascimento e l’ancien

régime.

8

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 17

(14)

9

Una delle questioni più dibattute nel Cinquecento fu quella concernente la c.d. causa falsa, formula che rinviava alla comune opinione secondo cui il giudice non era tenuto ad exprimere causam in sententia, in quanto assistito da una particolare autorità o da una sorta di presunzione di giustizia nell’operato, tale per cui non si vedevano ragioni che dovessero fargli correre il rischio di svelare qualche eventuale punto debole del suo percorso argomentativo, capace di minare la validità della pronuncia. In Italia la situazione non era affatto, nell’insieme, omogenea. Alcuni dei tribunali supremi ivi operanti fra il XVI e il XIX secolo ispiravano la loro attività ad una tendenziale pubblicità dei motivi, mentre altrettanto non può dirsi, ad esempio per lo Stato milanese o per quello napoletano9, dove fino al 1774 era vietato motivare le sentenze. Presso la Rota fiorentina si rinviene, già nel 1502, un riferimento all’obbligo di motivare le proprie decisioni, brevemente e in calce alla sentenza, in due casi: quando le parti lo avessero richiesto e quando i giudici fossero stati in disaccordo tra di loro. Nel 1532 l’obbligo di motivare venne confermato e generalizzato e nel 1560 fu imposta la separazione tra motivi e sententia, che favorì il formarsi di una decisio collettiva (unanime o di maggioranza), mentre l’opinione del dissenziente conservava carattere individuale10. A partire dal XVII secolo, le raccolte fiorentine attestarono la prassi di nominare l’opinione dissenziente “voto di scissura”.

Nel corso del Cinquecento il requisito della motivazione fece ingresso nella procedura di altre rote, come quella di Siena, Perugia, Bologna, Genova, Lucca. Diversa la situazione nella Rota romana dove l’imposizione del segreto vigeva anche dopo la pronuncia della sententia.

9

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 35

10

Gorla, Procedimento individuale, voto dei singoli giudici e collegialità “rotale”: la prassi della Rota di Macerata nel quadro di quella di altre rote o simili tribunali fra i secoli XVI e XVIII, in M. Sbriccoli, A. Bettoni, Grandi tribunali e rote nell’Italia di Antico Regime, Milano, Giuffrè, 1993, 53 ss.

(15)

10

Il procedimento rotale, che tendeva a combinare i vantaggi del giudice unico e quelli del giudice collegiale, contribuì a conferire un qualche rilievo alle opinioni dei singoli giudici. “Opinamenta”, così venivano chiamate e sarebbero state poi assimilate in parte alle opinions dei giudici anglosassoni11. Una delle principali caratteristiche delle opinioni rotali consisteva nello stile, ampiamente argomentativo, volto a rispondere ai

dubia presentati dalle parti e a giustificare nella maniera più completa il

contenuto della sentenza12 ed erano inoltre arricchite dal ricorso a leges,

rationes e auctoritates. I giudici erano dunque abituati a confrontarsi con

una pluralità di argomentazioni ed avevano il potere di scegliere quella più adeguata al caso concreto. In questo contesto le opinioni di minoranza costituivano degli exempla e avevano uno specifico interesse anche al di là della conclusione di una specifica lite.

Nel contesto italiano, merita di essere approfondita la vicenda napoletana che vede protagonista Bernardo Tanucci. Nel 1774 egli promosse l’adozione, da parte di Ferdinando IV, di due prammatiche che introducevano l’obbligo di motivazione presso le corti napoletane13. I giudici in disaccordo con la deliberazione avrebbero potuto far annotare la propria opinione nel libro dei voti14 . Tutte le sentenze sarebbero state pubblicate ed ogni interessato avrebbe potuto prenderne visione. Tuttavia la durata della vigenza dell’obbligo di motivazione fu breve, esso fu infatti revocato nel 1791, dopo una strenua resistenza da parte delle corti e una scarsa comprensione da parte della popolazione. Nonostante il clima culturale fosse infatti quello illuministico, in cui trovavano spazio idee riformatrici volte alla trasparenza dei processi, il Regno di Napoli si caratterizzava per un forte accentramento del potere a livello centrale, a

11

Gorla, Procedimento individuale, cit., 33

12

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 27

13

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 38

14

(16)

11

cui il sovrano non intendeva rinunziare. Il Sacro Regio Consiglio contestò i dispacci tanucciani sostenendo che la motivazione pregiudicava la “maestà” della decisione e non era compatibile con l’essere i giudici portavoce del sovrano.

Accennando ad altre realtà europee, numerose sono le tracce del dissenso giudiziale nelle raccolte di giurisprudenza relative ai regni di Aragona e di Valencia e al principato di Catalogna. L’obbligo di motivazione delle sentenze fu introdotto in queste regioni nella prima metà del XVI secolo, in primis presso i tribunali superiori. Il modo in cui tale obbligo è stato configurato, ha contribuito a dare rilievo alle opinioni dei singoli giudici del collegio. Ogni giudice era infatti tenuto a mettere per iscritto la propria opinione motivata. Dopo la sentenza, le parti potevano chiedere l’accesso al libro e prendere visione del contenuto di tali voti e della relativa proporzione all’interno del collegio, pur rimanendo riservato il nome dell’autore15. L’interesse principale ad accedere al testo dell’opinione dissenziente sembrava essere quello delle parti a proporre un’impugnazione fondata, ma non mancavano, seppur in misura minore, un intento di controllo del potente ceto dei giudici da un lato ed una crescente attenzione per i fattori determinativi dell’evoluzione giurisprudenziale dall’altro.

In Germania tracce del dissenso giudiziale si rinvengono per la prima volta nella procedura presso il Reichskammergericht, cioè il Tribunale camerale imperiale insediatosi nel corso del XV secolo. La procedura dinanzi a tale corte di appello territoriale prevedeva la nomina di un relatore (Referent) e, per i casi più importanti o difficili, di un correlatore (Korreferent). Spettava al primo il compito di esaminare tutti gli atti di causa e le prove, e infine formulare per iscritto la proposta di decisione16.

