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L’istituto dell’anzianato in occasione della seconda discesa

Nel documento La seconda discesa di Carlo IV a Pisa (pagine 132-142)

3. Le due discese di Carlo IV a Pisa: un confronto

5.3. L’istituto dell’anzianato in occasione della seconda discesa

Particolarmente importante è notare come in entrambe le discese le anomalie nelle elezioni del collegio degli Anziani diventino pressoché la regola. Abbiamo già delineato i contorni che delineavano le elezioni e la natura di questa magistratura nella seconda metà XIV secolo283, quindi ci si limiterà a tratteggiare gli non convenzionali che caratterizzarono i diversi collegi che si succedettero durante la presenza di Carlo, procedendo poi a un’analisi dettagliata sull’argomento in questione.

Nel gennaio del 1355, con l’imperatore appena entrato in città, ci fu il primo esempio di eccezione alla regola: si procedette alla composizione di un nuovo Anzianato in sostituzione di quello legittimamente in carica, e le tasche contenenti i nomi dei futuri Anziani fu ottimisticamente combinata per i quattro anni venturi anziché che per i dieci mesi statuiti dalla norma. La ragione di ciò è da ricercare nelle richieste dei Raspanti, a cui l’imperatore ottemperò per le ragione di cui si è scritto poche pagine sopra. Questo collegio ebbe comunque durata bimestrale come da tradizione, a differenza degli Anziani eletti a marzo che esercitarono il potere per tre mesi per l’intervento diretto dello stesso imperatore: secondo Ranieri Sardo fu egli che “non volle si mutassono i decti anziani insino alla sua tornata”284. Essi poi rimasero in carica anche dopo che Carlo fu tornato a

Pisa il 6 maggio, fino alla successiva elezione di giugno. Gli Anziani del periodo marzo- giugno riflettevano un supposto equilibrio tra le due fazioni pisane (che, stando a Ranieri Sardo, venne meno durante l’assenza dell’imperatore a favore dei Raspanti), e la necessità di una nuova composizione della magistratura sopraggiunse dopo la cacciata dei Bergolini

282 ASP Com A 145 ff. 6, 21’. 283 Supra, pp. 22-24.

della fine di maggio. Il collegio di giugno infatti venne eletto “a bocca”285, vale a dire

oralmente, perché le borse composte a gennaio contenevano in egual misura nomi Bergolini e Raspanti; non c’è dubbio che questa non fosse l’unica volta che si verificò un’evenienza del genere nell’ambito delle due visite imperiali, poiché i vari rovesci politici accaduti dovettero rendere inadatta e inaffidabile un’elezione tradizionale. Il suddetto collegio anzianale iniziato a giugno, così come quello seguente, ebbe durata trimestrale, fino all’ottobre del 1355, quando si tornò alla normalità.

In occasione della seconda discesa le modifiche furono ancora più radicali: la prima elezione degli Anziani dopo la caduta del dogato previde che i magistrati, eletti da una commissione di Savi nel numero di otto per quartiere, stessero in carica in via straordinaria per un quadrimestre, fino a gennaio. Ci fu anche l’istituzione del doppio priorato, per cui erano in carica due priori degli Anziani invece che uno come era consuetudine. Singolare che l’anonimo affermi che l’elezione si facesse “al modo usato”286, sebbene ciò non

corrisponda assolutamente al vero. È plausibile che egli si fosse riferito al fatto che gli Anziani formalmente riguadagnassero le competenze che avevano perduto durante la permanenza al potere di Giovanni dell’Agnello, che aveva sminuito la tradizionale natura dell’ufficio dell’Anzianato, imponendo anche un giuramento sulla propria persona che contraddiceva quello presente negli statuti287. L’anomalia del doppio priorato perdurò

anche nel collegio seguente, che si segnala anche per la durata trimestrale, da gennaio a marzo. L’anzianato del bimestre compreso tra marzo e aprile è rimarchevole per diversi caratteri di originalità che meritano di essere approfonditi: questo collegio infatti era quello che instaurava l’egemonia della Compagnia di San Michele. Accenniamo qui alcuni dei caratteri di spicco di tale anzianato: prima di tutto la novità assoluta nei nomi dei magistrati, nessuno dei quali vantava né un’esperienza politica rilevante né un’appartenenza ad una delle due parti.