15

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 24

16

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 31

(17)

12

Nella sua relazione il Referent prendeva posizione sulla questione giuridica controversa e, se gli altri giudici erano d’accordo, pronunciavano il loro voto oralmente, altrimenti potevano darne conto per iscritto. Le relazioni e i voti erano conservati dal Reichskammergericht per esigenze interne di controllo dei giudici e di sviluppo di una giurisprudenza coerente17. Nonostante vigesse il principio del segreto delle deliberazioni, come avveniva in alcuni dei grandi tribunali italiani, si diffusero, oltre i confini del Tribunale, pubbliche raccolte di atti formati all’interno della procedura presso il Reichskammergericht. La violazione nella prassi del principio del segreto non era tuttavia accompagnata da conseguenze sanzionatorie rilevanti, probabilmente per l’interesse di tutto l’ambiente forense per il materiale in questione. Solo in un secondo momento, a partire dal 1654, fu introdotto anche nell’ordinamento tedesco, l’obbligo di motivazione per i singoli giudici e non anche per il collegio in generale. Il fine principale dell’imposizione sembra essere stato il controllo interno dei giudici, nell’ambito di un ordinamento processuale che si stava gerarchizzando, comprimendo la cultura dialettica della controversia tipica del diritto comune18.

Nel contesto francese, se nella seconda metà del XII secolo e all’inizio del XIV, si rinvengono decisioni motivate, queste scomparvero gradualmente a partire dal terzo e quarto decennio del Trecento e fino all’epoca rivoluzionaria. Le ragioni vanno ricercate nel consolidamento della consuetudine, nella maggiore influenza della dottrina di diritto comune sulla non necessità della motivazione, nel rafforzamento di una monarchia unificatrice e accentratrice. La disciplina sul segreto della deliberazione, dei voti e di eventuali dissensi era molto rigida e imponeva ai giudici, agli avvocati e agli altri soggetti coinvolti nell’attività del

17

Gehrke, Deutsches Recht, in H. Coing, Handbuch der Quellen und Literatur der neuen europäischen Privatrechtsgeschichte, v. II/2, München, Beck, 1976, 1354

18

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 32

(18)

13

tribunale, di non rivelare quanto detto nelle sedute. Erano previste, in caso di violazione, conseguenze gravi come la decadenza dell’organo giudicante e l’impossibilità di accedere ad altri uffici pubblici. La storia del rapporto tra motivazione e sentenza trova tuttavia proprio nelle vicende francesi a cavallo del XVIII e XIX secolo la sua tappa forse più significativa19. Gli Stati generali, insofferenti nei confronti delle modalità di amministrare la giustizia e di rendere le decisioni sotto la monarchia assoluta, esercitarono pressioni affinché venisse introdotto il principio di obbligatorietà della motivazione.

Fu la legge 16-24 agosto del 1790 a sancire uno schema di sentenza in quattro segmenti. Nel primo, dovevano essere indicati i nomi e le qualità delle parti, nel secondo le questioni di fatto e di diritto, nel terzo <<il risultato dei fatti riconosciuti o constatati attraverso l’istruzione e i motivi che avevano determinato il giudizio>>20. L’obbligo di motivare le sentenze assunse una pluralità di funzioni, sia di natura endoprocessuale che extraprocessuale, fino a riconnettervi la stessa legittimazione complessiva dell’attività degli organi giudicanti21. Il contesto nel quale la legge suddetta si inserisce è quello illuministico-rivoluzionario, che porta con sé una concezione del potere giudiziario come <<invisibile e nullo>>, in quanto non legato in maniera permanente ad uno stato o ad una professione e una concezione dei giudici come <<bocca che pronuncia le parole della legge: esseri inanimati, che non possono regolarne né la forza né la severità>>22.

Il riconoscimento alla motivazione di un ruolo decisivo per l’inquadramento della complessiva funzione giurisdizionale in una

19

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 36

20

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 40

21

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 38

22

Montesquieu, de Secondat, baron de la Brède et de, Lo spirito delle leggi (1748), a cura di R. Derathé, tr. It. Di B. Bobbito Serra, Milano, BUR, 1999

(19)

14

moderna concezione della separazione dei poteri, l’individuazione e la progressiva specificazione dei suoi caratteri, non potevano non ripercuotersi sul tema dell’opinione dissenziente.

La possibilità di rendere pubblico il dissenso eventualmente manifestatosi in seno al collegio tende inevitabilmente ad incidere in maniera significativa sui meccanismi formativi della pronuncia e più ancora su quelli giustificativi, dei quali la motivazione del provvedimento è prioritariamente ordinata a dar conto23. Resta tuttavia una certa indipendenza tra i due istituti, potendo esserci dissenso anche in assenza di motivazione e, viceversa, motivazione anche senza dissenso. Il dissenso resta, essenzialmente, manifestazione della divergenza del singolo componente nei confronti della decisione collegiale (motivata, o no, che sia).

Appare evidente che l’ideologia illuministico-rivoluzionaria fu senz’altro determinante per l’affermarsi dell’obbligo di motivazione e della relativa pubblicità, fattori questi in sintonia con l’elaborazione, in quel tempo, del concetto di spazio pubblico come ambito di azione politica e sociale24. L’emersione di questo spazio pubblico ha aperto per il dissenso una dimensione suscettibile di proiettarsi al di là del ristretto ambito processuale e di interagire in maniera dinamica con l’opinione pubblica, innescando cambiamenti rilevanti nella sfera giuridico-costituzionale25. Il vero e proprio istituto del dissenso rimase comunque estraneo all’ordinamento francese del XIX secolo. Nel frattempo, si era affermata una nuova ideologia, quella liberale-borghese, che fu alla base di alcuni cambiamenti. La legge sull’organizzazione giudiziaria del 1810, ad esempio, delineava un nuovo assetto caratterizzato da una forte

23

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 38

24

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 43

25

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 62

(20)

15

burocratizzazione dell’operato dei giudici. L’obbligo di motivazione fu riaffermato e fu introdotta la facoltà, per il giudice eventualmente dissenziente, di far registrare la sua opinione in un libro, che tuttavia rimaneva segreto. Il dissenso non veniva dunque nemmeno comunicato alle parti ai fini dell’impugnazione, ma doveva essere inteso come un ulteriore strumento per perfezionare il controllo gerarchico dei giudici26. Le scelte francesi in materia di processo e amministrazione della giustizia esercitarono una forte influenza sugli ordinamenti italiani preunitari e poi su quello dell’Italia unita. Ciò vale sia per l’obbligo di motivazione, sia per l’organizzazione gerarchico-burocratica dell’apparato giudiziario27, sia infine per il principio del segreto della deliberazione28. La prevalenza della soluzione francese ha apparentemente spazzato via le più antiche tradizioni in cui il dissenso giudiziale era praticato, più o meno ufficialmente29.

Infine un cenno all’esperienza inglese, dove l’espressione della propria opinione, da parte di ogni singolo giudice, fu agevolata fin dall’inizio dalla configurazione tipica del processo di common law. Caratteristiche di quest’ultimo erano: l’immediatezza, la concentrazione, l’oralità e la pubblicità. La prassi delle seriatim opinions nelle corti di common law è documentata a partire già dal XIII secolo. Il giudice, diversamente da ciò che caratterizza le altre esperienze dell’Europa continentale improntate all’ideologia illuministico-rivoluzionaria, è concepito come colui che è in grado di assicurare una tutela effettiva dei diritti. I giudici applicano la legge, non perché sono vincolati ad essa, ma perché <<si impegnano alla

26

Giuliani, Picardi, La responsabilità del giudice, rist. aggiornata, Milano, Giuffrè, 1995, 39 ss.

27

Giuliani, Picardi, La responsabilità del giudice, cit., 187 ss.

28

Gorla, Introduzione allo studio dei Tribunali Supremi Italiani nel quadro europeo fra i secoli XVI e XIX, in A. Giuliani, N. Picardi, L’ordinamento giudiziario, v. I, a cura degli stessi, Rimini, Maggioli, 1985, 421 ss.

29

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 53

(21)

16

luce di un’etica indipendente di amministrazione della giustizia>>30. Questo permette al principio di indipendenza del giudice di radicarsi profondamente e fa sì che le opinions siano considerate, non come frutto anonimo ed impersonale di un organo statale, ma come espressione di singole personalità di magistrati.

L’ excursus storico fin qui espostopermette di trarre alcune osservazioni conclusive. Innanzitutto si può affermare che nella tradizione giuridica prerivoluzionaria, comune ai paesi dell’Europa continentale, l’espressione delle opinioni individuali dei giudici era, più o meno formalmente, ammessa. Diversi sono apparsi gli interessi sottesi all’istituto del dissenso giudiziale: la salvaguardia della responsabilità individuale del singolo giudice, la migliore conoscenza delle parti e del giudice dell’impugnazione a fini endoprocessuali, il controllo pubblico extraprocessuale sull’amministrazione della giustizia, la partecipazione dei cittadini ad un processo deliberativo più ampio31. Infine è apparso evidente lo stretto legame che intercorre tra l’istituto dell’opinione dissenziente da un lato e i caratteri della pronuncia giudiziale, la concezione del giudice, l’organizzazione dell’apparato giudiziario, la struttura della sentenza, la previsione o meno dell’obbligo di motivazione dall’altro.

Il tema dell’opinione dissenziente, da un punto di vista metodologico, si presenterà in maniera assai diversa nel passaggio dallo Stato liberale di diritto allo Stato costituzionale, caratteristico del Novecento. Con le Carte fondamentali di questo secolo, il complesso dell’organizzazione e delle funzioni statali sarà coinvolto in un cambiamento profondo che vedrà sorgere le corti o tribunali costituzionali, quali appositi organi incaricati di salvaguardare la superiorità della Costituzione su ogni altra fonte normativa principalmente attraverso il sindacato di legittimità

30

Santoro, Rule of law, e “libertà degli inglesi”. L’interpretazione di Albert Venn Dicey, in P. Costa, D. Zolo, Lo stato di diritto, Milano, Feltrinelli, 2002,191 ss.

31

A. Di Martino,Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 61

(22)

17

costituzionale32. In questo contesto il problema dell’opinione dissenziente assume, come vedremo, un rilievo sui generis, naturalmente più ampio di quello che è dato riscontrare in qualunque altro organo giurisdizionale di natura collegiale.

3. I presupposti dell’opinione dissenziente

La possibilità che si abbia opinione dissenziente appare condizionata da due ordini di fattori: l’esistenza di organi collegiali e la possibilità che il momento decisionale consista in una valutazione non univoca né necessariamente condivisa da tutti i componenti del collegio33.