Particolarmente interessante poi fu l’istituzione del priorato a rotazione, che prevedeva che ognuno degli Anziani rivestisse tale incarico per quindici giorni, in un tentativo radicale di “democratizzazione dell’ufficio”. Benchè gli Anziani della Compagnia di San Michele fossero rimasti in carica per i due mesi previsti, dopo i moti degli inizi di aprile entrò in carica un nuovo collegio che esprimeva l’egemonia dei Bergolini. I due anzianati convissero per più o meno venticinque giorni, in una situazione che pare non abbia avuto eguali nella storia di Pisa. In seguita alla nuova elezione infatti gli Anziani della

285 R. Sardo, Cronica di Pisa, p. 132. 286 Cronica di Pisa, p. 217.

Compagnia di San Michele non vollero abbandonare la loro carica, e Pietro Gambacorta acconsentì a che i “suoi” anziani stessero “con questi in compagnia sine a calende maggio, ch’è così l’officio vostro”288; i vecchi Anziani comunque non dovettero rivestire

un’autorità rilevante. Il nuovo collegio Bergolino istituì nuovamente il doppio priorato ed ebbe anch’esso una durata anomala, vale a dire da aprile a luglio. L’anzianato seguente continuò sulla strada dei due priori in ufficio contemporaneamente ma ebbe una durata bimestrale. Con l’elezione del settembre del 1370, quando il regime di Pietro Gambacorta era ormai abbastanza saldo, l’ufficio dell’Anzianato tornò alla sua struttura consueta.

Questi caratteri non convenzionali dell’ufficio anzianale non furono frutto del caso, bensì seguirono una logica precisa: tali strappi alla regola erano anzi consueti in momenti politici particolarmente delicati289. In questi casi era sicura l’intenzione da parte dell’imperatore e della classe dirigente pisana di assicurarsi un Anzianato stabile ma anche potente, come si evince dal prestigio dei nomi e delle famiglie coinvolte in quei mesi difficili. La proroga della magistratura cercava invece di attenuare quello che era il maggior inconveniente nell’istituto degli Anziani: quello della sua breve durata, che rendeva complicato il perseguimento di una linea politica coerente, ancor di più nell’ambito di una cornice di precarietà nel clima politico. I due mesi in cui solitamente un collegio rimaneva in carica non costituiva una garanzia sufficiente in periodi di instabilità, e se degli individui in carica si rivelavano particolarmente adatti alle contingenze del momento era una mossa accorta assicurarsi una loro presenza continuata all’interno di quella che era la magistratura chiave del comune.

La strategia di istituire due priori in ufficio contemporaneamente era invece volta ad esprimere un vigoroso controllo nei confronti del collegio stesso, perché esso non si discostasse dalle linee guida dettate da chi era veramente ai vertici del comune in queste occasioni. Non c’è dubbio che al momento gli Anziani non fossero gli uomini più potenti del comune, e che Carlo o i suoi uomini fossero coloro che controllavano effettivamente la politica comunale, grande o no fosse il loro coinvolgimento negli affari pisani, in concorso con i maggiorenti pisani che avevano scelto come referenti. Essi quindi si appoggiarono all’istituto dell’Anzianato per tentare di esercitare un controllo maggiore sul comune, perché esso, soprattutto nelle persone dei priori, facesse da cinghia di trasmissione tra il proprio volere e il suo effettivo compimento in seno alle istituzioni del comune. Un collegio anzianale forte, quale quelli in carica durante la seconda discesa di Carlo, rispondeva poi alle esigenze del partito cittadino in carica: nonostante le ingerenze

288 Cronaca di Pisa, pp. 223-24.

imperiali il collegio degli Anziani manteneva un ampio potere nell’amministrazione interna, che specialmente durante i mesi a cavallo tra 1368 e 1369 non riscuoteva troppo interesse da parte del sovrano e dei suoi luogotenenti, e chi era al potere in un momento di instabilità molto marcata doveva ritenere vitale assicurarsi una preminenza accentuata per esercitare l’autorità più grande possibile nelle istituzioni. Era importante non solo insediare uomini fedeli nell’ufficio, ma anche personalità potenti sia per le loro capacità politiche sia per il loro prestigio e per la loro influenza: vedere i nomi più insigni inclusi nel collegio anzianale era un segnale forte per la cittadinanza.