Il primo presupposto, l’esistenza di organi collegiali, attiene ai profili organizzativi della giurisdizione. La scelta di attribuire funzioni giurisdizionali ad un organo monocratico piuttosto che ad un organo collegiale non è indifferente. Ogni tipologia di rapporti presa in considerazione dal diritto si caratterizza per una innumerevole serie di specificità che possono consigliare l’adozione di organi giurisdizionali strutturati in un certo modo anziché in un altro34. Nei vari sistemi, la scelta può anche corrispondere a precise esigenze consacrate in norme superiori o in principi generali, magari anche di rango costituzionale, e rappresentare, pertanto, una sorta di indicazione vincolata per il legislatore ordinario. Anche dove non sia così, è in ogni caso abbastanza agevole associare alla scelta del giudice monocratico esigenze, ad esempio, di snellezza e di rapidità del rito, di minore formalismo, ovvero di oralità, che sembrano meglio attagliarsi a materie non particolarmente

32

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore- Torino 1998, 41

33

S. Panizza, ivi, 62

34

(23)

18

complesse o di minor valore, o magari che, per la natura delle parti o altre ragioni ancora, consentono o impongono tempi rapidi di risoluzione35. Così come, al contrario, la preferenza per il giudice collegiale può essere dettata dalla complessità o dalla gravità della materia, dall’esigenza di maggiore ponderazione delle situazioni coinvolte, dall’opportunità di avvalersi dell’apporto di esperti che integrino il collegio, ovvero di giudici popolari. Una tendenza piuttosto diffusa nella maggior parte degli ordinamenti è quella di affidare al giudice monocratico le prime istanze e prevedere l’intervento di organi a composizione collegiale nei livelli più alti della scala delle impugnazioni. In ogni caso, si ribadisce, solo in presenza di un organo di natura pluripersonale può parlarsi di opinione dissenziente. Soltanto all’interno di questi può darsi la manifestazione, da parte di uno dei componenti, di una presa di posizione che esprima divergenza (totale o parziale) rispetto alla decisione imputabile al collegio.

Affinché si possa parlare di opinione dissenziente è necessario, come detto, un secondo presupposto, che attiene a profili di carattere funzionale. Se la pronuncia resa al termine del procedimento decisionale consistesse in una valutazione univoca e condivisa da tutti i componenti del collegio, non ci sarebbe ragione di ricorre all’istituto dell’opinione dissenziente. Il processo di interpretazione e applicazione del diritto, tuttavia, non risponde ai canoni della logica dimostrativa, non è pertanto riconducibile al c.d. sillogismo giudiziale, inteso quale forma della necessità deduttiva, né produce un risultato apprezzabile in termini di vero o falso36.

Partendo da questo presupposto si deve ammettere la delicata funzione che spetta ai vari operatori del diritto ed in particolare ai giudici, ai quali deve necessariamente essere riconosciuto uno spazio creativo, più o

35

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore- Torino 1998, 54

36

(24)

19

meno ampio, per adattare regole, generali ed astratte, a fattispecie concrete. Questa circostanza appare pacifica oggi, ma non è sempre stato così. La filosofia illuminista e l’ispirazione rivoluzionaria, hanno contribuito per lungo tempo al radicarsi di un’idea della legge come chiara e priva di ogni ambiguità e dell’interpretazione giudiziaria come univoca e in grado di garantire il passaggio dalla regola legale alla decisione concreta, senza che si mettesse in dubbio la certezza del diritto. Solo con le acquisizioni della scienza giuridica, nel corso del XX secolo, si arrivò ritenere inesatte, erronee quelle premesse e, dunque, inaccettabili le conseguenze. Nel dibattito odierno è certamente pacifico che un testo normativo presenti più letture in chiave ermeneutica, che il giudice, nella sua attività, debba necessariamente ricorrere ad un certo grado di creatività. Tale accettazione costituisce, almeno sul piano teorico, un presupposto sufficiente per il potenziale riconoscimento del dissenso; tuttavia sul piano concreto non basta e, a condizionare fortemente il riconoscimento e lo sviluppo dell’istituto dell’opinione dissenziente, vi sono altre scelte alle quali i vari sistemi positivi si ispirano, a partire dalla preferenza per l’una o l’altra teoria interpretativa37o argomentativa. Alcune teorie antiformalistiche, ad esempio, si mostrano particolarmente congeniali al dissent: un ruolo privilegiato occupa il realismo giuridico statunitense, che ha messo in evidenza l’indeterminatezza dei concetti e delle norme giuridiche, le scelte di policy sottese alle decisioni giurisprudenziali, la dipendenza di queste ultime da fattori di natura psicologica e sociologica38. Una prospettiva diversa è offerta dalla teoria interpretativa di Kelsen, il quale condivide con i realisti un approccio volontaristico dell’interpretazione, sottolinea il carattere indeterminato delle norme e la natura omogenea dell’atto legislativo e di quello

37

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore- Torino 1998, 61

38

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 435

(25)

20

interpretativo. Egli non indaga però sui fattori psicologici dell’attività del giudice né sulle tecniche creative dei giudici di common law, ma centrale diviene il momento finale della decisione del giudice. Le istanze pluraliste, sebbene soddisfatte dal principio di pubblicità delle deliberazioni, non trovano espressione nell’opinione dissenziente perché non è ammissibile, nella prospettiva kelseniana, attribuire rilievo ai singoli individui-giudici al di là degli organi che li compongono39.

Tornando a quelli che abbiamo definito come i presupposti dell’opinione dissenziente – l’esistenza di organi collegiali e la possibilità che il momento decisionale consista in una valutazione non univoca né necessariamente condivisa da tutti i componenti del collegio- si atteggiano con modalità parzialmente diverse con riguardo alle corti e ai tribunali costituzionali.

Sia la natura collegiale dell’organo che la libertà interpretativa del Giudice costituzionale, possono essere considerati elementi connaturati all’esperienza stessa della giustizia costituzionale. Da un lato, infatti, il carattere collegiale risulta senz’altro più consono al delicato ruolo di garanzia e di difesa della costituzione affidato a questi organi, dall’altro è pressoché unanimemente riconosciuto il carattere peculiare delle disposizioni contenute nelle carte costituzionali, le quali sembrano difficilmente suscettibili di interpretazioni univoche40. Queste osservazioni consentono di affermare che, in astratto, sussistono i presupposti logici perché possa aversi il fenomeno dell’opinione dissenziente negli organi di giustizia costituzionale. Consentono inoltre di evidenziare come le problematiche che si presentano in ordine alla previsione o meno dell’istituto, siano in parte differenti da quelle proprie delle normali giurisdizioni. Nell’ambito della giurisdizione ordinaria (ma lo

39

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 436 ss.