5.4 L’ECONOMIA PISANA

Ai fini dello studio è opportuna anche una breve analisi sull’impatto che le due visite di Carlo ebbero sull’economia pisana comparandone gli effetti. Non sarà necessario soffermarsi troppo sui singoli esborsi, dato che il Pauler, con tanto di riferimenti documentari, li elenca abbastanza puntualmente in appendice al suo lavoro290. Non è possibile, data l’incompletezza dei dati a disposizione arrivare a calcolare in dettaglio le cifre coinvolte, ma senza dubbio la seconda discesa imperiale fu molto più deleteria per le finanze del comune rispetto alla prima, sebbene anche la prima avesse comportato una perdita di denaro considerevole. Le cause di ciò sono molteplici. Nel 1355 Pisa veniva da un lungo periodo di stabilità, grazie alla politica estera prudente e accorta di Francesco Gambacorta che aveva ridotto al minimo il coinvolgimento del comune nei conflitti italiani. Il perseguimento di una linea incentrata sulla neutralità aveva permesso una riduzione delle esborsi legati a questioni militari, che come già detto rappresentavano ormai il principale indice di spesa per i comuni della penisola291. La situazione finanziaria del comune era quindi al momento abbastanza florida, come testimonia anche l’anonimo cronista, secondo il quale il comune di Pisa aveva a disposizione nelle sue casse 250.000 fiorini292. Una conferma supplementare si trova anche nella relativa facilità con cui il

governo di Pisa riuscì a pagare il tributo di 60.000 fiorini richiesto dall’imperatore come sovvenzione per la sua incoronazione293.

290 R. Pauler, La signoria dell’imperatore, pp. 159-180. 291 Supra, pp. 38-39.

292 Cronica di Pisa, p. 155.

293 È probabile che in realtà dietro questa motivazione si nascondesse il pagamento di tasse imperiali

La visita di Carlo in questo frangente, con tutto lo strascico di perdite legate al sontuoso sostentamento che la dignità imperiale reclamava, poté quindi essere gestita senza incappare in conseguenze tragiche, data anche l’esiguità del seguito del monarca, che a quanto pare non si dotò di un esercito degno di questo nome294. Non mancarono comunque le difficoltà, soprattutto quando nel maggio del 1355 il sovrano decise di riservarsi dal tesoro comunale 50.000 fiorini all’anno, cosa che incontrò le resistenze degli amministratori pisani. L’equilibrio finanziario della città, nonostante le oculate politiche precedente, era ormai intrinsecamente precario a cagione delle varie vicissitudini subite lungo il corso del XIV secolo, e l’alienazione di tale somma dalle sue mani, che alla fine non si concretizzò, avrebbe rappresentato un grave colpo; da qui la richiesta di desistere da parte degli Anziani e della Commissione dei Savi istituita per affrontare la questione. Infine quando l’imperatore si apprestava a partire, venne da questi un’ultima richiesta di 13.000 fiorini, giustificando la richiesta con i danni subiti dai tumulti del 20 maggio; nemmeno in questo caso si è informati di difficoltà legate al pagamento della somma.

Pisa si trovò invece decisamente in ambasce in occasione della seconda discesa. Il contesto del comune era decisamente mutato rispetto al 1354. Il regime di Giovanni dell’Agnello aveva portato avanti una politica estera ben più dispendiosa rispetto al Gambacorta: non più una prudenza confinante con l’inazione, bensì un atteggiamento molto più propositivo nonostante le difficoltà oggettive della città, recentemente uscita dalla rovinosa guerra con Firenze del 1362-64. I piani di potenza del Doge si dispiegavano a lungo termine, e la sua caduta improvvisa lasciò il comune indebitato e alle prese con le spese impreviste legate alla presenza di Carlo e del suo corteggio. A ciò si deve aggiungere una politica interna di stampo signorile incentrata sull’ostentazione e sul lusso295 che aveva

indubbiamente un peso non indifferente sul bilancio. Ma non furono solo le circostanze interne del comune a far sì che la seconda discesa ponesse di fronte a difficoltà maggiori la città: stavolta Carlo scese con un seguito armato ben maggiore, che Pauler pone nell’ordine di 2000 persone296, il cui sostentamento gravava interamente sulle spalle dei pisani. Inoltre Pisa fu trascinata suo malgrado in una guerra contro Firenze, con la conseguenza che fu costretta a mantenere un cospicuo esercito. Sebbene le operazioni belliche conoscessero una diversa intensità nel corso dei mesi, cionondimeno il comune fu costretto a mantenere al suo servizio un numero molto elevato di mercenari, come testimoniano i registri in cui è

294 Secondo Matteo Villani il contingente armato di Carlo consisteva in 300 cavalieri. Cronica, libro IV, p.

193.