40

S. Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore- Torino 1998, 62 ss.

(26)

21

stesso vale per quella amministrativa o per le giurisdizioni speciali), è prevista una ripartizione della competenza -normalmente su base territoriale, ma anche di altra natura- tale per cui la rilevanza di una pluralità di interpretazioni su una data norma tende ad affievolirsi. In presenza cioè di più tribunali, i quali si occupano in un dato momento dell’applicazione e dell’interpretazione di una data disposizione, la circostanza che si abbia un eventuale opinione dissenziente del giudice Tizio, componente del collegio investito della questione per il tribunale “x”, appare ben poco rilevante in un contesto in cui è possibile e verosimile che l’interpretazione di Tizio sia stata invece condivisa dalla maggioranza del collegio investito della questione per il tribunale “y” o per qualunque altro tribunale ugualmente competente a risolvere quei medesimi casi41. A ciò si aggiunga che prevedere la possibilità di manifestare il dissenso per i componenti degli organi collegiali delle normali magistrature, comporterebbe un allungamento dei tempi decisionali, un aggravio del carico di lavoro e i costi potrebbero risultare di gran lunga superiori ai benefici. Da qui la scelta di molti ordinamenti, soprattutto di civil law, improntati al modello burocratico di amministrazione della giustizia, di escludere la previsione dell’istituto per gli organi preposti alla giurisdizione ordinaria.

Gli organi di giustizia costituzionale, invece, si presentano come organi unici per ciascun ordinamento; anche laddove sia previsto un funzionamento in sezioni o articolazioni interne, il carattere unico della corte o del tribunale costituzionale non verrà meno; ancora, in presenza di un sistema che preveda un sindacato di tipo diffuso, sarà sempre l’organo di ultima istanza a decidere tutte le più importanti questioni, o perché posto al vertice della piramide dei possibili ricorsi o per l’applicazione di regole quali lo stare decisis e il riconoscimento di un il

41

Saulle Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 64

(27)

22

vincolo derivante dal precedente giudiziario. I giudici, com’è noto, vengono scelti tra persone con particolari qualificazioni spesso diverse tra loro. Escludendosi una comune estrazione professionale dei giudici (salvo che per quanto concerne la frequentazione di studi in materia giuridica), la collegialità viene dunque a valorizzare al massimo il pluralismo ideologico, la diversità di orientamenti ideologici e culturali42. I meccanismi e i procedimenti di designazione dei giudici delle corti o tribunali costituzionali variano da paese a paese, ma ciò che tendenzialmente accomuna i diversi ordinamenti è il tentativo, più o meno riuscito, di determinare una composizione dell’organo variegata e capace di rispondere alle molteplici sollecitazioni provenienti dalla società civile e dalla realtà politico-istituzionale. Con queste premesse è evidente come il peso specifico di ciascun componente del collegio sia molto più elevato di quel che avviene per le altre giurisdizioni, e come maggiori siano le aspettative che il sistema nel suo complesso ripone nella nomina di organi membro e nel funzionamento d’insieme dell’organo43. Alla luce delle differenze evidenziate, sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello funzionale, tra organi di giustizia costituzionale e organi di altre giurisdizioni, si può parlare di una “acclarata appartenenza del dissent alla materia costituzionale”44. Questo, non solo perché l’istituto dell’opinione dissenziente è in grado di mettere in evidenza e di far apprezzare pienamente l’esistenza del pluralismo interpretativo operante all’interno del collegio, ma anche perché la complessa tavola dei valori costituzionali, di cui una corte o tribunale costituzionale deve farsi interprete, richiede un costante dinamismo giurisprudenziale. Possiamo infatti anticipare sin d’ora che

42

A. Corasanti, Interventi, a cura di A. Anzon, L’opinione dissenziente, atti del seminario svoltosi in Roma il 5 e 6 Novembre 1993, 18

43

Saulle Panizza, L’introduzione dell’opinione dissenziente nel sistema di giustizia costituzionale, Giappichelli editore-Torino 1998, 67 ss.

44

A. Ruggeri, Interventi, a cura di A. Anzon, L’opinione dissenziente, atti del seminario svoltosi in Roma il 5 e 6 Novembre 1993, cit. 90

(28)

23

uno degli argomenti a favore dell’introduzione dell’istituto è proprio la capacità di quest’ultimo di contribuire all’evoluzione della giurisprudenza costituzionale.

4. Alcune questioni trasversali

Prima di procedere ad una più approfondita analisi dell’istituto dell’opinione dissenziente nelle esperienze di common law, da un lato, e di civil law, dall’altro, è opportuno soffermarsi su alcune questioni di carattere generale che rilevano ai fini di una più completa conoscenza e comprensione dell’istituto e che torneranno a più riprese nel prosieguo dell’esposizione. Innanzitutto si prenda in considerazione il rapporto tra forma della sentenza e opinione dissenziente. Per “forma” o “stile” della sentenza si intende generalmente tutto ciò che non rappresenta il contenuto della decisione, ma soltanto la sua forma esteriore e cioè il <<modo di fare della sentenza>>45: la struttura, le qualità in senso lato letterarie delle sentenze, il modo in cui essa si forma. Tali caratteristiche della sentenza sono la conseguenza del particolare atteggiarsi del processo, del ruolo dei giudici e di determinate ideologie della giustizia, all’interno dei diversi ordinamenti. Gli studi sullo “stile” delle sentenze così inteso sono stati approfonditi dalla dottrina comparatistica nella seconda metà del Novecento e hanno raggiunto i risultati migliori proprio laddove il concetto di stile è stato concepito anche come il risultato di specifiche tradizioni giuridiche e culturali, della configurazione dei singoli ordinamenti processuali e, all’interno di questi, delle funzioni degli organi giudicanti46. Confrontando la sentenza continentale e la sentenza del giudice di common law, è possibile delineare dei “tipi” che caratterizzano,

45

Gorla Lo stile delle sentenze, in Quad. del foro it. 1968, 370 ss

46

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 438

(29)

24

tendenzialmente, l’una o l’altra tradizione. L’ideologia burocratico- autoritaria propria dei paesi dell’Europa continentale, che enfatizza il ruolo del giudice come funzionario pubblico che amministra la giustizia e che trasmette verso l’esterno la volontà dello stato, caratterizza inevitabilmente anche la forma della sentenza: un atto ufficiale, attribuito all’organo, strettamente collegiale (laddove non sia adottato da un giudice monocratico), impersonale, deliberato nella segretezza della camera di consiglio47. Non indifferente, nella determinazione dello stile della sentenza, la platea dei destinatari della stessa che, nel modello burocratico, sono prevalentemente gli avvocati delle parti, i giudici dell’impugnazione o quelli del rinvio. Da qui la prevalenza della funzione endoprocessuale della motivazione e l’affermazione di uno schema unitario di sentenza. L’impersonalità, l’anonimità e la collegialità, che sono il frutto di una concezione prescrittiva della teoria sillogistica del giudizio e della motivazione, tendono ad oscurare le operazioni valutative e dunque la responsabilità del singolo giudice all’interno del procedimento decisorio. La sentenza è redatta in forma scritta, normalmente suddivisa in parti, secondo un modello prefissato normativamente, sottoscritta da tutti i giudici che hanno partecipato alla deliberazione, di regola senza la possibilità di rendere noto l’eventuale dissenso di uno o più giudici. Questo schema, in via di principio e con le dovute varianti, accomuna, ad esempio le sentenze italiane, tedesche e spagnole, le quali originariamente si ispirano al modello francese, in cui l’ideologia illuminista e quella burocratica affondano le proprie radici. In questo contesto l’istituto dell’opinione dissenziente, previsto nell’ordinamento spagnolo e tedesco, non ha avuto sviluppi particolarmente significativi. Osservando le opinioni separate apposte alle decisioni sia del Tribunale tedesco che di quello spagnolo, si nota

47

A. Anzon, L’opinione dissenziente, atti del seminario svoltosi in Roma il 5 e 6 Novembre 1993, 169

(30)

25

come esse adottino tendenzialmente lo stesso stile della sentenza48. Brevi e concise quelle spagnole, lunghe e ricche di riferimenti giurisprudenziali e dottrinali quelle tedesche, le opinioni separate presentano un tono distaccato ed oggettivo, non provocano fenomeni di protagonismo dei singoli giudici, che di regola non ricorrono a polemiche personali né in altre circostanze sono soliti ribadire la loro posizione critica nei confronti della decisione collegiale.

La tradizione di common law, invece, è caratterizzata da un’immagine del giudice come compartecipe nella risoluzione dei conflitti sociali, meno vincolato da prescrizioni normative rigide, ma abituato a rispondere davanti all’opinione pubblica49. C’è infatti una sorta di aspettativa, nei cittadini e nelle istituzioni, nei confronti dei giudici, di una pubblica giustificazione delle decisioni raggiunte. Aspettativa che nasce perché il giudice ha un ruolo di primo piano nella formazione del diritto, coerentemente alla natura consuetudinaria e giurisprudenziale del sistema. Questo comporta che il momento giustificativo e argomentativo dell’attività del singolo giudice all’interno del collegio, divenga particolarmente ricco di significato. I destinatari della sentenza sono qui non solo gli avvocati e i giudici, in quanto ceto professionale, ma anche la generalità delle persone. La sentenza, di conseguenza, non appare come un atto collegiale, unitario ed impersonale, non ha una rigida struttura prefissata, ma si presenta come un insieme di opinioni formulate personalmente e con spirito critico dei singoli giudici. Qui trovano il loro naturale habitat le opinioni dissenzienti e concorrenti, le quali sono scritte in forma discorsiva e sono corredate da note a piè di pagina, spesso anche corpose, come se si trattasse di un vero e proprio parere accademico. Esemplare per comprendere la struttura della sentenza

48

A. Anzon, L’opinione dissenziente, atti del seminario svoltosi in Roma il 5 e 6 Novembre 1993, 173

49

A. Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 438

(31)

26

propria dei sistemi di common law, è la pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, ancora fortemente legata all’originario principio di oralità, che appare come una somma di opinions formulate una dopo l’altra (seriatim) dai singoli giudici. Nonostante il consolidarsi della pratica, introdotta da John Marshall, di redigere in forma scritta la

opinion of the Court e le opinioni separate, il carattere

fondamentalmente personale di ciascuna di esse e la sensazione che la decisione sia una mera sommatoria di volontà distinte, sono rimaste inalterate50.

Altra questione che ruota intorno all’istituto dell’opinione dissenziente e che vede soluzioni diverse nei vari ordinamenti è quella del principio sotteso alla manifestazione, da parte di un giudice, di un’opinione dissenziente. Si tratta, cioè, di capire qual è la posizione giuridica del giudice nel redigere un’opinione dissenziente. Si può parlare di una forma di manifestazione della libertà di espressione oppure va inquadrata nell’ambito di altri principi fondamentali?