295 Cenni diffusi in N. Caturegli, La signoria di Giovanni dell’Agnello. Si veda anche F. Villani, Cronica,

libro XI, p. 301.

raccolta l’erogazione dei pagamenti agli stipendiari di Pisa; a ciò si aggiungano anche i contingenti militari composti dagli autoctoni il cui apporto non fu certo trascurabile.

La fine dell’influenza imperiale non comportò affatto una subitanea riduzione delle spese collegate alla questione: il comune fu costretto a mantenere un numero adeguato di armati per fronteggiare la vendetta imperiale e per difendersi da eventuali attacchi che derivavano dalla sua posizione di debolezza. Legati a doppio filo a questo discorso sono i diversi accenni alle riparazioni e ai potenziamenti delle fortificazioni strategiche pisane (cominciati già d’altronde per iniziativa imperiale in diverse postazioni, come a Lucca per l’Augusta297 o a San Miniato298, le spese relative alle fortificazioni del quale, nonostante

non facesse parte del contado pisano a tutti gli effetti, furono ugualmente imposte al comune) in particolare Ripafratta e Asciano299, situate al confine con Lucca, e ormai da considerarsi terre di frontiera a tutti gli effetti. Il mantenimento in questo frangente di alcuni possedimenti nel contado lucchese, che continuarono a subire attacchi provenienti da Lucca anche dopo la pace stipulata con Carlo, doveva essere particolarmente dispendioso se si tiene presente anche le difficoltà logistiche derivanti dalla perdita del controllo di diverse vie di approvvigionamento.

Furono principalmente le questioni legate alle operazioni belliche a San Miniato e all’approvvigionamento dell’esercito imperiale a portare al collasso il sistema creditizio e annonario pisano. Già ad ottobre si trovano menzioni di difficoltà di pagamento e di sostentamento dell’esercito300 che si aggravarono progressivamente nei mesi successivi,

legate probabilmente a situazione pregresse: nonostante l’equilibrio legato ai rifornimenti cittadini fosse indubbiamente precario, queste difficoltà nel reperire scorte di cibo potrebbe anche essere legato ad un’annata particolarmente sfortunata. Ad ogni modo il comune si trovò costretto ad adottare misure drastiche per fronteggiare l’emergenza, che aveva gravi ripercussioni nel contado e nella città stessa, subissando letteralmente i canovari con continue richieste: a novembre si proibì agli ufficiali della Valdera di esportare granaglie sotto la minaccia di pene gravissime301. Il 13 novembre gli Anziani informarono Marquardo dell’impossibilità di rifornire di granaglie San Miniato, e lo si prega di cessare ogni richiesta di rifornimenti dalla Valdera, colpita da una perniciosa carestia302. In un messaggio inviato al Capitano di guerra Ludovico della Rocca gli amministratori pisani si 297 ASP Com A 207 f. 19. 298 ASP Com A 143 f. 19’. 299 ASP Com A 145 f. 24’. 300 ASP Com A 207 ff. 22’-23. 301 ASP Com A 207 f. 27. 302 ASP Com A 207.f. 37.

poterono permettere di mettere da parte il solito tono deferente con cui essi si rivolgevano ai luogotenenti imperiali, rifiutando recisamente all’ufficiale altri vettovagliamenti per il suo contingente armato303. In numerose lettere si accenna anche alle difficoltà in cui si trovava il comune nel pagare i soldati a suo carico, come nella missiva inviata a Gualtieri il 20 novembre in cui gli Anziani promettono di erogare gli stipendi alle masnade a cavallo agli ordini della città304. In quegli stessi giorni essi furono costretti a scusarsi con il Patriarca perché impossibilitati a pagare i lavoratori stanziati a San Miniato a causa di una momentanea mancanza di liquidità305.

Nel frattempo anche la città vera e propria risentiva della situazione: il grano aveva raggiunto un prezzo superiore alle cinque lire per staio306, mentre si era costretti ad imporre diverse prestanze per permettere il vettovagliamento dell’esercito imperiale a San Miniato. Il 22 novembre fu chiesto un prestito a vari cittadini per una somma di 3140 fiorini307, e a dicembre fu chiesto un nuovo mutuo di 2844 fiorini ai cittadini per il pagamento delle truppe imperiali308.