Negli ordinamenti di common law il fondamento è rappresentato principalmente dalla libertà di espressione, in quanto il giudice, nel ricoprire tale ruolo, mantiene i propri diritti costituzionali. Negli Stati Uniti d’America questo può essere ricondotto all’interno dell’ampio raggio della libertà di pensiero e quindi al I emendamento. Tale connessione sembra rafforzarsi in quei rari casi in cui il giudice, in dissenso, non rispetta il precedente di una corte superiore. Sintomatica è una vicenda avvenuta alla fine degli anni novanta negli Stati Uniti d’America, che ha coinvolto il giudice Kline, Presidente di una Corte d’Appello californiana, il quale aveva redatto un’opinione dissenziente in cui manifestava il proprio rifiuto di seguire il precedente della Suprema Corte della California. Kline ha appassionatamente invocato il proprio

50

A. Anzon, L’opinione dissenziente, atti del seminario svoltosi in Roma il 5 e 6 Novembre 1993, 175

(32)

27

diritto di rifiutare, per motivi di coscienza, l’acquiescenza ad un precedente ritenuto ingiusto51. La forte contestazione che suscitò l’apertura del procedimento disciplinare nei confronti del giudice, presso l’opinione pubblica e in ambito giudiziario, fece sì che il legislatore californiano approvasse due leggi che in sostanza facevano propria la posizione di Kline. La vicenda suscitò naturalmente un interessante dibattito in cui alcuni ritennero il comportamento di Kline giustificabile alla luce di un dovere di decidere secondo giustizia, sottolineando al contempo il contributo costruttivo dato in questo caso dal dissent all’evoluzione del diritto; altri invece hanno avanzato il rischio di una eccessiva dilatazione del concetto di sentimento di giustizia e dei motivi di coscienza e cioè una costante giustificazione del mancato rispetto del precedente giudiziario delle corti superiori e quindi nell’ambito dei rapporti verticali dove il principio dello stare decisis è più rigido.

Negli ordinamenti di civil law non si trovano riferimenti ad un diritto del giudice di esprimere un’opinione dissenziente, piuttosto il dibattito si incentra sul principio di indipendenza del giudice. Questo, ancora una volta, deriva dal modello organizzativo di stampo burocratico, da una concezione del giudice come pubblico funzionario e di una sentenza pronunciata, non a caso “in nome del popolo” (così in Italia e in Germania, mentre in Spagna “in nome del re”). Il rapporto tra opinione dissenziente e principio di indipendenza dei giudici cambia a seconda di quale concezione di quest’ultimo venga adottata. Nella prima l’indipendenza è riferita al collegio, che non deve subire influenze esterne, specialmente politiche. Pertanto essa è garantita dal segreto della deliberazione e dal vincolo della riservatezza, che impediscono un’appropriazione politica dei voti dei componenti del collegio. Nella seconda, invece, l’indipendenza è riferita alla dimensione individuale del

51

Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 454 ss

(33)

28

giudice, il che non coincide comunque con il riconoscimento della titolarità in capo ai giudici di libertà costituzionali, come negli ordinamenti di common law. Da questa prospettiva l’opinione dissenziente, rendendo visibile all’esterno la personalità del singolo giudice, ne rafforza il senso di responsabilità. È da notare che, negli ordinamenti in cui l’istituto è stato introdotto, se ne è valorizzata prevalentemente la dimensione oggettiva, ossia l’opinione dissenziente come fattore di trasparenza e democraticità dell’ordinamento52. Il tema del rapporto tra opinione dissenziente e principio di indipendenza dei giudici è stato, come vedremo, al centro del dibattito italiano sull’introduzione dell’istituto nel nostro ordinamento.

Un ultima questione riguarda l’opinione dissenziente in relazione alla legittimazione delle corti costituzionali nelle democrazie pluraliste. Il problema della legittimazione democratica delle corti costituzionali nasce contestualmente alla loro istituzione nei vari ordinamenti nella prima metà del Novecento e deriva dall’apparente contraddizione53 di avere le corti il potere di porre nel nulla leggi approvate da organi rappresentativi del popolo, pur non essendo direttamente elette dallo stesso. I dibattiti più accesi sull’argomento hanno riguardato l’area tedesca durante il periodo weimariano e l’area statunitense. La problematica è stata in parte sdrammatizzata con la previsione delle corti costituzionali nei testi fondativi della maggior parte degli ordinamenti. D’altra parte, una democrazia costituzionale si caratterizza proprio per la presenza, accanto alla struttura democratico- rappresentativa delle sue istituzioni politiche, di organi preposti alla protezione dei diritti fondamentali. Il tema della legittimazione oggi verte su altri profili come il procedimento di nomina dei giudici, le garanzie di indipendenza degli stessi, il nesso tra composizione delle corti e carattere pluralistico delle democrazie

52

Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 459

53

(34)

29

contemporanee, il rapporto tra corti costituzionali e organi legislativi. Il

dissent, in questo contesto, è in grado di stemperare il problema della

legittimazione oppure è potenzialmente un fattore che aggrava le divisioni politiche e sociali? La riflessione della dottrina statunitense offre il materiale certamente più ricco in merito alla questione. Lani Guinier, docente di diritto alla Harward Law School ha individuato nel dissent una

componente del potenziale democratico della giurisprudenza

costituzionale. Affinché il dissent possa considerarsi capace di <<accrescere la fiducia pubblica nella legittimazione del processo giudiziale>>54, deve presentare tre caratteristiche. In primo luogo l’oggetto dell’opinione dissenziente deve riguardare una questione di notevole importanza, come la pena di morte o la discriminazione di genere; in secondo luogo il suo stile deve essere comprensibile e non improntato ad eccessivi tecnicismi; infine i destinatari devono essere, non solo operatori del diritto, ma persone comuni. L’insieme di questi elementi è tale da esaltare il ruolo del dissent come <<strumento pedagogico e fonte di legittimazione democratica>>55.