Le notizie di prestanze non si esauriscono qui: il 15 marzo fu indetta una nuova prestanza, allo scopo di reperire liquidi per le spese legate all’imperatore per un totale di 8000 fiorini, a cui parteciparono circa duecento cittadini pisani che sarebbero stati ripagati attraverso i proventi delle gabelle sulla farina e sulla macellazione della carne309. È

interessante il fatto che dal testo sia leggibile un cenno cancellato riguardo al far pagare ulteriori 4000 fiorini ai cittadini lucchesi: abbiamo infatti ricordato come Sercambi riporti che il comune pisano avesse tentato invano di imporre ai lucchesi una prestanza ammontante alla stessa cifra310, e questa potrebbe essere una conferma delle sue parole. Successive estrazioni di denaro sono inferibili dalle testimonianze archivistiche anche se non direttamente conservate nei documenti: ad esempio l’accenno a Simone Sardo che viene pagato come “exactor prestantiae” nel periodo dell’espulsione dei Raspanti311.

Anche il 18 maggio troviamo una menzione a una prestanza e ad una “imposita”312.

Un numero elevato di prestanze in un periodo ristretto di tempo quindi: si può avanzare l’ipotesi che dietro tale linea di condotta vi sia una certa mancanza di pianificazione a 303 ASP Com A 207 f. 24. 304 ASP Com A 207 f. 43. 305 ASP Com A 207 f. 35. 306 Cronica di Pisa, p. 219. 307 ASP Com A 142 f. 11’. 308 ASP Com A 142 f. 38. 309 ASP Com A 143 f. 81’. 310 G. Sercambi, Croniche, p. 152. 311 ASP Com A 144 f. 37’. 312 ASP Com A 145 f. 13.

lungo termine da parte del comune o un’incapacità da parte di esso di calcolare in maniera adeguata gli esborsi a cui era costretta dalle continue e sempre nuove richieste imperiali. Il comune perciò si preoccupava di reperire i crediti necessari solo ogniqualvolta si trovava di fronte ad una scadenza di pagamento che si rendeva conto di non poter pagare. Nemmeno i comuni del contado non vennero esentati dal versare il loro contributo: a Calci fu imposto di comporre una prestanza a cagione della situazione samminiatese il 26 novembre313. Pure Piombino fu colpita dalla pretesa di un pagamento di 4000 fiorini314, sebbene in questa misura, come vedremo315, potrebbe aver contribuito la situazione politica del porto in mano a Pisa. A conferma della grave situazione finanziaria pisana si possono enumerare anche i numerosi provvedimenti volti a garantire l’efficienza tributaria del comune, con gli Anziani che sollecitano i gabellieri e gli ufficiali a procurarsi i pagamenti delle gabelle inevase in diverse occasioni, esortando gli incaricati di riscuotere il denaro con ogni mezzo necessario316. Ciò può anche essere visto come sintomo di una certa ritrosia da parte della popolazione a pagare i balzelli dovuti, di certo conseguenza del difficile stato di cose per gli stessi privati cittadini pisani. Per sfamare l’esercito imperiale Pisa non si astenne dal contrarre debiti nei confronti degli stessi comuni a lei soggetti, come nel caso di Appiano, che a giugno richiese il computo totale del dovuto al comune pisano317.

Ad aggravare la situazione vi fu anche la richiesta di Carlo di 7000 fiorini mensili, nel quale comunque vennero comprese diverse altre spese. Ad esempio gli stipendi di Marquardo e Gualtieri, ammontanti rispettivamente a 1000 e a 500 fiorini al mese, vennero computati nel conteggio318. Anche il pagamento dei castellani stranieri che controllavano le rocche del contado pisano e delle truppe al loro comando facevano parte del dovuto all’imperatore319. In questo modo si può pensare che la cifra astronomica di 7000 fiorini al

mese, che se in vigore dal settembre del 1368 fino all’aprile del 1369 ammonterebbe a 50000 fiorini, fosse sì molto onerosa ma che coprisse tutte le spese che l’imperatore richiedeva dal comune. Non fu così. Vi sono sterminate testimonianze di esborsi fatti per conto di Carlo che non vennero coperti dal tributo mensile, senza contare i costosi doni che il comune fece per soddisfare l’imperatore. I costi relativi al nutrimento dell’esercito di stanza a San Miniato furono interamente a carica del comune pisano, così come spesso si

313 ASP Com a 142 f. 15’. 314 ASP Com A 144 f. 74. 315 Passim, pp. 142-143.

316 ASP Com A 142 ff. 7’-8; 22; ASP Com A 143 ff 58, 61, 70 317 ASP Com A 145 ff. 32’-33.

318 ASP Com A 143 f. 4’, 21, 25; ASP Com a 144 f. 6,

Nel documento La seconda discesa di Carlo IV a Pisa (pagine 132-142)