Anche nei paesi europei, nei quali si è aperto un dibattito sull’opinione dissenziente, è stata evidenziata la sua sintonia con i principi della democrazia pluralista, la sua capacità di offrire un contributo alla realizzazione del principio di trasparenza e, di conseguenza, all’accettazione delle decisioni da parte di un corpo sociale composito56. Qualche obiezione è stata tuttavia mossa. Zagrebelsky, riferendosi più specificamente al contesto italiano, ha espresso il timore che la pubblicità delle opinioni dissenzienti possa aggravare la polarizzazione politica e la frammentazione della società, soprattutto in un paese, come l’Italia, dove la cultura politico-costituzionale non è sufficientemente matura. In

54

Guinier, Demosprudence through Dissent, in Harv. L. Rev. 2008, 12, 14

55

Guinier, Demosprudence through Dissent, in Harv. L. Rev. 2008

56

Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 488

(35)

30

Germania e in Spagna, accanto alle riflessioni teoriche, si sono riscontrati casi in cui le opinioni dissenzienti hanno concorso a determinare mutamenti giurisprudenziali e modifiche legislative significative. Anche nei paesi anglosassoni, diversi dagli Stati Uniti, i contributi teorici sono stati nella direzione di riconoscere un potenziale democratico alle opinioni dissenzienti, le quali <<iniettano un tono democratico facilmente riconoscibile in un potere che è spesso percepito come distante e irresponsabile>>57.

Un punto di vista complementare dal quale osservare il problema del rapporto tra opinioni dissenzienti e legittimazione democratica delle corti è quello che muove dalla composizione di queste ultime e dalla loro relazione con il sistema politico. Come si vedrà, il tasso di disaccordo interno alle corti cambia in modo significativo da paese a paese: la Corte Suprema statunitense risulta come la più divisa, al contrario il

Bundesverfassungsgericht, con il minor numero di divisioni al suo interno.

La ragione di tali differenze va ricercata anche, inevitabilmente, nelle modalità di nomina dei giudici e negli assetti politici e istituzionali. In presenza, ad esempio, di un sistema politico disomogeneo e frammentato, il potere giudiziario tende ad assumere un peso crescente negli assetti istituzionali, talora di vera e propria supplenza degli organi rappresentativi. Negli Stati Uniti, il rilievo politico della giurisprudenza è agevolato proprio dalla frammentazione istituzionale. La Corte Suprema è formata da nove giudici, che vengono nominati dal Presidente ed è nota la contrapposizione tra giudici conservatori e giudici progressisti. La composizione della Corte Suprema è il riflesso, invero, non solo degli orientamenti politici dei Presidenti che nominano i giudici, ma anche della polarizzazione politico-ideologica che caratterizza la società

57

Lynch, Dissent: The Rewards and Risks of Judicial Disagreement in the Court of Australia, in Sydney L. Rev. 2002, 726

(36)

31

americana58. Nel contesto canadese, dove i giudici della Corte vengono anch’essi nominati dal Primo Ministro, non solo le posizioni dei giudici appaiono indipendenti rispetto a quelle dei governi che li hanno designati, ma anche il dissenso è meno istituzionalizzato e più episodico rispetto a quello della Corte Suprema statunitense. Questa differenza è da ricondurre allora alla minore polarizzazione, quanto a ideologie politiche, della società canadese e di conseguenza del sistema partitico e di quello rappresentativo. Caratteristica della Corte Suprema canadese, è la sua composizione rispettosa delle differenze culturali e linguistiche presenti nel paese. Almeno tre giudici devono provenire dal Québec, tre dall’Ontario, due dalle province occidentali e uno da quelle orientali e la carica di Presidente deve essere attribuita ad alternanza francofona e anglofona. Lungi dal rappresentare questa composizione motivo di spaccature profonde all’interno della Corte, è proprio quest’ultima ad

incentivare un rafforzamento dell’integrazione della società

multiculturale canadese. Ciò che invece spiega il minor numero di dissensi in Inghilterra rispetto agli Stati Uniti è la maggiore compattezza istituzionale ed ideologica dei giudici inglesi: l’ordinamento giudiziario inglese è infatti fortemente gerarchizzato, e ciò consente alle corti superiori di esercitare un controllo sulle corti inferiori molto più effettivo di quello che riescono a praticare i tribunali statunitensi. Inoltre, la provenienza dei giudici è riconducibile in gran parte al medesimo ceto professionale e sociale59.

Spostando l’attenzione sulle corti costituzionali dell’Europa continentale, colpiscono anzitutto alcuni dati strutturali riguardanti le nomine, volti ad assicurare la legittimazione dei giudici attraverso l’elezione da parte di organi politici e, al contempo, la non sovrapponibilità tra indirizzo politico di maggioranza e orientamento giurisprudenziale delle corti

58

Di Martino, Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali, uno studio comparativo, Jovene editore, Napoli 2016, 494 ss

59

Riferimenti

Documenti correlati

1429-A, che riduceva a 11 i componenti della Corte, modulando di conseguenza i numeri delle diverse componenti (nella specie: 2 da parte del Presidente

Number of motor units in reinnervated muscles after Glutamatewith receptor antagonists and muscle recovery after nerve injury treatment glutamate antagonists, expressed as % of

OC78 THE ROLE OF CORONARY SINUS-SPARING TECHNIQUE FOR TREATMENT OF AORTIC ROOT ANEURYSM IN PATIENTS WITH BICUSPID AORTIC VALVE: PRELIMINARY LONG-TERM FOLLOW UP RESULTS..

Nella crescente interazione tra scienza e diritto, le Corti han- no certamente un ruolo importante nelle questioni scientifiche, e intervengono sempre più spesso nelle

dissenzienti e concorrenti – dei giudici costituzionali […] tocca la stessa concezione della giustizia costituzionale la quale, a sua volta, è funzione della concezione

Di questo aveva già parlato del resto anche Boi- leau, usando un gioco di parole: “le vrai peut quel- quefois n’etre pas vraisemblable” (“il vero qualche volta può non

manifestazione del pensiero come garanzia non soltanto di un diritto individuale, ma anche della sussistenza di un “libero mercato delle idee” (marketplace of

prospettiva costituzionale, Franco Angeli, Milano 2016, in part. 15 ss., che richiama anche una serie di pronunce.. Il giudice, tuttavia, è destinato a non arrestare qui, al piano